1 - Promessa
Agosto 2015
Simon si rigirò il pacchetto delle caramelle tra le mani e alzò gli occhi al cielo, scrutando il grigiore. Nonostante le nubi sembrassero cariche di pioggia, sperò che il tempo avrebbe retto per tutto il pomeriggio.
Soprappensiero, si portò una caramella ripiena alla bocca, e poi fece una smorfia di disgusto. Non aveva controllato, e ne aveva mangiata una alla fragola. Gli faceva schifo il sapore delle fragole.
«Sim!»
Si guardò attorno, e sorrise quando vide Leo sbracciarsi sul marciapiede opposto. Simon si indicò il petto e poi indicò lui, ponendogli una domanda silenziosa a cui Leo rispose indicandosi a sua volta. Rimase allora al suo posto, la schiena appoggiata al muro di un negozio, aspettando che fosse lui a raggiungerlo.
Nel tempo che ci mise il semaforo pedonale a diventare verde, Simon non poté fare a meno di scrutare il suo migliore amico, curioso.
Tra il suo viaggio in Francia a luglio, e quello di Leo negli Stati Uniti ad agosto, non si erano visti per quasi un mese.
Si erano già rincontrati da quando Leo era tornato una settimana prima — Simon l'aveva aspettato davanti alla porta di casa il giorno del suo arrivo, impaziente di potergli finalmente dare il regalo di compleanno che gli aveva preso durante il suo viaggio —, eppure ancora non si era abituato a quanto fosse cambiato nel tempo che erano stati separati.
Si era fatto più alto, le spalle erano più larghe e il viso si era come cesellato, i lineamenti molto più affilati e maturi. Per non parlare della voce, che aveva perso il timbro bianco e si era fatta più profonda, tanto che quando Simon l'aveva sentita per la prima volta dal vivo e non attraverso i messaggi vocali che si erano scambiati in quel periodo ne era rimasto spaesato.
Era cresciuto. Non come lui, o almeno Simon non riusciva a vedere in sé tutti i cambiamenti che vedeva nel suo migliore amico.
Magari succederà quando anche io compirò i quattordici anni a novembre.
Il semaforo diventò verde, e Leo lo raggiunse a passo svelto.
Simon si mise in bocca un'altra caramella – al limone, questa volta – e gli disse: «Sei in ritardo».
Leo aggrottò la fronte e guardò l'ora sul cellulare che stringeva in mano. «Non sono in ritardo» replicò, con quella voce che suonava ancora estranea alle orecchie di Simon. Poi lo sbirciò di sottecchi. «Sei tu che sei stranamente in anticipo.»
Simon si strinse nelle spalle e poi gli porse il pacchetto di caramelle. «Non vedo l'ora di vedere questi capolavori d'autore» lo prese in giro.
Leo scelse accuratamente la caramella – all'arancia, come sempre faceva – e il suo viso si illuminò di felicità, non cogliendo la sua ironia. «Andiamo a prenderle!»
Simon scosse la testa, divertito, e poi si incamminò dietro di lui.
Dovevano andare in un negozio di articoli per la fotografia lì vicino a ritirare delle foto che Leo aveva scattato a New York con una vecchia macchinetta Kodak usa e getta.
Simon gli aveva detto che era inutile che sprecasse soldi, gliele avrebbe potute sviluppare lui, ma Leo era stato categorico: voleva che fossero una sorpresa e che le vedessero insieme solo una volta che erano tutte pronte.
Era così entusiasta al pensiero delle foto che aveva scattato che Simon non aveva avuto il coraggio di dirgli niente; Leo non era capace di fare una bella foto neanche con la fotocamera super tecnologica del suo cellulare in cui bastava puntare l'obiettivo e premere un tasto, era proprio curioso di vedere cosa era riuscito a combinare con una fotocamera di quel tipo.
Simon adorava la fotografia, fin da quando aveva preso in mano una compatta macchinetta digitale. Non ricordava neanche lui che età aveva avuto, forse sei anni. Da lì, era diventata una passione che i suoi genitori avevano assecondato e che era solo accresciuta nel tempo.
Aveva imparato da autodidatta, aiutato da suo papà, e aveva seguito poi qualche corso a scuola. Aveva un sacco di fotocamere diverse, obiettivi e strumenti. Aveva anche creato una camera oscura nello scantinato.
Sapeva destreggiarsi tra diverse tipologie di fotocamere, ma amava soprattutto quelle vecchie a pellicola, quelle che non permettono di vedere il risultato subito, quelle il cui lavoro non finisce nel momento in cui scatti.
Della fotografia amava la possibilità che dava, quella di immortalare un viso, un paesaggio, un qualcosa di effimero per renderlo duraturo e immortale. Amava che si potesse catturare su pellicola un'immagine che si sarebbe per sempre fermata nel tempo, un qualcosa che sarebbe rimasto immutato anche se quel qualcosa stesso sarebbe cambiato, o addirittura sparito.
La fotografia dava la possibilità di restare.
«Oh, a proposito» disse Leo, leggero, come se si fosse appena ricordato qualcosa. «Ciao.» Simon sentì le labbra del suo amico sfiorargli con delicatezza una tempia. «Non ti ho salutato bene.»
Il fiato di Leo si infranse sul suo viso, e Simon sentì la pelle ribollire lì dove si era posata la bocca di lui per quel breve secondo. Puntò lo sguardo in basso, alle proprie scarpe di tela.
Simon non aveva mai fatto caso a quanto fossero fisici lui e Leo, e non l'aveva mai quindi considerato strano: l'aveva sempre preso come un fatto naturale della loro amicizia. Si abbracciavano senza un secondo pensiero, stavano sempre incollati l'uno all'altro, si lasciavano di tanto in tanto baci sul viso nei momenti più disparati della giornata.
Quell'estate, però, qualcosa era cambiato.
Era accaduto all'improvviso, ed era un cambiamento recentissimo.
Quando Leo era sceso dal taxi che aveva riportato lui e la sua intera famiglia davanti casa dall'aeroporto di Londra ed entrambi erano corsi l'uno verso l'altro, Simon aveva provato... qualcosa... quando i loro corpi si erano uniti in un abbraccio.
La felicità iniziale di riavere il suo migliore amico, aveva lasciato spazio a un timido imbarazzo quando aveva sentito le mani di Leo scorrere lungo la sua schiena in una delle loro solite carezze. Si era districato dalle sue braccia con la pelle in fiamme.
Non avrebbe saputo dire perché provasse tutto d'un tratto quell'imbarazzo, sapeva solo che si era accentuato sempre di più, nei giorni passati, soprattutto da dopo che aveva iniziato a notare tutti quei cambiamenti sul volto e corpo di lui.
Forse perché erano stati separati un mese, e dovevano ritrovare la loro naturale vicinanza.
Forse perché la maturità di Leo gli aveva fatto realizzare che non erano più dei bambini.
Forse perché aveva iniziato a notare che erano gli unici a lasciarsi andare a quei gesti di affetto.
Simon prese un'altra caramella. «Non pensi che sia strano?» gli domandò, la voce bassa.
«Cosa?» gli chiese di rimando Leo.
Simon indicò con un dito il punto dove gli aveva lasciato il bacio. «Non lo fa nessuno.»
Leo rimase in silenzio qualche secondo, ma poi capì cosa stava cercando di dirgli. «Sei il mio migliore amico, non posso darti un bacio?»
«Non dico che non puoi ma...» provò a spiegarsi, a mettere insieme quei pensieri che non capiva neanche lui. «Non lo so, hai mai visto gli altri darsi baci?»
«Le ragazze lo fanno sempre» gli rispose Leo, una replica veloce come se non avesse bisogno di pensarci, come se avesse già pensato anche lui a quelle cose e sapesse perfettamente cosa dire. O forse, semplicemente, come se per lui fosse del tutto normale. «Stanno sempre ad abbracciarsi e a baciarsi, perché noi non lo possiamo fare?»
«Boh, perché siamo maschi» mormorò lui, scalciando qualcosa di invisibile per terra.
«E quindi? C'è una regola che impedisce di dare un bacio al tuo migliore amico se siete entrambi maschi? Se sì, è ridicola» ribatté prontamente Leo, una nota infastidita nel tono di voce. Fece una pausa, che Simon non si sentì di riempire in alcun modo, e poi aggiunse, titubante: «A meno che... Ti dà fastidio?».
Simon si affrettò a scuotere la testa. «No.»
Era vero, non gli dava fastidio, eppure ne era diventato molto cosciente. La loro vicinanza non lo lasciava più indifferente, anche se non avrebbe saputo ricondurre quell'emozione che lo agitava a qualcosa di conosciuto.
O meglio, sapeva che era imbarazzo, ma non sapeva perché lo provasse.
«Ok, allora chissene frega di cosa fanno o non fanno gli altri» concluse Leo, la voce di nuovo allegra, e poi si chinò ancora nella sua direzione, svelto, per dargliene un altro.
Simon alzò gli occhi al cielo. «Sì, ok, ora vuoi solo darmi fastidio.»
Gli gettò un'occhiata di sbieco, quando lui si lasciò andare a una risata leggera, e poi arricciò il naso, sorpreso dall'odore che rimase ad aleggiare attorno a lui. L'aveva già notato prima, ma aveva pensato fosse venuto da qualcuno che gli era passato accanto. Invece, si rese conto ora che doveva venire proprio da Leo. Non avrebbe saputo riconoscere che tipo di odore fosse, ma sapeva che era una novità. Leo non aveva mai odorato in quel modo.
È profumo? Da quando se lo mette?
Leo si accorse del suo sguardo, e gliene rimandò uno confuso. «E ora che c'è?»
Simon si strinse nelle spalle. «Niente, è che sei diverso.»
La confusione nei suoi occhi si accentuò ancora di più. «In che senso?»
Simon riportò lo sguardo in avanti. «Non lo so, sei diverso e basta.»
«Uhm» mormorò pensieroso Leo. «Mamma dice che sono cresciuto un sacco. Lo sai che mi sono alzato di cinque centimetri?»
Sì, lo aveva notato. Non di quanti centimetri si fosse alzato, ma era stato impossibile non accorgersi della loro nuova differenza di altezza. Erano stati alti uguali alla fine della scuola. Non lo erano più.
«Io no» borbottò deluso, ficcandosi un'altra caramella in bocca.
Leo allungò una mano verso il pacchetto per prenderne una seconda, e lo sguardo indagatore di Simon si concentrò sulle sue dita. Sembravano più affusolate, delicate.
Ma ha fatto la muta?
«Però sei cambiato anche tu» considerò Leo.
Simon tornò a guardarlo. «Davvero?» gli chiese, il tono speranzoso.
Non voleva essere l'unico a tornare a scuola a essere rimasto uguale a quando l'avevano finita. Avrebbero affrontato il loro ultimo anno di KS3, erano grandi, ormai.
Leo annuì, iniziò a masticare la caramella e portò la mano ai suoi capelli. Glieli scompigliò. «Hai la Foresta Nera in testa.»
Simon sentì le guance andare in fiamme. «Ah-ah» canzonò, imbarazzato per la sua considerazione. Gli scacciò via la mano con un colpo secco. «Simpatico, Leo.»
Erano il suo nuovo orgoglio, era fiero di quel groviglio di capelli neri che gli ricadevano sulla fronte. Non se li tagliava da mesi, e li avrebbe protetti da chiunque. Quando sua madre, prima di partire per le vacanze, aveva portato suo fratello a tagliarli e gli aveva detto: vieni anche tu, gli diamo solo una sistemata, Simon si era andato a chiudere a chiave in bagno. Non era uscito fino a quando non li aveva sentiti uscire di casa.
Simon si fermò. Erano arrivati davanti al negozio. Guardò il pacchetto di caramelle e fece una smorfia, quando si rese conto che erano rimaste solo quelle alla fragola. Lo passò a Leo. Anche lui non ne andava pazzo, ma le finiva comunque per non sprecarle.
Assottigliò gli occhi quando notò che Leo, ora di fronte a lui, lo stava scrutando pensieroso. O meglio, stava scrutando i suoi capelli. «Che c'è?» fu la sua volta di chiedere.
Leo, di nuovo, alzò una mano verso la sua testa e gli scostò alcune ciocche dalla fronte. Non la allontanò subito, e questa volta Simon non si scostò. Fece passare le dita in quel groviglio, come se volesse districarlo, e poi mormorò, la voce bassa, pensierosa quanto il suo sguardo: «Mi piacciono».
Poi gli occhi di Leo cercarono i suoi, il grigio e l'azzurro delle loro iridi si mescolarono come le nuvole e il cielo sopra di loro. Gli sorrise, e Simon notò le fossette che fecero una timida apparizione sulle sue guance.
Da quando aveva le fossette? Doveva essere una novità anche quella.
Non sono sicuro che mi piacciano tutte queste novità.
Simon sentì il suo stomaco attorcigliarsi, e si schiarì la voce, vergognandosi di quanto fosse ancora bambinesca in confronto a quella del suo amico. «Va bene» borbottò, non sapendo cosa rispondergli.
Il suo tono dovette suonare poco convinto, perché Leo aggrottò la fronte e insistette: «Dico davvero. Ti stanno bene».
Simon scostò lo sguardo e si umettò le labbra. «Ricordati di dirlo a mia mamma, la prossima volta che la vedi. Credo che stia complottando di tagliarmeli mentre dormo.»
Leo scoppiò a ridere, questa volta una risata piena e liberatoria. Era un'altra cosa di lui che era cambiata e a cui doveva ancora abituarsi. Era così diversa che riusciva a frastornargli i pensieri. «Lo farò, difenderò la tua foresta nera fino al mio ultimo respiro. Lo prometto.»
Simon roteò gli occhi e gli spintonò una spalla. «Idiota.»
Leo lasciò cadere il braccio lungo il corpo, liberandolo dalla presa sui suoi capelli, ma un istante dopo gli prese la mano. Simon non si era accorto di quanto il suo palmo fosse sudato, fino a quando non si trovò a contatto con quello fresco di lui. «Dai, andiamo a prendere le foto» gli disse, un rimasuglio di risata sulle labbra sottili.
Se lo trascinò appresso dentro il negozio, e Simon lo seguì in silenzio, portandosi la mano libera allo stomaco quando sentì una nuova morsa che glielo strinse.
Sbuffò infastidito. Come sempre, doveva aver mangiato troppe caramelle.
*
Nonostante il tempo incerto, il Battersea Park era pieno di gente.
Non solo di turisti, facilmente riconoscibili, ma anche di londinesi alla ricerca di un posto di quiete e svago, lontani dal grigiore e dai rumori della città.
Il Battersea era diventato il loro luogo da quando i loro genitori si erano sentiti al sicuro a lasciarli uscire da soli, l'estate prima, a patto che passassero il tempo tra quei cancelli. Era un perfetto punto di incontro: era a metà strada tra le loro case, facilmente raggiungibile a piedi o in bicicletta. Era anche il posto dove spesso, le loro mamme, si erano date appuntamento per farli giocare insieme quando erano piccoli.
Lui e Leo si erano conosciuti il primo giorno di scuola: lui ancora quattrenne, Leo da poco cinquenne.
Simon l'aveva notato ancora prima di mettere piede nei cancelli della scuola.
Qualcosa l'aveva spinto ad avvicinarsi per chiedergli se volesse entrare insieme a lui: forse il suo sguardo insicuro, forse il modo in cui se ne stava in disparte a lanciare occhiate poco convinte al gruppo degli altri studenti, forse il suo zaino di Spiderman – Simon amava Spiderman.
Dopo la sua domanda, Leo l'aveva scrutato per un lungo minuto, con le sue iridi grigie che a Simon erano sembrate lo specchio del cielo in quella fredda mattina londinese, e poi aveva annuito, senza mettere a voce una parola.
Simon aveva sentito il papà di Leo, che era stato accanto a loro, mormorare a sua mamma, che gli era corsa dietro quando lo aveva visto prendere la direzione di quel bambino: non parla tanto.
Lo aveva detto quasi a voler giustificare le sue labbra serrate, ma a Simon non era importato, avrebbe parlato per entrambi. Così gli aveva sorriso e lo aveva preso per mano, trascinandolo dentro la scuola senza neanche più gettare uno sguardo ai loro genitori.
Era stato contento quando aveva scoperto che erano nella stessa classe di Reception.
Da quella mattina, non si erano mai divisi.
Erano amici da nove anni, Simon sperava che sarebbero rimasti amici per tutta la vita. Anzi, non lo sperava. Era sicuro che lo sarebbero rimasti. Sarebbe stato impossibile il contrario, immaginare una vita senza di lui era una follia.
Si fermarono quando arrivarono davanti la Pagoda affacciata sul Tamigi.
Se il parco era il loro luogo, la Pagoda era il loro posto dentro il loro luogo.
C'erano scorci molto più belli tra quei cancelli, ma da quando avevano iniziato ad andarci da soli era sempre stato quello il loro punto di incontro e riposo. Forse perché, semplicemente, si trovava a metà dei cancelli diversi che usavano per entrare al Battersea.
Lui e Leo si incontravano sempre alla metà di tutto.
Leo non andò verso gli scalini – c'era effettivamente parecchia gente nelle vicinanze del monumento –, ma si fermò al piccolo pezzo di giardino lì davanti su cui era possibile sedersi.
C'erano solo altre due persone, sdraiate vicine a scambiarsi gesti affettuosi che gli facevano venire il voltastomaco, così riuscirono a ritagliarsi tutto lo spazio necessario.
«È ora!» esclamò Leo, su di giri.
Non aveva perso il sorriso che gli si era formato sulle labbra quando il commesso del negozio gli aveva dato quella busta bianca ricolma di fotografie. Non ne aveva voluta guardare neanche una. Aveva pagato a scatola chiusa.
Simon si sedette sull'erba accanto a lui. «È ora» ripeté, ricambiando il suo sorriso.
Leo aprì la busta e, con un'espressione carica di aspettative, tirò fuori una foto. Non la sbirciò prima, la mise sull'erba tra di loro, così che i loro occhi potessero vederla nello stesso momento.
Leo gli aveva già spiegato che aveva usato tutti e trentanove gli scatti della macchinetta per fotografare il tramonto su Manhattan dal Brooklyn Bridge Park.
Era uno spettacolo bellissimo, volevo fartelo vedere! Mi sono impegnato tantissimo a scattare belle foto per te.
Era stata una delle prime cose che gli aveva detto quando si erano rivisti, ancora prima di varcare la porta di casa.
Dalla foto che giaceva sull'erba, non si capiva niente di tutto quello: né che fosse in corso un tramonto – visto che il cielo non era neanche nell'inquadratura –, né che le ombre sfocate sullo sfondo fossero dei grattacieli – erano delle masse informi indistinguibili le une dalle altre –, né che quella striscia sovraesposta fosse l'East River – quanto più una chiazza troppo luminosa.
Simon strinse le labbra per non ridere e guardò Leo. Un solco di incomprensione si era formato tra le sue sopracciglia.
«Sarà uno dei primi scatti, si vede che non ci avevi preso ancora la mano» lo incoraggiò, dopo essersi schiarito la voce. «Dai, tira fuori le altre.»
Leo gli gettò un'occhiata poco convinta, ma poi annuì, e il suo viso riacquistò un po' della confidenza iniziale.
La seconda foto non fu migliore.
E neanche la terza.
Per non parlare della quarta.
Alcune erano tagliate, altre erano sfocate, altre erano storte, altre avevano dei riflessi che le rovinavano, altre erano tutte e quattro le cose insieme.
A ogni nuova foto che tirava fuori, il viso di Leo si scuriva e quello di Simon si faceva più rosso per la risata che aveva sempre più difficoltà a trattenere.
Quando ne tirò fuori una del pavimento sfocato del boardwalk del parco, una di quelle che si scattano per sbaglio, Simon non riuscì più a reprimerla. Scoppiò a ridere. Una sonora risata. Una risata che gli fece venire le lacrime agli occhi e gli fece portare le mani alla pancia.
«Scusa» provò a dire, senza riuscire a fermarsi, quando incrociò gli occhi torvi di Leo. «Scusa» ripeté, abbassando le palpebre.
Riprenditi, Simon.
Iniziò a rilasciare veloce aria per riprendere il controllo del fiato e di sé.
Quando ci riuscì, riaprì gli occhi e ritrovò quelli di Leo. Aveva il viso imbronciato, e Simon sorrise, perché in quel broncio riconobbe il suo migliore amico, l'espressione da bambino che gli aveva visto spesso.
È sempre lui.
Un calore gli si diffuse nel petto, e allungò le mani per raccogliere la busta da quelle di lui. «Dammi qui.»
Tirò fuori le foto che mancavano, circa la metà, e poi le sparpagliò sull'erba. Le scrutò una a una, raccogliendole per dividerle in diverse pile, selezionando in quel modo le migliori.
Tra le poche che passarono il turno, scelse quella che, anche se sfocata, aveva nell'inquadratura lo scenario migliore.
«Ecco» disse, passandogliela.
Leo non la prese. «Fa schifo, fanno schifo tutte.»
La sua voce era così scura che Simon lo guardò perplesso. «Ci sei davvero rimasto male?» gli chiese, lasciando fuoriuscire un po' del suo stupore. Sì, aveva capito che era stato molto eccitato per quelle fotografie, ma non si poteva aspettare la perfezione al primo tentativo. «Leo, non è facile fotografare il tramonto. Per di più, con una macchinetta di quel tipo.»
Leo scosse la testa. «Lascia stare, sono tutte da buttare.»
Iniziò a raccoglierle, probabilmente con l'intento di gettarle nel primo cestino disponibile, ma Simon lo fermò.
«No» gli disse, mettendo la mano su quella di lui. Simon ignorò l'inspiegabile pizzicore che gli si diffuse sulla pelle. «Queste le tengo io. Le hai fatte per me, quindi ci faccio quello che voglio.»
Leo lo guardò titubante. «Le vuoi davvero?»
Simon annuì. «Certo.» Gli rivolse un caldo sorriso, che Leo scrutò con incertezza. «Tu tieni questa» aggiunse, passandogli di nuovo quella che aveva scelto per lui.
Questa volta, Leo la prese, anche se con esitazione. «Cosa ci dovrei fare?» gli chiese, la voce lugubre.
«Conservarla, la appenderemo sulla tua bacheca.» Leo aveva in camera una bacheca di sughero su cui appendeva le foto che lui gli passava. «In questo modo sarà facile confrontarla con quella che faremo insieme. Sarà divertente vedere le differenze.»
Leo aggrottò la fronte, confuso. «Eh?»
Simon si portò una mano all'altezza del cuore. «Ti prometto che quando saremo grandi andremo insieme al Brooklyn Bridge Park e ti insegnerò a fotografare il tramonto come si deve.»
Leo sbatté un paio di volte le palpebre. «Sul serio?»
«Sul serio» giurò solennemente.
Sul volto del suo migliore amico si accese una luce che illuminò anche le sue iridi fredde. Lo stomaco di Simon fece una capriola. «Quando?» gli domandò, impaziente, come se fosse una cosa che avrebbero potuto fare in quel momento stesso.
«Non lo so» ammise, stringendosi nelle spalle. «Quando potremo finalmente viaggiare insieme.» Non vedeva l'ora che lui e Leo fossero grandi abbastanza per fare le loro vacanze. «Magari tra nove anni» aggiunse dopo qualche secondo.
«Perché proprio tra nove anni?» gli chiese Leo, curioso.
Era il primo numero che gli era venuto in mente, ma quando ci ragionò un attimo si rese conto che non era stato casuale. Spiegò: «Perché siamo amici da nove anni. Mi è più facile immaginare quindi questo tempo, percepirne la grandezza, se lo confronto con il tempo da cui siamo amici e tutto quello che abbiamo fatto da quando ci siamo conosciuti».
«Uhm» mormorò pensieroso Leo. «Sì, è vero. E poi mi piace il nove, è il giorno di entrambi i nostri compleanni!»
Non ci aveva pensato. Era vero. Leo era nato il 9 agosto, lui il 9 novembre.
Simon sorrise, smagliante. Amava quella coincidenza. «Come pensi che saremo tra nove anni?»
«Avremo...» Leo fece una pausa, come intento a calcolare qualcosa. Dopo qualche istante, infatti, esclamò: «Ventitré anni. Sarà il 2024!».
«Dovremmo esserci laureati, no?» considerò Simon, provando a immaginarsi un anno così lontano. Chissà come sarebbe stato il mondo. Chissà come sarebbero stati loro.
Ventitré anni.
Mamma mia, saremo grandissimi.
«Sì» confermò Leo. «Dovremmo aver finito la laurea triennale da un anno. E magari da poco anche il Master, se scegliamo di continuare ancora e ci iscriviamo a uno dalla durata di un anno.»
Leo voleva studiare Recitazione Teatrale, anche se non sapeva ancora dove.
Simon voleva studiare Fotografia, anche se non aveva idea di dove.
Sperava che si sarebbero iscritti alla stessa università: a Londra ce ne erano tantissime che offrivano entrambe le facoltà, ottime università super rinomate. Non avrebbero più seguito le stesse classi, ma almeno sarebbero rimasti vicini.
Simon gettò un'occhiata di sottecchi a Leo. «E tu vuoi andare a New York dopo la laurea, giusto?»
Leo annuì. «Mi piacerebbe molto, devi vedere che bella che è Broadway!»
Come Simon aveva da anni la passione per la fotografia, Leo aveva da anni quella per il teatro. Il suo viaggio a New York lo aveva lasciato curioso di come sarebbe potuto essere un possibile futuro lì, negli Stati Uniti, in quella città famosa per i suoi teatri. Quando era tornato, gli aveva infatti subito confessato che non gli sarebbe dispiaciuto andare lì a tentare la fortuna, una volta laureato.
Simon non voleva restare senza il suo migliore amico, ma anche lui, in realtà, quando si immaginava il futuro non si vedeva lì a Londra: gli sarebbe piaciuto girare il mondo per fotografarne ogni angolo.
Ricacciò indietro quei pensieri, perché non voleva pensare alla prospettiva che un giorno lui e Leo si sarebbero dovuti separare, e disse: «Beh, allora vedi, nove anni sono perfetti! Dopo la laurea tu andrai a Broadway, perché sei bravissimo e arriverai lì senza problemi, e io verrò con te».
Negli occhi di Leo si fece avanti un po' di sorpresa. «Davvero? Ma il tuo sogno è viaggiare il mondo!»
Simon si strinse nelle spalle. «Sì, ma prima di farlo verrò con te a New York» gli disse, mettendo nel sorriso che gli rivolse tutta la confidenza che provava. «A fotografare il tramonto» aggiunse, picchiettando con un dito la foto che aveva scelto per Leo e che il suo amico stava ancora tenendo tra le mani.
Leo non abbassò gli occhi su quella. Il suo sguardo rimase puntato nel suo, per un tempo così lungo che Simon provò, per la prima volta nella sua vita, difficoltà a sostenerlo. Sentì il suo sorriso vacillare, ma si impegnò per mantenerlo saldo, insieme allo sguardo.
C'era qualcosa di diverso, nelle iridi di lui, ma Simon non riuscì a capire cosa.
Doveva essere una delle ennesime novità di quel nuovo Leo.
Una parte di Simon se ne sentì infastidita: nei giorni passati, i suoi occhi gli erano sembrati le uniche cose di lui rimaste uguali, ciò su cui si poteva concentrare per non smarrirsi nei suoi cambiamenti.
Una parte di lui, invece, si sentì incantato davanti a quello sguardo che gli stava rivolgendo e sperò che non avrebbe mai smesso di guardarlo in quel modo.
Poi Leo allungò una mano verso di lui, rimettendo come in moto il tempo che si era sembrato fermare. «È una promessa?»
La sua voce sembrò ancora più profonda, ancora più da grande, ancora più... bella.
Simon ebbe un attimo di incertezza, ma poi gli porse la propria mano. «È una promessa» confermò.
Quando le loro mani si strinsero, non fu solo il suo stomaco a fare una capriola.
Il rumore del suo cuore gli rimbombò nelle orecchie anche minuti dopo che le separarono.
*
*
*
Hi!
Ed eccoci qui con la prima shot!
Non potevo non iniziare con la famosa e importantissima promessa, che ci porta a conoscere un Simon ancora per poco tredicenne che inizia a notare qualcosa di diverso in Leo, e un Leo appena quattordicenne che ancora non può sapere cosa quel momento significherà per lui in futuro.
Spero sia stato carino vedere le "origini di tutto".
A domenica,
G.
Ps: currently sono a Londra, appena riesco vado proprio al Battersea dove tutto è iniziato, così per il mood ❤️🩹
[Dovrebbe esserci un GIF o un video qui. Aggiorna l'app ora per scoprirlo.]
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