18.
«Onora tuo padre e tua madre, come il Signore, tuo Dio, ti ha comandato, perché si prolunghino i tuoi giorni e tu sia felice nel paese che il Signore, tuo Dio, ti dà» recitata con la voce tremante e inghiottita da singhiozzi gemiti, Loris erse lo sguardo verso le fiamme del fuoco cullato nel brucialegna nel camino.
Lo guardava con orrore, timoroso che sarebbe finito nella geena se non avesse ottenuto perdono dal padre, il quale si trovava alle sue spalle, in una mano impugnava la Parola e nell'altra la fedele maestra.
Una lunga e spessa canna di legno forte, che se battuta sulla pelle, lasciava memorie amare e segni quasi indelebili.
La pelle del giovane era ormai lontana dal dimenticare, la sua tonalità chiara era soffocata da lunghe striature scure come una schiacciata di more e bacche. I suoi arti fervevano sotto i suoi singhiozzi e i suoi masticati lamenti, sentiva la testa esplodere di dolore, e in tutto ciò, il suo volto era prospetto al fuoco.
«Ora non puoi comprendere la correzione che ti sto dando, ciò fa più male a me che a te. Ma quando avrai un figlio tuo, e lo dovrai educare, capirai che è dolore di entrambi. Ma più del padre» pronunciò l'uomo, mentre maneggiava l'arnese, pronto a proseguire con il castigo.
Loris lo guardò con la coda dell'occhio, e si preparò ad accogliere tutto quanto il dolore. Dolore che sembrava volerlo uccidere, ogni colpo lo stava facendo avvicinare alla morte.
Tuttavia, dietro le strilla, le lacrime, la tosse e lo strido dei denti. Egli era riconoscente. Genuinamente grato per la correzione del padre.
L'ultimo colpo fu così violento, che il ragazzo urlò fuori l'anima e tutte le lacrime che aveva agli occhi gli scivolarono su tutto il viso. Bolliva addolorato, non aveva forza con cui dimenarsi. Osservò le fiamme nel camino e pensò a come avesse scampato l'eterna sofferenza, l'eterno castigo. Dopodiché, cedette a terra sopra il soffice tappeto, annegando nelle proprie lacrime e nel sangue.
Sussultò colto di spavento, ma si placò quando si accorse che stava solo sognando. Tuttavia, non riconobbe il luogo in cui si trovava.
«William? Dove sono? Dov'è mio figlio? William! William!»
Si ritrovò sotto un leggero lenzuolo, privo di pantaloni e chiuso in un grazioso soggiorno chiaro. La luce del sole lo accecò appena cercò di alzarsi, stordito e piuttosto illeso, si erse dal divano e si mise in piedi. Ma le sue ginocchia cedettero, gli venne un capogiro e smarrì l'orientamento.
Aveva lo stomaco alterato di dolcetti sfizi e i pesanti vini, ma non ricordando di aver bevuto, pensò di essere stato drogato.
Si alzò di nuovo e barcollò spaesato verso la porta.
«William? C'è qualcuno qui? Will?»
Si resse con la spalla alla parete e si strisciò come uno zoppo mendicante lungo tutto il corridoio, non riconobbe la sbornia anche dopo il gorgoglio alla pancia e il palato acido. Cominciò a rimembrare la sera precedente e calunniò il signor Heinrich come malfattore che lo aveva narcotizzato di bevande.
Seguendo l'aroma di caffè e salume, l'uomo riuscì a presentarsi nella sala da convivio, dove trovò il padrone di casa accomodato alla tavola con in mano un giornale.
Aveva l'aspetto divino e rilassato, la notte gli aveva donato un riposo dolce e sereno. Al contrario di Loris, il cui volto sembrava simile a un bevitore di sangue, pallido e asciutto come una camicia non stirata.
Gavriel lo vide e lo salutò con sorriso.
«Buongiorno, Loris»
Ma il pittore avanzò deciso verso la lunga tavola ricoperta da una lustre tovaglia bianca ricamata ai lembi, e additò con gran furore e ira l'uomo.
«Lei...» ringhiò convinto del suo coinvolgimento.
«Che cosa mi ha fatto? Dove sono i miei pantaloni? Me lo dica immediatamente, maledetto pervertito!»
Genna, presente a pochi passi dai due, alzò gli occhi all'uomo e lo fissò scettica. Gavriel invece, comprese la confusione in cui si trovava l'amato, così, con voce cauta e rassicurante, non si lasciò provocare dalla minaccia e gli spiegò tutto quanto.
«Non ti agitare, non abbiamo fatto nulla» ma Loris ne era arci sicuro, non aveva addosso i pantaloni e perlopiù si era risvegliato sopra un divano in una stanza profumata di alcol.
«Come faccio a crederle?» domandò.
Gavriel erse le sopracciglia e guardò la cameriera quasi divertito.
«Adesso non saresti in piedi» sorrise.
Loris, imbarazzato da quella risposta, si mangiò le parole e cercò altre ragioni con cui rimproverarlo.
«Genna, aiuta il signor Anderson a prendersi cura di sé. Ha bevuto molto ieri sera, dev'essere confuso. Accompagnalo in bagno e preparargli la vasca» ordinò.
La donna annuì e anche se nutriva antipatia verso l'ospite, si avvicinò comunque a Loris per poterlo condurre al piano di sopra, ma quest'ultimo rifiutò di farsi accompagnare e dichiarò di voler fare ritorno a casa. Ma nel bel mezzo del capriccio, venne colto da una forte fitta allo stomaco che provocò un conato e un mezzo singhiozzo trattenuto.
Si tense il ventre e soffiò dal dolore, le tempie pulsavano, premevano contro la testa e la vista si sdoppiò.
«Certo che puoi andare a casa, però non in queste condizioni, rischierai di fare un incidente lungo la strada»
disse Gavriel bevendo dalla sua tazza preferita. Loris non obiettò, sapeva che l'uomo aveva ragione, se si fosse messo alla guida in quello stato, avrebbe sicuramente rischiato di finire contro un albero.
Perciò si arrese e si lasciò accompagnare al bagno dalla cameriera.
Quando giunsero nella stanza, la donna lo fece accomodare sopra uno sgabello bianco, così che nel frattempo potesse preparare la vasca.
Mentre l'acqua dal rubinetto bronzeo scorreva riempiendo quel che sembrava più un vascello che una semplice vasca da bagno, la donna sollevò i suoi sottili occhi grigi a Loris, seduto come un castigato sopra quello piccolo sgabello. Non riusciva a giustificare il suo carattere balordo e insolente, anziché ringraziare il padrone di casa per averlo fatto dormire nella sua dimora, si era alzato con animo di guerra.
«Lei dovrebbe essere un po' più gentile con chi si mostra umile nei suoi confronti, il mio capo è un uomo di buon cuore e ci tiene molto a lei. Dunque la smetta di fare l'orgoglioso e si mostri grato. Se fosse stata un'altra persona, ieri sera avrebbe sicuramente approfittato di lei»
confessò versando gocce di aceto di miele e sandalo nell'acqua, dopodiché agitò la superficie con la mano per miscelare l'olio e creare un po' di schiuma. In poco tempo la stanza venne invasa dal vapore e bollicine, l'essenza di tutti quei profumi deliziava il naso.
«Ci sarà sicuramente stato un motivo, forse non era dell'umore» ribatté Loris.
La donna aprì una boccetta di olio di melissa e la versò nella vasca, agitò di nuovo, infine si piegò davanti al lavatoio, aprì il cassetto più in basso e tirò fuori un accappatoio bianco.
«Il signor Heinrich ottiene sempre ciò che vuole, non si è permesso di toccarla perché ha molto rispetto verso di lei» disse avvicinandosi a Loris con il panno asciutto, glielo porse tra le mani e continuò a esprimere ciò che aveva in cuore.
«Mi chiedo che cosa ci abbia visto in lei, è così arrogante, freddo e ingrato. Non mi sorprende che fin'ora sia stato single»
Quelle erano parole così pungenti, che nemmeno Loris sapeva come rispondere. Si sentì inghiottito dalla vergogna e da un lieve senso di colpa, dopotutto la donna aveva ragione, egli si era mostrato ostile nonostante la gentilezza esibita dal signor Gavriel.
Non si era azzardato di toccarlo la sera prima, era stato libero di farlo eppure si era trattenuto. Uomini come lui non erano comuni e Loris doveva riconoscerlo.
«Vado a prepararle la colazione, quando scenderà giù, cerchi di presentarsi con un sorriso di gratitudine»
Concluse prima di concedere all'uomo della privacy.
Loris si denudò, appoggiò i vestiti e gli occhiali sopra lo sgabello su cui era seduto camminò cauto verso la vasca.
Essa era posta sopra una pavimentazione leggermente rialzata, la si raggiungeva scalando tre scalini tappezzati di un breve strascico purpero. Ai bordi era decorata di un filo d'oro e le gambe che la sorreggevano assomigliavano alle zampe di un leone. Loris lo trovò esagerato ed eccentrico, ma nel calibro di un uomo come il signor Heinrich; dopotutto egli era quello che possedeva un serpente come animale domestico.
S'immerse lentamente nell'acqua, quando si sedette, sospirò inebriato e considerò l'idea di non uscire più da quel paradiso di aroma e schiume.
Si rilassò completamente e cercò di ricordare ciò che aveva fatto la sera prima, tutto quello che rimembrava, era la prima bottiglia di vino e i dolcetti nel vassoio. Non ricordava di essersi levato i pantaloni, doveva averlo fatto sicuramente Gavriel, ma non se ne spiegava il motivo.
"Perché mi ha privato dei miei pantaloni?" pensava confuso mentre si calò ancor di più nell'acqua.
Una volta finito di riprendersi in quel rilassante bagno, Loris si coprì con l'accappatoio che gli era stato dato dalla cameriera e si presentò nuovamente nella sala da convivio con volto sereno e pacato. Gavriel si affascinò quando vide il suo amato, giungere a tavola come uno sposo. I suoi lunghi capelli erano stesi e raccolti in un improvvisato bigodino, la pelle chiara stillava scie di acqua profumata e invitavano il padrone della casa a ordinare a tutti di abbandonare la stanza, affinché potesse godersi avidamente tutto il fascino di Loris.
"Egli sa di essere meraviglioso?" si domandava, Genna notò i suoi occhi smarriti sul corpo del pittore e issò lo sguardo. Lo aveva sempre incitato, ma in cuor suo non credeva che Loris sarebbe stato lo sposo perfetto.
Quest'ultimo si sedette dove la colazione gli era stata preparata, esattamente dall'altro capo del tavolo, dove avrebbe potuto godere della piena vista del signor Heinrich.
Quando si accomodò, guardò di sfuggita la cameriera e ricordò le sue parole. Perciò fissò Gavriel e gli rivolse i suoi ringraziamenti.
«Di nulla, non mi devi ringraziare»
Dopodiché un altro cameriere si avvicinò con una busta e un bicchiere di vetro medio, porse entrambi a tavola davanti a Loris e iniziò a preparare la medicina.
«Cos'è?»
Chiese Loris guardando la polvere dissolversi una volta a contatto con l'acqua.
«Per il male alla testa, farà effetto dopo cinque minuti, ma prima devi fare colazione perché va presa a stomaco pieno» rispose Gavriel.
Loris rimase senza parole, lo trovò gentile e ammirevole da parte sua.
«Avevi detto che non potevi assumere caffè, così ti ho fatto preparare del latte caldo. Da noi in Germania, la colazione la consumiamo con una combinazione di affettati, ma se non graditi allora aggiungiamo fette di pane con marmellata o uova sode. Tuttavia, dal momento che tu non ne sei abituato, abbiamo combinato un po' di cose affinché tu possa scegliere che cosa mangiare»
Loris guardò con meraviglia e perplessità la grande tonalità di colori presenti alla tavola, c'erano panini e fette di salame, uova sode dentro a calici d'argento, yogurt ai frutti di bosco, cereali classici e integrali, banane, pretzel conditi e un bicchiere riempito di uno strano succo.
«Che succo è questo?» chiese curioso.
«Quello è Apfelsaft, succo di mele» rispose Gavriel, gioioso di poter condividere la sua cucina.
Loris era confuso, non sapeva da dove cominciare.
"Come fa a mantenersi in forma mangiando tutto questo solo per colazione?" si chiese.
«Io credevo beveste birra ogni tre quarti» rise cominciando dalla tazza di latte.
«Io credevo che voi invece vivevaste di cialde e sciroppo d'acero» rispose Gavriel.
L'atmosfera a tavola diventò presto serena e piacevole, mentre bevevano e mangiavano con gusto si scambiavano parole e Loris, poiché di poche parole, ascoltava con piacere i discorsi di Gavriel, perlopiù attorno alla sua tradizione e cultura.
«Molti ignoranti credono che la Germania sia famosa solo per la guerra fredda e il nazismo, ma il realtà la mia gente è nota per Oktoberfest, il carnevale, la vigilia di Weihnachten e le macchine» narrava fiero.
«Ha mai ricevuto critiche e offese razziste?» domandò Loris.
«Quando frequentavo il college molti dei miei coetanei mi davano del nazista, mi chiamavano "Borusso-brutto" oppure si vantavano di essere discendenti dei sovietici. Alcuni erano di origini ebraiche o europee, venivo trattato come un nemico» raccontò, ciò sorprese molto Loris, non immaginava che ci fosse gente che portava ancora rancore.
«Tu sei canadese puro?» chiese estrosamente, ammaliato dai particolari lineamenti facciali dell'uomo.
«La famiglia di mio padre discendeva dagli aborigeni canadesi, mentre mia madre è nata in Francia da genitori entrambi francesi» rispose Loris.
«Perciò sei metà canadese e metà francese, certo che siamo stati molto amici in passato, avete cominciato voi e abbiamo vinto noi» ridacchiò altero della vittoria, Loris accolse la battuta ridendoci sopra, senza rimanerne offeso.
Parlare con il signor Heinrich si era rivelato abbastanza divertente, la colazione si faceva più gustosa e trovava confortante parlare di storia con qualcuno che non fosse suo figlio. Persino Genna si rallegrò nel vedere i due chiacchierare come amici, le faceva piacere vedere il suo capo sorridere e scherzare con qualcuno dopo tutto quel tempo.
Quando i piatti a tavola si svuotarono e gli stomaci al contrario si riempirono, vari camerieri si avvicinarono per sparecchiare.
Loris godeva di tale lusso solo nei ristoranti, gli era strano farsi ripulire la tavola da qualcuno che non fosse un cameriere al servizio di un locale.
«Genna, il telefono per favore» ordinò l'uomo.
La cameriera andò a prendere il telefono senza filo che si trovava appollaiato sopra un soffice cuscinetto rosso, si avvicinò a Loris e glielo consegnò.
«Tieni, chiama pure tuo figlio» disse Gavriel.
Loris finì di bere la medicina, prese il telefono e si erse dalla sedia.
«Grazie, potrei allontanarmi?» domandò, l'uomo di casa gli concesse il permesso di scusarsi e allontanarsi dalla stanza per poter parlare al figlio.
Loris ringraziò e uscì dalla sala digitando il numero della madre lungo il corridoio che conduceva al soggiorno, si accostò alla parete, presso un enorme quadro da lui stesso realizzato tempo fa.
«Mamma?»
La donna rispose mezza assopita, era andata a letto molto tardi la sera prima.
«Figliolo, come stai?» domandò.
«Io sto bene, dimmi, come sta mio figlio?» chiese.
«Bene, è ancora a letto»
Loris sorrise, William se non buttato giù dal letto, sarebbe rimasto a dormire in eterno. Ma poteva permetterselo ora che non andava a scuola, ci sarebbe tornato a breve, quando le acque si sarebbero calmate.
«Va bene, fammi sapere se succede qualcosa, non esitare a chiamarmi se si comporta male e non aver timore di rimproverarlo se si atteggia in malo modo. Ricorda che è come tuo figlio»
«Non ti devi preoccupare, è un ragazzo bravo, non mi darà problemi» disse la donna, ignara che il nipote fosse già sveglio e furtivamente in ascolto della conversazione da dietro la porta.
Loris si sentiva preoccupato, da una parte gli mancava suo figlio, ma dall'altra era convinto di averlo perso. Ora al posto suo c'era quella ragazza dall'abito e i tacchi rosa, che danzava ininterrottamente nella sua testa.
«Loris, lascia che me ne occupi io. Tu hai bisogno di riposare. Ora goditi questi giorni di distacco, non fare nulla, non lavorare e lascia perdere le faccende di casa. Provvederò io a mio nipote, tu pensa solo a riposare» Il figlio sorrise, gaio di avere ancora un genitore al suo fianco, che nonostante le liti gli voleva ancora bene.
«Grazie mamma» disse, la donna intenerita dalla dolce voce dell'uomo, sorrise e gli rispose.
«Resti sempre il mio bambino»
Chiuse la chiamata reggendo il telefono al petto, laddove si era accumulato gran calore per le parole della madre. Non riusciva a immaginare di essere tornato da lei, non pensava che sarebbe stato così facilmente perdonato. L'aveva sempre odiata per le sue vie diverse e le sue maniere, ma ora l'adorava.
«Signor Anderson, i suoi vestiti» comparve improvvisa la giovane cameriere, sorprendendo Loris seduto con animo leso e le mani strette al cuore.
«Grazie» rispose ricomponendosi e prendendo i suoi vestiti, tra cui i pantaloni.
«Il signor Heinrich si è offerto di accompagnarla a casa con la sua auto» aggiunse.
«Grazie, mi vesto e arrivo»
«Il signore l'attende in cortile»
Finito di vestirsi e asciugarsi i capelli dentro la maestosa camera matrimoniale di Gavriel, Loris uscì dalla dimora e raggiunse il cortile dove lo stava attendendo dinanzi la sua auto.
«Guido io se non ti dispiace, ci sarà ancora dell'alcol nel tuo sangue, non voglio che ti fermino lungo la strada»
Disse, ma Loris lo aveva già intuito e ne fu molto grato, e ora che sapeva di essere il suo filarino, nulla gli era più ambiguo.
Salirono entrambi in auto e usciti dai cancelli, scesero lungo giù la collina.. Era un quartiere di alberi e arbusti, un traboccante raduno di foglie e colori estivi che rammentavano la scena d'estate di Frédéric.
Un vero sogno a occhi aperti per Loris che ammirava dal finestrino, poiché sempre lui alla guida, non aveva mai avuto la possibilità di custodire il panorama. Sembrava un bambino che custodiva la neve dalla finestra di casa, in attesa di poter uscire e giocare.
Gavriel di tanto in tanto, guardava con meraviglia la bellezza del suo beneamato, le cui labbra e il colore dei capelli si spostavano con i toni caldi della stagione.
«Che cosa è successo veramente tra te e William? Ieri mi hai raccontato un po', ma non tutto» disse.
Loris non gli concesse sguardo, dacchè troppo rapito a guardare di fuori, ma gli rispose.
«Ho detto delle parole terribili a mio figlio ieri sera, prima di presentarmi a casa sua. Ho pronunciato parole che un padre non dovrebbe mai dire al proprio figlio, per nessuna ragione. Ma io ero molto arrabbiato con lui, ha fatto una cosa di cui ne sono profondamente amareggiato. Ora è da mia madre, se ne prenderà cura lei per il momento. Gliene sono molto grato»
«Nessuno ci insegna a essere genitori» rispose, e con la voce della sua esperienza, coinvolse anche la propria madre.
«E sei fortunato ad avere una madre, onorala finché puoi. A me manca molto la mia, è l'unica donna che io abbia mai amato. Magari fosse ancora qui»
E senza farci caso, gli occhi suoi che il colore chiamava quelle delle praterie, diventarono due stagni d'acqua pronti a sfociare lungo il viso.
«Era una donna così dolce, timida e amorevole. Nessuno al mondo nasce santo ma lei, lei era celeste agli occhi miei. Nonostante ciò, sebbene fosse una donna le cui mani erano più candide della neve, erano molte le ingiustizie che le accadevano»
Narrando con amarezza la vita di sua madre, l'uomo singhiozzò e non riuscì più a trattenersi. Il solo pensiero di quella donna lo indeboliva, gli faceva rivivere il dolore provato il giorno stesso della perdita.
«Non meritava di morire così, era ancora così giovane e bella, doveva solo finire di godersi la propria vita come tutte le altre donne»
Loris udì i singhiozzi dell'uomo e si voltò, sorprendendosi di vederlo per la prima volta piangere. Era figlio del suo tempo, cresciuto credendo che gli uomini non piangono nemmeno se battuti. Ma vedere qualcuno come il signor Heinrich, versare lacrime e singhiozzare, demolì quella credenza.
«Mi dispiace un sacco per la sua perdita, signor Heinrich»
Disse, lui stesso aveva perso di recente il padre e poteva comprendere quel dolore. Tese il braccio e accarezzò dolcemente la spalla dell'uomo.
«Fa niente, me ne sono fatto una ragione»
Il resto del viaggio fu molto queite, Loris, che già era taciturno e perso nella sua mente, non osò fiatare. Gavriel invece, solcava con malinconia i giorni trascorsi assieme alla madre. Quando vivevano ancora a Francoforte, in una graziosa casetta in campagna, tra i vitelli e le mucche della cascina.
«Dove devo girare?»
Domandò.
Loris gli indicò le vie da prendere per raggiungere casa sua, e una volta entrati nel quartiere, cominciarono a farsi via tra le abitazioni.
«Queste case sono tutte uguali» disse.
«Quasta è la mia, numero mille e quarantadue»
Gavriel accostò e parcheggiò l'auto nel cortile.
«Come farà a tornare a casa?» chiese Loris, l'auto era sua, il signor Heinrich si sarebbe trovato a piedi.
«Verrò a prenderti per domani mattina, ho in mente un bel posto dove fare colazione. Se non ti dispiace ovviamente, così ti riporto anche l'auto» suggerì.
A Loris parve una buona idea, dopotutto non aveva impegni e il figlio si trovava in periferia dalla nonna. Poteva concedersi una giornata di relax, e accettò senza esitare.
Gavriel si rallegrò e sorrise, finalmente l'amore suo era contento di uscire assieme a lui.
«Va bene allora, a domani» uscì dalla dimora e guidò via dalla strada, lasciando dietro di sé una scia quasi estranea a Lori.
"Tutto sommato, ha davvero un bel sorriso" pensò, ma si stranì subito quando realizzò di aver concepito un pensiero simile. E come se non bastasse, dalla sua bocca volò fuori quella che sembrava una farfalla.
«È uscita dal mio stomaco?» si domandò confuso, guardandola volare via. La vicina si trovava nel suo giardino a irrigare le pianticelle, Loris la notò e le indicò la farfalla in volo.
«L'ha vista anche lei?» chiese.
La signora Redshank guardò il cielo e non vide nulla.
«Visto che cosa?» domandò.
«La farfalla» rispose Loris, additandola ancora una volta.
Ma la donna scosse il capo e dichiarò di non vedere nessuna farfalla volare, perciò l'uomo si rese conto che doveva essere visibile soltanto a lui. Tuttavia, non gli era chiaro da dove fosse veramente giunta.
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