Capitolo 6

Alzo la mano, questa volta con più fatica del solito, stringo tra le dita il pezzo di vernice e, con dolore, cerco di tracciare la solita linea sul muro; la mia mano sembra tremare nel farlo, non ho la forza necessaria nemmeno per un'azione così stupida. 

Ricado di peso sul materasso e infilo le mani sotto la testa; sono passati ormai molti giorni da quando ho tracciato la trentesima linea, sono più di trenta giorni che non parlo con nessuno, sono più di trenta giorni che sono chiusa qui. 

Sento in quel momento che la mia luce si è spenta, la luce di speranza che aveva tanto riempito i miei sogni e pensieri è arrivata al capolinea, come lo sono anche io; ogni sentimento che mi apparteneva, ogni emozione mi ha abbandonata tempo fa, quando mi sono arresa alla pazzia, quando mi sono arresa a loro. 

Il mio animo si è spento, i miei occhi hanno perso interesse, il mio viso ha perso colore, la mia mente ha smesso di funzionare; sono persa così tanto nel mio mondo che non mi accorgo degli uomini che entrano nella stanza. Sono così stanca che non mi sforzo nemmeno di girarmi nella loro direzione e non mi ribello quando mi sollevano; attraversiamo una porta bianca e un sorriso triste si dipinge sul mio viso, "Avevo ragione, esiste un'uscita". 

Penso per pochi secondi di non opporre resistenza, la mia fine è arrivata, mi stanno per uccidere ma sono stanca di combattere; l'immagine della porta si fa spazio nella mia mente e sembra risvegliare una forza presente in me che non pensavo esistesse. 

Apro gli occhi all'improvviso e ispeziono la situazione che mi circonda: hanno mandato due uomini, non quelli che mi hanno picchiato la sera in cui mi hanno presa. Uno mi porta in spalla e l'altro controlla che io non mi ribelli; la poca forza che mi è rimasta mi dice di attaccare ora che il nemico pensa che io sia debole. 

Dalla posizione in cui mi trovo, a testa in giù sulla spalla di quello che sembra un gigante, allungo le braccia e con le mani afferro la pistola che si trova infilata nei suoi jeans, mi do una spinta con i piedi e atterro alle spalle del rapitore. 

Questo si gira, sorpreso, mi salta addosso ma io non lascio la presa sull'unica arma che possiedo; lui allunga le mani e cerca di strapparmela dalle mie mani ma io la tengo stretta e premo involontariamente. Urlo dal terrore, terrorizzata da ciò che è appena successo. Il mio cervello non riesce ancora a metabolizzare ciò che ho fatto, e per il momento non voglio proprio farlo. 

L'uomo si accascia su di me, lo sposto in fretta e mi alzo in piedi per affrontare l'altro, ma appena muovo un piede sento un forte dolore al collo; tutto inizia a sfocarsi e quando cerco di muovermi, cado a terra svenendo.

                                                                                    ***

"Non ha forze, ha perso almeno venti chili" dice con tono frustato una voce profonda in lontananza, "ha bisogno di riposare e di cibo" questa volta la voce sembra avere un tono più decisivo e pericoloso. 

"Ha abbastanza forze da ribellarsi e combattere contro due degli uomini più forti che ho" risponde un'altra voce, con tono distaccato; questa sembra un sussurro ma dietro di se nasconde una voce potente. 

"L'abbiamo tenuta in quella stanza il doppio del tempo rispetto alle altre" risponde la prima.

"Ora basta" risponde la seconda con tono brusco, "sono io che prendo le decisioni; lo sai che ti considero come un figlio e rispetto il tuo pensiero, ma proprio perché lei ha resisto più di tutte le altre dobbiamo prendere le giuste precauzioni, non voglio avere problemi" finisce di parlare e si allontana senza lasciare l'altro rispondere. 

Sento in lontananza un sospiro deluso e nella mia testa inizia a espandersi una paura; hanno detto le altre, chi sono le altre? Non sono sola? Chi sono i due uomini che parlavano? 

Non faccio in tempo a collegare tutte le informazioni che il buio si impossessa di me ancora una volta, lasciandomi disarmata senza risposte e senza spiegazioni.

                                                                                   ***

"Svegliati, andiamo" urla una voce familiare che riconosco come Alkim; apro gli occhi subito perché non voglio che mi riservino lo stesso trattamento ricevuto la prima volta. 

Un pezzo di scotch mi copre la bocca, ma non mi hanno bendata. 

Sono legata a una sedia in quello che sembra uno sgabuzzino; sarebbe buio pesto se non fosse per una lampadina che pende dal soffitto. 

Lo stesso odore di marcio presente nella stanza bianca aleggia nell'aria. 

Assumo una faccia disgustata quando realizzo che probabilmente questa volta sono io che emetto questo odore; non mi lasciano nemmeno lavare, penso disgustata. 

Ci avevano provato una volta, forse il quarto giorno. Mi avevano portato in un grande bagno, non più pulito delle altre stanze, ma almeno mi davano la possibilità di pulirmi. Era stato un giovane ragazzo a portarmi; vedendo che non usciva dal bagno gli avevo chiesto se si poteva girare ed egli aveva risposto con una risatina, scuotendo la testa, dicendo che doveva controllarmi. Quella risatina mi aveva fatto arrabbiare così tanto che, quel giorno, avevo deciso che preferivo non lavarmi se farlo significava mostrarmi nuda davanti a quell'animale. Mi avevano riportato nella stanza, dopo avermi addormentato per non farmi vedere l'entrata, e avevo pianto tutto il giorno. Da quel momento aveva deciso che, se questa sarebbe stata la mia fine, non li avrei lasciati umiliarmi, avrei comunque mantenuto la mia dignità; non sapevo, in quel momento, che il loro scopo era proprio quello di distruggerla. 

 Alzo lo sguardo e vedo Alkim appena in tempo per spostarmi e schivare il suo colpo; tira un urlo, prova di nuovo e questa volta mi colpisce sulla parte alta dell'addome. Un dolore lancinante si diffonde in tutto il corpo e sento un bruciore paralizzarmi la parte colpita. Lo guardo furiosa, dai miei occhi spero possa percepire l'odio e il ribrezzo che provo per lui. 

Mi accorgo che, diversamente dalle altre volte, Alkim indossa un paio di guanti abbastanza particolari, diversi; sono neri e ricoperti di uno strano tessuto che non riconosco. Inoltre sembrano molto più grandi delle sue mani. 

"Abbassa lo sguardo" mi urla contro, ma sembro impiegarci troppo tempo per abbassarlo perché mi colpisce con uno schiaffo. Sento il bruciore della sua mano sulla mia guancia sinistra mentre la vista inizia ad annebbiarsi perché gli occhi sono colmi di lacrime che so che stanno per scendere. 

Lo schiaffo ha staccato in parte lo scotch dal mio viso e finalmente le urla che stavo trattenendo escono, furenti, come una fiammata di fuoco. 

Questo lo fa arrabbiare ancora di più tanto da colpirmi ancora, questa volta sul naso; sento il sangue caldo colare giù verso la bocca, caldo e salato perché misto alle lacrime. Percepisco l'adrenalina che scorre nelle mie vene e spinta da questa gli sputo il sangue addosso. 

Il dolore cresce dentro e diventa troppo forte da sopportare. Tiro un urlo che spaventa anche me stessa e improvvisamente lui si ferma. 

"Stai zitta" urla con lo sguardo furente.

"Stai zitta, puttana" urla ancora più forte tappandomi la bocca; la mordo con forza per cercare di liberarmi, ma lui non lascia la presa mentre mi fulmina con lo sguardo. 

Smetto di urlare e vedo Arek entrare nello sgabuzzino, seguito da qualcuno che non riesco a vedere a causa del buio; "Che cosa stai facendo?" urla l'uomo dietro Arek, entrando. 

Guardo in faccia Alkim mentre sbianca e si gira preoccupato. 

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