4 - Strade
Giugno 2018
«Possiamo fare una pausa?»
Leo fece un verso di diniego. «L'abbiamo già fatta» aggiunse poi in un mormorio.
Simon emise un lamento e poi si posò sul viso il libro spalancato, che fino a quel momento aveva tenuto sollevato in aria su di sé. «Mi arrendo» mugugnò.
Era tardo pomeriggio, ed erano in camera di Leo a studiare da ore. Erano sempre in camera di Leo a studiare, ultimamente. I GCSE, gli esami di fine istruzione secondaria, erano iniziati quel giorno. L'idea che avevano davanti a loro ancora due settimane lo atterriva.
«No che non ti arrendi» disse Leo, togliendogli il volume di biologia dal viso per rimetterglielo tra le mani. «Continua, questa parte non la sai.»
Simon, che era sdraiato a pancia in su sul letto, gettò un'occhiata tetra a Leo, che era invece seduto alla scrivania. «Non la so perché non mi serve a niente sapere come funziona la respirazione cellulare, Leo. Preferisco riservare posto a cose più importanti, nel mio cervello.»
«La respirazione cellulare è molto importante» ribatté lui, riportando gli occhi sugli esercizi di matematica. «È una delle cose che ti tiene in vita.»
«Il mio corpo svolge il lavoro da solo» replicò, giusto per infastidirlo. E perdere tempo, certo. «Spiegami quando mai mi servirà il ciclo di Krebs nella vita, o la formula chimica della respirazione cellulare. Pensi che la userò mai in una conversazione?»
Leo non gli rispose, né alzò lo sguardo concentrato dal suo quaderno. Gli indicò con la penna che teneva in mano il libro che gli giaceva sullo stomaco, e poi ricominciò a scrivere le sue formule.
Simon fece una smorfia, ma alla fine si raddrizzò. Mise la schiena contro il muro alle sue spalle e piegò le gambe, così da poggiarvi il libro. I suoi occhi però non si concentrarono sulle pagine del testo, ma andarono alla piccola televisione, quella che lui e Leo utilizzavano per vedere film e giocare alla Playstation.
Era accesa. Quella notte si erano tenuti i Tony Awards, i premi per il teatro paragonabili agli oscar per il cinema. Leo solitamente la guardava sempre in diretta, ma quell'anno aveva coinciso proprio con la notte del primo giorno di esami, così non era riuscito a seguirla.
Leo aveva evitato per tutto il giorno di entrare sui social, o in generale di guardare internet, per evitare spoiler. Aveva messo la replica come sottofondo al loro studio, il volume basso così da non essere davvero una fonte di disturbo. Ogni tanto, gettava occhiate per seguire i momenti delle premiazioni o alcune performance.
Un signore di mezza età era appena salito sul palco per raggiungere i due presentatori, per quello che era un evidente sketch programmato.
Simon lo riconobbe subito, e gettò un'occhiata ironica a Leo. «C'è il tuo fidanzato.»
Leo se ne era accorto da sé, e si stava già voltando per dargli tutta la sua attenzione.
Simon roteò gli occhi, e tornò a guardare la tv.
Doveva ammettere che, per la sua età, Anderson Wright aveva un che di accattivante: i suoi occhi nocciola avevano una luce ammaliante, così come il suo sorriso che splendeva di una gradazione capace di accecare. I capelli, un tempo biondi, erano ormai ingrigiti, ma gli donavano un'aria fascinosa, così come la sua barba curata. Per non parlare della sua voce bassa – proprio nel senso tecnico del termine; Leo gli aveva ripetuto un'infinità di volte quanto desiderasse avere il suo stesso timbro profondo, ma che si sarebbe dovuto probabilmente accontentare di essere un baritono.
Anderson Wright e i due presentatori stavano mettendo in piedi una scenetta comica basata su incomprensioni, e la telecamera ogni tanto sfocava sui visi divertiti degli ospiti, in particolare su quello di Veronique Moreau, la moglie dell'uomo e un'altra ossessione di Leo, dato che lei stessa era una stella di Broadway.
«Non avevano nessuna nomina?» gli chiese, riportando gli occhi su di lui.
Le sue labbra erano arricciate in divertimento, e Simon sorrise teneramente nel vedere la sua calda ed entusiasta espressione.
Leo scosse la testa. «No, erano lì solo come ospiti.»
Simon tornò a dare attenzione allo schermo quando sentì il pubblico scoppiare sonoramente a ridere.
La telecamera si focalizzò ancora su Veronique Moreau, e Simon fece ora caso al ragazzino vestito tutto elegante che le sedeva accanto. «È il nipote?» domandò, consapevole che Leo avrebbe capito a chi si stesse riferendo.
Accanto alla signora, c'era la copia sputata di Anderson Wright. O almeno, la replica di come Anderson Wright era stato da giovane: gli stessi occhi nocciola dall'identico taglio, i capelli della stessa sfumatura di biondo che un tempo l'uomo aveva avuto, lo stesso viso a cuore dai lineamenti però fini. E, decisamente, la stessa luce.
Avevano persino lo stesso nome: Anderson Wright, ma Jr.
«Mh» acconsentì Leo.
«È cresciuto» considerò Simon. Aveva già visto sue fotografie, negli anni, conosceva la sua esistenza, ma non come conosceva quella dei suoi nonni. A Leo non era mai interessata la loro vita privata, solo quella professionale. «Quanti anni ha?»
«Non ne ho idea» gli rispose infatti Leo, per niente interessato. «Qualcuno in meno di noi.»
La scenetta giunse al termine e Anderson Wright, Sr, rimase da solo sul palco per esibirsi in una performance che venne accolta da applausi. Era la canzone di un suo vecchio musical, capì appena partì la base.
Simon non era mai stato appassionato di teatro, ma essere il migliore amico di Leo comprendeva conoscere qualsiasi cosa sull'argomento. Proprio come Leo, dopotutto, conosceva qualsiasi cosa che riguardava la fotografia.
«Pensa che palle» disse, pensieroso.
Leo portò gli occhi su di lui. «Che cosa?»
Simon si strinse nelle spalle. «Doversi sorbire tutte queste cose solo perché i tuoi nonni sono famosi.»
«Che palle?» ripeté, con incredulità. «Ti rendi conto di quanto è fortunato ad avere come nonni Anderson Wright e Veronique Moreau, Sim?»
Simon gesticolò in aria. «È fortunato per te, che sei un nerd e sei ossessionato da loro» gli fece notare, scuotendo anche la testa. «Magari a lui non gliene frega niente, non è che solo perché sono i suoi nonni deve essere appassionato di teatro o desidera partecipare a eventi del genere» continuò, ignorando lo sguardo allibito che gli stava rivolgendo. «Che ne sai, magari è un secchione interessato alla biologia e la sua passione è la respirazione cellulare. Lui sì che saprebbe usare la formula chimica in una conversazione.»
«Beh, se fosse quello il caso prenderei volentieri il suo posto. Non hai idea di cosa darei per entrare almeno una volta nella vita al Radio City Music Hall» rispose, nominando il teatro newyorchese in cui i Tony Awards si svolgevano quasi ogni anno.
«Cercalo sui social e prova a proporglielo, magari ti risponde che è interessato a uno scambio di vita» gli disse, divertito. «Diventeresti un nepo baby di prima categoria e avresti la strada spianata. Sono sicuro che non dovresti neanche perdere tempo a studiare Recitazione per ritrovarti in un batter d'occhio su un palco di Broadway.»
Leo fece una piccola risata sarcastica. «Le fortune sempre agli altri.»
Simon gli rivolse un sorriso ironico. «Già.»
La performance finì, il palco si oscurò per tagliare su una pausa pubblicitaria e Leo si voltò per tornare agli esercizi di matematica. Simon non distolse lo sguardo dal suo volto concentrato, e quando prese a mordicchiarsi il labbro inferiore, pensieroso, si perse a guardare quel gesto, come sempre faceva.
Erano cambiate molte cose, durante quell'anno scolastico.
Dopo il fallimentare primo bacio al suo compleanno, Simon aveva deciso che era arrivata l'ora di mettersi in gioco. Era stato difficile, considerando che non aveva ancora fatto coming out e non aveva avuto intenzione di sperimentare con studenti della sua scuola, così da non rischiare di rivelare il suo segreto.
Aveva dato il suo primo bacio a un ragazzo alla festa di Capodanno organizzata da George, un suo amico di scuola. Leo non c'era stato, in vacanza con la sua famiglia, e Simon si era sentito libero di guardarsi in giro.
Poco prima della mezzanotte era finito in un angolino nascosto del giardino insieme a Henry, l'amico di un amico di George, e ci erano rimasti per quasi un'ora, a combattere il freddo pungente con il calore dei loro corpi.
Henry non era stato Leo, certo, ma non era stato neanche Lydia.
Simon aveva provato parecchio durante il tempo che avevano passato insieme: desiderio per il modo in cui le mani del ragazzo avevano afferrato i suoi capelli e gli aveva inclinato la testa per approfondire il bacio; calore per il modo in cui i loro corpi coperti di vestiti pesanti avevano strusciato l'uno contro l'altro per cercare un contatto; piacere per il modo in cui i denti di lui avevano marchiato il suo collo.
A Simon era piaciuto molto, e anche il suo corpo aveva decisamente apprezzato.
Lui e Henry erano usciti qualche altra volta insieme durante i primi mesi dell'anno nuovo, in qualche occasione si erano spinti anche al di là di semplici baci, ma non era mai diventato niente di serio.
Era riuscito poi a frequentare anche altri due ragazzi, entrambi di scuole diverse dalla sua, ma anche con loro la cosa si era chiusa prima di raggiungere l'ultimo step.
Aveva quindi avuto le sue prime esperienze, molto piacevoli, ma non era ancora riuscito a trovare della labbra che lo attraevano di più di quelle di Leo.
Il desiderio che provava nei suoi confronti non era diminuito, ma anzi, era addirittura accresciuto. Ora Simon sapeva cosa significava baciare davvero, sentire le mani di qualcuno sul proprio corpo, cosa si prova a far scontrare la propria erezione su quella di un'altra persona. Non poteva fare a meno di pensare a cosa avrebbe provato a fare tutto quello con Leo, ed erano pensieri che lo eccitavano tanto quanto lo facevano sentire una merda. Passava tutti i giorni a fantasticare sul suo migliore amico, senza che lui ne sapesse niente.
Cosa penseresti di me, Leo?
«Sim.»
Simon si riscosse quando Leo lo richiamò. Si schiarì la voce e guardò il libro dimenticato. «Sto ripetendo nella mia testa.»
«No, non quello» mormorò lui, titubante.
Simon riportò gli occhi su di lui, aggrottando le sopracciglia. «Che c'è?»
Leo distolse lo sguardo, lo puntò al muro di fronte a lui. «Credo che...» si interruppe, si umettò le labbra. «Ho deciso» si corresse, con più sicurezza, «di mandare la domanda di ammissione anche ad alcune università negli Stati Uniti.»
In un primo momento, Simon non capì davvero cosa Leo gli stesse dicendo. La sua prima reazione fu... normalità. Come se Leo non gli stesse dicendo niente di nuovo, niente a cui non fosse già preparato.
Da quanti anni, in fondo, gli diceva che voleva andarsene negli Stati Uniti?
Poi, però, l'implicazione di cosa quello significava lo colpì come una frustata.
Mi vuoi lasciare qui da solo?
Lo sapeva che Leo sognava New York, lo sapeva che desiderava calcare i palcoscenici di Broadway, ma dopo l'università, dopo che entrambi sarebbero stati pronti a partire, a lasciare il piccolo mondo che si erano costruiti insieme.
«Perché?» chiese, il tono secco di fastidio.
A Londra c'erano due delle più prestigiose facoltà di Recitazione di tutto il mondo. La Royal Academy of Dramatic Art e la London Academy of Music & Dramatic Art distavano a malapena tre miglia da casa sua. Perché diavolo doveva andare dall'altra parte dell'oceano?
«Voglio avere più opzioni» gli rispose, il tono basso. «E credo che studiare negli Usa mi darebbe più possibilità per il futuro» gli spiegò, la voce ora frettolosa come se volesse giustificarsi. «Insomma, sarei già lì, ci sarebbero talent scout direttamente di quell'ambiente.»
Simon distolse gli occhi, e iniziò a giocare nervosamente con le pagine del libro di biologia. «Dove?»
«Juilliard, ovviamente, anche se so già da ora che sarebbe un tentativo a vuoto» disse, senza neanche starci a ragionare. Doveva avere già una lista pronta. Chissà da quanto tempo ci stava pensando. «La Tisch, l'università della California di Los Angeles e la Green Valley. Principalmente, pensavo a queste.»
Simon deglutì. «Ok» fu tutto quello che riuscì a rispondere.
Ma Leo non si accontentò della sua risposta monosillabica. «Cosa ne pensi?»
Cosa ne devo pensare, Leo? Se te ne vuoi andare, non c'è niente che possa dirti per farti restare.
Simon sapeva di non avere quel potere. Leo non dipendeva da lui. E non erano di certo una coppia sposata che deve prendere decisioni di quel tipo insieme. Non erano neanche una coppia.
«Fai bene» gli rispose, sforzandosi di fargli un sorriso sereno per nascondere la sua agitazione. «Sono certo che almeno una di loro ti accetterà, vedrai.»
Leo lo guardò titubante, come se non avesse la sua stessa confidenza. Probabile, dato che Leo era così modesto quando si trattava delle sue capacità.
«Potresti... pensarci anche tu» gli disse, dopo un attimo di silenzio.
«Di andare a studiare negli Stati Uniti?»
Leo annuì. «La... la Green Valley ha un ottimo programma di Fotografia» considerò, timidamente. «O la Parsons a New York. È una delle migliori, no? Oppure... Dove ti piacerebbe andare, se potessi sceglierne una da qualsiasi parte del mondo?»
Era vero, sia la Green Valley, sia la Parsons erano riconosciute a livello mondiale, ma se doveva pensare davvero all'università dei suoi sogni non era lì che i suoi pensieri lo portavano.
Oltre al Royal College di Londra, era all'Accademia di Arti Visive di Parigi su cui la sua mente correva. Era una di quelle scuole che non aveva più dimenticato, da quando ci aveva messo sopra gli occhi, anni prima. Non solo perché aveva un'ottima fama e sarebbe stato un onore studiare lì, ma anche perché amava Parigi. L'aveva visitata tre volte, e ogni volta se ne era innamorato un pochino di più.
Era una città che gli sembrava libera, dove avrebbe potuto vivere la vita come desiderava viverla, senza nascondersi. O forse non c'era davvero niente di speciale tra quelle strade, forse non aveva niente in più rispetto a Londra, e gli appariva in quel modo solo perché era lontana da lì, dalle solite facce, da... Leo.
«Parigi» mormorò allora, sincero.
«Oh.» La sillaba che scappò dalle labbra di Leo gli fece portare svelto lo sguardo sul suo volto. Aveva abbassato gli occhi sul quaderno di matematica, e la sua espressione si era come rabbuiata. «Beh, certo, potevo immaginarlo» aggiunse poi, e il buio si dissipò in fretta quando gli rivolse un sorriso. «L'AAV, giusto?»
Se l'era immaginato, o la sua risposta davvero l'aveva rattristato?
Avresti voluto ti dicessi che sogno anche io gli Stati Uniti?
Simon annuì. «Sì, l'Accademia di Arti Visive.»
Ma la verità era che gli Stati Uniti non lo attiravano per niente, non l'avevano mai fatto. Desiderava viaggiare e gli Usa sarebbero senz'altro stati una tappa, prima o poi, ma se avesse dovuto scegliere un posto dove vivere avrebbe preferito rimanere lì, nel loro vecchio continente, o in Asia, che lo incuriosiva molto di più.
La Green Valley ha un ottimo programma di fotografia.
Perché gliel'aveva fatto notare? Lo avrebbe voluto lì con lui?
Perché?
«Io negli Stati Uniti e tu in Francia, eh?» gli chiese Leo, con una leggerezza che mal si sposava con il peso che gli si era depositato addosso.
Anche solo la possibilità di quella separazione gli apriva una voragine nello stomaco.
Sapeva che prima o poi sarebbe accaduto, ma non così presto.
Perché non possiamo restare entrambi qui, Leo?
Perché il suo futuro era molto più importante della loro amicizia.
Simon scoppiò appositamente in una risata, che sperò non apparisse tetra come si sentiva lui. «Corri troppo, come sempre» gli disse, sistemandosi meglio sul letto. «O almeno, corri troppo per me. Già tanto se mi prenderanno alla Westminster.»
Certo, non l'avrebbe schifata, ma era comunque la sua scelta sicura.
Leo roteò gli occhi. «Ma smettila, non hai neanche diciassette anni e hai un portfolio spettacolare. In questi due anni non farai altro che migliorare.»
«Il problema non è il mio portfolio, Leo» ribatté, picchiettando il libro. «Il problema è la respirazione cellulare. Iniziamo a passare decentemente i GCSE, poi ne potremo parlare.»
Ovviamente entrambi avrebbero continuato con il dodicesimo e il tredicesimo anno di scuola, dato che senza gli esami A-levels era impossibile accadere all'istruzione universitaria.
Avevano ancora due anni davanti a loro.
Uno per scegliere concretamente le opzioni universitarie, dato che il processo di selezione iniziava durante l'ultimo anno di scuola.
Ma avevano ancora tempo.
Aveva bisogno di fingere che avessero ancora tempo.
Ti prego, smettiamola di parlarne.
«Piuttosto di pensare a cosa faremo tra due anni» disse, interrompendo sul nascere qualsiasi cosa Leo stesse per ribattere. «Pensiamo a cosa faremo quest'estate. Dici che a tuo nonno dispiacerebbe se ci imbucassimo a casa sua durante le vacanze?»
Il nonno materno di Leo abitava sulla costa vicino Brighton. Né lui né Leo sarebbero partiti con le loro famiglie, quell'estate. L'idea di passare due mesi bloccato a Londra non lo allettava per niente. In più, si sarebbero meritati una vacanza alla fine degli esami.
«No, non gli dispiacerebbe per niente» gli rispose, con sicurezza, Leo. «Io però tutto luglio dovrò stare qui a fare da babysitter a Rain e Sun. Partono per il solito campo estivo i primi di agosto» aggiunse, pensieroso. «Possiamo andare dopo, no? Passiamo il mio diciassettesimo lì.»
«Che onore, hai intenzione di concedermi per il secondo anno di fila la tua presenza al tuo compleanno?» scherzò.
«Come se avessi mai desiderato passarlo con qualcuno di diverso» ribatté Leo, e Simon si immobilizzò, per quella frase uscita con leggerezza dalle sue labbra. Perché mi dici queste cose, Leo? «Quest'anno potremmo andare a caccia di stelle cadenti sulla spiaggia! Quando ci ripenso, ancora mi dispiace un sacco che le foto dell'anno scorso si siano rovinate. Sarebbero state un'aggiunta perfetta al tuo portfolio.»
Simon scostò lo sguardo, ancora colpevole della bugia che gli aveva detto un anno prima. «Già, un vero peccato» mormorò, pensando a quei negativi perfettamente conservati nel suo armadio, a quella foto di Leo sotto le stelle che lo rendeva geloso al solo pensiero che potesse essere vista da occhi diversi dai suoi.
«Beh, dai, ti rifarai quest'anno» lo rassicurò, allegro. «Ora torniamo...» si interruppe, quando alle loro orecchie arrivò un grido e poi la casa parve iniziare a tremare a causa dei passi frettolosi e pesanti che si inerpicarono sulla scala di legno che portava al piano mansardato.
Simon portò lo sguardo alla porta della camera, che era aperta, e non si sorprese di vedervi capitolare dentro Rain, seguito subito dopo da Sun.
«Sun ha fame!» esclamò lui, con la sua vocetta acuta.
Sun gli diede un colpo sulla testa. «Sei tu che hai fame! Ti ho detto che stanno studiando, non li devi disturbare!»
Rain indicò una mano di Sun, posata sullo stomaco. «Sì, ma sei tu che ti tieni la pancia, l'ho fatto per te!»
«Non dare la colpa a me» ribatté, imbronciata, Sun.
Rain incrociò le braccia al petto. «Invece sì, perché io ho fame solo perché hai fame tu.»
Simon, divertito, guardò l'ora sul cellulare, mentre i gemelli iniziavano a parlare uno sopra l'altro, rendendo indistinguibile quanto si stavano dicendo.
Erano effettivamente le sette di sera.
«Pausa cena?» chiese a Leo, che stava guardando i suoi fratelli con un'aria esasperata.
I suoi genitori erano entrambi a lavoro per il turno notturno, mentre April viveva ormai da un anno nello studentato dell'UCL. Toccava a Leo prendersi cura di loro.
«Pausa cena» acconsentì.
Simon si alzò dal letto e andò verso il terribile duo. «Ok, ok, ok» disse ad alta voce, mettendosi in mezzo a loro per dividerli fisicamente. «Qualcuno ha detto pasta con il sugo di nonna Aurora?»
I loro occhi si illuminarono, e li portarono veloci verso Leo, che si era avvicinato. «Davvero?»
Leo annuì. «Sì, l'ho scongelato.»
I gemelli emisero lo stesso identico stridulo di gioia, e poi corsero via per la stanza, con la stessa velocità con cui ci erano entrati.
«Se cadete dalle scale non vi porto al pronto soccorso!» urlò loro dietro, per poi seguirli con un sospiro rassegnato. Si fermò però sulla soglia e si voltò verso di lui. «Porta il libro di biologia, Sim. Racconterai la respirazione cellulare a Sun e Rain, e dovranno capirla.»
Simon gli fece il verso, ma poi tornò indietro verso il letto per prendere il libro.
Prima di uscire dalla stanza, guardò in direzione della bacheca in sughero di Leo, appesa a uno dei muri. La foto del tramonto al Brooklyn Bridge Park, quello scatto che Leo aveva fatto tre estati prima, era lì, come lo era da quel giorno in cui Simon l'aveva scelta dal mucchio di fotografie e gli aveva ordinato di appenderla. Risaltava, in mezzo alle altre immagini che raccontavano la loro vita.
Ogni volta che vi posava sopra gli occhi, Simon sorrideva, divertito, al ricordo di quel giorno, del viso imbronciato di Leo quando aveva guardato le fotografie, di quanto si erano poi promessi.
Ora, invece, sentì solo una voragine che rischiava di annientarlo.
Eccolo, il posto che glielo avrebbe portato via, prima o poi.
New York.
Simon rimase a fissarla con una punta di risentimento, sentendosi uno stupido ma non potendo comandare il suo corpo a non provare quella sensazione.
Poi, però, ricordò il modo in cui le loro mani si erano intrecciate, il modo in cui Leo lo aveva guardato con occhi luminosi, il modo in cui le loro labbra si erano aperte per suggellare la loro promessa.
Accanto al fastidio si fece largo anche il sollievo.
Comunque andrà, avremo per sempre un tramonto a unirci.
*
Una delle abilità di cui Simon andava più fiero era quella di sapersi addormentare subito, appena chiudeva gli occhi: non aveva importanza dove si trovasse, quanto fosse stanco e se ci fosse luce o rumore. Nel momento in cui faceva intendere al suo cervello di voler dormire, il suo cervello lo accontentava nel giro di qualche minuto.
Nessun pensiero scomodo, nessun rimuginare, nessuna insonnia.
Quella notte, però, sembrava aver perso tutto d'un tratto il potere di cui si vantava da anni: lui e Leo erano andati a dormire ancora prima di mezzanotte, e l'ora sullo schermo del cellulare segnava già l'una.
Era ancora sveglio.
Era irrequieto, ansioso.
Quanto gli aveva detto Leo prima di cena risuonava ancora nella sua testa, impossibile da silenziare.
Non era la prima volta che parlavano del loro futuro, eppure era la prima volta che lo sentiva vicino.
Forse perché se fosse andato a studiare all'estero il tempo della loro separazione si sarebbe decisamente accorciato.
Davvero tra due anni non saremo più noi, Leo?
Non era la prima volta che parlavano delle diverse strade che avrebbero voluto intraprendere in futuro, eppure era la prima volta che quelle strade gli sembravano irrimediabilmente parallele. Anzi, incidenti: si erano incontrate nello spazio in un unico punto in comune, e poi si sarebbero divise per non incontrarsi mai più.
Almeno andrò forte all'esame di matematica.
Simon rilasciò un grugnito e poi strizzò gli occhi, come se quello potesse obbligare la sua mente a silenziarsi e a portarlo all'oblio del sonno.
Non funzionò, ovviamente.
Frustrato, si girò su un fianco, dando le spalle a Leo.
La Green Valley ha un ottimo programma di fotografia.
Simon guardò dritto davanti a sé, alla lucina rossa della televisione.
Poteva davvero prendere in considerazione di fare domanda lì, alla stessa università in cui aveva in mente di farla Leo?
Sto davvero pensando di seguirlo negli Stati Uniti, un posto che non mi interessa minimamente? Chi diavolo farebbe una cosa del genere per il suo migliore amico?
Era una follia, eppure l'idea che ci fosse almeno una università in cui entrambi avrebbero avuto la possibilità di entrare lo faceva sentire più al sicuro. Lì a Londra ce n'erano diverse che avrebbero potuto frequentare insieme, a incominciare da quella di Westminster. Ma a quanto pareva, Leo non voleva rimanere a Londra.
Potrei provare, non mi costerebbe niente.
Chiuse gli occhi, scuotendo la testa sul cuscino. Era un idiota solo per starlo pensando. Era un idiota senza speranze.
Perché me l'hai detto, Leo? Non mi vuoi nello stesso modo in cui ti voglio io, lo so. Allora perché mi hai proposto di seguirti?
Perché era Leo, perché erano amici da dodici anni, perché doveva fargli comodo la sua presenza in una città sconosciuta, in un Paese dall'altra parte dell'oceano, in un ambiente del tutto nuovo.
Perché erano abituati a non lasciare l'uno il fianco dell'altro.
Ti fa paura quanto fa paura a me?
Simon risollevò con uno scatto le palpebre quando Leo si avvicinò a lui. Sentì prima il movimento sul letto, poi il fiato infrangersi sulla sua pelle, e infine il braccio di lui si fece strada sul suo fianco. Rimase immobile, quasi trattenendo il respiro, mente Leo si sistemava. Aderì il petto alla sua schiena e poi mosse la testa sul cuscino, come se vi stesse scavando per una posizione migliore. Le labbra rimasero a sfiorare il retro del suo collo.
Dio, Leo. Perché lo fai?
Era una tortura.
Una dolce e bellissima tortura a cui non voleva mettere fine e che aspettava tutte le notti che dormivano insieme. Era infatti una consuetudine. Spesso, nel sonno, Leo lo attirava a sé, oppure era Simon a farlo, tanto che quando si risvegliavano si ritrovavano sempre intrecciati.
Era un idiota. Un idiota senza speranze.
Così Simon cedette anche quella sera, e si aggiustò meglio nell'abbraccio di Leo per trovare una posizione più comoda. Fu un errore, uno dei tantissimi errori che iniziavano da quello più grande: permettere tutta quella vicinanza.
Tirandosi indietro, sfiorò con il sedere il grembo di Leo e il fiato gli si fermò nel petto.
Cristo santo.
Aveva una cazzo di erezione.
Era la prima volta che succedeva, o almeno era la prima volta che lui se ne accorgeva, e la consapevolezza di avere il suo sesso duro lì, teoricamente a portata di mano, lo infiammò nel giro di un secondo.
Certo, era una di quelle erezioni notturne che non avevano niente a che vedere con il contesto, con lui, ma...
Cristo santo.
Simon non aveva mai visto nudo Leo, nemmeno negli spogliatoi della scuola, dove il suo amico si cambiava lontano da tutti. L'aveva però visto in mutande, per non parlare dei costumi delle gare di nuoto che lasciavano poco spazio all'immaginazione, e si era quindi fatto un'idea.
Non aveva però mai avuto modo di capire se l'idea che si era fatto – bella, molto bella – corrispondesse davvero alla realtà.
E ora...
Cristo santo.
Simon vi indugiò, e chiuse gli occhi. Non poté fare a meno di pensare a come sarebbe stato girarsi in quell'abbraccio, far scorrere la sua mano lì, allargargli i pantaloncini del pigiama per tirarlo fuori. Non poté fare a meno di pensare a come sarebbe stato fare la stessa cosa con il suo, unire i loro sessi e masturbarli insieme. Non poté fare a meno di pensare a come sarebbero stati i suoi gemiti, e alla melodia che avrebbero creato uniti ai propri.
Chi li ha sentiti, Leo? Chi ha avuto il piacere di conoscerli?
Perché se c'era una cosa che non era cambiata in tutto quel tempo, era che Leo ancora non gli aveva mai parlato di nessuno, ma Simon non poteva credere che un ragazzo come Leo non avesse avuto nessuna esperienza. Non aveva idea del perché non gli confessasse niente, forse perché non aveva ancora trovato davvero nessuno di serio, e Leo non era un ragazzo che perdeva tempo a raccontare cose di poca importanza.
Figurati, la prima persona che mi presenterà sarà quella che avrà intenzione di sposare, probabilmente.
Il fastidio si fece largo in lui, e Simon risollevò le palpebre. L'erezione di Leo premeva ancora sul suo corpo, così prese un respiro profondo e si scostò, consapevole non fosse giusto approfittare della situazione.
Leo però non sembrò dello stesso avviso. Cacciò un lamento insoddisfatto, e poi se lo riportò addosso, stringendosi al suo corpo con ancora più fermezza. Si mosse, e la sua erezione si piantò tra le sue natiche.
Che cazzo c'hai stanotte, Leo?
Il suo sesso si era ormai risvegliato, fin troppo interessato a quello che sentiva. La pressione nei suoi boxer era un misto di piacere e disagio che non poteva ignorare, non se voleva almeno provare a dormire qualche ora per non arrivare del tutto rincoglionito all'esame di biologia.
Questa volta con delicatezza, si tolse il braccio di Leo da dosso e poi si alzò, buttando giù le gambe dal letto frettolosamente. Sentì Leo muoversi come alla sua ricerca, ma non si voltò a guardarlo, impaurito che potesse svegliarsi da un momento all'altro.
Si mosse con sicurezza nell'oscurità della camera, conoscendo a memoria gli spazi e la strada per arrivare alla porta. La aprì quanto gli bastava per uscire, e poi se la chiuse il più silenziosamente possibile dietro.
Recuperò un profondo respiro, gettando uno sguardo alla porta della stanza inoccupata di April. Lo distolse però subito, cancellando l'idea. Non si poteva masturbare in camera della sorella di Leo, cazzo. Già solo il pensiero di farlo in un qualsiasi spazio della casa lo faceva sentire una merda.
Non l'aveva mai fatto, nonostante quella non fosse la prima volta che si ritrovava con un'erezione nel letto di Leo. Si era sempre frenato dall'alzarsi per rispondere a quel bisogno, architettando metodi sempre più efficaci per farsela passare nel minor tempo possibile.
Quella notte però ne aveva bisogno: voleva sfogare la sua irrequietezza, voleva dimenticare i loro discorsi, voleva provare piacere.
Impacciato, scese le scale per andare in bagno. Sapeva che i signori Davis non sarebbero tornati prima dell'alba, e i gemelli stavano ormai dormendo da ore.
Arrivò al primo piano e tagliò il corridoio cercando di fare meno rumore possibile, sentendosi un ladro. La porta era socchiusa, e Simon vi entrò senza neanche accendere la luce. La chiuse a chiave e vi si appoggiò con la schiena.
Le mani corsero ai pantaloni del pigiama e se li fece scivolare fino alle caviglie insieme ai boxer, provando subito un profondo sollievo. L'aria fresca era come un balsamo per la sua pelle accaldata, l'erezione non più costretta nel tessuto stretto che non permetteva al calore di disperdersi.
Simon chiuse gli occhi e la prese in mano, al sollievo si aggiunse il piacere.
Si arpionò il labbro inferiore per non farsi uscire neanche un gemito, trattenne il fiato per non farlo risuonare più del dovuto, e cominciò a masturbarsi, mentre la sua testa si affollava di immagini verso cui non aveva alcun tipo di controllo.
Leo.
Si immaginò insieme a lui, al piano di sopra, nel suo letto.
Si immaginò insieme a lui nella stessa posizione che lo aveva incendiato.
Si immaginò la mano di Leo correre sul suo fianco, ma non fermarsi lì: scendere verso l'elastico dei suoi pantaloni, intrufolarsi nelle sue mutande per stringere la sua erezione nel pugno, mentre quella di lui strusciava sul suo sedere.
Ma per quanto quella fantasia fosse piacevole, non era così che desiderava Leo.
Così si immaginò girarsi nel suo abbraccio, per poi voltarlo a pancia in giù contro il materasso e mettersi a cavalcioni sulla sua schiena. Si immaginò chinarsi per baciare il retro del suo collo, per poi scendere lungo la colonna vertebrale fino ad arrivare al suo sedere.
Perché per Simon, il culo di Leo era un'opera d'arte, una che voleva possedere.
Si immaginò morderglielo, per poi allargare le sue natiche e immergervisi.
Un gemito scappò dalle sue labbra, e le gambe iniziarono a tremare, tanto che si lasciò scivolare a terra per trovare un appoggio sicuro.
Si immaginò stare lì, immerso in quella perfezione fino a quando i gemiti di Leo si facevano così sonori e la sua voce roca iniziava a rivolgergli delle suppliche.
Ti prego, Sim. Ti voglio dentro di me.
E allora Simon si immaginò tornare su, spalmarsi sul suo corpo mentre il suo sesso duro si faceva spazio nella sua stretta fessura. Non l'aveva mai fatto nella realtà. Non aveva idea di cosa si provasse a penetrare qualcuno, ma quello non fermò la sua fantasia.
Cristo.
Simon si masturbò lentamente, all'inizio, con dolcezza. Seguì il ritmo con cui avrebbe voluto prendere Leo, per fargli vedere quanto lo amasse, quanto lo venerasse, quanto lo desiderasse.
Ma poi, nella sua testa, quel Leo immaginario iniziò a pregarlo di andare più veloce, di fargli sentire il desiderio che aveva di unirsi a lui, così Simon lo fece: mosse la mano su di sé con una frenesia che non aveva mai usato per sé stesso, né per gli altri, e iniziò anche a muovere i fianchi, immaginando che suono avrebbero prodotto scontrandosi con il sedere di lui.
Il controllo gli sfuggì dalle mani.
Era sommerso dal piacere, era sommerso da una musica feroce che non aveva mai sentito con gli altri ragazzi, era sommerso da delle immagini che non sarebbero mai diventate realtà.
Venne, il fiato così frammentato e fuori controllo da sembrare quasi quello di chi sta piangendo tutte le sue lacrime.
Venne, i muscoli così contratti che gli sembrò impossibile potessero tornare a uno stato di rilassamento.
Venne, riversandosi nella mano con cui si era racchiuso per evitare di sporcarsi la maglietta del pigiama.
Venne, e poi rimase così per un tempo indefinito, ad aspettare che il suo corpo si scaricasse, aspettando che i brividi scemassero, aspettando che il piacere si dissolvesse per far spazio alla vergogna e ai sensi di colpa.
Sapeva che sarebbero arrivati: non era la prima volta che si masturbava immaginando Leo.
Era però la prima volta che se lo immaginava in quel modo, era la prima volta che la sua mente gli proiettava un sesso di quel tipo, era la prima volta che aveva un orgasmo così intenso.
E se aveva goduto così tanto per una fantasia, quanto avrebbe goduto per la realtà?
Perché ti devo desiderare così tanto, Leo?
Simon riaprì gli occhi e, disfatto, si alzò. Si sciacquò, si lavò le mani con una quantità esagerata di sapone e poi si rivestì. Fu felice di non avere acceso la luce: guardarsi allo specchio era l'ultima cosa che desiderava fare in quel momento.
Uscì dal bagno, allo stesso tempo più leggero e più pesante di quando vi era entrato.
Con passo felpato, ritornò in camera.
Provò esitazione a stendersi di nuovo accanto a Leo, il suo orgasmo così vicino, quello che aveva immaginato ancora fresco nei suoi pensieri. Ma alla fine cedette, come sempre cedeva, anche perché non aveva altre possibilità.
Si rimise sotto il lenzuolo, notando con sollievo che Leo si era spostato dal suo posto.
Tra di loro c'era di nuovo distanza.
Si sarebbe addormentato, e aveva il sonno pesante: se Leo lo avrebbe ripreso nel sonno, questa volta non se ne sarebbe accorto, non fino a quando avrebbe aperto gli occhi la mattina dopo.
Era esausto, così abbassò le palpebre, pregando che il suo cervello avesse riacquistato la sua straordinaria abilità.
Fammi addormentare, mandami nell'oblio.
«Sim?»
Merda.
Sapeva di non poter far finta di niente. Leo si doveva essere svegliato accorgendosi che lui non c'era, e doveva quindi averlo sentito entrare e risistemarsi a letto. In condizioni normali, Simon era veloce a riaddormentarsi, ma non così veloce.
«Sì?» mormorò in risposta.
Il movimento sul materasso gli fece capire che Leo si era rigirato verso di lui. Erano ora uno di fronte all'altro, anche se Simon non poteva vederlo. La stanza era così buia che non permetteva di distinguere niente.
Meno male, pensò, consapevole che la colpa e la vergogna dovevano essere scritti ovunque sul suo volto.
«Stai bene?» gli chiese Leo, la voce roca di sonno.
«Sì» ripeté, questa volta con convinzione.
Leo rimase in silenzio, e Simon si ritrovò a sperare che quell'intermezzo notturno fosse finito, che il suo amico fosse di nuovo affacciato al mondo dei sogni.
Ma un attimo dopo, gli domandò: «Sei in ansia per biologia?».
Simon trattenne una risata ironica, perché l'esame di biologia era l'ultimo dei suoi pensieri.
«Sì» disse una terza volta, mentendo.
«Mh» mormorò Leo. Un nuovo avvicinamento, e un attimo dopo una mano di Leo si fece spazio sul suo braccio piegato verso il cuscino. Le sue dita iniziarono a scorrere sulla sua pelle, un'altra consuetudine, un gesto che faceva spesso per tranquillizzarlo. «Allora» disse poi, mentre Simon si impegnava a reprimere i brividi causati da quelle carezze. «La respirazione cellulare è il processo mediante il quale le cellule estraggono energia dal glucosio per produrre ATP. ATP sta per adenosina trifosfato, ed è la molecola energetica principale.»
«Leo» lo interruppe Simon, appena si rese conto che stava per recitargli tutto il capitolo del libro di biologia. «Dormi, se no domani all'esame ci arriviamo rincoglioniti tutti e due.»
Cercò di non pensare se l'erezione di Leo fosse ancora lì, e se fosse per quel motivo che stesse mantenendo una certa distanza tra di loro, scegliendo solo di far entrare le sue dita in contatto con la sua pelle. Cercò di non pensare se si fosse svegliato rendendosene conto e cosa dovesse aver pensato, o se quando aveva aperto gli occhi era già passata senza lasciare indietro nessuna traccia. Cercò di non pensare a quello che lui aveva fatto immaginandola.
«No» replicò Leo, con un tono che non ammetteva discussioni. «Devi passarlo a pieni voti, Sim. C'è in gioco la tua futura ammissione all'Accademia di Arti Visive.»
E il suo cuore, in quel momento, si riempì di così tanto amore per quel ragazzo che era disposto a ripetergli la respirazione cellulare alle due di notte, alla vigilia dell'esame, che Simon si sentì pieno e appagato come neanche l'orgasmo di poco prima l'aveva fatto sentire.
«Ok» gli concesse, la voce tremante.
«Non ti addormentare» gli disse, dandogli un pizzicotto come avvertimento.
Simon sorrise. «Non lo farò, continua.»
E Leo lo fece.
Simon chiuse gli occhi, ascoltando la sua voce assonnata che si espandeva sulla stanza, su di lui, mentre le dita continuavano quel gesto di conforto sul suo braccio.
E in quel momento la stretta al suo stomaco si dissolse, e non rimase niente della tristezza, del fastidio, della gelosia, della paura: perché qualcuno poteva anche averlo per il sesso, ma nessun altro lo aveva in quel modo.
Quel Leo era solo suo.
Di questo, ne era certo.
Ecco perché ti desidero tanto, Leo, pensò, mentre lui partiva a spiegargli la respirazione anaerobica. Perché il modo in cui ami tu rende impossibile non amarti allo stesso modo.
Leo lo amava, lo sapeva. Non come lo amava lui, dove l'amore si intrecciava a un desiderio logorante, ma era comunque amore.
E finché l'avrebbe provato solo per lui, se lo sarebbe fatto bastare.
*
*
*
Hi!
Più Simon cresce, più diventa difficile per lui stare attorno a Leo. Ma che gli dobbiamo dire? Anderson Wright Jr, che qui compare per un mini cameo (HI DEE), ha bene in mente cosa significa. Siamo tutti con te, Sim.
In questa shot iniziano a delinearsi i loro futuri, e prendere sempre più coscienza di quanto saranno diversi non sarà affatto facile, come sappiamo, per nessuno dei due.
A giovedì,
G.
[Dovrebbe esserci un GIF o un video qui. Aggiorna l'app ora per scoprirlo.]
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