XXVI. Processo

Alcuni sostengono che provare il dolore sulla propria pelle renda una persona più tranquilla, più legata alla vita e in qualche modo più cauti. Beh, lasciatemelo dire, è una grandissima stronzata. L'ho letto su un libro antico ma avrei dovuto farci un falò.

Quello che io provai quando mio padre aveva ormai condotto i testimoni nella sala del trono era dolore allo stato puro, ma vi assicuro che non mi rese meglio di ciò che ero. Mentre le torce crepitavano silenziose illuminando fiocamente l'enorme sala, una cinquantina di persone parlava a bassa voce. E io sapevo cosa stavano dicendo, sapevo cosa stavano pensando.

Non durò molto. Ricordo solo che Finnick (il servetto) fu portato alla sbarra e interrogato. Gli ponevano tre o quattro volte la stessa domanda cercando di farlo sbagliare, di fargli dire che Alexa era una spietata assassina priva di contegno. Ma lui fu fermo con le sue parole, sebbene tremasse. Diceva infatti "lui l'ha attaccata per primo. Lei si è solo difesa". E lo ripeteva sempre con lo stesso tono, persino quando il re gli disse che se stava mentendo sarebbe stato decapitato per tradimento. Sebbene la sua testimonianza non valesse granché, poiché considerato uno schiavo, risollevò parecchio le sorti di Alexa.

Il nome di quello schiavetto non mi entrava proprio in testa, era più forte di me. Eppure quando lo sentii difenderla con tanto ardore mi sentii sollevata.

Il problema fu quando un nobile, che affermava di aver passato gran parte del tempo sulla terrazza a est che affaccia proprio sul luogo del delitto, iniziò a parlare.

- Vi dico che è stata lei. Non c'è alcun dubbio. Lei lo ha preso per il collo, gli ha infilato la lama in bocca. E l'ha fatto urlando. - affermò quest'uomo panciuto, con il viso paonazzo e iracondo che gli deformava i lineamenti e lo rendeva un perfetto nuovo giullare a mio parere.
- Cosa urlava, duca Dusmond? - chiese mio padre, seduto sul trono che rifletteva.
- A morte la corte! A morte la principessa! -

Finnick e io dimmi gli unici a opporci e a sostenere che fossero delle stupidaggini, che Alexa non aveva mai urlato cose simili. Ma bastarono quelle parole a spingere tutti i nobili della corte a votare e stavolta il verdetto fu prevedibile: la morte.

- E perché mai avrebbe tradito la principessa che le ha dato dimora, che l'ha accolta tra le sue braccia come una figlia e che le ha offerto un lavoro dignitoso? - chiese Finnick. Non l'avevo mai visto così agitato. Nessuno della servitù si sarebbe mai spinto così tanto per proteggere il suo padrone ed in questo caso, Alexa non era neppure un nobile.

- Perché la principessa l'ha torturata una volta e lei ha giurato di ucciderla.-

Mi misi una mano al petto. Non so se fu questo mio gesto a convincere mio padre che era davvero accaduto, non so come diavolo avesse fatto quell'uomo di mezz'età a sapere tanto. Fece cenno alle guardie di andare a prendere la prigioniera e io sobbalzai.

- Padre! Padre! Vi prego, sta mentendo! Non ho mai fatto del male alla mercenaria! Non ne avrei avuto motivo! - risposi ad alta voce ma lui decise che quello non era uno spettacolo che io avrei potuto guardare. Due delle guardie reali mi "accompagnarono", neanche tanto gentilmente, nella mia camera.

Mi dimenai, provai a tirargli dei pugni, ma non riuscii a fare nulla. Ben presto mi ritrovai nella mia camera, totalmente sola.

La stanno uccidendo. Ed è tutta colpa tua.
Le tue manie di controllo, la tua rabbia, il tuo odio. La stai uccidendo tu. È colpa tua.

Scuotevo la testa arrabbiata, cercando di autoconvincermi che non fosse così ma qualcosa dentro di me diceva invece che aveva perfettamente ragione.
Mi stesi sul letto e piansi, consapevole che ormai non c'era più nulla che io potessi fare.
Una voragine si allargò nel mio petto, stringendomi il cuore e costringendomi a respirare a bocca aperta. Colossus si sedette accanto a me e mi fissò con i suoi grandi occhi azzurri, chiedendosi perché io stessi così. Gli accarezzai il muso dolce e lui leccò la mia mano.

Poi si sdraiò accanto a me, sul mio letto e restammo così. Lo facevamo da quando era solo un cucciolo e lui sentiva che stavo male, quando avevo la febbre oppure ero arrabbiata, lui senza fare un singolo verso si gettava vicino a me e lasciava che io gli accarezzassi il pelo. Non è mai stato un cane affettuoso, ma sapevo che c'era. Anche mentre sapevo che la mia mercenaria stava esalando l'ultimo respiro, lui mi era accanto.

- Cosa accadrà adesso? - domandai infilando le dita nel suo pelo intricatissimo. Lui sbadigliò di tutta risposta.

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