16.

Quando Loris si presentò alla dimora del signor Heinrich, la cameriera, Genna, gli fece da guida fino il soggiorno degli ospiti.
Lo invitò ad accomodarsi e gli servì diverse bevande accompagnate da biscotti e dolcetti posati sopra un vassoio in argento. L'uomo però rifiutò tutto, non era in vena di bere, non desiderava nemmeno trovarsi lì. La donna dunque lasciò il vassoio sopra il tavolino che si trovava al centro, nel caso gli fosse giunta l'acquolina in bocca.

«Il signor Heinrich sta tenendo una chiamata importante nell'altra stanza, appena avrà finito, gli riferirò che lei è qui» disse con tono gentile. Loris annuì, non era affatto di fretta.
La donna allora abbandonò la stanza e chiuse leggermente la porta alle sue spalle.

Mentre attendeva il padrone di casa, Loris si lasciò affascinare dall'affresco presente sul soffitto, il quale raffigurava un vasto cielo azzurro ricoperto di nuvole e chiarori, sopra questi soffici letti lattei stavano sdraiati beati dei putti suonatori e innamorati.
"Per un uomo che fuma abbastanza, c'è un buon profumo qui dentro" pensò.
La stanza era fresca e ci si dimenticava dell'estate, se si fosse coperto le spalle con una coperta non se ne sarebbe lamentato. Era chiara e sfornita di toni caldi, le pareti erano lucide e lisciate, non si notava la divisione tra queste e il pavimento. Con l'assenza di ornamenti e quadri, la stanza era monotona, un'ignominia per la mente che l'aveva ideata. Nemmeno lo studio di Loris era così dormiente, era molto più ricco di profumi ed elementi, una delizia per lo sguardo. Ma quel soggiorno riservato solo alle visite, era un buco in cui tutti i colori cascavano.

Le poltrone presenti erano due, una posta di fronte all'altra, tenute distanti da un piccolo tavolino in marmo sostenuto da tre esili gambe, avvicinando ancora poco le gambe, Loris avrebbe potuto rovesciare la bevanda lungo il candido tappeto e infrangere l'ordine niveo di quel soggiorno.
Mentre ci pensava, il padrone di casa entrò nella stanza.

«Scusami per l'attesa, Genna ti ha offerto qualcosa?» chiese sorridente, ma notò che Loris non aveva toccato nessuna delle bevande e degli stuzzichini posati sul tavolino.
«Ho già mangiato, grazie» rispose, ma la realtà era che non aveva affatto appetito, quando teso, il suo stomaco si faceva pesante e rifiutava ogni cosa.

Gavriel prese un biscotto e si sedette sulla poltrona dall'altra parte del tavolino, si mangiò il biscotto tutto in un boccone e invitò nuovamente l'uomo ad assaggiare. Ma Loris lo ripudiò come peste, posò la mano sul ventre sbuffando e dichiarando di essere sazio.

«Li ha preparati Genna, sono buonissimi» disse Gavriel prendendone un secondo.
Amava molto la cucina della cameriera, ragione essenziale per cui l'aveva assunta.
«Si chiamano lebkuchen, solitamente da noi questi si mangiano a Natale, però sono così buoni che non mi va di aspettare fino a dicembre per mangiarli» ridacchiò divertito, e cominciò con orgoglio a narrare di come venivano farciti e serviti nelle tavole teutoniche nel mese di dicembre. Ma Loris non si era fatto quindici minuti in auto per conoscere la ricetta di biscotti natalizi, il suo umore era già alterato, inoltre il Natale portava in superficie terribili ricordi remoti che avvilivano lo spirito.

Dal semplice miele, zucchero semolato e la farina di Segale usati per mitigare il morbido biscotto, la mente del pittore ritrovò amaro e con la fantasia e ricreò quel triste scenario di un inverno cupo e freddo dei lontani anni duemila.
Sotto le squillanti sirene che soffocavano il pianto del figlio, il suono croccante della neve sotto le suole dei paramedici e i fiocchi bianchi che giacevano con grazia sul parabrezza danneggiato.
Il soggiorno si vivificò di smilzi alberi scuri e nudi di chioma, di pigne e arbusti canditi di nevischio. Le dita di Loris raggelarono e il suo cuore si scaldò di dispiacere.

Odiava ricordare quella notte, i dolci e il paesaggio innevato, erano lo strascico che avevano accompagnato la moglie nei suoi ultimi istanti di vita.
Si formò un acerbo groppo alla gola, le membra si annodarono e il petto trasalì inquieto. Penetrò le unghie nella pelle della poltrona e il corpo suo sprofondò nell'auto incastrata tra i rovi di quel precipizio, sotto sopra con le braccia che pendevano, gli occhiali smarriti e il naso logorato.

Il lamento del piccolo, i singhiozzi, lo stridio del camion che oramai aveva fatto perdere le proprie tracce nella galleria, i salmi serali delle fauna e il fischio nelle orecchie. Ogni cosa emerse dalle radici di quel mese di Dicembre come il gusto di acidità sul palato. Loris si batté il petto è lottò per contenere quel cordoglio dentro la carne, ma lo spirito si fece misero e debole, il cuore era già debilitato dall'ingiuria del figlio.

«Voleva parlarmi? Dunque parli! Non me ne frega un cazzo dei suoi merdosi biscotti, piuttosto mi dica la ragione per cui mi ha fatto venire qui, santo cielo!» sbraitò furibondo.

Gavriel sospese il discorso e guardò di stucco l'uomo seduto dinanzi a lui.
Era scialbo eppure fumante di rabbia, aveva le palpebre scavate di sonno e gli occhi lucidi come mari di lacrime. Singhiozzava imbarazzato mentre con una mano sulle labbra cercava di celare il tremore, era rivestito di angoscia e respirava ansioso.

La stanza calò dritta nel silenzio, la voce venne lasciata al lontano cinguettio e al leggero fischio d'aria che soffiava furtiva dalla finestra.

«Va tutto bene?» domandò Gavriel.

Loris cercò di negarlo, voleva farlo, ma il suo cuore era troppo afflitto e necessitava di spogliarsi da quel dolore ancora una volta. Non poteva reggerlo tutto quanto per sé, batté le ciglia ed ecco che abbondanti fiotti di lacrime rigarono fin giù il mento. Sussultò fortemente e sfociò in un nudo pianto disperato, il petto trasalì e le guance si abbozzarono di ciliegia.

Il cuore innamorato di Gavriel si frantumò alla vista del suo amato versare corsi di lacrime, si sentì improvvisamente sconfitto udendo quel lamento.
Era straziante dover guardare il suo Van Gogh piangere come un bambino, senza morse e vergogna, aprì la bocca e sprigionò un intenso grido di avvilimento da far rabbrividire.

Gavriel si avvicinò cauto, e cercò di consolare l'animo dell'uomo.

«Guardami, che succede?»
Ma Loris respinse la sua mano e si alzò dalla poltrona, convinto che avrebbe avuto abbastanza forza nelle gambe per raggiungere la porta e andarsene via. Ma dopo pochi passi incerti e con la vista offuscata, l'uomo cedette e collassò indebolito tra le braccia dell'innamorato.

«Oh cielo, Loris, che ti succede? Cos'è questo martirio?» domandò trepidante abbracciando con amore l'affranto. Era l'occasione perfetta per poterlo lambire di carezze e baci sulla testa, entrambi rimasero sul pavimento a cullare in un abbraccio bagnato di lacrime.

«Suvvia sfogati, libera tutto quanto»
Sebbene non era a conoscenza di ciò che affliggeva Loris, lo intimò a sbottonarsi e a usare i suoi indumenti come fazzoletti su cui tergersi. Loris si arrese a quelle coccole e si lasciò adulare come un figlio sul petto di Gavriel, che come una giara raccolse tutte le lacrime.

«Bravo, continua a piangere»

La pallida stanza abbondò nel nero, poiché tutto ciò che Loris riusciva a vedere, erano le proprie lacrime annebbiare la vista già alterata dalle lenti. La voce cullante di Gavriel scendeva lenta su di lui come un bagno caldo, lo placava nello spirito ma esortava la carne a farsi dominare dal dolore. Replicava ciò che la madre sua, nel tempo in cui ancora in vita, gli faceva quando frustrato od offeso. I suoi abbracci erano stati la terapia della sua adolescenza, una cura a ogni ferita e taglio, era convinto che avrebbe funzionato anche con il suo amato.
Infatti Loris, man mano che l'abbraccio si faceva più caldo e stretto, il suo ardire si mitigò come neve e il pianto si sminuì in un flebile piagnucolio. I suoi arti cedettero e si abbandonarono alla premura donata dall'uomo, per liberarsi di quell'ira che gravava in lui.
La voce del signor Heinrich stillava cura per il suo cuore, il quale tornò a battere calmo, il tocco della sua mano lasciava dietro un effetto quasi magico e il terzo bacio condusse Loris sopra un soffice materasso. Era rilassato, la furia si sfumò come polvere di gesso e non pensò più a nulla.

Ora che si era tranquillizzato, Gavriel lo ricondusse a sedersi sulla poltrona, gli servì un bicchiere d'acqua e attese il giusto momento per potergli porre domande. Loris bevette tutto in un sorso, ma sembrava non essergli bastato. Così Gavriel riempì nuovamente il bicchiere e dopo il secondo giro, Loris sembrò pronto a parlare.

«Che succede?» chiese Gavriel.
«Nulla» rispose Loris, ma la sfuriata di poco fa non era un buon pretesto.
«A me puoi dire tutto, ti ascolto» dichiarò Gavriel accarezzando dolcemente la gamba dell'amato, Loris seguì la mano nell'uomo e scavò tra i dettagli della sera precedente. Ma se osava anche solo sfiorare le terribili parole e azioni del figlio, la ferita si riapriva e si faceva difficile trattenersi.

«No, no non posso, non è successo niente» farneticò singhiozzante.
«Se te lo tieni dentro ti mangerà, io non sono un estraneo, mi conosci e sai che sono un uomo sincero. Sono qui per te, Loris. Avanti, dimmi che cosa è successo. Si tratta di tuo figlio? Hai bisogno di soldi? Qualcuno ti ha fatto del male? Provvederò io a sistemare tutto, tu hai solo bisogno di dirmelo»
Il solo desiderio di Gavriel era quello di far sentire Loris a suo completo agio, il suo umore gravava il suo, se egli sorrideva allora anche lui aveva motivo di farlo. Ma Loris era un uomo diffidente e riservato, tuttavia se voleva sollevarsi di dosso quel dolore, doveva mettere da parte il ritegno e aprire il proprio cuore a Gavriel.

«Potrei bere un po' di quel vino?»
Domandò.
«Certamente, è qui apposta, su tieni»
Gavriel aprì la bottiglia, versò un po' di vino nel bicchiere e una volta riempito alla metà lo porse a Loris. Ma quest'ultimo rifiutò il bicchiere e afferrò invece la bottiglia.

La portò alla bocca e cominciò a sgolarsi un abbondante zampillo di vino, Gavriel restò a guardare scioccato mentre l'amato svuotava copiosamente il litro.
Ne bevve quasi la oltre la metà, quando la riconsegnò in mano all'uomo, egli sollevò le sopracciglia e fissò incredulo la quantità mancante.
Loris si lasciò sfuggire un flato che fece sogghignare sotto i baffi Gavriel, dopodiché singhiozzò e domandò un dolce.
Gavriel gli avvicinò il vassoio affinché avesse libera scelta su quale prendere, Loris benché indeciso e affamato, decise di prendere l'intero vassoio appoggiandoselo sulle gambe.

«Sei affamato, vedo» sorrise Gavriel, un po' smarrito dal comportamento insolito di Loris.
«Però vacci piano, così rischi di soffocare»
In poco tempo nel vassoio non rimasero niente meno che le briciole e le uvette, quelle a Loris non piacevano proprio.
«Posso» chiese indicando nuovamente il bacco.

Gavriel a quel punto intese le intenzioni dell'amato.
"Vuole stordirsi per alleviare il dolore" pensò, e poiché lo amasse tanto, decise di appagarlo senza pensarci.
«Tieni»
Loris prese la bottiglia e la finì sotto gli occhi increduli di Gavriel, curioso di poter vederlo nella sua indole più pura e ignota.
Ora che si era generosamente avvinazzato con il miglior vino offerto dalla casa, Loris iniziò a sciogliersi senza alcun riserbo.
Si passò la mano tra i lunghi e mossi capelli ramati, sospirò e venne colto da un secondo singhiozzo.

«È stata tutta colpa mia, non sono stato abbastanza severo...»
Nel mentre si mise alla ricerca di un'altra bottiglia con cui imbeversi. Sulla tavola c'era un pinot bianco, un altro porta bandiera della città natale del signor Heinrich, senza chiedersi di che gusto sapesse, Loris l'aprì e se la condusse alla bocca.

«Con chi? Tuo figlio?» chiese Gavriel.

«Io non so che demone gli sia entrato, ma deve uscire, non ce la faccio più, adesso basta. Sono stato un padre amorevole, presente e corretto. Mentre lui invece?»
Gavriel sfilò fuori dalla tasca un pacchetto di fazzoletti, ne prese uno e lo porse a Loris.
«Grazie» singhiozzò pulendosi il volto.

«Mi dica, dove sto sbagliando? Perché mio figlio mi odia? Mi odia a morte senza alcun motivo, io ho fatto tutto per lui, gli ho dato tutta la mia vita! Mi ha detto delle parole così orribili, mi ha guardato con così tanto odio e disprezzo...»
Riconsegnò il fazzoletto, oramai zuppo di lacrime e muco, Gavriel lo prese tra le punte delle dita a lo gettò a terra.
«Avete litigato? Dov'è lui adesso?» chiese.
«È con mia madre, ci starà per un po'» disse, ma non era ancora certo sul tempo che avrebbe trascorso in quella casa fuori città.
«È un adolescente, si sa che loro sono così difficili, è normale, tu non hai colpe» disse Gavriel.

Loris erse gli occhi all'affresco sul soffitto e soffiò, pensò di essere cascato nel tranello del suo cliente.
«La smetta di parlare come se gliene fregasse qualcosa, lei non ha figli, non può capire» sbottò.
Ma Gavriel aveva le mani pulite, non stava escogitando alcun piano, egli era genuinamente preoccupato e in pensiero per Loris, anche se non poteva comprendere il suo dolore.

«No, ma siamo stati tutti degli adolescenti, ho commesso e detto anch'io delle cavolate»
Disse, e Loris sospirò.
«Avanti, fammi un bel sorriso, anche se ti fa profondamente male, prova ad affrontarlo con positività. Non sono tuo figlio, ma so che sei un padre meraviglioso e William sotto sotto lo sa»

Fiorì un lieve sorriso tra le guance bagnate del pittore, gli occhi di Gavriel s'illuminarono, poiché non aveva mai visto l'amato suo sorridere.
Sperava più nell'esistenza di Dio che nel sorriso di Loris, quei candidi denti dritti e freschi, erano per lui la cosa più bella che avesse mai visto.
"Sogno o sondesto? Sono riuscito a farlo sorridere".
Loris ne era all'oscuro, ma indebolì il cuore di Gavriel con il suo semplice viso sorridente.

«Hai un sorriso meraviglioso, te l'ho detto, sorridi più spesso»

Loris arrossì lusingato, nessuno gli aveva mai detto di avere un bel sorriso, e anche se non ci credeva veramente, gradì il complimento.

«Allora, me ne vuoi parlare? Parlarmi di quello che vuoi, sfogati, dimmi tutto»

Loris si calmò, trovò in Gavriel un amico a cui parlare, si era dimostrato una spalla sicura su cui piangere. E senza timore e contegno, si sistemò comodamente sulla poltrona con la bottiglia di pinot in mano.

Non tralasciò nulla, neppure i propri pensieri e le memorie emerse dal passato, Gavriel restò accanto a lui ad ascoltare parola per parola, mostrandosi attento e interessato. Gli diede consigli, condivise pareri senza timore e raccontò un po' delle sue vicende personali.
Senza rendersene conto, voltarono più volte le pagine, affrontando argomenti lontani da quello per cui si erano seduti. La verità era che, dopo tutti quegli anni, i due si stavano conoscendo.

Man mano che la conversazione si arricchiva di risate e bevute, le lancette dell'orologio giunsero sui numeri più alti, il cielo si spogliò dal suo turchino e si truccò di rosato, pronto per innevarsi di stelle.
Il soggiorno rimase l'unica stanza con la luce accesa e le tende tirate, i due uomini si erano abbandonati al bacco e il buonumore. Non era da lui, ma Loris si era infatuato e l'algia sembrava averlo desertato, il cuor suo era fatto allegro e il suo dire smarrito e sincero. Gavriel invece era ancora ben limpido di quel che faceva e diceva, non aveva avuto modo di bere, Loris aveva già finito tutto.

Aveva lo sguardo smarrito, la sua postura era sciolta e il corpo abbandonato alla poltrona.

«Signor Heinrich, lei è un uomo davvero saggio, potrebbe venire a sostituire il pastore nella mia chiesa»
Farneticò gingillando con la bottiglia vuota.
«Se non sbaglio, gli omosessuali non sono ben accolti nel regno di Dio»
Rispose Gavriel.
«In questo caso lei potrebbe redimersi, si faccia battezzare» spiegò l'uomo, e prese a soffiare sopra il cernice della bottiglia, emettendo un suono grave e corto.

«Non mi serve nessuna redenzione, piuttosto una benedizione» rispose l'ateo.

Loris si lasciò trasportare dal nuovo gioco, continuò a soffiare finché Gavriel non gli allontanò la bottiglia. Irritato da ciò, tentò di riprendersi l'oggetto sottratto, ma era così spaesato che le braccia si erano fatte deboli e incapaci di compiere le gesta anche più semplici.

«Perché mi guarda così? Mi ridia la bottiglia, non ho finito di bere» brontolò.

«Sei bellissimo, mi piace guardarti» dichiarò Gavriel.

Loris sebbene ebbro, comprese la via delle parole dell'uomo, ricordava che egli era difatti attratto dagli uomini e che attualmente era innamorato di lui.
«Heinrich...» cantò con tono vizioso.
«Perché lei è gay?»

«Per la stessa ragione per cui tu sei etero» rispose.
«Io sono etero perché mi piacciono le donne, sono belle, e hanno un bel culo. Mia moglie aveva un culo magnifico, non glielo dire, ma è una delle ragioni per cui l'ho sposata» confessò Loris, dimostrando con la misura delle mani, la grandezza delle fattezze femminili che lui preferiva di sua moglie.

«Anche tu hai un bel culo» ammise Gavriel.

«Grazie, ma vede, io non sono gay» rispose Loris aggrottando la fronte, come se incerto dell'affermazione.

«Hai mai provato a chiederti come sarebbe baciare un uomo?» domandò Gavriel, questa volta con l'intento di trarre in inganno l'amato, sfruttando il fatto che non fosse in sé.
Loris rifletté sulla domanda e provò a immaginare di baciarsi con un uomo, era in pensiero nuovo nella sua mente, non si era mai posto tali dubbi.

«Hai presente il bacio di Munch?» chiese Gavriel.
«Certo, mi piace molto quel dipinto»

«Anche a me piace molto, ti piacerebbe ricrearlo?»
La sua richiesta azzardata stuzzicò la curiosità alterata di pineto del giovane pittore, ora era ameno di gustare le labbra di un uomo. Heinrich percepiva il momento perfetto farsi pericolosamente vicino, la sua carne lo sentiva a anelava impaziente.

«Heinrich, potrei baciarla in bocca?»

L'anima dell'uomo si colorò di passione, il suo cuore esplose di meraviglia e le guance sbocciarono d'amore. Quella domanda inaspettata lo fece cascare dal cielo, si pizzicò la gamba per accertarsi che non fosse un sogno.
Si meravigliò molto quando realizzò di star vivendo nella realtà, le labbra di Loris fremevano d'incertezza, ma il suo alito di kummel anelava a quello di Gavriel, prospetto il suo volto prossimo a baciarlo.

I cuori di entrambi palpitavano agitati, i colori dei loro occhi diventarono uno soltanto e quando le loro labbra si conobbero per la prima volta, ecco che l'animo di Loris si vivificò.
Si era dimenticato com'era il sapore di un bacio, l'ultimo dato e ricevuto era stato molti anni fa.
La bocca di Gavriel pungeva di liquore e menta, quella di Loris invece, mandò in delirio l'innamorato.
Che gioia che fu per lui, che da tanto bramava di fare l'amore con il suo Van Gogh.

Le sue mani colsero il volto fine di Loris affinché il bacio potesse essere quasi eterno, nulla doveva spezzarlo.
Ma quando il fiato venne a meno, i due si distarono e si guardarono negli occhi.
Gavriel non si trattenne molto, perse completamente la testa, privò il pittore dei suoi indumenti e lo condusse a stendersi lungo il tappeto, così da poter ammirare il suo corpo.

Loris, vittima dell'ebrezza, si lasciò spogliare mentre giaceva illeso su quel soffice tappeto in lino puro.
Ma per quanto fosse bramoso di fare sesso con il suo amato, Heinrich venne colto dal buon senso e proprio all'ultimo ritirò la propria mano dal compiere immortalità.

«Ti ho desiderato così tanto, ma ora che ti ho qui, sembra che non ti merito» confessò. Dopotutto Loris non era lucido, e ogni azione che compieva era opera dei bicchieri di troppo.

Non era giusto unirsi a lui in quello stato, quello non era amore.
Loris tuttavia non comprese, anzi, non era nemmeno al corrente di quel che stava per avvenire. Se si trovava nudo sopra il tappeto, era perché forse il signor Heinrich aveva caldo.

«Che vi fu tolta la sua donna poi,
ecco il giudicio uman come spesso erra!
Quella che dagli esperii ai liti eoi
avea difesa con sí lunga guerra...»

Era sorprendente come il pittore fosse in grado di recitare a memoria una delle strofe del poema di Ludovico.
Il suo tono sdolcinato, le sue maniere lusinghe e le sue deboli movenze assetate, facevano tribolare le membra di Heinrich, tentato fino alle viscere di spogliarsi e avvicinarsi al suo amato.

Ma non era così che immaginava la loro prima notte insieme.

«Tu non mi ami, non lo hai mai fatto» sospirò.

«Me sol creduto avrai,
e pur avrai te meco ancora offeso...» proseguì, poco curante delle parole dell'uomo.

«Mi sorprendi. Stai davvero recitando "Orlando furioso"? Dopotutto ha senso, tuo padre era un professore di letteratura»

«Che riposi in pace» lamentò, e ora che il ricordo del genitore defunto lo aveva colto, ecco che i suoi pensieri corsero verso il proprio figlio.
«Oh Heinrich, sono così in pensiero per mio figlio, il mio bambino...»

«Sta bene» rassicurò l'uomo, distratto dalla nudità dell'amato. Lo aveva sempre immaginato con un fisico perfetto, e con suo gran piacere, rispecchiava esattamente i suoi gusti.

«Gli voglio così bene, gli voglio un casino di bene, dov'è il mio telefono? Voglio chiamarlo, voglio dirgli che gli voglio bene, voglio che sappia quanto lo amo. Mi dia il telefono, per favore» disse tendendo il braccio.

«Immagino, ma starà sicuramente dormendo a quest'ora, domani potrai chiamarlo e dirgli tutto» rispose Gavriel.

«C'è una foto di lui che mi porto sempre nel cuore, la foto di quando aveva tre mesi. Lì nella sua culletta, sorrideva ma non aveva nemmeno un dente. Oh il mio William, il mio bambino. È così bello, che cosa ha fatto per meritare un angelo come lui nella mia vita? Lui è tutta la mia vita, è la ragione per cui io vivo» i suoi occhi si fecero lucidi, si levò gli occhiali di dosso e si alzò per avvicinarsi a Gavriel, il quale stava piangendo per il discorso del genitore.

Si sedette sulle sue ginocchia e lo abbracciò con tenerezza, Gavriel sussultò e si fece ancora più rosso. Duellò contro la sua carne pur di trattenersi, il suo amato si trovava sopra di lui, intontito e completamente privo di abiti. Era un bocconcino perfetto, docile e impotente, si sarebbe lasciato fare di tutto senza mostrare alcuna opposizione.

Ma Gavriel riconosceva che non sarebbe stato corretto, non era rispettoso nei confronti del corpo di Loris.

Prese i suoi vestiti e lo rivestì, gli mise addosso la camicia e la biancheria, lasciandolo privo di pantaloni. Dopodiché lo sollevò e lo condusse a distendersi lungo il divano.

«Ora dormi» disse sistemandogli i capelli.

«No non posso, prima devo andare a vedere come sta mio figlio, io devo andare da lui, devo vedere se respira e dargli la buonanotte» rispose Loris, convinto che il ragazzo si trovava nella stanza accanto.

«Lo hai già fatto, non ricordi?» disse Gavriel.
«Ah sì? Allora la prego, gli dica di lavarsi i denti» aggiunse.

«Certo, non ti preoccupare, adesso però riposati» l'uomo si avvicinò e posò le labbra sulla fronte tiepida di Loris, quest'ultimo chiuse gli occhi e si appisolò serenamente.

«Buonanotte, Loris»

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