XXXIII. Ymros

Aveva la bellezza della semplicità. Una donna dedita al lavoro e a sua figlia, che preparava ciò che aveva. Mi guardava con occhi sinceri, non era capace di mentire. A volte non riusciva a parlare bene, non aveva studiato e non era mai uscita dal suo villaggio. Si era sposata presto, con un uomo che neanche nominava, viveva per rendere felice sua figlia a costo di spaccarsi letteralmente la schiena.

La sostituivo nel suo lavoro, prendendo i sacchi di sale sulle spalle, ma non mi lasciava sola. Preferiva venire assieme a me, alzarsi presto ogni mattina, solo per farmi compagnia. Mi chiamava "Ale" e aveva deciso di pagarmi, mi dava circa il venticinque percento che ricavava dalla vendita del sale. Una miseria, ma non ribattevo mai, non volevo certo toglierle quei pochi soldi che servivano a far vivere bene lei e sua figlia.

Quello che notai, in quello strano villaggio del sud, era l'assidua presenza di soldati. Era la giurisdizione di Ymros, uno dei pochi regni dove non avevo mai messo piede. Una volta, in una taverna, un uomo ed io avevamo giocato con i dadi e nel mentre, mi aveva raccontato qualcosa sul sud. La tirannia dei regnanti era famigerata. Eppure, in un primo momento, non ci feci caso. Dyronne era più libera, con meno guardie a sorvegliarla, c'era più cibo nonostante fosse sempre inverno. Ymros invece era poco distante dal mare, con un clima mite e le case degli abitanti erano tutte in legno. Avevo l'impressione che al minimo soffio di vento sarebbero state spazzate via come foglie.

- Perché ci sono così tanti soldati? - chiesi a bassa voce a Katarina, mentre sistemavo la bisaccia sulla spalla.
- Per il mercato nero, e per "prevenire" gli incidenti. Qui gli incidenti li fanno loro! Altroché! - mormorò lei senza alzare lo sguardo. Quel giorno anche la piccola Kiren era con noi e saltellava di qua e di là, raccogliendo fiori e portando una cesta che le aveva dato sua mamma.
- Mercato nero? Che intendi? -
- Gli stranieri di Kirkegos, stregoni e sciamani, vengono qui a prendere schiavi e uomini ignari per fare i loro esperimenti o per tagliuzzarli e prendere gli organi. Non ti fidare di chi ti offre una birra o di chi ti prende in disparte. Basta un attimo e quei bastardi ti caricano su delle navi e finisci senza gli intestini! - mi avvertì lei indicando alcune navi all'orizzonte. Annuì, a disagio da ciò che avevo ascoltato. Perché vivere in un posto dove il cibo scarseggia e c'è un rischio così alto di finire a pezzi? Non dissi nulla e continuai a camminare.

- Mamma, mamma! Andiamo al mercato? Me lo hai promesso! Me lo hai promesso! - urlò Kiren, con la sua vocina stridula girandosi di scatto, facendo una piroetta nelle sue piccole scarpette rovinate e implorandoci con i suoi occhioni dolci.
- D'accordo, dobbiamo comunque vendere il sale e comprare un po' di lana per l'inverno. Sta vicino ad Ale, non allontanarti da lui per nessun motivo. - ordinò Katarina con fare serio, prendendole la mano. Ero molto felice del fatto che si fidasse di me ed io avanzavo sempre tenendo al sicuro le due, non le perdevo mai di vista. In poco tempo mi ero affezionata ad entrambe.

- Madonne e messeri! Prego avvicinatevi! - urlava una donna vestita di blu che mostrava le sue stoffe colorate, svendolandole come se fossero bandiere.
- Le rape! Le cicorie! Due monete al kg! - urlava un'altra signora che se ne stava vicino alla sua bancarella mostrando la sua verdura, riposta in variopinte cassette.
C'era un gran via vai in quel mercato, molta gente che guardava, contrattava, comprava e in generale sembrava che urlassero tutti. Katarina non era molto a suo agio, ma si pose ugualmente a bordo della strada e aprì il sacco da venti chili che avevo portato in spalla. Un gruppetto di donne si avvicinò chiedendone un po'. C'era chi ne prendeva anche solo un mestolo, chi un pizzico e chi invece riempiva la sua gerletta.
A ogni modo, sembrava che gli affari andassero bene.

Kiren mi strinse la mano con forza, tirandomi. Era talmente piccola che non riuscì a farmi spostare neppure di un centimetro, ma la osservavo tirarmi con tutte le sue forze.

- Ale! Dai andiamo! Un attimo solo! Quello lì vende la lana! - strillò indicando un punto indefinito. Mi voltai a osservare Katarina che aveva il velo a coprire i capelli che quasi le scendeva giù dalla fronte mentre prendeva il sale, lo versava nelle ciotole e riponeva i soldi nella sua sacca.
Un minuto o due non avrebbe fatto male a nessuno.

Kiren era dannatamente sfacciata ma molto convincente, in ogni caso la sua mania di vincere sempre mi ricordava la principessa Dayana. Deglutii. Non pensavo più a lei da molto tempo, avevo tentato di sopprimere il ricordo che avevo di lei ma ogni volta bastava pochissimo per cambiare completamente la situazione.

- Accidenti a te, miserabile! Io lavoro e tu rubi il mio pane! - urlò il panettiere ad un ometto basso e magrolino che se la stava svignando con un piccolo pezzo di pane tra le mani. Il mio istinto reagì ancora prima che lo facesse il mio cervello, gli feci uno sgambetto mentre quello correva e così cadde di faccia a terra. Emise un lamento prolungato mentre due guardie, si avventarono su di lui.

Una delle due guardie mi fissò e poi parlò con una voce baritonale:
- Grazie per l'aiuto, ragazzo. Ymros è pieno di furfanti. -
Annuii leggermente e sentii la mano di Kiren stringere più forte la mia.

In un attimo, l'altra guardia si sedette a cavalcioni sulla schiena dell'uomo a terra e puntò la spada all'altezza delle scapole, facendo penetrare la lama nella carne con una lentezza implacabile. Fu straziante, io coprii gli occhi a Kiren e la spinsi verso sua madre. Uccidere così un ladro, perché? Perché non tagliargli semplicemente una mano? Perché reagire in quel modo? Mi sentii in colpa, perché era dipeso tutto da me.

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