IX. Punti di vista

Le giornate passarono lente, il sole si innalzava e tramontava alla velocità di una lumaca appena sveglia. O almeno era ciò che io percepivo.

Mi aveva lasciata lì, nelle mani dei suoi servitori. Loro entravano, mi lavavano, mi medicavano, cambiavano il bendaggio e la vestaglia. Ma il punto in comune a tutta quella situazione era quella maledetta catena che continuava a imprigionarmi. Ogni tanto provavo a scuotere il piede che si addormentava, ma il dolore alla caviglia aumentava di giorni in giorno. Tentavo di fondere il mio odio su quel ferro, sperando che quell' emozione negativa potesse scioglierlo.

Ero così tanto annoiata che passavo la maggior parte del tempo a dormire e a sognare. Il problema era che non riuscivo a sognare la libertà né i campi sconfinati che avevo attraversato o i mari dove avevo nuotato né le montagne che avevo scalato e i fiumi dove avevo pescato.

Sognavo sempre il mio passato e questo era devastante.

Ogni volta che chiudevo gli occhi rivedevo i nobili che mi avevano abusata, le torture che avevo patito quando mi avevano catturata, la prigione del regno di Rymir e la tenebrosa via impervia dove avevo vissuto per tre anni, nascondendomi dagli orchi.

Il peggio però, arrivava al momento del risveglio, quando quel senso di claustrofobia che avevo sentito nel sogno si palesava anche nella realtà e mi sommergeva completamente con le sue mani invisibili. Non avevo mai amato le catene, le gabbie e le celle. E ciò che ancora di più detestavo, era l'idea di non poter guardare fuori e capire quanti giorni avevo sprecato lì dentro.

- No, no, non andare via, ti prego... - sbottai all'improvviso, guardando il servo. Era un ragazzino smilzo, forse non aveva compiuto ancora i sedici anni e indossava abiti decisamente troppo larghi per lui. Mi guardò stranito.
- Desidera qualcosa? - domandò. La sua voce emerse faticosamente dalla sua gola, come se non parlasse anche lui da tempo e la tenesse sempre secca.

- Io voglio sapere da quanto tempo sono qui. E dov'è la principessa Dayana? -

Il ragazzino mise le braccia dietro alla schiena, assunse una posizione composta e abbassò lo sguardo. Non doveva mai guardare negli occhi i suoi interlocutori.

- Undici giorni, mia signora. -
- Non chiamarmi in quel modo, sono Alexa. Chiaro? -

Il servo annuì, non sapendo più che dire.

- Dov'è Dayana? - domandai ancora stavolta alzando di poco il tono di voce. Ero in piedi e mi trascinavo pesantemente da un lato all'altro della stanza, con la caviglia che doleva e reclamava riposo.

- Non so dove sia la principessa, io non sono il suo valletto. - rispose a bassa voce.

- Come ti chiami? -

- Non è molto importante... -

Aveva degli occhi timidi, ma allo stesso tempo furbi. Quel ragazzo doveva aver vissuto per la strada, perché aveva lo stesso sguardo degli altri ragazzi che avevo visto nei bassifondi di vari regni.

- Sono giorni che cambi i miei bendaggi, che curi le mie ferite e che mi porti del cibo. Non direi che non sei importante. Voglio sapere il tuo nome. -

- Finnick. - mormorò a bassa voce, quasi si vergognasse del suo nome.

- Che strano... Non hai anche tu il nome con la D? Pensavo che tutti in questo regno avessero un nome che comincia con questa lettera. Insomma... Il regno si chiama Dyronne, la principessa Dayana, il re si chiama Damian, no? -

Il ragazzo annuì.

- Non appartengo alla stirpe di Dymeaka. Non sono di questo regno e non posso avere il privilegio di avere un nome che comincia con la D. -

Aggrottai le sopracciglia confusa.

- ...la stirpe di chi? - domandai socchiudendo gli occhi.

- Dymeaka. È la capostipite della famiglia dei nostri regnanti. Si dice che fosse una strega potente e che abbia protetto il suo regno con un incantesimo, che la prosperità, la pace e il benessere esistono soltanto grazie a lei. - 

Alzai gli occhi al cielo: un'altra leggenda. Niente di nuovo, ne sentivo a dozzine in ogni luogo. Ormai non mi stupivo più.

- E questo privilegio di cui parlavi... Che roba è? -

Il ragazzo parve rilassarsi e si avvicinò un po' di più, era molto più basso di me.

- Ogni abitante nativo di Dyronne si deve chiamare con un nome che inizia per D. Si dice che fosse una delle condizioni della strega Dymeaka per avere la pace in questo reame. La verità dei fatti è che in questo modo riconoscono chi è straniero da chi non lo è... E si comportano di conseguenza. -

- Cosa stai cercando di dirmi? -

- Che è strano che ti vogliono qui. Che è strano che non ti hanno già uccisa dopo quello che hai fatto. Che possiedi qualcosa che loro vogliono, se ti lasciano vivere e ti fanno portare tre pasti al giorno. - spiegò lui alzando le braccia e prendendo a camminare. Si vedeva che era da tanto che teneva questa teoria per sé e adesso che ne aveva parlato voleva continuare a complottare.

- Mi tengono rinchiusa in una cella però. -

Finnick si pietrificò a quelle parole e iniziò a sistemare i vassoi che doveva portar via.

- Hanno ucciso uno di noi perché era caduto durante la parata del festival invernale. Soltanto perché era caduto. Questa cella, è una reggia in confronto a dove viviamo noi. - mormorò prima di prendere ciò che doveva e andarsene, sbattendo forte la cella dietro di sé.

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