6 - Futuri
Aprile 2020
Simon era convinto di non aver mai provato nella vita i livelli d'ansia che stava provando quel pomeriggio.
Seduto su una comoda poltrona fuori dall'ufficio del coordinatore delle ammissioni dell'Accademia di Arti Visive di Parigi, si girava e rigirava il cellulare tra le mani per tenerle in qualche modo occupate ed evitare di mangiucchiarsi le unghie.
Gettò l'ennesima occhiata nervosa alla porta chiusa di fronte a lui e poi illuminò lo schermo del telefono per controllare l'ora.
15.55.
C'erano solo cinque minuti a separarlo dal colloquio che avrebbe deciso il suo futuro.
Simon sarebbe entrato in quell'ufficio e ne sarebbe uscito senza più poter fare niente per cambiare la decisione che il dottor Williams avrebbe preso dopo la loro chiacchierata.
Ammesso o rifiutato.
Anche se poi ci sarebbero voluti altri due mesi per conoscere il responso, Simon avrebbe lasciato quell'edificio già con una sentenza sulla sua testa.
Sotto l'orario c'era un messaggio di Leo, che gli aveva inviato qualche minuto prima. Con il cellulare in silenzioso, non se ne era accorto.
"Ti penso", diceva, seguito dall'emoticon del quadrifoglio.
Simon vi cliccò sopra per andare direttamente alla chat.
"Sto morendo d'ansia."
Sullo schermo comparirono subito i tre puntini a indicare che Leo stava già scrivendo una risposta.
"Andrà bene, Sim."
Simon sospirò, pronto a digitare di inviargli in qualche modo un po' della sua fiducia, perché dentro di lui non riusciva a trovarne neanche un po'. Era sempre stato sicuro delle proprie abilità, di sé stesso, ma in quel momento sembrava aver perso ogni grammo di autostima.
Sono in una delle accademie di arti visive migliore d'Europa. Come posso pensare che ho davvero possibilità di essere preso?
L'essere arrivato al colloquio finale avrebbe dovuto essergli di conforto, eppure...
Si distrasse quando sentì un movimento vicino a lui, e alzò frettolosamente lo sguardo dallo schermo.
La porta dell'ufficio era ancora chiusa, e voltò il viso quando capì che qualcuno stava prendendo posto sulla poltrona accanto alla sua. Era sua madre. Era andata a recuperargli una bottiglietta d'acqua dalla macchinetta nel corridoio, e gliela passò ora con un sorriso rassicurante.
«Bevi.»
Simon posò il cellulare sulle gambe e fece quanto ordinatogli, anche se era sicuro che avrebbe potuto vomitarla appena entrato in quello studio sigillato di fronte a lui.
C'era già qualche studente a sostenere il colloquio, lì dentro?
Da fuori non si sentiva niente, e da quando era arrivato, mezz'ora prima, non aveva visto nessun movimento.
Quanto durava l'incontro? In quanto tempo avrebbero deciso il destino dei ragazzi che bussavano alla loro porta?
Sbuffò tutto il suo nervosismo, avvitò il tappo dell'acqua e riprese in mano il cellulare.
Leo gli aveva scritto ancora: "In caso ti servisse per fare conversazione, ecco la formula chimica della respirazione cellulare."
Sotto, seguiva un messaggio fatto solo di lettere e numeri.
Simon aggrottò le sopracciglia, ma la sua confusione davanti a quanto gli aveva inviato Leo durò solo un istante. Il suo cervello gli riportò un ricordo di quella che sembrava una vita fa, e Simon scoppiò a ridere, cercando poi di smorzarla per non farla risuonare nel silenzio in cui lui e sua mamma erano immersi.
Spiegami quando mai mi servirà il ciclo di Krebs nella vita, o la formula chimica della respirazione cellulare. Pensi che la userò mai in una conversazione?, era la domanda che gli aveva fatto, esasperato, quando si era ritrovato a studiare per l'esame di Biologia dei GCSE.
La sera che Leo gli aveva confessato che avrebbe fatto domanda anche ad alcune università degli Stati Uniti, la sera in cui lui aveva confessato che l'accademia dei suoi sogni era propria quella in cui si trovava in quel momento.
La sera in cui Simon si era agitato al pensiero della loro separazione, e per rassicurarsi si era detto che mancava ancora tempo.
E ora eccoli lì, due anni dopo.
Leo, che era arrivato fino alla fine del processo di selezione della Green Valley University e stava aspettando di conoscere la decisione finale.
Lui, che era arrivato all'ultimo colloquio in presenza dell'Accademia delle Arti Visive di Parigi.
Siamo davvero arrivati qui.
Alla fine della corsa, alla possibile fine di tutto.
Ci lasceremo davvero a settembre, Leo?
«È Leo?» domandò sua madre, riprendendo la bottiglietta dalle sue gambe.
Simon annuì, mentre digitava: "Sei un cretino."
Di nuovo, la risposta di Leo ci mise poco ad arrivare: "Hai riso?"
"Sì."
"Missione compiuta, allora."
Simon sorrise, gli inviò un cuore e poi uscì dalla chat.
L'ora sullo schermo lo avvisò che erano le 16.
Recuperò un profondo respiro, bloccò il cellulare e lo passò a sua mamma per non farsi trovare distratto da quello in caso il dottor Williams fosse finalmente uscito a chiamarlo.
«Ha ricevuto notizie dalla Green Valley?» gli chiese lei, ficcando il telefono nella borsa.
Simon si strinse nelle spalle. «Se l'ha fatto, non me l'ha ancora detto.»
Sapeva che le risposte della GVU dovevano arrivare proprio quella settimana.
Simon era partito per Parigi con sua mamma due giorni prima, approfittando del weekend, e sarebbe rientrato solo la sera seguente. Era convinto che Leo non gli avrebbe mai dato quella notizia prima del suo colloquio. Se aveva ricevuto l'email di ammissione, se lo sarebbe tenuto per sé fino a quando lui sarebbe stato relativamente tranquillo.
Stava aspettando notizie anche dall'Università della California, ma sapeva che Leo avrebbe preferito di gran lunga la Green Valley, perché aveva un programma più teatrale rispetto alla prima, che si focalizzava anche sul cinema e la televisione.
Simon trovava impensabile che nessuna delle due lo avrebbe preso. Probabilmente, lo avrebbero fatto entrambe.
Se ne andrà davvero.
Simon riportò lo sguardo alla porta dell'ufficio.
Vi prego, datemi la stessa possibilità.
«Ti sei pentito di non averci provato?»
Simon voltò il viso per guardare sua mamma. «No» le rispose, riprendendo la bottiglia d'acqua dalle sue mani. «Avevate ragione, non mi interessava davvero.»
Sua mamma lo squadrò con attenzione. «Ti avremmo sostenuto, lo sai, vero?»
«Lo so.»
A settembre, quando era iniziato il processo di selezione per le università, Simon aveva sorpreso i suoi genitori annunciando a cena che avrebbe voluto provare a inviare la domanda anche alla Green Valley.
"È bene tenersi aperte più possibilità", aveva detto, per non rendere evidente il motivo per cui volesse farlo. "Anche se mi prendessero, non dovrei andarci per forza."
Lo sguardo che i suoi genitori si erano scambiati lo aveva fatto sentire un cretino, facendolo pentire di avere anche solo sollevato il discorso.
"Certo, tesoro", aveva risposto poi sua madre, con un sorriso che gli aveva fatto capire di non averla convinta per niente. "Sai però che per fare domanda negli Stati Uniti devi sostenere i SAT, vero?", aveva continuato.
"Quindi?", aveva risposto lui, abbassando lo sguardo sul piatto. "Mica sono stupido, li posso passare."
"Non c'entra essere stupidi", era intervenuto suo padre. "Il processo di selezione per una qualsiasi università americana è più complesso, lungo e richiede un aggiuntivo studio rispetto agli A-levels, che dovrai comunque affrontare e superare a pieni voti. Vogliamo solo essere sicuri che vuoi sostenere tutto il percorso perché lo vuoi davvero."
Sua madre aveva annuito, e poi aveva detto: "Pensaci, tesoro. Hai ancora un po' di tempo."
Simon non aveva ribattuto, e aveva finito di mangiare in silenzio.
Non ne aveva fatto parola con Leo, che da quella sera che aveva appena ricordato non aveva fatto più parlato di un possibile trasferimento di entrambi negli Stati Uniti.
Simon aveva sviscerato la questione per giorni, anche fino a tarda notte. Aveva soppesato le sue possibilità, i diversi scenari, i futuri a cui le diverse strade lo avrebbero potuto portare.
Una settimana dopo, aveva dato ai suoi genitori la lista delle università a cui avrebbe fatto domanda; la GVU non era stata tra quelle.
Non si pentiva, in retrospettiva, di non averci provato.
L'idea che la Green Valley avrebbe potuto sceglierlo e a lui sarebbe stata data la possibilità di seguire davvero Leo negli Stati Uniti l'aveva spaventato. Una parte di lui, era sicuro che avrebbe scelto di andare con Leo, mandando all'aria persino una possibile ammissione lì, nell'accademia dei suoi sogni.
Aveva deciso di proteggersi dal fare qualcosa che avrebbe potuto rimpiangere per la sua intera vita.
Si era tenuto al sicuro.
Se non ho l'opzione, non posso fare la scelta sbagliata.
Perché era certo che seguire Leo sarebbe stata la scelta sbagliata.
La scelta di un idiota senza speranze.
Lui mica ha guardato facoltà di Belle Arti a Parigi, no?
«Simon Devon?»
Simon portò veloce lo sguardo verso la porta dell'ufficio.
Il dottor Williams, un signore sulla cinquantina che Simon aveva già avuto modo di conoscere in una precedente intervista via Skype, era in piedi sulla soglia.
Simon scattò in piedi. «Sì, buongiorno, dottor Williams» si affrettò a rispondere, avanzando verso di lui per porgergli una mano.
«È un piacere vederla finalmente di persona» gli disse lui, affabile, stringendogli la mano in una presa sicura.
Dio, fa' che non sia così sudata come mi sembra.
«Altrettanto, dottor Williams.»
Lo sguardo del signore si spostò alle sue spalle. «Signora Devon, immagino» salutò, con un sorriso cordiale.
Sua madre gli fu accanto in un attimo. «Salve, dottor Williams.»
Le loro mani si allacciarono, mentre lui diceva: «La ringrazio per averci portato Simon qui, ci tenevo a fare questa ultima chiacchierata in presenza».
Simon aveva dovuto affrontare diversi step, prima di approdare tra le mura di quell'accademia.
Per prima cosa, aveva dovuto inviare una lettera motivazionale, diverse raccomandazioni e il suo portfolio.
Dopo quella scrematura iniziale, Simon aveva sostenuto un colloquio in video call con il dottor Williams, un'intervista conoscitiva alla fine della quale gli era stato assegnato un compito da svolgere: scattare cinque foto sul tema contrasti.
Una volta inoltrate, lui e il dottor Williams avevano avuto un'altra chiacchierata per discuterne insieme, e ora eccoli lì, all'ultimo step.
Come le altre volte, Simon avrebbe potuto sostenere quel colloquio via internet, ma il dottor Williams ci aveva tenuto sottolineare che avrebbe preferito vederlo di persona.
Andare lì non era stato messo in discussione neanche un istante; sua mamma aveva prenotato i biglietti aerei appena avevano ricevuto l'email.
«È sempre un piacere venire a Parigi» rispose sua madre. «Come potevamo dire di no alla scusa di un weekend qui?»
Il dottor Williams sorrise, compiaciuto, poi i suoi occhi scuri si spostarono su di lui. «Vogliamo entrare, Simon?»
Simon annuì, fece un passo in avanti e poi si ricordò di aver lasciato la sua borsa di tela con il portfolio sulla sedia.
Corse a recuperarla, incontrò gli occhi di sua madre mentre tornava a sedersi, che gli rivolse uno sguardo incoraggiante, e poi entrò nello studio.
Posso farcela.
*
Gli scatti che aveva scelto di portare per farli esaminare dal vivo erano sparpagliati sulla scrivania tra lui e il dottor Williams. Li aveva già esaminati tutti, facendogli di tanto in tanto domande sulla tecnica, sulla fotocamera utilizzata, sul modo in cui le aveva stampate.
Simon aveva risposto a ogni domanda cercando di mantenere il tono tranquillo, stritolando invece le mani sul grembo.
Non avrebbe saputo dire da quanto tempo erano chiusi lì a parlare. Simon aveva lasciato il cellulare a sua mamma, e non c'erano orologi sulle pareti dell'ufficio.
Per come stava percependo il tempo, potevano essere passati soli cinque minuti come un'ora.
Il dottor Williams lasciò una fotografia su cui si era soffermato a lungo e si sistemò comodo contro lo schienale della poltrona; allacciò le mani all'altezza del petto e sollevò gli occhi sul suo volto.
Simon modellò sulle labbra un sorriso il più possibile sereno e fissò lo sguardo su di lui, restando però rigido sulla sua poltrona.
«So che ha già ricevuto le risposte dalle università a Londra a cui aveva fatto domanda, giusto?»
Simon annuì. «Sì.»
I tempi del processo di selezione delle università in Gran Bretagna erano diversi da quelli francesi. Le risposte arrivavano intorno ad aprile e gli inizi di maggio, e gli studenti ammessi dovevano poi confermare il loro posto entro giugno.
Lì in Francia, invece, le scelte finali venivano comunicate tra luglio e agosto.
Se fosse stato preso all'Accademia di Arti Visive, lo avrebbe saputo mesi dopo la sua conferma a una qualsiasi università inglese. Avrebbe fatto comunque in tempo a ritirare la sua ammissione per accettare quella dell'AVV, ma avrebbe perso parecchi soldi, in quanto per confermare il suo posto a Londra avrebbe dovuto già pagare una quota d'iscrizione e le tasse universitarie.
«Posso chiederle dove è stato ammesso?» domandò il dottor Williams, interessato.
Simon si umettò le labbra. «Westminster e l'Università delle Arti.»
Lo aveva saputo due settimane prima, insieme a Leo, dato che anche lui era riuscito a guadagnarsi un posto lì. Avevano aperto le loro email insieme, e nonostante entrambi avessero gioito, entrambi sapevano che quelle ammissioni non significavano niente, non davvero.
Erano altre, le università a cui puntavano davvero.
Università che li avrebbero portati lontani l'uno dell'altro.
Potremmo passare altri tre anni insieme, perché non possiamo farlo?
«Sono ottime» considerò lui. Lo erano, e Simon fece quindi un piccolo cenno del capo. «Simon, vengo al dunque» continuò il dottor Williams, curvandosi sulla scrivania, verso di lui. «Siamo molto interessati ad averla con noi a settembre.»
Simon strabuzzò gli occhi. «Davvero?» chiese, non riuscendo a frenare le sue labbra dal porre quella stupida domanda di incredulità.
Il dottor Williams sorrise, comprensivo. «Davvero» confermò. «Ha talento, molto. Sa destreggiarsi tra diversi tipi di macchine fotografiche, non solo digitali ma anche analogiche. Ha un occhio interessante e sa come mettersi in gioco. Lo dimostrano anche gli scatti che ha fatto per la consegna che le è stata data. Non sono fotografie ovvie, sicure, ha preso il tema e l'ha fatto suo, senza paura di uscire dalla traccia.»
Gli occhi del dottor Williams si posarono di nuovo sulle foto sulla scrivania, e quelli di Simon fecero lo stesso. Si ritrovò a scrutarle come se non fossero sue, come se non le conoscesse già nei minimi dettagli.
«Grazie» mormorò, non sapendo bene cosa ribattere.
«Il motivo per cui ho insistito a vederla di persona oggi è proprio questo» riprese l'uomo, la voce gentile. «Sappiamo che il processo di selezione della nostra università è differente da quello dell'Inghilterra, e dovrà dare la sua risposta tra poco più di un mese, mentre la nostra arriverebbe alla fine di luglio.» Simon rialzò lo sguardo e annuì, anche se tra le sue parole non vi erano state domande. «Prendendo in considerazione questo fatto, ho avuto il benestare da parte del rettore di darle una conferma anticipata.»
A seguito di quelle parole, dentro Simon tutto si fece... vuoto.
No, non vuoto.
Leggero.
Non si sentiva più costretto con i piedi a terra dalla forza di gravità, non sentiva più il peso che chissà quanto tempo prima gli si era depositato sulle spalle, non sentiva più niente a schiacciarlo al suolo.
Simon si sentì libero.
«Una conferma anticipata?» fece eco, per essere sicuro che non si stesse immaginando solo quello che voleva.
«Esatto, lo possiamo fare in situazioni come queste, per dare modo a voi studenti che avete scadenze precedenti al nostro calendario di prendere decisioni consapevoli» chiarì il dottor Williams, poggiandosi di nuovo contro lo schienale della poltrona. «Se scegliesse di iscriversi da noi, le faremmo firmare una sottospecie di contratto che attesta che l'università si impegna a confermare la sua decisione ufficialmente a luglio, e lei si impegna a non cambiare idea. In caso dovesse succedere, si dovrà pagare una mora. Lo proponiamo ai ragazzi che siamo già sicuri di volere nelle nostre classi, come lei, e la cui ammissione non dipende da altri fattori che dobbiamo valutare da qui alla fine dei colloqui» gli spiegò, allacciando questa volta le mani sulla scrivania. «Ha una settimana di tempo per pensarci e...»
«Non ho bisogno di pensarci» lo interruppe Simon, la voce così alta da sembrare uno stridulo.
Stai calmo, Simon.
Al dottor Williams non sembrò importare la sua maleducata interruzione. «Ne è sicuro? È una decisione importante.»
«Siete la mia prima scelta.»
«Sono molto felice di saperlo» disse lui, sorridendo. Prese poi un foglio stampato dalla cartella blu che Simon aveva già capito conteneva tutti i documenti che aveva inviato nei mesi scorsi. «Come sa, la nostra è un'università internazionale, e le lezioni sono quindi in lingua inglese. Ci teniamo però che i nostri studenti imparino il francese, in modo da integrarsi al meglio» continuò, posando gli occhi su quello che aveva in mano. «So che lei studia francese a scuola, ma non mi sembra di vedere nessun test riconosciuto che attesti il suo livello.»
«No, avevo intenzione di sostenerlo alla fine della scuola» rispose in fretta Simon.
Il dottor Williams annuì. «Non lo faccia» gli disse, tornando a guardarlo. «Le lezioni inizierebbero alla fine di settembre, ma ogni anno chiediamo ai nostri studenti internazionali di venire qui a Parigi a metà agosto, così da frequentare per un mese un corso intensivo di lingua, alla fine del quale si sosterrebbe il test. Lei sarebbe disposto a trasferirsi qui prima degli inizi delle lezioni?»
Simon, che aveva smesso da tempo, ricominciò a stritolarsi le mani. «A... metà agosto?» chiese, odiando la sensazione di mancanza che già aveva iniziato ad agitarsi in lui, portando via la felicità che stava provando.
«Sì, indicativamente attorno al sedici, diciassette.»
Simon si mordicchiò un labbro.
Davvero, Simon? Piantala. Dopotutto, se Leo venisse preso veramente negli Stati Uniti, anche lui se ne andrebbe via ad agosto.
Era vero. I college americani iniziavano solitamente alla fine di agosto. Si sarebbe dovuto trasferire anche lui in quel periodo.
Dio, sto davvero esitando?
«Certo, sarei disponibile» si affrettò a rispondere. «Ma se gli A-levels non fossero ancora usciti per quel giorno?»
I risultati degli esami venivano pubblicati solitamente attorno a metà agosto, e sapeva che molte università avevano bisogno della loro pubblicazione per confermare definitivamente le ammissioni.
Valeva più per le università inglesi, che per quelle estere, che sì ne tenevano conto ma non davano loro un peso decisivo. L'importante era passarli con la sufficienza, soprattutto se si trattava di facoltà di Belle Arti, la cui ammissione dipendeva da molti altri fattori.
Infatti, il dottor Williams chiese: «Ci sono probabilità che verrà bocciato in tutte le materie?».
Simon scosse la testa. «No, assolutamente.»
«Allora non vedo problemi» gli rispose, sereno. «Non diamo così importanza ai voti finali, se non a quello della classe di Fotografia, ma sono sicuro che sarà più che soddisfacente. Dopotutto, la sua insegnante le ha scritto una raccomandazione con i fiocchi. Dubito che andrà male, giusto?» Simon, questa volta, annuì. «Ottimo!» esclamò lui, battendo le mani tra loro in un colpo secco. «Mi sono preso la libertà di sostenere questo discorso con lei da solo dato che è già maggiorenne, ma se vuole possiamo fare entrare sua madre così da spiegare anche a lei la situazione.»
«Sì, per favore» gli rispose, svelto.
La desiderava lì, voleva che avesse prova di cosa fosse riuscito a raggiungere, voleva che sentisse tutto quello che gli era stato detto per essere sicuro che fosse vero.
Voleva renderla orgogliosa.
Il dottor Williams si alzò. «Vado a chiamarla.» Prima di allontanarsi, però, gli tese una mano. Simon si affrettò a stringerla. «Si prenda la sua settimana per pensarci e parlarne con la sua famiglia, Simon. Il contratto ce lo può rinviare anche via email. Si fidi, il suo posto non va da nessuna parte. La nostra università la vuole, e siamo felici di sapere che lei vuole noi.»
Simon annuì. «La ringrazio, dottor Williams.»
Quando l'uomo si allontanò in direzione della porta, lo sguardo di Simon cadde sulla foto che aveva catturato l'attenzione di lui per molto tempo.
Quella di Leo sotto le stelle, quella che non aveva mai fatto vedere a nessuno.
Sarebbero state un'aggiunta perfetta al tuo portfolio.
Simon sapeva che Leo aveva avuto ragione quando gli aveva fatto quella considerazione, e così alla fine aveva deciso di inserire proprio quella nel suo portfolio.
Mentre sentiva la porta aprirsi alle sue spalle, Simon la prese e la nascose nello zaino prima che sua mamma potesse raggiungerlo.
Un conto era farla vedere a occhi sconosciuti, un conto restava dare modo a chi li conosceva di guardarla.
L'aveva nascosta così tante volte in quegli anni passati che ogni volta che aveva compiuto quel gesto si era depositato sempre più peso sulle sue spalle.
Quella volta, invece, il gesto gli fece provare sollievo.
L'avevano preso.
Era libero.
*
Erano le sette di sera quando Simon si sedette al piccolo ristorante dove sua mamma lo avrebbe presto raggiunto, rimasta un attimo indietro in un negozietto a qualche traversa da lì.
Simon si era avventurato prima di lei per approfittare del wifi e della privacy che poteva dargli.
Si mise le cuffie e fece partire la videochiamata, a cui Leo rispose dopo pochi squilli.
«Sim!» esclamò, appena il suo viso si focalizzò sullo schermo. «Finalmente, sto provando a contattarti da un'ora.»
Simon si irrigidì quando vide le sue spalle nude e i suoi capelli gocciolanti. «Stai facendo la doccia?»
«Appena finita» gli disse, posando il telefono sulla scrivania.
Simon abbassò le palpebre, quando la ripresa catturò il suo corpo con solo un paio di boxer addosso. «Richiamami quando sei...»
«No, ci metto un secondo» lo interruppe. «Rimani in linea, se no mi sparisci di nuovo.»
«Ok» fu tutto quello che riuscì a mormorare, riaprendo gli occhi.
Leo si era allontanato per andare all'armadio, ma la fotocamera lo riprendeva ancora perfettamente. Fece passare lo sguardo sul suo corpo, come se non potesse farne a meno.
Lo vide farsi passare l'asciugamano sulla pelle nuda, e Simon sentì un nodo formarsi in gola che gli tolse il respiro. Il desiderio esplose in lui; il desiderio di essere lì con lui, di far passare le mani sul suo corpo, di baciare la sua pelle fino ad asciugare ogni goccia che glielo bagnava.
Dio, Leo, come è possibile che non ti sei ancora reso conto di cosa mi fai?
Leo si mise i pantaloni di una tuta e tornò verso il cellulare, l'asciugamano gettato su una spalla. «Allora, come è andata? Perché non mi hai scritto subito?»
Simon cercò di concentrarsi sui suoi occhi, e non far cadere i propri sulla porzione di petto nudo che l'inquadratura prendeva. «Mi hanno preso.»
Lo disse senza premesse, lo disse senza mostrare la felicità che stava provando, lo disse con un tono quasi distaccato.
Lo disse per liberarsi.
Mi hanno preso, tra quattro mesi sarò libero.
Leo strabuzzò gli occhi. «In che senso?»
«Nel senso che mi hanno preso, Leo» gli rispose, forzando le sue labbra a piegarsi in un sorriso sarcastico. «Ho parlato in francese?» scherzò. «Scusa, è che devo abituarmi a farlo.»
Leo non considerò la sua ironia, non sembrò neanche recepirla. «Ma... Come fai a saperlo?»
Simon si strinse nelle spalle. «Me l'hanno detto in anticipo, per stare nei tempi con le nostre università e non farmi accettare inutilmente un posto a Londra.»
La confusione negli occhi di Leo si dissolse. «È sicuro?»
Simon annuì. «È sicuro.»
Leo non esplose in congratulazioni, le stesse con cui sua madre lo aveva sommerso appena erano usciti dallo studio del dottor Williams, le stesse che suo padre gli aveva urlato al telefono appena lo avevano chiamato.
Rimase in silenzio per qualche secondo, e Simon vide sul suo viso farsi avanti delle ombre. «Hai già detto sì?» gli chiese, il tono impassibile quanto lo era stato il suo quando gli aveva dato la notizia.
«Sì» gli disse, anche questa volta senza perdersi in premesse, senza prepararlo. Voleva solo dirglielo, voleva solo mettere fine a quella attesa, voleva solo renderlo reale. «Mi hanno dato il contratto per l'ammissione anticipata, mi hanno detto di prendermi qualche giorno per pensarci e di mandarglielo in settimana» gli spiegò, fermandosi un momento per dire alla cameriera che gli si era avvicinata di star aspettando una persona. Poi tornò a guardare Leo. «Ma ho già chiarito che è un sì, dato che erano la mia prima scelta.»
Un altro istante di silenzio, di stasi, e poi Leo arricciò gli angoli della bocca per rivolgergli un sorriso. Lo fece frettolosamente, come se si fosse reso conto che era quella l'emozione che avrebbe dovuto mostrare davanti alla notizia che gli aveva dato. «Sono fiero di te, Sim» gli disse, e Simon sapeva che lo era davvero, nonostante il tono non sembrasse esprimere niente di quel sentimento. Era piatto, distante, una nota insicura. «Sapevo che sarebbe andato tutto bene.»
Non sembrava propriamente felice, e per un attimo Simon ebbe paura che Leo avesse ricevuto le sue risposte dagli Stati Uniti e che erano entrambe dei rifiuti.
E se dovesse rimanere a casa?
Avrebbe dovuto aspettare, prima di dargli la notizia.
Avrebbe dovuto aspettare le sue risposte, prima di dirgli che se ne sarebbe andato a Parigi.
Perché la sua bocca aveva parlato? Se ora Leo gli avrebbe detto che sarebbe rimasto a Londra, cosa avrebbe potuto dirgli per giustificare che stesse pensando di farlo anche lui? Che aveva cambiato idea, quando gli aveva appena detto che era già sicuro di andare lì?
Smettila, Simon. È per questo che gliel'hai detto, per non rimanere bloccato a Londra se lo farà Leo. Perché l'Accademia delle Arti Visive è il tuo sogno.
Come quando, un anno prima, aveva deciso di non fare domanda alla GVU per proteggersi dalla possibilità di prendere la strada sbagliata, adesso aveva deciso di mettere le mani avanti per proteggersi dalla stessa situazione.
Verrò qui anche se lui rimarrà a Londra, perché è quello che voglio.
Non si sarebbe fatto condizionare, non questa volta, non quando in ballo c'era il suo futuro.
«E tu hai novità?» gli chiese allora.
Avanti, dimmelo, finiamola qui.
La cameriera tornò per lasciare una brocca d'acqua sul tavolo, e Simon ne approfittò per distogliere gli occhi dallo schermo e versarsene un bicchiere.
«Mi hanno preso.»
La brocca quasi gli cadde dalla mano. Riuscì a rafforzare la presa giusto in tempo, e la rimise al sicuro sul tavolo. «Oh» mormorò, senza riportare lo sguardo verso di lui. «Chi?»
«Sia la GVU, sia la UCLA.»
Simon non aveva sentito nessun tipo di felicità nella sua voce quando aveva dato la stessa notizia a Leo, e ora non la sentì neanche in quella di Leo.
Sapeva che era contento, proprio come lo era lui, eppure sembrava esserci qualcosa per cui non potevano mostrare le loro felicità all'altro.
«Quando ti hanno scritto?» gli chiese, riportando lentamente lo sguardo sullo schermo.
Leo non stava guardando in camera, i suoi occhi erano bassi. «Entrambe oggi, più o meno dopo pranzo.»
Simon annuì. Era proprio come aveva immaginato prima del suo colloquio. Quando Leo gli aveva scritto, l'aveva già saputo.
Stavi festeggiando, Leo?
«Green Valley, eh?» considerò, senza neanche dovergli chiedere in quale delle due desiderava andare, e se ci desiderava andare.
Leo sembrò avere un attimo di esitazione, ma poi disse: «Green Valley».
Un silenzio scomodo calò tra di loro.
Perché non ci diciamo quanto ne siamo felici? Perché non stiamo sorridendo come farebbero due ragazzi che hanno appena saputo di essere stati presi nelle università dei loro sogni? A cosa stai pensando, Leo?
Simon iniziò a provare disagio, e prese il bicchiere d'acqua per avvicinarlo alla telecamera come in un cin cin. «Leo» lo richiamò, e lui tornò subito a guardarlo. «Ai nostri futuri, allora.»
Un piccolo sorriso si fece spazio sul volto di lui. «Io negli Stati Uniti e tu in Francia, eh?»
Simon sentì una stretta allo stomaco, ricordando come avesse fatto la stessa considerazione quella sera di due anni prima, la stessa dell'esame di Biologia, la stessa in cui avevano parlato delle loro strade per scoprire, per la prima volta, di quanto erano diverse.
Incidenti.
Ma se due anni prima era stato un sogno lontano, adesso era realtà.
Tu negli Stati Uniti, io in Francia.
«Proprio quello che volevamo» ribatté Simon, rispondendo al suo sorriso con uno altrettanto debole.
Leo annuì, piano, e poi alzò una mano nella direzione della fotocamera, anche se non aveva niente con cui fare quello stupido brindisi. «Ai nostri futuri, Sim.»
Simon bevve un sorso, e invece dell'acqua gli sembrò di star buttando giù una colata di cemento.
I nostri futuri non contemplano l'altro, Leo?
Leo voltò frettolosamente il viso, e poi mormorò: «Mi sta chiamando mia mamma, devo andare».
«D'accordo.»
Leo si girò di nuovo in direzione della telecamera, ma non lo guardò. «Ci sentiamo dopo.»
Lo vide allungare la mano verso lo schermo, ma Simon lo interruppe prima di dargli modo di spegnere la chiamata.
«Leo» lo richiamò di nuovo. Questa volta, non rialzò gli occhi. «Ricordati che abbiamo sempre quell'appuntamento al Brooklyn Bridge Park, ok?»
Il sorriso di Leo sembrò farsi più forte, più dolce, più suo. «Me l'hai ricordato così tante volte che ormai è impresso a fuoco nel mio cervello.»
Era vero. L'aveva fatto. Soprattutto in quegli ultimi due anni di scuola, Simon glielo aveva detto più volte, nei momenti più disparati della loro vita.
Davanti a un tramonto sulla spiaggia.
Davanti a un cielo d'inverno limpido e stellato.
Davanti al sole che sorgeva sorprendendoli nel letto ancora svegli a parlare.
«Bene.»
Leo lo guardò, le sue iridi sembravano nuvole temporalesche. «Ti amo, Sim.»
Nuvole temporalesche che si infiltrarono nella sua testa, gettando nel caos il suo corpo. «Anche io, Leo.»
Ed è questo il problema.
Simon posò il cellulare quando la videochiamata si interruppe.
Si lasciò andare a un sospiro e poi alzò lo sguardo, guardandosi attorno. Aveva approfittato della tiepida serata per prendere posto a uno dei tavolini esterni, in una delle tante vie trafficate e caratteristiche di Parigi.
Ed è per questo che devo venire qui.
Simon prese una boccata d'aria per aprire i suoi polmoni in fiamme. Il senso di libertà che aveva provato nell'ufficio del dottor Williams si fece di nuovo strada in lui.
Sarò libero.
*
*
*
Hi!
Ed eccoci qui. Le strade si sono delineate e ormai è "fatta".
In questo capitolo, soprattutto nella conversazione finale tra Simon e Leo e nelle loro reazioni, ci dovrebbe essere tutto quel famoso non detto di Era una notte d'estate, quello che Dee ha visto senza problemi.
Abbiamo superato la metà. Mancano solo due shots e la famosa lettera.
Per non pubblicare la lettera troppo lontana dai capitoli, ho deciso che settimana prossima avremo tre aggiornamenti!
Ci vediamo quindi martedì, giovedì e sabato per la fine.
Un abbraccio,
G.
[Dovrebbe esserci un GIF o un video qui. Aggiorna l'app ora per scoprirlo.]
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