XXVII. Strage

Non fu difficile capire ciò che stava accadendo. Quando sentii la porta cigolare in modo sinistro e intravidi due guardie dallo sguardo buio venirmi incontro annuii tetramente.

La consapevolezza che è arrivato il tuo momento, che tutto finirà. Mi ero sempre chiesta cosa si provasse nell'essere ad un passo dalla morte e avevo provato innumerevoli volte quella sensazione, tanto che ormai non mi si gelava più il sangue e non avevo neppure la pelle d'oca al pensiero. Non so se l'idea di marcire ed essere mangiata dagli animali mi disgustasse tanto quanto l'essere trattata secondo le regole di Dyronne. Il funerale di quel posto mi terrorizzava.

Speravo in qualcosa di più sobrio, di una pira funeraria e di un caldo rogo che mi avvolgesse fino a farmi sparire del tutto. Tutto questo nella speranza che mi ammazzassero prima di darmi fuoco, ovviamente.

- Alexa Myroud, il re ha preso la sua decisione, sei stata condannata a morte tramite impiccagione. -

Sospirai. Avevo visto tante di quelle esecuzioni da vederne il lato negativo in ognuna di esse e poi... diamine, quante persone non erano morte immediatamente? Molte rimanevano lì appese, col collo spezzato, gorgogliando frasi a metà e piangendo fino al sopraggiungere della tanto agognata (solo allora però) morte.

Una delle due guardie, quella più alta, mi afferrò per il braccio costringendomi ad alzarmi. Mi avevano legato mani e piedi con delle catene qualche giorno prima, come se quella cella angusta non fosse abbastanza. L'altro passò dietro di me, liberandomi soltanto le caviglie, poi si rialzò.

- Quando avverrà la condanna? - chiesi a bassa voce.
- Subito. Il verdetto del re è irrevocabile e deve essere eseguito nell'immediato. - rispose il primo con voce rauca. Indossavano dei lunghi mantelli bianchi con lo stemma reale e portavano quegli orrendi elmi con le piume dorate che li facevano apparire come degli struzzi.
- Hai diritto a un desiderio, l'ultimo. -

Quella parola, "ultimo" fu pronunciata con una tale cattiveria da riversarmi addosso la concreta e reale verità dei fatti: stavo per morire. La fine non era mai stata così vicina.
- Posso parlare con la principessa, prima? -

Uno dei due scosse la testa. Non capivo se provassero empatia o fossero soltanto scioccati da quelle domande.

- Vorrei soltanto parlare con la principessa Dayana. È il mio ultimo desiderio. - dissi sicura, ma parvero non ascoltarmi. Come se io stessi nuotando nell'abisso e loro fossero su una nave, distanziati dall'acqua e incapaci di ascoltare le mie pene e i miei affanni. Probabilmente avevano ricevuto un'ordine, quello di non farmi vedere la principessa. Ed io, stupida, avevo chiesto l'unica cosa che mi era categoricamente vietata.

E così mi ritrovai in piedi a seguire i due che mi avrebbero condotto al patibolo, nella piazza centrale del regno.

Cammina a testa alta e fa finta di niente. Ci sono io con te.

L'impulso di guardarmi intorno fu forte, ma sapevo dentro di me chi diavolo fosse. Forse stavo impazzendo sul serio se continuavo ad aggrapparmi a una speranza, a un miraggio. Eppure era così vivido. Provai l'impulso di strapparmi i capelli, mordermi la lingua o fare qualsiasi altra cosa per capire se sognavo o se quella voce, quella Seleka, era davvero lì con me.

L'ametista che hai al collo, devi stringerla tra le tue mani. Riscaldala con il fiato, stringila forte.

Aggrottai le sopracciglia. Ammesso e non concesso che non fossi ormai fuori di testa, come diavolo avrei potuto stringere la collana che portavo attorno al collo se avevo le manette ai polsi?

Mancavano meno di duecento piedi e sarei arrivata al patibolo.

Le manette che hai ai polsi non sono chiuse bene. Tira uno strattone e dovresti riuscire a liberarti. Hai meno di un minuto per farlo. Corri a destra. Corri a destra.

Non ebbi neppure il tempo di pensare a come ringraziare quella fata che le mie mani agirono subito e, come per intercessione di un dio, quelle manette si allentarono e il mio polso sgusciò fuori da quella terribile prigione di ferro per correre subito al collo e stringere la pietruzza violacea che portavo da quando ero bambina.

Un secondo. Uno solo. E questa divenne incandescente, si allungò a dismisura e si fece un'affilata spada.

Non ringraziarmi. Va ora, adesso!

E animata da non so quale forza, da non so quale divinità e dall'odio che repentinamente nasceva dentro di me, commisi una strage. Le due guardie che mi erano accanto divennero in pochi istanti dei pezzi di carne, mentre la puzza di bruciato si fece strada fino alle mie narici.
Trovai pochi individui sul mio cammino, ma non ebbi pietà alcuna. Non mi chiesi se avessero una famiglia, qualcuno che li volesse bene o che li stesse aspettando. No. Bruciarono tutti e perirono davanti a quella spada violacea dagli strani riflessi bordeaux che vibrava ad ogni mio colpo.

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