TWENTY SEVEN
-Jeff, finirai per farti male!-.
Il moro scoppiò a ridere, continuando ad arrampicarsi sulla vecchia giostra arrugginita del parchetto. Era un ragazzino di otto anni davvero energico, pieno di vita, ed a dir poco spericolato.
Non aveva mai temuto l'altezza; aveva uno spiccato istinto di avventura, che faceva sì che si cacciasse fin troppo spesso nei guai.
-Scendi, dai!-.
A quel tempo anche Liu era solo un bambino, ma si comportava già da bravo fratello maggiore. La mamma si raccomandava sempre con lui, ogni volta che vedeva i due bambini uscire di casa per andare a giocare: "Stai attento a tuo fratello, Liu".
Ma star dietro a Jeff non era facile, tantomeno per un ragazzino. Era spericolato, istintivo e disobbediente.
-Guarda come sono arrivato in alto, Liu! Posso volare!-.
Per ironia della sorte, il moro aveva pronunciato con soddisfazione proprio quella frase, prima che le suole delle sue scarpe scivolassero lungo un asse di ferro corroso dal tempo e dalla pioggia. Precipitò a terra da un paio di metri di altezza, sbattendo malamente la schiena sul prato.
Fortunatamente l'erba alta attutì il colpo; ma quando il bambino si tirò a sedere, sul suo volto era comparso un ghigno di dolore.
-Jeff, stai bene?- gridò il fratello maggiore, precipitandosi a soccorrerlo. -Te lo avevo detto che è pericoloso, non mi ascolti mai!-.
-Non mi sono fatto niente...- replicò l'altro, seppur le lacrime che scendevano sul suo viso parevano voler dire esattamente l'opposto.
-Sei sempre il solito pasticcione! Dai, non è successo nulla...-. Liu puntò a terra le ginocchia proprio davanti a lui, ed allargando le braccia lo strinse forte sul suo petto.
-Dai, su, non è successo niente- gli disse, battendo un paio di volte il palmo della mano sulla sua schiena.
Jeff si lasciò consolare da quell'abbraccio, mentre tirando su con il naso si imponeva di non piangere.
-Però non dirlo alla mamma...- farfugliò, sforzandosi di sorridere. -Non glielo dire, okay?-.
Il castano si ritrasse, e fu intenerito dall'espressione preoccupata che adesso albergava sul volto del suo fratellino.
-Io non dirò niente- lo rassicurò. -Però la prossima volta che ti dico una cosa devi ascoltarmi, capito?-.
Jeff annuì, e questa volta fu proprio lui ad abbracciare spontaneamente il fratello maggiore.
-Lo prometto. Non farò più il cattivo-.
____
Liu si svegliò di colpo, rizzando la schiena.
Respirava pesantemente, aveva la gola secca e le guance zuppe di lacrime.
Era successo ancora; da quando Jeff era stato sbattuto in carcere, non faceva che sognare continuamente eventi che aveva vissuto con lui in passato.
Asciugò le lacrime con un lembo delle lenzuola ed emise un lungo sospiro nel tentativo di calmarsi; ogni volta per lui era come ricevere una pugnalata nel petto.
Poggiò i piedi nudi sulla moquette ed allungò una mano, recuperando la scatola dei suoi antidepressivi dal comodino. Dopo quello che era successo aveva deciso di tentare una cura con uno psichiatra, che gli aveva prescritto una terapia mai provata prima. Assumeva due pasticche di Sertralina Cloridrato ogni giorno, accompagnate da una capsula solubile di Lamotrigina; al bisogno, poi, assumeva anche venti gocce di Alprazolam.
I farmaci riuscivano a migliorare il suo umore durante il giorno, ma rendevano più vividi e distruttivi i sogni che faceva ogni notte.
Il castano si alzò in piedi, barcollante; la luce del primo mattino entrava timidamente dalla finestra.
Emise un lungo sbadiglio e si sfilò il pigiama per poi indossare una tuta; si muoveva in modo lento e calcolato, come un robot, intento ad impedire alla sua mente di ricalcare quei ricordi.
Uscì dalla sua stanza stropicciandosi gli occhi e scese le scale; come ogni santo giorno, avrebbe dovuto tenere duro e andare avanti, come se ogni cosa fosse davvero tornata al suo posto. Doveva fingere di avere una vita normale, una famiglia normale.
Dopo aver sceso l'ultimo gradino si diresse in cucina, e soltanto allora poté udire il flebile pianto strozzato di suo padre, unito a qualche lamento di sua madre.
-..Che succede?- mugolò, entrando nella stanza come se stesse camminando a piedi nudi su di un letto di spine.
Vi trovò la mamma seduta al tavolo, con la testa china ed il cellulare stretto nella mano destra; e papà, in piedi con la schiena poggiata al muro, ed il volto paonazzo.
Piangevano entrambi in modo disperato, incapaci di contenersi nonostante mai avrebbero voluto farsi vedere in quelle penose condizioni.
-Mamma, che succede?- ripeté ancora Liu, rivolgendosi alla donna con un tono di voce più alto del precedente.
Lei sollevò leggermente la testa, intenta ad asciugarsi gli occhi con la manica. Poggiò il cellulare sul tavolo e chiuse il pugno.
-Mi ha telefonato poco fa...- balbettò, in preda al pianto. -La polizia...-.
Liu sentì il suo cuore mancare un battito; le sue gambe si fecero molli, lo sgomento assaltì il suo corpo.
-Perché? Cos'hanno detto?- domandò, con gli occhi spalancati.
Papà si coprì il volto con le mani, mentre la donna raccoglieva tutte le forze che le restavano in corpo per rispondere a quella domanda.
-Hanno detto che questa notte Jeff...- si interruppe, puntando i gomiti sul tavolo. -Si è... Impiccato nella sua cella, con un lenzuolo-.
Dapprima non fu facile per Liu realizzare il senso di quelle parole. Erano così crude e ingiuste che la sua mente dapprima si rifiutò di assorbirle; ma per il ragazzo fu inevitabile, poco dopo, realizzare quanto gli era appena stato comunicato.
Sentì la sua anima riempirsi di crepe che mai più si sarebbero potute ricomporre; il suo corpo iniziò a tremare, la sua mente si annebbiò. Ad un tratto non era più neanche capace di capire se stesse ancora respirando oppure no.
Fu costretto a mettersi a sedere, per evitare di cadere a terra. Un attimo dopo si ritrovò avvolto nell'abbraccio dei suoi genitori; adesso entrambi lo stringevano forte, come avessero voluto impedirgli di rompersi in mille pezzi.
Ma all'interno di quella stretta soffocante, una parte di Liu morì per sempre.
Non sarebbe stato mai più la stessa persona.
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