7 - Realtà

Luglio 2020

«Sim, non stai bevendo un po' troppo?»

Simon chiuse per un istante gli occhi quando Leo fece scorrere una mano tra i suoi capelli per tirargli indietro delle ciocche sudaticce dalla fronte. Recuperò un profondo respiro dal naso e si scostò dal suo tocco, reclinando la testa sulla testata del divano su cui erano seduti.

Voltò il viso per scoccargli un'occhiata ammiccante. «Siamo alla festa del diploma» gli rispose, modellando sulla labbra uno stesso tipo di sorriso. «Se non beviamo stasera, quando lo facciamo?»

Leo lo squadrò con un cipiglio preoccupato, ma alla fine si limitò a dire: «Come vuoi».

Simon distolse gli occhi e prese un sorso della sua vodka lemon. Stava bevendo troppo. Aveva perso il conto di quanti bicchieri gli erano passati tra le mani. Non gli piaceva neanche bere, ma quella sera ne sentiva il bisogno.

Razionalmente lo sapeva da giorni, da mesi, che quel momento fosse arrivato, eppure era come se essere lì a quella festa e vedere gli studenti con cui aveva passato gli ultimi anni della sua vita salutarsi, piangere, abbracciarsi, raccontarsi i migliori aneddoti scolastici glielo avesse fatto davvero realizzare.

Era veramente finita.

Tra poco più di un mese si sarebbe trasferito a Parigi.

Tra poco più di un mese si sarebbe separato da Leo.

Come posso riuscirci davvero?

Simon gettò un'occhiata alle loro gambe, quando quella di Leo si appiccicò alla sua. Per un momento, lasciò lo sguardo puntato alle loro ginocchia in contatto, e poi lo fece scorrere lungo quella di lui, fasciata da degli stretti jeans neri, fino ad arrivare al suo petto accarezzato da una camicia bianca.

Merda, pensò, quando le sue parti basse apprezzarono più del necessario quel vestiario e il modo in cui risaltava il suo fisico.

Recuperò un altro respiro profondo e si scolò quello che restava del bicchiere.

Aveva iniziato a bere per dimenticare cosa fossero lì a festeggiare e cosa quello significava, ma non aveva tenuto conto che ubriacarsi nelle vicinanze di Leo non fosse una brillante idea. In tutti i loro anni di amicizia, non era mai successo, perché da quando Simon aveva realizzato quello che provava per lui aveva fatto di tutto per non perdere il controllo nei suoi paraggi.

«Avete visto Teddy?»

Simon distolse con un colpo secco lo sguardo dal collo di Leo, dove non aveva potuto fare a meno di indugiare, e lo puntò su Margaret e George. I loro compagni presero posto vicino a loro, mentre Leo scuoteva la testa per indicare che non l'avesse fatto.

«Credo di averlo visto andare in cucina» rispose invece lui, anche se non era vero. Era però un'ottima scusa per allontanarsi. «Vado a vedere!» esclamò, alzandosi in piedi.

Se ne andò senza guardare Leo, consapevole però del suo sguardo che lo accompagnò fino a quando uscì dal gigantesco salone di Nicholas Baldwin. Era uno dei ragazzi più ricchi della loro scuola, e aveva approfittato dell'assenza dei suoi genitori per dare quella festa.

Più che una casa, la sua residenza era un maniero con ettari ed ettari di giardino.

Sapeva che suo padre era un lord o qualcosa del genere; Simon non ci aveva mai scambiato più di due parole, era troppo spocchioso per i suoi gusti, ma doveva ammettere che aveva sempre apprezzato le feste che si prodigava a dare ogni volta che i suoi genitori erano fuori città.

Non andò alla ricerca di Teddy, non aveva alcun interesse a trovarlo. Aveva bisogno di andare in bagno, aveva bisogno di sciacquarsi la faccia con acqua gelida, aveva bisogno di riprendersi da quella sbornia.

Aveva bisogno di cinque minuti lontano da Leo.

Rimandò indietro la colpa al pensiero di averlo lasciato da solo. Leo non ci era neanche voluto andare lì, era stato lui ad avercelo trascinato, con l'implicita promessa di non abbandonarlo. Era con Margaret e George, li conosceva. Sarebbe sopravvissuto.

Quando raggiunse lo spazioso atrio, si arrestò, indeciso su che direzione prendere.

C'era già stato diverse volte, ma quella dimora era così grande che non ricordava una singola disposizione delle stanze.

La musica arrivava leggera, lontana; la vera festa si stava tenendo nei giardini, a bordo piscina, e solo alcuni spazi della casa erano accessibili. C'era quindi poca gente dentro, i più nel salone che aveva appena lasciato e che si apriva direttamente sull'esterno.

«Simon.»

Simon si voltò, riconoscendo la voce che lo aveva richiamato. «Charles.»

Il ragazzo fece un cenno nella direzione da cui entrambi erano arrivati. Aveva incrociato i suoi occhi in salone, doveva averlo visto allontanarsi e ne aveva approfittato per seguirlo. «Scappi?»

Cercò di ignorare il sorrisetto sulle sue labbra, e disse: «No, cerco un bagno».

Charles annuì, e poi lo scrutò pensieroso. «Vuoi compagnia?»

Simon lo scrutò allo stesso modo, nonostante conoscesse benissimo il suo volto e il suo corpo.

Da dopo quella notte di sesso di più di un anno prima, la sua prima notte di sesso, entrambi erano andati per la loro strada, senza aspettative o sentimenti l'uno per l'altro

Non avevano mai avuto una vera relazione, ma era capitato che da dopo quella sera si fossero cercati di tanto in tanto quando avevano desiderato una scopata facile. Avevano un'ottima chimica, doveva ammetterlo, quindi avevano instaurato nel tempo una di quelle relazioni di solo sesso.

Sapeva quindi cosa gli stesse offrendo. Un'ultima volta insieme. Una sveltina d'addio in onore dei vecchi tempi.

Charles era l'unica persona con cui aveva fatto sesso più di una volta, dato che dopo la sua prima volta aveva sempre cercato ragazzi sulle App apposite; soprattutto in quell'ultimo anno di scuola, Simon aveva avuto diversi brevi incontri con ragazzi di licei diversi, che vivevano dall'altra parte di Londra, che non avevano idea di chi lui fosse e, soprattutto, dei sentimenti che provava per il suo migliore amico.

Una mattina, un pomeriggio, una sera di sesso, e a mai più rivederci.

Charles era l'eccezione alla regola.

Era l'unica persona che conosceva davvero con cui si concedeva di scopare.

Era l'unica persona della sua scuola a sapere che era gay.

Era l'unica persona con cui era stato che conosceva l'esistenza di Leo.

Era l'unica persona della sua vita a sapere per certo i suoi sentimenti per lui.

Non perché glieli avesse confessati, ma perché erano di facile lettura.

Per tutti, tranne che per lui.

«Sì.»

La sua bocca mormorò un consenso, ignorando l'immagine che la sua testa gli proiettò nei suoi pensieri annebbiati dall'alcol.

Leo, che doveva starlo aspettando.

Scosse la testa. Ne aveva bisogno. Aveva bisogno di non pensare a Leo per una fottuta mezz'ora, aveva bisogno di affondare nel corpo di qualcuno e perdersi nell'oblio del sesso, aveva bisogno di scaricarsi prima di ritrovarsi nello stesso letto con lui ubriaco marcio per dormire.

Per quanto orrendo potesse sembrare, aveva bisogno di venire per minimizzare il rischio di avere un'erezione quando lui lo avrebbe abbracciato nel sonno e avrebbe respirato contro il suo collo.

Aveva diciotto anni, diventava sempre più difficile nascondergliele.

Avevano diciotto anni: perché cazzo dormivano ancora insieme abbracciati, in primo luogo?

Lo sapeva che non era normale, lo sapeva che avrebbe dovuto porvi fine.

Eppure...

Ti va bene così, non fingere il contrario, Simon.

Charles gli si avvicinò e lo prese per un polso, trascinandolo poi verso una porta non troppo distante. La aprì senza alcun dubbio fosse adatta al loro scopo, e Simon si guardò solo una volta intorno per accertarsi che non ci fosse nessuno nei paraggi prima di seguirlo.

Fammi dimenticare.

Sapeva, però, che era solo un illusione.

Leo non lo lasciava neanche in quei momenti, e lui non avrebbe neanche potuto mettere a voce quanto si facesse schifo per questo.

Dio, Leo, cosa penseresti di me se solo sapessi?

*

«Cristo

Simon strinse in un pugno i capelli di Charles, inginocchiato davanti a lui, e aumentò la velocità dei suoi fianchi, seguendo solo il suo desiderio e ignorando i bisogni dell'altro.

Dietro le palpebre chiuse, lottava contro le immagini a cui il suo cervello cercava di dare spazio in mezzo a quel piacere che aveva cercato per seppellirvisi.

Degli occhi grigi che lo guardavano, delle dita affusolate che gli accarezzavano i capelli, delle braccia che lo stringevano, delle labbra piegate in una risata.

No, vaffanculo.

Aumentò ancora la velocità, per rendere ancora più ingombrante il piacere, per rendere la sua testa vuota di pensieri.

Concedimi mezz'ora di oblio, cazzo.

Grugnì di frustrazione quando la bocca calda in cui stava affondando si allontanò da lui, lasciandolo cadere in uno stato di frenetico vuoto.

«Ehi, credimi, apprezzo l'entusiasmo» disse Charles, il fiato pesante. «Ma lasciami respirare ogni tanto, Sim.»

Simon riaprì gli occhi con uno scatto, già puntandoli verso il basso dove sapeva avrebbe trovato un paio di iridi differenti da quelle che la sua testa cercava di spingergli nei pensieri. «Non chiamarmi così.»

Charles sostenne il suo sguardo, poi sorrise, allusivo. «È esclusività di Leo?»

Una morsa fastidiosa prese il posto di quella che aveva contratto il suo basso ventre in piacere. «Perché cazzo l'hai nominato?» sbottò, fulminandolo con lo sguardo.

Charles si alzò in piedi, e Simon non perse di vista neanche per un secondo gli occhi di lui, infastidito del divertimento che vi vide dentro. «Perché?» gli sussurrò, umettandosi le labbra, che erano troppo piene per essere quelle che cercavano di prendere il sopravvento nella sua testa. «Vuoi farmi credere che non ci stavi già pensando? Che non stavi provando a immaginare che la mia bocca fosse la sua?» continuò, facendo scorrere le dita sulla sua. «Puoi dirmelo, lo sai che non mi offendo. Ci sono abituato, e non mi importa finché sono io a ricevere piacere.»

Simon si irrigidì e con un colpo secco gli scacciò via la mano. «Vai a farti fottere.»

Charles scosse la testa. «Oh, Simon, da quanto tempo te lo dico?» gli chiese, retoricamente, la voce in un sospiro di dispiacere. «Non ti fa bene reprimere tutto. Dovresti essere sincero con te stesso. Che male c'è ad ammetterlo? Ognuno ha le sue fantasie, non c'è da vergognarsene.»

Simon faticò a riaprire le labbra, punto fin troppo sul vivo dalle sue parole. Deglutì, e poi disse, il tono più fermo possibile: «Vaffanculo, Charles».

«Perché non vai a chiamarlo?» continuò lui, incurante del suo insulto. «È la festa del diploma, magari è in vena di fare un'esperienza prima di andarsene negli Stati Uniti.» Simon serrò di nuovo le labbra, il corpo rigido come uno stecco. «A me non dispiacerebbe se si unisse a noi, sai?»

Quell'ultima considerazione gli accese una rabbia che fece fatica a controllare. Lo spintonò contro il muro alle sue spalle, e piantò i palmi contro la parete, imprigionandolo tra le sue braccia. Charles era più alto di lui, ma Simon lo sovrastò senza alcuna difficoltà. «Non lo devi neanche guardare

Charles continuò come se non avesse alcuna paura di giocare con quel fuoco che doveva essersi accorto aveva iniziato a bruciare dentro di lui. «Ma l'ho fatto, spesso... E vogliamo parlare dei jeans che ha indosso stasera? Dovrebbero essere illegali» sussurrò sulla sua pelle febbricitante, per poi fischiare ammirato. «Come si fa a non ammirare quel culo? Gliel'hai visto bene?» aggiunse, un nuovo ghigno allusivo sulle labbra. «Certo che l'hai fatto. Quante volte ti sei masturbato pensando di distruggerglielo?»

Simon strinse le mani, ancora poggiate contro il muro, in due pugni. «Perché ce la stai mettendo tutta per farmi incazzare, Charles?» gli chiese, la voce bassa e secca.

Charles si spostò per portare le labbra al suo orecchio. «Perché mi piace come mi scopi quando sei incazzato.» Gli morse il lobo, e poi fece scorrere la bocca fino arrivare all'angolo della sua. Non lo baciò. Sapeva che lui non baciava. Non più. «Ti ricordi la nostra volta di un paio di mesi fa? Quando mi hai chiamato a casa tua e mi hai trascinato in bagno, perché tuo fratello era in casa e quindi ci dovevamo nascondere da qualche parte, ma non volevi farlo sul tuo letto? A proposito, non ti ho mai chiesto perché, ma credo di poterlo immaginare. Anche quello è riservato a Leo?»

Ricordava, ovviamente, di cosa stesse parlando.

Era stato incazzato per qualcosa che neanche ricordava, uno stupido litigio con i suoi genitori. Era stato incazzato e frustrato e l'aveva chiamato per chiedergli di vedersi.

Charles gli aveva detto che da lui non potevano, così l'aveva invitato a casa approfittando che i suoi genitori dovevano uscire per cena.

Non aveva mai portato ragazzi a casa sua, non per scopare, almeno, e non gli aveva permesso neanche di sedersi sul suo letto. Il solo pensiero di fare sesso con lui nel posto in cui dormiva con Leo, gli aveva aperto una voragine di colpa e disagio nel petto.

Così l'aveva trascinato in bagno, l'aveva spinto contro il lavandino e l'aveva preso con una crudezza che aveva dato immediato appagamento alla sua frenesia.

Due giorni dopo, a scuola, Charles gli si era avvicinato per sussurrargli: Cazzo, Simon, ancora mi fa male. Gliel'aveva detto con un sorriso che gli aveva fatto capire che non stesse cercando da parte sua delle scuse.

Simon non gli rispose, e chiuse anche gli occhi quando la mano di lui scese lungo il suo petto e gli accarezzò l'erezione. «Tu lo vuoi scopare» riprese, la voce così roca che riuscì a fargli correre brividi sulla pelle. «Io vorrei che mi scopasse» aggiunse, incominciando a masturbarlo veloce. «Lo possiamo mettere in mezzo. Doppio piacere per lui.»

Simon odiò il suo cervello, perché per una frazione di secondo gli proiettò veramente l'immagine che Charles voleva dipingergli nella testa. «Stai zitto» ringhiò, iniziando a muoversi avanti e indietro nella sua mano, che aveva stretto così tanto da provarne dolore.

Ma neanche quella volta, Charles ascoltò il suo avvertimento. «Perché l'idea ti piace, vero? Stai immaginando la scena? Stai immaginando come potrebbero essere i suoi gemiti? Senti come sei duro, Sim

Simon risollevò le palpebre. «Ora mi hai rotto i coglioni» sussurrò, liberandosi dalla sua mano. Si chinò per cercare un preservativo nel portafoglio. «Girati» gli disse poi, ributtando i jeans per terra.

Lo voleva incazzato?

Bene, c'era riuscito.

Aveva toccato tutti i tasti giusti.

O meglio, quelli sbagliati.

Tasti che si vergognava di avere, tasti che aveva il terrore che suonassero per orecchie diverse dalle proprie, tasti che si sarebbe scorticato da dosso, se solo avesse potuto.

Quanto ti farei schifo, Leo?

Charles si girò e Simon tirò il suo sedere verso di lui; le mani del ragazzo scivolarono lungo il muro, fino a quando entrambi trovarono l'angolazione migliore. Lo penetrò senza perdere altro tempo, senza preparazione, senza delicatezza, e iniziò subito a sbattere veloce i fianchi contro di lui, strappando gemiti a entrambi.

I suoi, di puro piacere.

Quelli di Charles, velati di dolore.

Non se ne preoccupò, e lui non provò a fermarlo.

In fondo, gli aveva fatto intendere che era quello che voleva.

A un certo punto, lo pregò di andare ancora più forte, ancora più veloce, e Simon lo accontentò, si superò anche quando dalle labbra di Charles uscì un flebile: «Scopami come scoperesti Leo per fargli capire tutto il desiderio che hai di lui».

Simon si incollò alla sua schiena e gli chiuse la bocca con la mano per non dargli modo di dire più niente.

Lo scopò come desiderava Charles, che era ben diverso da come avrebbe desiderato prendere Leo.

Non. Lo. Scoperei. Mai. Così.

Venererei ogni singolo centimetro della sua pelle.

Gli stamperei sulle labbra un ti amo a ogni bacio.

Mi perderei nei suoi occhi.

Gli permetterei di fare di me quello che vuole.

Non aveva mai fatto sesso nel modo in cui lo avrebbe fatto con Leo.

Perché con Leo non sarebbe mai stato solo sesso.

Mi sdraierei con lui sul nostro letto.

Ci farei l'amore per ore.

Lentamente.

Senza alcuna fretta di arrivare a destinazione.

Perché la sua destinazione era Leo.

L'avrebbe raggiunta nel momento in cui le loro labbra si sarebbero toccate.

Una parte di lui, sentiva di raggiungerla ogni volta che si svegliava tra le sue braccia.

Ed era quello che gli faceva più male: la consapevolezza che fosse una destinazione a cui non poteva mai fermarsi per davvero.

O almeno, non per sempre.

Un mese.

*

«Ehi, dove ti eri cacciato? Abbiamo trovato Teddy ma sei sparito te.»

Simon si strinse nelle spalle. «Mi sono perso mentre cercavo il bagno» tagliò corto, per poi far passare lo sguardo sui suoi amici, seduti allo stesso posto dove li aveva lasciati. Tutti, tranne Leo. Il suo posto era ora occupato da Teddy, mezzo addormentato. «Dov'è Leo?»

Margaret indicò le porte finestre. «Credo fuori, ti stava cercando.»

Simon ricacciò, di nuovo, la colpa che gli strinse lo stomaco. Conoscendolo, doveva essere preoccupato. Probabilmente pensava che fosse svenuto da qualche parte.

No, tranquillo, ti ho mollato da solo per andare a scopare con Charles Rees, desiderando fossi te. Amici come prima?

Annuendo appena, lasciò lì il gruppo senza un'altra parola e andò in giardino.

La musica era così alta che gli rimbombò in tutto il corpo, e Simon se ne sentì infastidito. Non era ubriaco quanto lo era stato prima, e gli stava fiorendo un notevole mal di testa.

C'era un sacco di gente, e molti visi erano sconosciuti. Dovevano esserci studenti anche di altre scuole, qualche imbucato o amico altolocato di Nick.

Cercò di non pensare che potesse esserci qualcuno che aveva conosciuto in altre circostanze. Non era neanche sicuro avrebbe ricordato i loro visi, se se li fosse trovati di fronte. Sperò che neanche il suo avesse lasciato una grande impressione in loro. Non avrebbe avuto le forze per gestire un incontro del genere.

Ignorò le persone che stavano ballando, consapevole che non avrebbe trovato Leo in mezzo a loro; gettò solo uno sguardo di sfuggita ai corpi in piscina, consapevole che Leo non ci sarebbe entrato neanche sotto tortura, sporca come doveva essere di alcol e altri liquidi che era meglio non identificare; ignorò il bar affollato, consapevole che Leo non si spingeva mai a più di due birre, e le aveva già bevute entrambe.

Era stanco.

Lo avrebbe trovato e lo avrebbe trascinato via.

Si sarebbe lasciato stringere dalle sue braccia e si sarebbe addormentato, appagato in quella maniera totalizzante come solo con lui si sentiva.

Se le scopate appagavano il suo desiderio sessuale, Leo appagava tutto il resto: il desiderio di tenerezza, il desiderio di vicinanza fisica e mentale, il desiderio di amore.

Una parte di lui lo derideva dicendogli quanto era stupido, che era arrivata l'ora che la smettesse di farsi tutto quel male, che doveva smettere di illudersi che Leo lo amasse nella stessa maniera che lo amava lui.

C'era invece un'altra parte di lui che gli diceva che non vedere nei suoi occhi il desiderio non significava niente perché c'erano diversi tipi di amore, e che gli ricordava che avrebbe potuto avere tutto quello solo per poco e poi lo avrebbe perso per sempre.

Goditelo fino all'ultimo secondo. Soffri per anni, cosa vuoi che sia un mese in più?

Ed era quella parte di sé, che Simon finiva sempre per ascoltare.

Sapeva di essere debole.

Si immobilizzò, quando i suoi occhi trovarono Leo.

E la ragazza avvinghiata al suo corpo.

Fu così inaspettato, così strano, che non realizzò subito cosa stesse guardando. Non consciamente, almeno. Rimase per chissà quanto tempo fermo a guardarli, a cercare di capire come fosse possibile che una scena del genere stesse davvero prendendo vita davanti al suo sguardo, come fosse la cosa più improbabile che potesse succedere e dovesse quindi studiarla.

Erano seduti su una poltrona da giardino; o almeno, Leo era seduto sulla poltrona. La ragazza, Chloe, si rese conto dopo qualche secondo, era seduta di traverso sulle sue gambe.

Si stavano baciando.

Non aveva buona visuale del viso di Leo, coperto in gran parte da lei e il suo groviglio di capelli ricci, ma vide il movimento delle loro teste, che cambiavano di tanto in tanto posizione come alla ricerca di una migliore angolazione.

Inizialmente non sentì niente di diverso da un senso di stordimento ma poi, quando notò le braccia di Leo attorno alla sua vita, quello che stava guardando diventò reale e una rabbia che non aveva mai provato prima infiammò ogni anfratto di sé.

Chloe mise le mani sul volto di Leo e gli fece reclinare la testa verso l'alto così da avere libero accesso al suo collo, dove spostò le labbra. Simon vide Leo aprire gli occhi dopo qualche secondo, e si ritrovò a sperare che lo vedesse, che i loro sguardi si allacciassero.

Guardami, pensò. Sei hai il coraggio, guardami.

Ma Leo non si accorse di lui.

Fece scorrere una mano lungo la schiena di lei, un gesto che compresse il suo cuore in un dolore sordo, e la invitò a riportare le labbra sulle sue, come se non potesse fare a meno di baciarle.

Simon sentì l'impulso di vomitare, e fece un passo in avanti, nella loro direzione, guidato da nient'altro che quella rabbia che gli strisciava sotto pelle.

Come osava tradirlo in quel modo? Come osava abbracciarla con quella tenerezza? Come osava baciarla lì, allo scoperto, dove tutti lo potevano vedere, dove lui lo poteva vedere?

Simon non l'aveva mai fatto.

Simon non aveva mai stretto nessuno di diverso tra le sue braccia, non in quel modo.

Simon non aveva mai baciato qualcuno in mezzo ad altra gente, soprattutto non dove Leo o persone che li conoscevano avrebbero potuto vederlo.

Simon non baciava neanche più, perché ogni bacio che aveva dato l'aveva fatto sentire in colpa.

E lui era lì, a fare tutto quello, davanti ai suoi occhi.

Vaffanculo, Leo.

«Ehi, ehi, fermo.» Simon strattonò il braccio quando sentì una mano chiudersi intorno al suo polso, ma non riuscì a liberarsi. Un istante dopo, Charles gli si mise davanti, oscurandogli la vista di Leo e Chloe. «Fermo» ripeté, stringendolo con più fermezza.

«Fatti i cazzi tuoi, Charles» gli ringhiò contro, cercando di toglierselo di torno.

Non ci riuscì.

«Cosa vorresti fare?» gli chiese lui, la voce calma come quella di chi cerca di tranquillizzare un animale pericoloso. «Prenderla per i capelli e trascinarla via urlandole che lui è tuo?»

Simon fece saettare gli occhi in quelli di lui. «Non me ne fotte un cazzo di lei.»

Non era Chloe il problema.

Era lui.

Era Leo che aveva rotto la sua stupida e fragile illusione.

Non potevi portartela in una delle milioni di stanze che ci sono in questa casa?

Charles lo scrutò, e sembrò capire tutto quello che gli stava passando per la testa. «Rompergli il naso non cambierà le cose, Simon.»

Simon sentì un ghigno che non gli apparteneva sfigurare il suo volto. «Forse no, ma sono sicuro che mi farebbe sentire meglio.» Charles allentò la presa sul suo polso, ma non lo lasciò andare. Continuò a guardarlo con attenzione, e Simon si ritrovò a fare lo stesso, mentre il suo cervello gli diceva che aveva un altro modo per vendicarsi, un qualcosa che avrebbe ferito Leo quanto Leo stava ferendo lui. O almeno, quella era l'illusione. Che a Leo sarebbe importato. «O forse...» aggiunse quindi, facendo cadere gli occhi sulle sue labbra piene. «Posso baciare te, qui, davanti a tutti.»

Guardami, Leo. Posso giocare anche io a questo gioco.

Charles sospirò quando lui alzò il braccio libero per affondare la mano nei suoi capelli. «Non lo vuoi fare davvero, credimi.»

Non si tirò indietro, quando Simon avvicinò le labbra alle sue. A Charles non avrebbe dato fastidio ricevere un bacio lì dove tutti potevano vederli, non avrebbe avuto problemi a baciare un ragazzo davanti a tutta la scuola.

Ma per quanto lo riguardava...

Nessuno sapeva di lui. Aveva custodito il suo segreto per anni, perché dirlo avrebbe significato dare facile accesso anche all'altro segreto.

Ti amo, Leo.

Esitò.

«Sei ubriaco, sei incazzato e sei ferito» insistette Charles, cogliendo la sua esitazione. «Te ne pentirai, Simon, soprattutto se dovesse vederti davvero. Non glielo vuoi far sapere così

Simon chiuse gli occhi, ma non per prepararsi al bacio.

Chiuse gli occhi, sopraffatto dalla rabbia, dal dolore, dalla verità.

E la verità era che non sarebbe riuscito a baciarlo.

Non perché aveva paura di farsi vedere.

Non perché gli importasse qualcosa che persone che non avrebbe mai più rivisto avrebbero scoperto che era gay.

Ma perché anche in quel momento, anche con Leo a due passi che stava stringendo tra le sue braccia qualcun altro, lo sentì sbagliato.

Non poteva farlo.

Non poteva baciare un'altra persona.

Non poteva farlo davanti a lui.

Quanto posso essere ridicolo?

Si allontanò di un passo da Charles, e Charles gli lasciò andare il polso.

Simon non lo guardò più, e non portò neanche i suoi occhi dietro di lui, nella direzione di Leo. Diede loro le spalle e, su gambe instabili, si avvicinò al tavolo dove vi erano gli alcolici.

Rubò una bottiglia mezza vuota di vodka, e tornò in casa, con il solo desiderio di andarsene da lì.

Non aveva neanche raggiunto la porta di ingresso, che aveva già iniziato a piangere lacrime rabbiose.

Ti odio, Leo.

*

Aveva dovuto prendere due metro per tornare verso casa, e aveva passato il viaggio a guardare le chiamate di Leo andare a vuoto e a non visualizzare i nuovi messaggi che si erano aggiunti a quelli che già gli aveva mandato quando era sparito con Charles.

Ogni volta che il segno zodiacale del leone, l'emoticon con cui Leo era salvato nella sua rubrica da anni, compariva sullo schermo, Simon provava emozioni contrastanti: menefreghismo che lo stesse cercando con così insistenza, e colpa per non stargli rispondendo; odio nel pensarlo ancora tra le braccia di lei, e amore per l'illusione che nonostante lo fosse doveva star pensando lo stesso a lui; fastidio per la sua preoccupazione, e gratitudine per non starsi arrendendo davanti al suo silenzio.

La rabbia che era esplosa dentro di lui gli stava ancora comprimendo lo sterno, provocandogli difficoltà a respirare. Quando uscì all'aria aperta, dopo quella mezz'ora chiuso nei sotterranei nella metro londinese, la situazione non migliorò come aveva sperato.

La testa gli pulsava, aveva la nausea e si reggeva a stento sulle gambe.

Aveva già bevuto troppo prima di vedere Leo e Chloe insieme, e la vodka che aveva scolato mentre camminava verso la stazione metropolitana vicino alla casa di Nicholas Baldwin gli aveva dato il colpo di grazia.

Simon guardò in direzione dei cancelli, ormai chiusi, del Battersea Park e odiò sentire la rabbia vacillare dentro di lui. Fu in quel momento che il suo cellulare squillò ancora, e questa volta, quando posò gli occhi sull'emoticon viola, accettò la chiamata.

Era debole, lo sapeva.

Era debole, codardo, egoista e bugiardo.

Non è colpa mia se è più facile amarti che odiarti, Leo.

Così rispose, perché sapeva che era inutile scappare da lui, sapeva che non l'avrebbe mai potuto fare a lungo – era sempre stato quello il problema –, ma allontanò gli occhi dal parco per non cedere.

«Cosa?» esordì, la voce una scheggia di ghiaccio.

«Finalmente!» La voce di Leo, disturbata dai rumori della festa in sottofondo, era colma di sollievo. «Si può sapere dove sei finito? Ti sto cercando da un'ora.»

Simon non riuscì a trattenere la secca risata che gli si formò in gola.

Ho visto come mi stavi cercando. Pensavi mi avresti trovato nella bocca di Chloe Westfield?

Strinse la mano libera in un pugno, e iniziò a camminare, allontanandosi dal Battersea per prendere la direzione di casa. «Me ne sono andato.»

«Eh? Perché?» gli chiese Leo, e nelle sue domande ora ci fu solo confusione.

Già, perché?

Perché mi hai tradito davanti a tutti, e ti ho odiato. Ti avrei spaccato il naso, se non me ne fossi andato. Non sono così sicuro che non lo farei anche adesso, se ti avessi davanti.

Simon chiuse gli occhi.

Non ti ha tradito, Simon, gli disse quella parte di lui che da anni gli sussurrava all'orecchio di quanto fosse idiota. Non state insieme, non starete mai insieme.

Lo sapeva, razionalmente lo sapeva. Non era così stupido.

Eppure c'era sempre quella parte di lui che era convinta che lui e Leo avessero un loro tipo di amore, magari non convenzionale, magari un amore che la maggior parte delle persone non avrebbe compreso, ma non per questo meno importante, reale o valido.

Se c'era una cosa che la comunità queer gli aveva insegnato era che esistevano diversi tipi di legami, di amore, di desiderio. E nella sua testa, lui e Leo avevano sempre avuto un legame che andava al di là dell'amicizia, anche se non avrebbe saputo come etichettarlo.

Era un'illusione, l'hai sempre saputo. Leo non è come te.

«Sim, stai bene?» Leo lo richiamò, doveva essersene restato in silenzio a lungo. «Dove sei? Ti raggiungo così torniamo da...»

«No.» Lo interruppe con un rifiuto secco, colmo d'irritazione.

Avevano avuto in programma di tornare a dormire da lui, dopo la festa, ma il solo pensiero di stendersi accanto a Leo dopo quello che aveva visto lo faceva ribollire di rabbia e aumentava la sua nausea.

Vorresti abbracciarmi dopo aver abbracciato lei?

Leo non rispose subito, passò qualche secondo, e Simon sapeva che doveva essere rimasto sorpreso: non solo per la sua risposta, ma anche perché se ne era andato senza dirgli niente.

«Sim...» iniziò, e nella sua voce sentì un'esitazione che lo incuriosì.

Rimase in silenzio, aspettando una continuazione.

A cosa stai pensando, Leo? Pensi che ti abbia visto? Ti senti in colpa?

Una piccola parte di sé si sentì vittoriosa al pensiero che Leo potesse farlo, che potesse avere il dubbio che quello che aveva fatto fosse sbagliato, che si sentisse una merda come lui si era sempre sentito quando aveva baciato qualcuno.

Ma poi, veloce, arrivò quell'altra parte, quella razionale, quello che lo rimetteva sempre al suo posto.

Perché si dovrebbe sentire in colpa? Non siete niente, Simon. È solo nella tua testa. Sarà sempre solo nella tua testa.

E, infatti, dopo quella breve pausa, tutto quello che Leo disse, serio, fu: «Sei ubriaco, non è il caso che te ne torni a casa da solo, dimmi dove sei e aspettami».

Simon scosse la testa, esasperato con sé stesso. Lo vedi, sei un idiota. Quando smetterai di illuderti?

Recuperò una profonda boccata d'aria. «Senti» iniziò, la voce secca e impaziente. Non ce la faceva più ad ascoltare la sua voce. Non ce la faceva più ad averlo attorno. «Sono già a casa, mia madre mi ha chiamato dicendomi che dovevo tornare, non ti ho trovato e me ne sono andato, non volevo farla incazzare. Stai tranquillo, sono sopravvissuto al viaggio.»

«Non mi hai trovato?» ribatté in fretta Leo. «Ti sto chiamando da un'ora, non potevi rispondere prima?»

Il tono di Leo era tirato, e Simon scacciò, di nuovo, la piccola speranza che fosse dovuto a preoccupazione. Doveva essere infastidito: l'aveva trascinato lì, e poi se ne era andato lasciandolo da solo.

Beh, non eri proprio da solo, Leo. Te la stavi cavando alla grande.

«Sono ubriaco.» Fu tutto quello che disse per giustificarsi, di nuovo caldo d'ira. «Ho la testa che mi scoppia» aggiunse poi in fretta. Si fermò davanti la porta di casa. «Voglio solo dormire, ci sentiamo domani. Ciao.»

Allontanò il cellulare dall'orecchio, ma non fu svelto abbastanza. Il sospiro arreso di Leo lo raggiunse lo stesso, seguito dalle parole che non si dimenticava mai dirgli, mai.

«Ti amo, Sim. A domani.»

Simon attaccò, senza ricambiarle, non potendo fare a meno di chiedersi se quella fosse la prima volta che le ignorava.

Che senso ha?

Chiuse gli occhi e si portò la mano che stringeva il cellulare alla fronte, picchiettandosela un paio di volte.

Voleva urlare.

Voleva dirgli quanto l'avesse ferito.

Voleva fargli capire quanto lo avesse distrutto.

Voleva... liberarsi di lui.

Doveva farlo.

Non poteva più vivere così, attaccato a quell'illusione.

Non poteva più vivere nella convinzione che avessero qualcosa di speciale.

Non poteva più vivere senza dare al suo cuore la possibilità di aprirsi a qualcun altro.

Ti amo, Leo, ma devo lasciarti andare.

Ma Simon era debole.

Era debole, codardo, egoista e bugiardo.

Sapeva che non sarebbe riuscito ad allontanarlo, non prima del tempo.

Non importava quanto fosse ferito, quanto fosse incazzato, quanto fosse distrutto.

Perché amare Leo sarebbe sempre stato più facile che odiarlo.

Sarò costretto a imparare a vivere senza di te, ma fino a quel momento continuerò a farlo.

Riaprì gli occhi ed entrò in casa.

Un mese, e ti lascerò andare.

Un mese, e potrò finalmente vivere senza di te.

Il pensiero era allo stesso tempo una benedizione e un tormento.

Imparerò a non amarti, Leo, vedrai.

.

.

.

Hi!

In un certo punto di Offstage, Leo pensa:

"Aveva dato il suo primo bacio a diciotto anni, a una ragazza della sua scuola durante la festa del diploma. Non perché lo avesse voluto, ma perché quella sera davvero tutti erano appartati con qualcuno e lui si era sentito in dovere di fare lo stesso, di provarci. E con quale persona migliore se non una ragazza che il giorno dopo non avrebbe mai più visto?

Erano stati i dieci minuti più lunghi della sua vita, e appena ne aveva avuto la possibilità era scappato, nonostante lei avesse desiderato spingersi più in là."

Ed eccoci a vedere proprio questo momento dal punto di vista di Simon.

Allegria, eh?

Leo Davis non poteva scegliere momento peggiore.

Il legame di Simon con Leo era davvero complicato, e spero che in questo capitolo tutti i suoi pensieri/sentimenti appaiano in linea con tutto quello che si è visto fino a ora e la loro complessità.

E niente, ne manca solo uno.

Sì, proprio quella famosa notte d'estate.

A giovedì,

G.

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