XXX. Sulle tracce della mercenaria

Ne avevo sentite di storie di principesse, rinchiuse nelle torri più alte dei loro castelli, in attesa del bel principe che venisse a salvarle. Più ci pensavo e più ridevo amaramente, mentre mi affacciavo alla finestra e guardavo il panorama. Continuava a nevicare, come se una continua bufera si abbattesse sul palazzo e non avesse alcuna intenzione di fermarsi.
Dyronne non era mai stata così deserta. Persino il villaggio poco distante era vuoto; non c'erano luci accese, nessun carro diretto al castello, niente di niente. Tutto taceva, come il vuoto che sentivo dentro.

Il mio bel principe non sarebbe mai arrivato. Perché io non ho mai desiderato un principe azzurro che mi portasse via. Ho sempre sognato di restare dove sono nata e ho avuto la fortuna di essere l'unica erede del regno, che a tempo debito si guadagnerà il trono. Essere venduta come una cavalla al migliore offerente non è mai stato nel mio destino e tutti i pretendenti, tutti gli uomini presenti mi hanno soltanto delusa. Per la prima volta nella mia vita avevo il desiderio di uscire fuori dal castello, di scappare dalla mia città per ritrovare la mia mercenaria.

Era passato già un mese dalla strage e dalla sua fuga. Ogni volta che arrivava una lettera a palazzo temevo che fosse la notizia della sua cattura, ma in fin dei conti io l'ho sempre saputo che Alexa Myroud è astuta. Prima di dormire pensavo a lei, alla rabbia che provavo. Tutto quanto però andava di male in peggio perché il regno era in piena crisi ormai. La bufera teneva lontano ogni sorta di carro, di mercante e l'acqua del porto era ghiacciata per cui era diventato impossibile spostarsi. Le scorte iniziavano pian piano a scarseggiare, lo notavo dalle porzioni di cibo che arrivavano in piatti sempre più piccoli per fare sembrare che ci fosse più cibo. Mio padre preferiva non parlare con me di quella situazione, ma era preoccupato tanto quanto me.

Eravamo in trappola nel nostro stesso regno. Non avevo mai provato una sensazione di soffocamento così intensa a casa mia. Per di più, avevo perso la voglia di uscire e passavo le giornate accanto al camino della mia stanza a osservare le fiamme e ad accarezzare Colossus che mi guardava con il cuore pieno di pietà. Non sopportava vedermi così e drizzava in piedi pronto a cacciare chiunque provasse a invadere il mio spazio, compresi camerieri, servi e mio padre. Mi proteggeva a modo suo.

Dopo questa mia clausura forzata l'unica persona che volli vedere fu Finnick. Arrivò a mio cospetto tutto emaciato, rispettoso e impaurito.

- Chiudi pure la porta alle tue spalle, ne avremo per un po'. - dissi io. Lo avevo convocato nel bel mezzo della notte, facendolo chiamare dalla mia cameriera di fiducia e facendole mantenere il segreto.
Il servo annuì, eseguì il mio comando e avanzò piano senza fare rumore.
- Ai vostri ordini, vostra maestà. -
- Hai ricevuto notizie da parte di Alexa? - domandai tagliando corto e lo vidi abbassare lo sguardo.
- No, Vostra maestà. Non l'hanno trovata. -

Sospirai. Era lì in piedi, che tentava di non guardarmi negli occhi e tremava dentro sé.

- Sei l'unico di cui posso fidarmi, eri l'unico che ci teneva a lei, lo so. Se sai qualsiasi cosa devi parlarmene perché io sono impotente al di fuori del mio regno e non voglio vedere la sua testa rotolare a mio cospetto. -

Si morse la lingua pur di non parlare e annuì soltanto. Non si fidava e lo capivo bene.

- Non so nulla vostra maestà, ve lo giuro. - sostenne lui.
- So cosa pensi. Che io in realtà la voglia morta ma ti assicuro che non è così. Ogni giorno che passa là fuori è un giorno in più al mio dolore. -

Finnick, il servetto magrolino e con occhi scaltri non fu capace di stare in silenzio stavolta. È mostrò tutto il coraggio che si celava in lui.

- L'avete torturata però. - disse per poi mordersi il labbro, pentendosi di aver parlato.
- Volevo evitare che facesse sciocchezze, come ha fatto. Come si educano i cani, secondo te? -
- Voi non avete mai picchiato Colossus. - mormorò lui.
- Perché non ce n'è mai stato bisogno. Alexa doveva essermi più fedele, affidarsi a me e tutto questo non sarebbe successo. Invece ha preferito fare di testa sua e adesso rischia la vita in ogni antro di terra. -

Lo vidi annuire. Il suo sguardo si posò famelico sul piatto che giaceva sul tavolino, pieno di avanzi di carne. Senza dire nulla glielo porsi dinanzi.

- Mangia se hai fame, senza complimenti. - e quello mangiò, affamato, fino all'ultima briciola.

- Ti chiami Finnick, vero? - il servo annuì, ancora con la bocca piena. Dovevano essere giorni che non mangiava.
- Va via da qui. Devi trovarla. A qualunque costo. Fallo ed io ti riempirò d'oro. Non dovrai più fare da servo, ma sarai un nobile e avrai le tue terre. Portala qui e sarai sempre sazio. Portala da me e cambierò il tuo nome in Dario, possessore di molte ricchezze. -

Il servetto sbiancò a quelle parole e si tirò su, con fare fiero.
- Davvero, vostra maestà? - al mio cenno di assenso però non sorrise.
- Non posso portarla qui da voi... Ci sono le guardie del re e lei verrebbe uccisa. Non voglio che muoia. - borbottò lui indicando la porta.
- Tu trovala, dammi la dimostrazione che è ancora viva, e avrai un anticipo di ciò che ti aspetta. Troverò un modo per riaccoglierla tra le mie grazie, costi quel che costi. -

Lui annuì e fece per andare ma poi si girò.
- Come faccio a uscire dal palazzo? -
- Morendo, naturalmente. -

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top