5 - Verità
Febbraio 2019
Simon posò il suo bicchiere di cola e si unì alla risata che scosse la tavolata a risposta di una storia che stava raccontando Teddy, una figura di merda che aveva fatto qualche giorno prima con una ragazza che aveva conosciuto in palestra.
«Sei un coglione» disse anche in aggiunta, allungando un braccio per farlo passare sullo schienale della sedia di Leo, accanto a lui.
Teddy, seduto invece alla sua sinistra, gli sventolò una mano davanti al viso. «La ragazza non l'ha pensata al tuo stesso modo, Devon» replicò, facendogli poi un ghigno allusivo. «Credimi.»
Simon alzò gli occhi al soffitto e si appoggiò allo schienale della sua sedia, rilassato. «Posso solo immaginare.»
«Cosa ti ha detto?» domandò George, interessato a conoscere come continuava la storia, e Teddy spostò lo sguardo su di lui per riprendere il suo racconto.
Era l'ultimo sabato prima della ripresa della scuola, che quella settimana si era interrotta per la usuale pausa di metà secondo trimestre. Con il solito gruppo di amici, avevano deciso di andare a cena fuori e fare poi un salto in una discoteca dalle parti di Waterloo. Erano al penultimo anno e avevano ancora tutti diciassette anni, ma quella sera il locale aveva in programma proprio una serata per le scuole, quindi sarebbero potuti entrare senza problemi.
Avevano già finito di mangiare, ma nessuno aveva fretta di andare via dal ristorante. Era ancora presto, fuori la temperatura toccava quasi gli zero gradi e i camerieri non sembravano avere fretta di fargli chiudere il conto, fintanto avessero continuato a ordinare bevande.
Soprappensiero, la sua attenzione riversata sulle parole dell'amico, Simon iniziò a far scorrere i polpastrelli sulla pelle di Leo, muovendo le dita su e giù tra la base del suo collo e i capelli. Scosse la testa esasperato quando Teddy giurò che la ragazza era evidentemente interessata a lui, e poi i suoi occhi incrociarono quelli scuri di Charles.
Era un loro nuovo compagno, trasferitosi a settembre per frequentare il Sixth Form, i due anni di istruzione superiore. La loro era un'ottima scuola privata che ogni anno sfornava risultati incredibili per gli esami A-levels, quindi non era raro che ci arrivassero nuovi studenti dai dintorni agli inizi del dodicesimo anno.
Mentre l'attenzione di tutti gli altri ragazzi era su Teddy, quella di Charles era su di lui.
Era dall'altro lato del tavolo, non poteva effettivamente vedere cosa la sua mano, nascosta dietro Leo, stesse facendo sul collo del suo migliore amico, eppure lo sguardo che gli stava rivolgendo sembrava proprio dirgli: Ti vedo, Simon.
Prendendone coscienza, allontanò subito la mano, ma non tolse il braccio da dietro Leo; lo lasciò riposare sullo schienale, come un gesto che farebbe chiunque per distendere i propri arti, uno casuale senza alcun significato, e poi abbandonò lo sguardo consapevole di Charles.
Se i loro compagni di sempre si erano ormai abituati, tanto da non farci neanche più caso, alla vicinanza che c'era tra lui e Leo, Charles, che li aveva appena conosciuti, li guardava spesso con quell'aria curiosa.
Guardava lui, con quell'aria curiosa.
Ti vedo, Simon.
E Simon sapeva che Charles, probabilmente, era l'unico che lo faceva davvero.
Era un ragazzo gay, era una delle prime cose che aveva detto di sé quando aveva iniziato a camminare per i corridoi della loro scuola; non si era nascosto neanche per un secondo, aveva mostrato subito a tutti, con orgoglio e sicurezza, chi fosse.
Non come lui, che si stava nascondendo da più di due anni.
Simon non si vergognava di essere chi era, eppure non aveva ancora trovato il coraggio di fare coming out. Era sicuro che farlo, dire a tutti sono gay, avrebbe significato anche confessare amo Leo, e non come un fratello, o un migliore amico. Era sicuro che dirlo a Leo, avrebbe portato il suo amico a cambiare atteggiamento nei suoi confronti. E Simon non voleva perdere la vicinanza fisica che avevano l'uno con l'altro, non voleva privarsi dei loro abbracci e delle loro carezze.
Era un bugiardo, e un egoista. Qualcuno avrebbe potuto chiamarlo approfittatore.
Guardati, avrebbero potuto dirgli. Leo crede che non sia altro che amore fraterno, mentre tu lo inganni da anni. Non ti fai schifo?
Simon gettò un'occhiata di sbieco a Leo quando lo percepì chinarsi verso Margaret, che gli era seduta accanto dall'altro lato. Non percepì cosa le disse, la voce troppo bassa in confronto a quella squillante di Teddy, che non aveva ancora finito di parlare, come se stesse appositamente sussurrando per tenere nascosta la loro conversazione.
Si innervosì, come sempre si innervosiva ogni volta che notava la loro vicinanza, nel giro di un solo secondo.
Sapeva che Leo la vedeva spesso, non glielo nascondeva anche se sosteneva che si vedessero per studiare. Entrambi erano infatti nella stessa classe di Letteratura, che Simon invece non seguiva.
Durante quel primo anno di Sixth Form, lui e Leo non avevano neanche una lezione in comune.
Simon aveva scelto come materie di studio Fotografia, Francese, Antropologia e Storia.
Leo, invece, Letteratura, Studi Teatrali, Musica e Psicologia.
La loro divisione scolastica, però, non aveva intaccato in alcun modo il loro rapporto.
O almeno, non l'aveva ancora fatto.
Margaret bisbigliò una risposta, anche questa incomprensibile alle orecchie di Simon, che distolse lo sguardo da Leo per puntarlo di nuovo su Teddy. Represse la voglia di chiedergli di stare zitto un momento, e forzò sulle labbra un sorriso interessato.
La conversazione al tavolo continuò, parallela a quella segreta di Leo e Meg.
Simon provò a non dargliene peso, ma quando sentì Leo sopprimere una risata non ce la fece più. Le aveva già rivolto troppa attenzione per i suoi gusti. Simon non dava mai davvero attenzione a nessun altro quando Leo era nei suoi paraggi.
La vuoi finire?
Facendolo passare come un gesto atto solo a volergli dare fastidio, Simon piegò il braccio sullo schienale di Leo e gli mise un dito nell'orecchio. Leo glielo scacciò via subito, scostando la testa. Simon lo fece un'altra volta, e poi una terza quando Leo si allontanò di nuovo.
Funzionò.
Leo si dimenticò di Margaret e si girò verso di lui, gettandogli un'occhiata impassibile. «La finisci, Sim?»
Simon sorrise, divertito, e lo fece di nuovo, questa volta nell'orecchio sinistro, dato che aveva cambiato lato del corpo per rivolgersi a lui. «La finisco di fare cosa?»
Leo roteò gli occhi. «Smettila.» Simon iniziò a tirargli il lobo, e si sentì soddisfatto quando vide le labbra di Leo arricciarsi in un sorriso divertito. Lo cancellò però subito, per non mostrarglielo, e gli rivolse invece un'espressione seria. «Ti avviso, Simon.»
Simon inarcò le sopracciglia. «Che paura» lo prese in giro, continuando a infastidirlo.
Leo annuì un paio di volte, negli occhi ora una sfida. «L'hai voluto tu.»
In un attimo, le sue mani furono sui suoi fianchi. Iniziò a fargli il solletico, e Simon si sforzò con tutto sé stesso a non divincolarsi sulla sedia, come tutto il suo corpo desiderava fare, così da non dargliela vinta. Serrò le labbra, senza scostare lo sguardo da quello di Leo, provando a mantenerlo impassibile mentre quello di lui si illuminava sempre più di divertimento.
Non resistette a lungo. Non resisteva mai a lungo. Leo sapeva perfettamente quali punti colpire, dove insistere per farlo crollare, la pressione da usare.
Così Simon scoppiò a ridere, e iniziò a muovere le braccia alla cieca per colpirlo.
Non gli importò di essere in un ristorante, sotto la vista dei loro compagni, e di star dando vita a un teatrino ridicolo e bambinesco.
C'erano solo lui, Leo e il modo in cui lo faceva sentire: leggero, spensierato, felice.
Non c'era mai niente di più importante di loro e dello spazio che riuscivano a crearsi ovunque andassero.
«Ti arrendi?» gli chiese Leo, la voce divertita, a indicare che anche lui fosse nella loro dimensione e se ne stesse fregando degli occhi degli altri che sicuramente dovevano essere puntati su di loro.
Simon annuì, incapace di mettere a voce una risposta, e appena Leo fece riposare le mani sui suoi fianchi, aprì gli occhi che aveva chiuso per il troppo ridere e gli diede un altro buffetto fastidioso sul volto.
Di nuovo, lo sguardo di Leo si accese di divertimento e sfida, e le mani ripresero a muoversi sul suo corpo.
«Ok, ok» buttò fuori Simon, alzando le mani in aria. «Mi arrendo, lo giuro sulla mia collezione di canottiere da basket.»
Leo la dovette considerare una promessa seria, perché allontanò subito le mani dal suo corpo. «Non impari mai, Sim.»
Simon fece una smorfia e schiuse le labbra per ribattere, ma fu interrotto sul nascere da una voce femminile, che si infiltrò nel loro spazio rompendo la bolla che si era creata attorno a loro.
«Siete un sacco carini» disse, un tono quasi sognante. «Da quanto state insieme?»
Simon fu il primo a tornare con i piedi per terra, seguito subito dopo da Leo. Il sorriso sereno che gli stava rivolgendo si congelò, e Simon notò la rigidità del suo corpo quando, lasciando cadere lo sguardo, si voltò lentamente per distanziarsi da lui così da rivolgersi verso il tavolo.
Simon invece rimase fermo, ma i suoi occhi si mossero per cercare Emily, la ragazza che aveva posto quella domanda. Era la nuova fidanzata di George, ed era la prima volta che la incontrava. Andava in un'altra scuola e non era mai uscita in gruppo con tutti loro.
Li stava guardando, interessata, in attesa di una risposta. Non doveva essersi accorta di come la sua domanda avesse portato via la serenità dai loro volti.
«Non stanno insieme, Em.»
Simon fece saettare lo sguardo su Margaret, che aveva rilasciato quella risposta con la stessa leggerezza di come la ragazza aveva rilasciato la domanda.
Che cazzo ne sai tu se stiamo o non stiamo insieme?
Ok, era vero, non erano fidanzati, ma che diritto aveva lei di rispondere al posto loro? Per di più, con quella sicurezza?
Non riuscì ad avere buona visuale di lei, dato che tra di loro c'era Leo, così gli occhi di Simon tornarono a posarsi sul volto del suo amico. Aveva ancora lo sguardo basso, l'espressione tirata, in evidente disagio.
Perché lo sa con sicurezza, vero, Leo? Grazie alle vostre sessioni di studio?
Simon si sentì come pugnalare allo stomaco, in parte per quel pensiero, in parte per tutto quello che vide sul volto di Leo.
Ti mette così a disagio pensare che qualcuno possa scambiarci per fidanzati?
«Già» intervenne George, divertito. «Sono solo fatti così, ti abituerai.»
Simon guardò ora lui, che stava sorridendo alla sua ragazza, i cui occhi si erano velati di imbarazzo.
«Oh» mormorò lei, gettandogli un'occhiata veloce. «Mi dispiace, credevo...»
Simon non la lasciò neanche finire, e la interruppe, tagliente. «Perché? Sembriamo gay?»
Emily strabuzzò gli occhi. «No, certo che no» si affrettò a dire, in evidente disagio per la domanda che le aveva rivolto. «È solo che...» si interruppe, e gettò uno sguardo al suo ragazzo come per chiedergli silenziosamente di salvarla.
Simon non si sentì in colpa di averla messa in quella posizione, e non finse un sorriso come a volere indicare che stesse solo scherzando.
Accanto a lui, Leo era silenzioso, ancora con lo sguardo basso, distante. L'espressione tetra sul suo volto gli pizzicò la pelle di fastidio.
Dio, Leo, ti farebbe così schifo?
«Che male c'è a sembrare gay?»
La domanda arrivò dalla sua sinistra, dopo qualche secondo di scomodo silenzio.
Charles.
Simon voltò il viso nella sua direzione, anche se di controvoglia. Parlare con lui in quel preciso istante era l'ultima cosa che voleva fare, consapevole che avrebbe visto senza problemi sotto la maschera di strafottenza che stava usando per nascondere invece il suo nervosismo.
Il viso di Charles era rilassato, non c'era neanche un minimo di fastidio nei suoi occhi a indicare che quanto aveva chiesto a Emily lo avesse fatto incazzare, o preso come un insulto.
«Non c'è niente di male a sembrare gay, o a esserlo» chiarì, sforzando di mantenere la voce atona. «Ma noi non siamo una coppia, sto solo chiedendo perché ne era così sicura tanto da fare una domanda del genere» continuò, ignorando lo sguardo divertito che il ragazzo gli stava rivolgendo. «Solo perché siamo a nostro agio l'uno con l'altro e ci divertiamo a fare i cretini? Perché due diciassettenni devono fare i duri con i loro amici e darsi solo pacche sulla schiena? Perché scambiarsi un abbraccio con il tuo migliore amico è visto una cosa da femmine e ti rende gay? Non trovi sia una visione limitante dell'amicizia maschile?»
Al di là che era veramente gay, e che quanto faceva con Leo era per lui davvero indice di qualcosa di più profondo, Simon lo pensava veramente. Riteneva che i ragazzi venissero bombardati troppo sulla mascolinità e su cosa fosse giusto o non giusto fare. La vicinanza maschile era come un tabù. Se un ragazzo voleva abbracciare i suoi amici, cazzo gliene fregava al mondo? Perché dovevano partire subito commenti ridicoli e denigranti? Perché quelle forme d'affetto venivano viste da effemminati?
Era stato Leo a fargli per primo un discorso di quel tipo, quando ancora avevano tredici anni e Simon non aveva saputo niente di sé stesso. Una considerazione che era rimasta con lui, e che era solo diventata più reale con la maturazione.
Charles arricciò le labbra, come se avesse colto un punto a sua favore. «Considerazione interessante.»
Simon non replicò, e sul tavolo tornò a regnare il silenzio.
Durò poco, neanche il tempo per Simon di riportare lo sguardo su Emily per vedere se avesse qualcosa da dire.
Teddy prese in mano la situazione, gli tirò una pacca sulla testa e poi gli mise un braccio sulle spalle, attirandolo a sé. «Non fare la testa di cazzo con le signore, Simon» gli disse, facendogli passare una mano tra i capelli per poi lasciarla riposare tra le sue ciocche. Eccolo lì, Teddy. Il perfetto eterosessuale che non aveva problemi a mostrare vicinanza fisica con i ragazzi. Ti sembriamo fidanzati anche noi, Emily? «Che dite, ce ne andiamo?» chiese poi, non dandogli neanche il tempo di difendersi. «Max mi ha detto che se li raggiungiamo ci passa qualcosa da bere prima di entrare allo Starlight.»
Max era un ragazzo del tredicesimo anno della loro scuola. Già diciottenne, lui e il suo gruppo avevano fatto rifornimenti di alcolici prima di entrare alla festa in discoteca.
Ci fu un generale assenso da tutti i commensali, e l'aria si rasserenò come se l'intermezzo fosse già stato dimenticato.
I ragazzi iniziarono ad alzarsi, e anche Simon si mise subito in piedi quando Teddy lo lasciò andare, non prima di dargli un'altra pacca sulla testa come in avvertimento.
Simon roteò gli occhi e poi scostò la sedia dal tavolo per farsi spazio.
Leo era ancora seduto; aveva rialzato lo sguardo, anche se davanti a lui non c'era più nessuno su cui puntarlo. Il suo volto non era più tirato, ma non era neanche del tutto rilassato. Una nube era come rimasta a oscurarglielo.
Simon gli mise una mano sulla spalla per richiamare la sua attenzione. «Andiamo?»
Deglutì, quando percepì la rigidità che lo colse nel momento in cui lo toccò.
Davvero, Leo?
Leo voltò il capo verso di lui, anche se lo fece così lentamente che a Simon sembrò gli stesse costando fatica. «Vado a casa, Sim.»
Simon aggrottò la fronte, confuso. «Perché?»
Non era una decisione dell'ultimo momento. Lo sapevano già da giorni che sarebbero andati alla serata allo Starlight. Leo non ne era stato entusiasta, ma gli aveva comunque promesso ci sarebbe andato.
«Non mi sento bene, credo di aver mangiato qualcosa che non dovevo» gli rispose, facendogli un piccolo sorriso.
«Oh» mormorò Simon. «Ok, ti accompagno allora.»
Leo distolse lo sguardo. «No, lo so che vuoi andare» gli disse, la voce quasi un sussurro. «Non ti preoccupare per me.»
Simon scosse la testa. «Leo, non ti lascio tornare a casa da solo se stai...»
«Non sono solo» lo interruppe, alzandosi dal suo posto. La mano che Simon aveva lasciato sulla sua spalla scivolò via. «Anche Margaret non va allo Starlight, e abitiamo vicini. Ce la caveremo, tranquillo.»
Simon serrò la mascella, e i suoi occhi sorpassarono Leo per puntarsi su Margaret. Si era già messa il cappotto e stava conversando con Emily, e Simon si infastidì al pensiero di cosa le stesse dicendo.
Vedi? Non è gay, torna a casa con me.
La gelosia tornò a strisciargli sotto pelle, infiltrandosi in ogni anfratto del suo corpo. «Divertiti» sentenziò, secco.
Recuperò la giacca dallo schienale e se ne andò, senza gettargli neanche un ultimo sguardo.
*
Le luci stroboscopiche della discoteca si riflettevano sui visi dei compagni attorno a lui, e Simon scoppiò a ridere quando Teddy si lanciò in un balletto idiota a ritmo della nuova canzone che si riversò sulla folla del locale.
Erano arrivati da un'oretta: George e Emily erano spariti da un pezzo, e lui, Teddy e Charles si erano uniti a un altro gruppo di scuola, formato perlopiù dai giocatori della squadra di rugby e cheerleader.
Simon si stava divertendo. Il bicchiere di vodka lemon che gli avevano preparato i ragazzi del tredicesimo anno lo aveva rilassato, allontanando dalla sua mente Leo, la sua assenza e la gelosia che aveva provato a vederlo andare via insieme a Margaret.
Non era ubriaco, neanche brillo, ma l'aria di festa che lo aveva accolto era riuscita a dissipare il suo malumore.
Da quando avevano preso posto sulla pista da ballo, Simon si era ritrovato più e più volte a sbirciare nella direzione di Charles, beccandolo la maggior parte delle volte a fare lo stesso.
Doveva ammettere che lo attraeva, ma quella non era una chissà quale rivelazione: già dalla prima volta che lo aveva visto aveva pensato che non gli sarebbe affatto dispiaciuto sentire quelle labbra carnose sul suo corpo.
Aveva un fisico molto più sviluppato del suo – era un giocatore di rugby, d'altronde –, più alto di diversi centimetri – Simon ormai aveva realizzato di avere una preferenza per i ragazzi più alti di lui –, e le sue iridi cioccolato creavano un contrasto accattivante con i suoi capelli biondi.
Non aveva però mai pensato di farci niente, perché nonostante non fosse abitudine di Charles quella di uscire con il suo gruppo ristretto di amici, era comunque un suo compagno e un buon amico di Teddy.
E Simon si era sempre tenuto alla larga dai ragazzi della sua scuola.
Quella sera, però, i suoi occhi sembravano non poter fare a meno di scrutare il suo corpo, e Simon aveva represso più volte l'impulso di prenderlo per un polso, trascinarlo da qualche parte e dirgli: Sì, senti, sono gay. Complimenti, il tuo radar funziona perfettamente. Ora ti inginocchi? E poi mi faresti il favore di non dirlo a nessuno? Grazie.
Era da più di un mese che non veniva per mano, o bocca, di qualcun altro.
Ne aveva bisogno.
Simon distolse lo sguardo da Charles, quando il ragazzo notò nuovamente le sue attenzioni e gli rivolse un sorrisetto.
Ok, sono in una discoteca. Tre quarti di queste persone vengono da chissà quale scuola. Posso trovare qualcuno.
Simon avvicinò le labbra all'orecchio di Teddy, e urlò per essere sicuro di farsi sentire al di sopra della musica e degli schiamazzi. «Vado a prendermi qualcosa da bere.»
Teddy gli rivolse i pollici all'insù e Simon si allontanò, sgomitando tra la gente per uscire dalla pista e arrivare al bancone. Non era granché affollato, quella sera la vendita degli alcolici era vietata e nessuno ci teneva più di tanto a pagare una bibita dieci sterline.
Si piegò sul bancone verso la barista. «Mi puoi dare un po' d'acqua?» Lei annuì, prese un bicchiere di plastica e glielo riempì con la soda che usavano normalmente per fare i cocktail. «Grazie» urlò, prima di darle le spalle.
Si allontanò da lì, non tornando però verso il gruppo che aveva lasciato indietro. Si appoggiò a una colonna e si mise a guardarsi in giro.
La musica era assordante, e iniziò a canticchiare soprappensiero la canzone che risuonava per il locale, una hit dell'estate precedente, una di quelle che impari a memoria senza neanche rendertene conto. Scrutò i volti dei ragazzi nelle vicinanze, alla ricerca di qualcuno che avrebbe potuto servire il suo intento. Si focalizzò su un moro seduto su un divanetto con aria annoiata, ma poi distolse lo sguardo quando vide una ragazza prendere posto accanto a lui.
«Chi cerchi?»
Simon sussultò, tanto che un po' dell'acqua fuoriuscì dal bicchiere e gli bagnò la mano, quando la voce di Charles prese possesso del suo campo uditivo. Voltò il viso, ritrovandosi quello di lui a un centimetro di distanza. Era chino su di lui, e il suo respiro che sapeva di menta gli si infranse sulla pelle.
Tornò a guardare in avanti. «Nessuno» gli rispose, non preoccupandosi neanche di urlare per essere sicuro che lo sentisse.
Charles non continuò subito la conversazione. Gli rimase accanto, in silenzio, e Simon si asciugò la mano bagnata sulla maglietta e poi fece fuori metà bicchiere.
La canzone cambiò, una ballata che modificò nell'immediato l'atmosfera del locale, grazie anche all'intermittenza delle luci che si fece più dolce, lenta.
«È difficile beccarti da solo» riprese Charles, la bocca così vicina al suo orecchio che Simon percepì il movimento delle sue labbra. «Stai sempre attaccato al tuo fidanzato.»
Simon strinse il bicchiere nel pugno, non preoccupandosi di accartocciarlo. «Leo non è il mio fidanzato» gli disse, secco, continuando a guardare in avanti. «Pensavo di essere stato chiaro, prima.»
«Oh, credimi, lo so che non lo è» ribatté Charles, un che di divertito nel tono che lo irritò. Di riflesso, fece scattare il volto verso di lui, ritrovandoselo così vicino che un minimo movimento in avanti avrebbe unito le loro bocche. «Ma vorresti che lo fosse.»
Simon mantenne lo sguardo in quello di lui, lottando per non scappare. «Cosa vuol dire che lo sai?» gli chiese, ignorando la sua ultima affermazione sicura.
Si era irritato che Emily avesse dato per scontato che stessero insieme, e ora si incazzò perché Charles dava per scontato il contrario.
Andate tutti a cagare. Cosa ne sapete di quello che c'è tra di noi?
«Non ti guarda come lo guardi tu.»
La considerazione di Charles fu come uno schiaffo in pieno volto. Si sforzò di mantenere un'espressione impassibile, e continuò a reggere il suo sguardo come una sfida.
Vaffanculo, pensi che non lo sappia?
Le labbra di Charles si arricciarono, pensierose. «Anche se devo dire... Non mi sembra che Leo guardi nessuno nel modo in cui tu guardi lui. Ma a te non interessa di come guarda o non guarda gli altri. Ti importa solo di come non guarda te.»
Lo sguardo di Simon cadde per un attimo sulla bocca di lui, e di riflesso si umettò la propria. «E come lo guarderei?»
Che cazzo di domande faccio? Voglio proprio farmi male, vero?
Charles sorrise. «Come se lottassi ogni singolo istante della tua giornata per non sbatterlo contro il muro.»
Simon perse la sfida, e ritornò a guardare verso la pista, allontanandosi da lui. «Perché sembrate tutti così smaniosi di mettere bocca su cose che non sono cazzi vostri?»
Charles lo seguì. Si tolse dal suo fianco e gli si mise di fronte, oscurandogli la folla. Si chinò di nuovo verso di lui, e Simon ebbe un momento di paura al pensiero che fossero sotto la vista di un mucchio di persone.
Poi, però, si rilassò. La stazza di Charles lo proteggeva da sguardi indiscreti, e poi l'ambiente era così buio che nessuno avrebbe veramente potuto riconoscerli, a meno che non gli andassero letteralmente accanto per scrutare i loro visi.
Questa volta, il ragazzo poggiò le labbra direttamente al suo orecchio. «In realtà sarai smanioso di mettere bocca su qualcos'altro» gli sussurrò, e nonostante la musica risuonasse alta Simon non ebbe difficoltà a sentirlo. «Ti va, o vuoi perdere tempo a cercare qualcun altro?»
La sua allusione accese subito ogni cellula del suo corpo di interesse.
Cristo santo, sì che mi va, fu il pensiero che corse sulle sua labbra, ma che si frenò dal dire.
Gli andava, ma non poteva.
Era un suo compagno.
Conosceva lui.
Conosceva Leo.
Deglutì, e poi si schiarì la voce, per renderla il più possibile secca. «Non sono...» iniziò, pronto a dire quella bugia che lo annientava ogni volta che la ripeteva.
Sì che sono gay, porca troia, perché devo continuare a mentire?
«Per favore, Simon» lo interruppe lui, risollevandosi per gettargli un'occhiata esasperata. «Risparmiami la stronzata.»
Simon distolse lo sguardo, e si silenziò. Sapeva che era inutile mentire, sapeva che Charles l'aveva già capito da mesi.
Non ti guarda come lo guardi tu.
«Non lo dirò a nessuno» aggiunse il ragazzo, forse riconoscendo quale fosse il problema. «Dammi un po' di credito, non sono uno stronzo.»
Ma non era neanche quello il problema, o almeno non lo era del tutto.
Sì, aveva paura di andare con qualcuno della sua scuola, perché aveva paura che potessero iniziare delle voci fondate che avrebbero portato a galla la sua sessualità. E quella avrebbe portato allo scoperto anche il vero segreto che voleva tenere seppellito.
Tra noi cambierebbe tutto.
Ma la sua ritrosia non aveva a che fare solo con quello.
L'idea di andare con qualcuno che sia lui, sia Leo conoscevano gli metteva ansia. Finché erano ragazzi con cui Leo non avrebbe mai parlato, Simon si sentiva più al sicuro. La distanza tra lui e loro lo proteggeva dallo sviluppare una colpa che sapeva non avrebbe dovuto neanche provare, ma che era sicuro lo avrebbe sommerso.
L'idea di vedere Leo interagire con uno di questi ragazzi a scuola, nell'inconsapevolezza di cosa questo ragazzo e Simon avevano fatto in segreto, lo agitava. Lo avrebbe fatto sentire una merda.
Il ragazzo con cui stai parlando mi ha preso il cazzo in bocca, ieri. Sì, proprio quando ti ho mentito dicendoti che non sarei passato da te perché non mi sentivo bene.
Non voleva superare quella linea. Voleva tenere il più possibile separato il suo divertimento da Leo. Voleva mantenere miglia di distanza tra qualcuno che conosceva il suo segreto e Leo.
Tutto d'un tratto, la sua testa lo riportò alla fine della cena, proiettandogli il momento preciso in cui Leo se ne era andato via con Margaret.
Vaffanculo, lui non si fa di questi problemi.
Anche perché per quale motivo avrebbe dovuto farseli?
Non erano niente.
Non lo sarebbero mai stati.
Era lui quello sbagliato, quello che aveva una visione distorta della loro amicizia, quello che si aggrappava a un'illusione.
A modo suo, mi ama. A modo nostro, abbiamo una relazione.
«Ma se non sei interessato a me, è un altro discorso» riprese Charles, dopo altri istanti di silenzio. «Mi tolgo di torno senza...»
«Sono interessato.»
Questa volta, le parole corsero fuori senza filtri, senza esitazioni.
Stai facendo la stessa cosa con Margaret, Leo, no?
Riportò lo sguardo su Charles in tempo per vedere formarsi sulle sue labbra un sorriso malizioso. «Bene» gli disse, annuendo appena. «Ce ne andiamo allora?»
Simon aggrottò la fronte. «Ce ne andiamo?» ripeté, confuso.
Charles inarcò le sopracciglia. «Mi hai preso per uno che scopa nei sudici bagni di una discoteca?»
Voleva scopare?
Rimase a fissarlo con le labbra leggermente schiuse, preso di sorpresa. Aveva pensato gli stesse offrendo del sesso orale, e invece... Simon non aveva ancora fatto sesso penetrativo. Con tutti i ragazzi che aveva frequentato – o sarebbe stato meglio dire che aveva visto una volta e arrivederci – non aveva mai avuto la possibilità di spingersi fino a in fondo.
Desiderava farlo. Lo voleva fare da tempo.
Charles sembrò capire la sua sorpresa e gli chiese: «Non l'hai mai fatto?». Simon scosse la testa, consapevole che fosse inutile mentire. E inoltre non si vergognava di non essere ancora arrivato a quel punto. «Ti stai riservando per qualcuno di importante?»
Non lo disse come una presa in giro per il fatto che fosse ancora vergine, o almeno, vergine sotto quel punto di vista.
Simon lo capì.
Era una presa in giro, ma di tutt'altro tipo.
Ti stai riservando per quando il tuo migliore amico si accorgerà di te?
Simon gli gettò un'occhiata infastidita. «No.»
«Ok, allora» ribatté lui. «Ho casa libera, possiamo andare da me.»
Simon fece scorrere gli occhi sul suo corpo. «Sono attivo.» Lo disse con sicurezza, senza nessuna ombra di dubbio. Sapeva di esserlo, da tempo. Non aveva bisogno di provare per scoprirlo.
«Simon, dopo il discorso che hai fatto a cena pensavo che non ti abbassassi a questi stupidi stereotipi» replicò divertito Charles.
Simon cercò di nuovo i suoi occhi. «Voglio solo essere chiaro, perché magari sei tu quello ad abbassarsi a stupidi stereotipi.»
Charles gli si avvicinò di nuovo, e incollò i loro corpi. Simon rabbrividì quando sentì una sua mano, nascosta dalla posizione in cui erano, farsi strada tra i loro petti schiacciati. «Fidati, era già chiaro da prima» gli sussurrò sulle labbra, facendosi spazio nei suoi jeans. «È da quando l'ho visto nello spogliatoio che penso a come sarebbe sentirlo dentro di me.» Simon trattenne il fiato quando gli accarezzò il sesso da sopra la stoffa dei boxer. «Ho guardato, lo ammetto, ma so che tu hai fatto lo stesso» aggiunse, per poi allargare l'elastico così da toccarlo direttamente. «Sì, sono sicuro che mi piacerà parecchio» continuò, quando dalla bocca di Simon uscì un piccolo gemito. Charles usò la mano libera per portare la sua sul suo sedere. «Pensi che questo ti piacerà allo stesso modo?»
Simon gli strinse una natica. «Sì» riuscì a dire, e spinse il bacino contro la mano di lui. Cazzo, si stavano toccando in mezzo a tutti. Era eccitato da far schifo. Lo avrebbe scopato lì se non si fossero dati una mossa. «Andiamo via, ora.»
«Ogni tuo desiderio è un ordine» mormorò Charles, per poi allontanarsi, spezzando ogni loro contatto. «Letteralmente, ricordatelo dopo» aggiunse poi, facendogli un occhiolino divertito.
Simon scoppiò in una risata roca, e poi gli fece un cenno con la testa per invitarlo a muoversi.
Charles lo fece, prendendo la direzione dell'uscita.
Prima di seguirlo, Simon si guardò attorno per controllare che non avessero suscitato attenzioni indesiderate. Nessuno sembrava aver fatto caso a loro: chi li aveva visti, doveva aver pensato che non fossero altro che gli ennesimi adolescenti che non sapevano tenere le mani al loro posto. Niente di tragico o inusuale, in un posto del genere.
Non vide neanche un viso conosciuto, nelle vicinanze, cosa che lo rassicurò.
Si mosse, prendendo la strada di Charles.
Il suo corpo era carico di un'eccitazione che non vedeva l'ora di sfogare.
Si morse le labbra, ricacciando indietro un gemito al pensiero di quanto gli fosse sembrato sodo il suo sedere in quel microsecondo in cui gli aveva dato modo di toccarlo.
Come quello di Leo?
Si irrigidì per il pensiero che gli attraversò la testa con quella facilità, con quel sarcasmo.
Obbligando il suo cervello a tenere fuori dalla sua testa Leo, Simon affiancò Charles al bancone del guardaroba.
Cercò nella tasca dei jeans il numero e lo passò al ragazzo lì dietro.
Lui e Charles non si dissero niente nell'attesa, e solo una volta che furono fuori, sul marciapiede, riportò lo sguardo su di lui quando gli disse: «Ho prenotato un Uber, così facciamo prima».
Simon fece cadere gli occhi sulle sue labbra. «Bene» mormorò, toccandogliele con le dita di una mano. «Perché non vedo l'ora di sentire queste sul mio cazzo.»
Charles gli riservò un ghigno che gli fece scorrere elettricità sulla pelle. «E io non vedo l'ora di sentire quella lingua dentro di me.»
Il suo sesso si contrasse solo per quelle parole.
Sì. Eccitato da far schifo.
Charles abbassò lo sguardo sullo schermo del suo cellulare per controllare a che punto fosse la loro macchina, e Simon ne approfittò per prendere il suo. Era in silenzioso, e non lo controllava da un po'.
C'erano diversi messaggi, tutti da parte di Leo.
Per un momento pensò di non aprirli, di far finta di non averli mai notati, ma poi cedette. Voleva essere sicuro che stesse bene, che fosse tornato a casa senza problemi.
Che non fosse più insieme a Margaret.
"Sim, scusami per prima. Non stavo davvero bene, e ho approfittato che Margaret se ne voleva andare per andare via con lei con la scusa di accompagnarla a casa."
Lo stomaco di Simon si strinse. Era davvero solo per questo, Leo?
"Comunque sono arrivato sano e salvo", recitava il secondo, accompagnato da un'emoticon sorridente.
E poi: "Come va lì? Ti diverti?"
Dopo qualche altro minuto: "Se te ne vai presto e ti va, vieni pure qui."
E infine, un selfie di lui sul letto, con un'espressione idiota sul volto e il gatto di casa sullo stomaco: "Io e Davis ti aspettiamo."
L'ultimo glielo aveva inviato neanche dieci minuti prima.
Non poté fare a meno di sorridere quando vide la smorfia stupida che gli contraeva il volto, quelle labbra arricciate che lo chiamavano a loro anche in quel momento.
Rimase lì a fissare la fotografia come un ebete, mentre una sensazione diversa dall'eccitazione, una molto più dolce, iniziava a diffondersi dentro di lui.
Le sue mani corsero sullo schermo, pronto a digitare una risposta istintiva.
"Dammi venti minuti e sono da te."
«Andiamo?» Charles lo richiamò prima di avere la possibilità di inviare il messaggio.
Simon rialzò lo sguardo e lo puntò sul ragazzo. Si era avvicinato a una macchina che si era accostata al marciapiede, il motore acceso.
Solo rimettere lo sguardo su di lui riuscì a risvegliare quelle sensazioni che lo avevano scosso fino a poco prima.
Sto davvero pensando di andare da Leo invece che con lui?
Charles squadrò il suo volto, e poi il cellulare che stringeva tra le mani. «Pensavo non vedessi l'ora.»
Non vi mise nessuna accezione nelle sue parole: né delusione, né presa in giro, né interesse.
Solo pura verità.
Perché era vero, Simon non vedeva l'ora. Era eccitato, aveva già una mezza erezione stretta nei boxer, desiderava farlo suo in un modo in cui non aveva ancora fatto suo nessuno.
Eppure...
Io e Davis ti aspettiamo.
Lui lo aspettava.
Ma non come desiderava lo facesse Simon.
Sentì una morsa prendere in ostaggio il suo cuore quando ricordò come Leo aveva reagito alla domanda di Emily a cena, e a come si era irrigidito quando lo aveva toccato qualche istante dopo quella considerazione.
Non mi vorrà mai.
Andare da Leo in quel momento, in quelle condizioni, sarebbe stato come scendere all'Inferno. Non era sicuro che sarebbe riuscito a sopravvivere. Non quella volta. Non con quel desiderio che lo stava rendendo fuoco.
Così scosse la testa, e si avvicinò a Charles. «Andiamo.»
Salì in macchina, mentre bloccava il telefono e se lo ricacciava nella tasca della giacca.
Mi dispiace, Leo. Mi puoi dare tutto, ma non questo. E io ora ho bisogno di questo.
Fu la colpa, ora, a strizzare ogni suo organo, e Simon si ritrovò a pregare di arrivare presto a destinazione, in modo da seppellire tutto quello nel ragazzo accanto a lui.
In un ragazzo che non sarebbe mai stato Leo.
*
*
*
Hi!
Simon prova quanto meno a vivere la sua vita, ma di sottofondo la sofferenza e la colpa proprio non riescono a lasciarlo. Leo lo confonde, e dall'altra parte, come sappiamo, Leo è confuso quanto lui.
Chissà, magari in altre circostanze Simon e Charles avrebbero pure funzionato.
Comunque povera Margaret. Lei convintissima che Simon e Leo stiano insieme, che prova pure a toglierli da situazioni imbarazzanti.
A domenica!
G.
[Dovrebbe esserci un GIF o un video qui. Aggiorna l'app ora per scoprirlo.]
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