10.

Nel cuore di quella tiepida notte, Loris cedette il proprio corpo al peccato.
Il ricordo della piacevole serata trascorsa presso il lago, lo pervase di desiderio e malinconia. Aveva provato a respingere quel ghiribizzo, ma fu fatuo. La sua carne si fece debole e il cuore si lasciò sedurre dalla lusinga.

Si svegliò con l'amaro in bocca, il corpo era realizzato, ma l'animo invece si sentiva leso e ferito. Si apprestò a chieder perdono al Padre, seduto sulle ginocchia e con il capo chinato.

Nel mentre, suo figlio si era alzato dal letto di buon'ora e si stava preparando per la scuola. Ma non vedendo il padre per il corridoio, né sentendo l'aroma della colazione, pensò che fosse ancora appisolato.
Camminò verso la sua stanza per poterlo svegliare, ma vedendolo in preghiera, decise di non disturbarlo.

Scese giù in cucina, dove pensò di preparsi un panino con la marmellata.

"Sono finiti i coltelli di plastica" si accorse.

Gli era stato vietato di utilizzare le posate di acciaio, il padre temeva che  avrebbe trovato una maniera per ferirsi, così gli aveva imposto di utilizzare solo le posate di plastica.
Ma il giovane era convinto di sé, anche fin troppo, non era più un bambino e conosceva come usare le lame senza ferirsi.

"Non mi farò male, starò attento"
Prese un coltello e cominciò a spalmare la marmellata lungo la soffice fetta del pane.

Intanto, suo padre aveva lasciato la stanza, si era recato in bagno per rinfrescarsi la faccia e tornando in camera, cominciò a vestirsi per poter accompagnare il figlio a scuola.
Ogni azione compiuta veniva seguita da uno sbadiglio, anche se era andato a letto in orario, si sentiva stordito e privo di forza.

Ma guardò il lato positivo, quel giorno non aveva alcun impegno.

Scese le scale e si presentò al piano di sotto, camminò verso la cucina e colse il figlio di spalle prepararsi un panino.

«Buongiorno, caro. Come hai dormito?» chiese.

Ma il ragazzo non rispose, all'opposto, si voltò lentamente verso il genitore, mostrandogli con timore il piccolo taglio che si era procurato maneggiando maldestramente il coltello.
Loris alla vista di quel filo di sangue sul polpastrello del figlio, accorse preoccupato e studiò subito la ferita.
Ma vista la misera gravità della situazione, lo rimproverò per essere stato imprudente.

«Per questo non voglio che usi quelli di acciaio, vuoi tagliarti un dito per caso?» domandò irrequieto.
«Quelli di plastica erano finiti, scusa papà» rispose il ragazzo alquanto desolato, stava semplicemente pulendo la marmellata dalla lama per potersela gustare sul dito, non immaginava quanto questa era affilata.

«Suvvia non è niente di cui preoccuparsi, ciuccialo un po'» soffiò il padre, e proseguì a finire il panino per il ragazzo. Quest'ultimo portò il dito il bocca e lambì la ferita, il cerotto non sarebbe stato necessario, il taglio era davvero lieve e usciva sangue solo se esercitava una leggera pressione attorno.

«Dai, mangia e andiamo» disse porgendogli il panino. Il ragazzo si cibò della leggera colazione custodendo le ore correre, gli era sconosciuta la formula che si celava dietro la velocità delle lancette, e questo lo affascinava. Era interessante poter guardare l'orologio segnare un tempo a loro preciso, tuttavia non lo era, poiché da qualche altra parte era notte.

«Papà, hai mai fatto caso all'orologio? Esso indica numeri che nemmeno esistono, siamo noi che li abbiamo inventati. Il tempo non esiste, è un illusione» disse.
Il padre rivolse lo sguardo sulla parete dov'era appeso l'orologio, e stranito dalle parole del ragazzo, cercò di dare una spiegazione logica al tutto.

«L'illusione è una percezione, il tempo invece è una continuità eterna. Entrambi sono intangibili, ma il tempo si può assaporare, vivere e gestire. L'illusione invece no» la risposta saggia del genitore incantò di meraviglia il figlio, ora era ancora più curioso e innamorato dell'argomento.

«Ora però finisci la colazione»
Il ragazzo si affrettò a finire il panino, chiedendosi tra sé e sé, quale fosse allora l'unica realtà uguale per tutti sulla terra.

Pochi minuti dopo, a seguito di domande sulla logica e la fantasia e risposte mature e realistiche,
padre e figlio raggiunsero il parcheggio dinanzi l'ingresso dell'istituto.

Come sostenuto dal padre "il tempo si può gestire", difatti, arrivarono in anticipo.

«Comportati bene» cantò, il figlio prima di scendere dall'auto baciò la guancia del genitore, promise che si sarebbe comportato correttamente, infine si caricò lo zaino sulle spalle e chiuse la portiera.
Loris lo guardò allontanarsi verso i cancelli ed entrare in cortile, gli faceva piacere vederlo seduto sulle panche in calce, in attesa del suono della campana, rimembrava con tenerezza il primo giorno di scuola.

Quante lacrime versate su quelle tonde guanciotte rosee, quella mattina di autunno il figlio finì un intero pacchetto di fazzoletti, timoroso di dover affrontare un nuovo percorso senza la presenza dei genitori. Ora invece frequentava il liceo, era uno studente modello e con un futuro alle porte. Ciononostante, agli occhi suoi, egli restava lo stesso un bambino.

Bambino che quantunque, a sua insaputa, era cresciuto.
William aveva quindici anni, e anche se amava ancora guardare i cartoni animati e giocare con la locomotiva e i puzzle, riconosceva di non essere più uno scolaretto delle elementari.
Durante il periodo di crescita, egli aveva sviluppato nuove passioni e interessi oltre a quelle già presenti.

Gli piacevano le scarpe dal tacco alto, le gonne, le calzature, i cosmetici, i bracciali e le borsette.
Proprio come per il padre era soddisfacente l'arte e la lettura, lui trovava conforto in un paio di slip in pizzo.
E che gran ammirazione aveva quando vedeva passare le ragazze più carine della scuola, così truccate e tirate di raffinatezza, camminavano a spalle dritte con orgoglio, avevano unghie lunghe e colorate eppure compievano ogni azione con banalità.

"Un giorno anch'io sarò bello così"

Pensava, nel frattempo venerava le sue stesse compagne di classe, le quali una a una cominciavano a presentarsi in cortile.

"Oggi Kaith è particolarmente carina, le dona molto quel rossetto. Chissà se starà bene anche su di me"

Poi volse lo sguardo a un'altra compagna presente.

"A Janette quel mascara sta benissimo, quanto le sarà costato? Quanto costa un mascara? Papà non mi darà mai dei soldi per comprarmene uno, potrei provare quello della mamma"

Mentre era sperduto nelle sue fantasie, la sagoma di un ragazzo alto e moretto comparve alle sue spalle.
«Ciao, Will. A che cosa stai pensando?» chiese curioso.

Il ragazzo alzò il capo e si rallegrò nel vedere la sua faccia preferita.

«Voglio comprarmi un mascara» confessò, il moretto si sedette alla destra del ragazzo ed espresse il proprio parere.
«Io ti preferisco acqua e sapone»
Ma William non concordò, voleva quel mascara.
«Sono convinto che mi starà bene, quanto ne costa uno?» chiese.
Adric erse le spalle e confessò di non averne idea, dopotutto, non si era mai dovuto preoccupare di comprarne uno.
«Mi presteresti dei soldi?» domandò William.
«Sai che se potessi te li darei, ma non voglio correre alcun rischio. Tuo padre se dovesse venirne a conoscenza ti chiederà da dove hai preso i soldi, e tu che dirai a quel punto? Mentirai? Dirai forse che li hai rubati? Non voglio finire nei guai»

Rispose Adric, e William dovette riconoscere che aveva ragione. Inoltre i genitori di entrambi si conoscevano, Loris e la signora O'moore erano amici stretti uniti dalla passione per Cristo e la Chiesa.

«Tanto io mento spesso a lui, il più delle volte non se ne accorge» borbottò William.
«Loris non è un uomo stupido, tu dovresti saperlo meglio di me» ribatté Adric.
«Non dico che lo sia, tuttavia, è lui che m'induce a farlo. Se mi permettesse di vestirmi come voglio, non sarei costretto a dirgli bugie. È colpa sua, io ci provo a essere bravo, ma lui mi spinge a non esserlo»

Adric guardò con dispiacere la frustrazione negli occhi scuri del ragazzo, non lo biasimava per le sue azioni, tuttavia conosceva in quale situazione si trovava Loris.
Non era uno psicologo, e nemmeno una buona spalla su cui piangere, però cercò di rallegrare l'animo del suo compagno.

«Dopo scuola ti va di andare a fare i compiti alla casa sull'albero? Mio papà le ha dato una ritoccata» 
William si lasciò sfuggire un tenero sorrisetto tra le guance, adorava trascorrere il tempo nella casa sull'albero.

«Le verifiche mi hanno tenuto tutto il tempo sui libri. È stato difficile dover studiare, quando l'unico mio pensiero sei stato tu» confessò sussurrando.

«Pure io, ci stanno investendo di compiti ora che le vacanze estive si stanno avvicinando» rispose Adric.

Mentre che i due innamorati civettavano tra loro prima dell'inizio delle lezioni, Loris si trovava a casa, in dolce compagnia dei suoi pensieri quotidiani.

Rinchiuso nella scatola, circondato da zero idee e svariati utensili d'arte.
Un pennello, una tavola di colori, una tela, ma nessuna ispirazione.
Aveva lasciato la finestra aperta con la speranza che una luce divina lo avrebbe illuminato, ma fuori il cielo era cristallino e privo di nuvole, tale alla sua mente.

Vedeva la moglie aggirarsi per la stanza e interagire con i vari oggetti,  c'era anche un vecchio signore seduto all'angolo, era suo padre, si complimentava anche se la tela era ancora vuota.
Avvicinava e allontanava le setole di continuo, sbuffava, girava su se stesso toccandosi la punta del mento, arricciava i capelli e canticchiava.

Ma nulla sembrava riuscire a evocare l'ispirazione.

"A questo punto mi arrendo" annunciò gettando via da se il pennello e la tavoletta, provò grande frustrazione e come un bambino nei suoi capricci, si lasciò al pavimento e lì rimase con lo sguardo fisso e vuoto al soffitto.

"Forse se fingo di essere morto, l'ispirazione verrà" pensava, ma la moglie gli disse che non funzionava così, e cominciò a rimboccarlo di una pesante coperta di rimproveri.

"Allora dormo" pensò.

E così fece, chiuse gli occhi e cercò di addormentarsi lungo quel duro pavimento in legno. Forse le idee gli sarebbero arrivate in sogno, oppure in un incubo.
C'era un solo modo per scoprirlo.

Regolò il respiro, si sdraiò sul fianco sinistro, si levò gli occhiali e raccolse leggermente le ginocchia.
Ora che aveva assunto la sua posa preferita, poteva cominciare a calarsi nelle profondità della sua mente.
Il pavimento si fece man mano sempre più morbido, l'odore del giornale lo accompagnò per il percorso e il cinguettio degli uccelli lo coccolò dolcemente.

Pian piano le labbra si dischiusero, il corpo si fece pesante, la mente si svuotò e le lancette dell'orologio presero a rincorrersi in una distesa di trattini, punti e numeri.
E quando la lancetta lunga riuscì ad acchiappare quella più corta, ecco che la schermata del telefono di Loris si accese briosa.
Seguirono poi la vibrazione e la sueneria, una composizione orchestrale petulante quanto la sveglia del mattino.

Loris venne letteralmente sottratto da quel mondo che la sua fantasia era stata capace di creare, un momento prima si trovava a mangiare dolci e in quello dopo nel suo studio, ingravidato da una forte musichetta.

Si svegliò di soprassalto, spaesato come chi si era smarrito in un labirinto. Quando capì di star ricevendo una chiamata, raggiunse il telefono con la mano e senza troppe domande rispose.

«Pronto?» brontolò arato di stanchezza, la sua voce sibilò roca è pareva con aver mai conosciuto un bicchiere d'acqua.
La voce dall'altra parte invece, si presentò formale, acuta e simile a un cinguettio. Peraltro, non trasmise alcuna serenità in Loris, il quale aveva subito riconosciuto quel timbro femminile.
La voce era della signora Walsh, nonché dirigente dell'istituto frequentato da suo figlio.
Pregò al Signore in cuor suo, che la chiamata fosse stata accidentale o per semplice annuncio di qualche evento scolastico formativo. Ma si trovò a issare gli occhi e mettersi la mano tra i capelli quando udì le parole della donna, la quale chiedeva un immediato incontro con l'uomo.
«Sì, arrivo subito»

C'impiegò giusto quindici minuti per prepararsi e raggiungere la scuola, era uscito di casa senza nemmeno curarsi di come si sarebbe presentato.
Aveva i capelli arruffati in una coda quasi improvvisata, un brusco movimento e si sarebbe sciolta. La camicia era sbottonata e la canotta sotto, riportava alcune chiazze di acrilico. I suoi vestiti profumavano di carta e colla, l'alito invece gustava di latte macchiato e biscotti.
Sicuramente non era adatto per posare in una mostra, ma quando giungeva a suo figlio, il resto non contava più nulla.

Si presentò all'ingresso della scuola così com'era, sceso dall'auto, si accorse di non aver indossato le scarpe ma solo gl'infradito. Però non c'era tempo per pensare alla modestia e alle persone a lui attorno, chi mai lo avrebbe tormentato per l'aspetto?
Masticando sfregi e parole oltraggiose ai cieli, il genitore entrò con aria di minaccia nella scuola, dove venne subito dolcemente accolto e guidato dalla dirigente stessa.

William era stato protagonista dell'ennesima lite, ma questa volta il ragazzo coinvolto era un altro.

Loris era infuriato, cercava il figlio tra le sedie dietro il banco della segreteria, se gli fosse camminato affianco, lo avrebbe di certo preso a schiaffi in presenza di tutti senza il minimo pudore di venire malinteso o giudicato male.

Entrati dentro il piccolo ufficio, i due adulti presero posto alla scrivania.
Loris era un uomo curioso, che solitamente si lasciava distrarre dall'arredamento delle stanze in cui metteva piede. Ma nulla in quelle quattro mura riuscì a farsi notare, sebbene decorata con uno stile che si avvicinava al suo; semplice e rinascimentale, la sua attenzione era dedicata solamente alla donna davanti a lui.

Seduta su quella poltrona in pelle color mirto come un giudice con sotto mano la fedina del ragazzo, prossima a rivelare il motivo di quella immediata riunione.

«Mi dispiace per averla fatta venire qui, immagino fosse occupato» disse la donna sistemandosi la gonna, l'uomo soffiò e scosse leggermente il capo, non stava facendo nulla di particolare, era solo riuscito a dormire.

«Inizio dicendo che io non pratico favoritismo, non prendo le difese di nessuno davanti ai fatti. Ma questa volta, suo figlio non ha alcuna colpa, la sua è stata semplice difesa» disse la dirigente.

Sorpresa, quasi bugia, per le orecchie del padre.  Finalmente la lite non era cominciata dalla parte del figlio, tuttavia non ne andava comunque fiero.

«Durante l'ora di pranzo,  William e un suo compagno di classe hanno avuto una discussione abbastanza calda, ma nulla che ha portato ad alzare le mani. Tuttavia, quando ognuno stava per riprendere la propria via, il ragazzo ha dispettosamente calato i pantaloni di William e...»

La donna sospirò e cercò il coraggio per poter concludere il discorso, ma non sapendo come l'uomo avrebbe reagito, fece abbastanza fatica.

«Ha rivelato che suo figlio indossava un intimo da donna, sotto i pantaloni»

«Prego?» domandò sconvolto l'uomo, le cui sopracciglia ormai sfioravano la radice dei capelli e gli occhi suoi divorarono la povera donna, che cercò subito di addolcire la tensione con un parere personale.

«Ahimè, non è gravoso che suo figlio si senta a suo agio indossando ciò che vuole. Il problema è che dopo l'accaduto, William ha reagito mordendo il compagno e mentre uno dei professori ha cercato di interrompere la lite, è stato di sua volta ferito. Ma non si preoccupi, nulla di grave, il docente sta bene e non porta alcun rancore verso il ragazzo»
Ma per quanto solidali e tenere le sue parole fossero, l'ira di Loris fece ardere l'ufficio, non c'era modo di placarlo adesso.

"Mio figlio? Il mio William in intimo da donna? Cosa? Perché? Che scemenze sono queste? È un incubo?"
Ma era palese che non si trovasse nel suo studio d'arte, purtroppo era tutto reale.

Con il cuore traboccante di furia, l'uomo si erse bruscamente dalla sedia e abbandonò l'ufficio della donna senza degnarsi nemmeno di salutarla.
I suoi passi lungo quei larghi corridoi, vennero curiosamente seguiti da alcuni studenti fuori dalle aule, tutti al corrente di quel che stava accadendo.
Teneva i pugni così fermamente stretti che le nocche delle dita schioccarono, il viso si era fatto rosso e l'elastico aveva fallito a reggere i suoi lunghi capelli e cadde a terra.

Tornò in segreteria e domandò di vedere suo figlio, le bidelle, timorose per ciò che sarebbe accaduto allo studente modello, con le braccia vacillanti e l'animo divorato dalla colpa, indicarono la via da prendere.
L'uomo seguì le indicazioni, che lo condussero verso i distributori di caffè e merende.
Là ci stava suo figlio, seduto con un bicchierino di plastica vuoto e il palato profumato di cioccolata calda.

Alla vista del padre, chinò il capo e si atteggiò come un prigioniero prossimo a subire la propria pena.

«In piedi!» ordinò a gran voce l'uomo, ma il ragazzo restò con il sedere inchiodato su quella calda sedia.

«Sei una vergogna! Una vergogna!»
Loris lo afferrò per il braccio e se lo trascinò fin fuori la scuola, dimenticandosi anche di firmare il modulo di uscita anticipata.

«Ahi!»
Il braccio del ragazzo era strettamente strozzato nel pugno del genitore e non c'era maniera di liberarsi, dovette sopportare il dolore e l'umiliazione fino all'auto.

«Mai una sola settimana, devi sempre combinarne una! William ha fatto questo, William ha fatto l'altro! Mi sono rotto il cazzo di te e le tue scemenze!» la voce dell'uomo fece tuonare le aule, alcuni studenti curiosi, si affacciarono alle finestre per poter assistere.

«Scusa, non volevo» balbettò William, sentendosi morire dentro di berlina, desiderava solo scomparire o fare cambio di posto con qualsiasi estraneo.

«Fanculo le tue scuse! Dici sempre così, ma alla fine la verità è che non te ne frega un accidente!»
L'uomo aprì l'auto, e aperta la portiera, vi ci scaraventò dentro il ragazzo. Incurante di chi guardava e udiva, egli salì sul veicolo e mise subito in moto.

«Non è stata colpa mia! Io ho provato a ignorarlo ma è lui che ha iniziato, io non centro niente!» dichiarò il ragazzo, consapevole che una volta arrivati a casa, avrebbe patito l'ennesima ingiustizia. Ma Loris non ne voleva affatto sapere, non era nemmeno interessato a conoscere le vere ragioni della lite. I suoi pensieri erano rivolti solo verso quell'intimo che il giovane indossava sotto i capi, nient'altro lo sfiorava.

«Non è giusto, tu non eri nemmeno presente» continuò William.

«Grazie al cielo che non lo ero, non sarei riuscito a sopportare tutta quella vergogna! Mio figlio con le mutande da donna, è assurdo! Oh Dio padre, Dio caro che merda! Perché io?» l'uomo si mise a piangere amare lacrime, sentiva di bruciare di vergogna in ogni parte del corpo, gli cedevano gli arti dalla disperazione. Non poteva credere di avere alla sua destra, un ragazzo che pretendeva di essere una femmina. Era un incubo da cui non poteva svegliarsi, il dolore che lo stava massacrando nello stomaco, gli offuscava la vista e appesantiva la testa.

Pianse per tutto il tragitto, gli occhi suoi diventarono due fette di rosso acceso, inzuppati in mari di lacrime.

Il figlio dovette guardare con sconforto suo padre piangere come un bambino, non provava rimorso per la sua scelta di aver messo quello slip, piuttosto era preoccupato delle conseguenze. Guardò la sua casa come le porte dell'ade, non aveva alcuna intenzione di metterci piede, una volta là dentro nessuno avrebbe potuto salvarlo dal castigo.
Tuttavia, non poteva restare seduto su quel sedile per tutta la vita, considerò di farlo, tanto non aveva molto da perdere, ma ciò avrebbe solo provocato ancora di più il padre.

Seguì a capo basso e spalle tese, il genitore verso la umile villetta chiara. Salutò la vicina, mostrandosi tutto fuorché preoccupato. Quest'ultima ricambiò il saluto e cercò di attirare su di sé l'attenzione di Loris, ignara del fatto che i pensieri del suo amore erano distanti ad altro.

Entrati dentro l'ingresso di casa, William si affrettò subito ad abbandonare il soggiorno per potersi chiudere nella propria stanza. Ma il padre lo fermò e gli ordinò di porsi al centro del salotto.

Ferveva tutto quanto come una fogliolina, la sua statura minuta inoltre non lo faceva sentire affatto sereno. Suo padre prevaleva su di lui sia in autorità che altezza, sarebbe stato da sciocchi tentare uno scatto di fuga lungo le scale, l'uomo lo avrebbe afferrato per un braccio senza nemmeno la necessità di corrergli dietro.
Dunque restò immobile con lo sguardo rivolto al tappeto, in ansiosa attesa del provvedimento; ma la prima richiesta del padre, lo fece turbare.

«Spogliati» Ripeté.

William esitò per un istante e si guardò in maniera confusa attorno, magari in cerca di una figura gentile da cui correre.

«Ho detto, spogliati»

I suoi occhi caddero sulla credenza posta sopra il camino, dietro le matrioske e le bolle di cristallo, giaceva quella lunga bacchetta.
"Mi picchierà con quella su pelle nuda"
Pensava trepidante, non osava neanche solo immaginare il dolore che gli avrebbe procurato una sola bachettata di quella verga sulla palle. Il pensiero di essere prossimo a doverlo scoprire, lo fece quasi svenire. Difatti le gambe si fecero deboli e con un nodo alla gola, iniziò a scongiurare il padre.

«Papà, papi ti prego non mi picchiare» piagnucolò, nel frattempo si stava già lentamente calando i pantaloncini, e arrivati alle ginocchia, rivelò al genitore ciò che aveva addosso.

Loris si sentì investito da un treno, schiacciato dall'intero cielo. Non poteva credere ai suoi occhi, doveva trattarsi solo di un malinteso, quello di fronte a lui non poteva essere suo figlio.

«Oh Dio mio...» singhiozzò indignato, il ragazzo tentò di spiegare al padre la ragione per cui indossasse quegli slip, ma nessuna parola riuscì a pendere da quelle labbra oramai logore a forza di addentarle.
Perciò Loris gli pose una semplice domanda
«Perché?»
Sperando di sentirsi dire che era niente meno che uno stupido scherzetto, ma le sue speranze vennero raccolte, lapidate e sputate via come straccio, dalla risposta chiara del figlio.

«Perché mi piace»
Era la verità, era riuscito ad ammetterlo senza alcun riserbo.
Quello era ciò che egli era e sentiva, un grazioso ragazzo in reggiseno e slip.

L'uomo era abbattuto, pugnalato dal proprio figlio, lo stesso a cui anni fa insegnava a cantare i numeri e le lettere. Il bimbo che credeva di aver cresciuto con diligenza sotto la giusta dottrina, era ora diventato un depravato, un immodesto e dai vizi perversi.

A quel punto, pensò solo che dovesse trattarsi dell'opera del diavolo. Chi se non quell'impostore? Principe degl'inferi e padre dei peccati.

«Primo corinzi, dieci: né effeminati, né sodomiti, né ladri, né avari, né ubriaconi, né maldicenti, né rapaci erediteranno il regno di Dio!»
Recitato ciò con orgoglio e dolore, si avvicinò al ragazzo e lo percosse violentemente in volto con una pesante sberla. Così bollente che a Loris fumò il palmo, l'impatto aveva fatto male pure a lui.
«Vuoi finire all'inferno come quella bastarda di tua madre?»

Il giovane si trovava a terra, privo di pantaloni e con una guancia pulsante.
Scosse il capo e rispose di non volere finire tra le fiamme eterne dell'inferno.
Ma la sua risposta non convinse affatto Loris, sicuro di dover dare al ragazzo una dimostrazione. Solo a quel punto avrebbe veramente avuto timore del fuoco, negare quando ancora sulla terra era facile persino per un bimbo.

«Lascia che ti mostri come sia»
Si avvicinò al camino e lo accese dando fuoco alla legna, il ragazzo guardò confuso, incerto se volere sapere o no le intenzioni del genitore.
Sopra quella credenza c'era ancora la bacchetta, gli bastava solo prenderla.
Ma l'uomo non era intenzionato a punirlo con quella al momento, camminò verso il ragazzo, lo sollevò dal tappeto reggendolo per una ciocca di capelli e lo condusse verso le fiamme del fuoco. Quando il ragazzo intuì il piano del padre, andò immediatamente in panico pregò pietà a quest'ultimo.

«Aspetta no! Papà ti prego, ho paura! Non farlo!» Loris avvicinò il viso del ragazzo a poca distanza dal calore, giusto per fargli assaggiare l'esperienza tremenda serbata per coloro che si atteggiavano secondo i desideri del diavolo.
«Senti come brucia? Lo senti? È lì che finiranno quelli come te!»

Se il fuoco di casa lo tormentava così tanto, il ragazzo non pensò a immaginare come sarebbe stato quello dell'aldilà.

«No! Non ci voglio andare papà! Non voglio, ti prego basta, brucia! Brucia!»

Terrorizzato, pregò al padre di lasciarlo andare, e l'uomo, vedendo il terrore negli occhi del figlio, lo lasciò. Il ragazzo dunque, si alzò in piedi, corse fuori dal soggiorno e si diresse in lacrime verso il piano di sopra dove si sarebbe chiuso in camera.
Singhiozzava  annegando il proprio viso intriso e inzuppato tra le mani, l'uomo sospirò impotente, e restò a fissare con incanto le fiamme del fuoco danzare, immaginando che da qualche parte sotto i loro piedi, ardevano in doglie le consumate membra di sua moglie.

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