TWENTY FOUR

Liu aprì le palpebre lentamente e con gran fatica; erano pesanti, difficili da sollevare.
Sopra alla sua testa, un soffitto bianco dal quale pendeva una lampada a led.
Mosse lentamente la testa che scoprì essere poggiata su di un cuscino; al suo fianco, un letto vuoto, un armadietto azzurro ed una poltroncina. Attraverso il vetro limpido della finestra, invece, poté notare che ormai era sera.
Impiegò pochi secondi a realizzare di trovarsi in una camera d'ospedale; complice anche l'odore di disinfettante.
Era disteso su un letto e coperto da uno spesso lenzuolo bianco.
Tentò di alzarsi, ma fu travolto da una tremenda fitta di dolore al busto che lo costrinse ad arrendersi subito. Nel suo braccio sinistro era stato fissato un ago, collegato poi ad una flebo di liquido trasparente che non riuscì ad identificare.
Sentiva la testa pesante, faceva fatica a ragionare e percepiva un'insolita stanchezza.
Spostò lo sguardo sulla porta chiusa della stanza, e si chiese che ci facesse lì da solo.
La sua memoria ripercorse rapidamente gli avvenimenti di quel giorno, ed una tremenda angoscia tornò ad aggredire la sua mente.
-Jeff...- mormorò, iniziando a respirare più forte. -Jeff...-.
Qualcuno bussò un paio di volte con le nocche sulla porta,  poi l'aprì. Si palesò la figura imponente di un medico; indossava un camice bianco, che gli stava troppo stretto sulla pancia.
-Oh, si è svegliato, bene!- esclamò, allargando un ampio sorriso com'era suo compito fare con ogni paziente. -Come si sente?-.
-Dov'è mio fratello?- domandò immediatamente il castano, ignorando del tutto la domanda che gli era stata posta.
Il medico scosse la testa. -Non si preoccupi di questo, ha rischiato di morire dissanguato- rispose, assumendo un tono più freddo. -È stato molto fortunato, i suoi organi non sono stati lesionati-.
Liu abbassò lo sguardo. Non gli importava affatto della sua salute, in quel momento.
-Ma lei lo sa?- insistette ancora, aggrottando la fronte. -Lei sa come sta mio fratello?-.
Il medico sembrò spazientirsi, ma rispose ugualmente alla sua domanda. -È stato sicuramente condotto in centrale- disse, sbuffando. -E questo è un ospedale quindi... Non so dirle niente a riguardo- esordì. 
Puntò poi le mani sui fianchi, e sollevò le sopracciglia. -Ma credo che lei dovrebbe pensare alla sua salute, al momento-.
Liu volse lo sguardo al soffitto sopra di sé. Immaginare Jeff ammanettato, magari chiuso in una cella o bombardato di domande in una stanza per interrogatori, faceva salire in lui una disperazione senza eguali.
-Io... Devo andare da lui...- mormorò, con la voce spezzata da una sofferenza che non aveva nulla di fisico.
Il medico scosse ancora la testa, con maggiore decisione. -Con tutto il rispetto, ma lei lo sa di quanti crimini è stato artefice suo fratello?- domandò spazientito.
Il castano non rispose, ma sentì una tremenda rabbia bruciare nel suo petto.
-Quell'assassino sarà sbattuto in cella e lì deve stare-.
-Lei non sa niente- esclamò Liu, con la voce che aveva iniziato a tremare. -Non sa niente, quindi può anche evitare d...-.
-Io so che abbiamo salvato la sua vita appena in tempo, signor Woods- lo interruppe il medico, alzando la voce.
Si avvicinò al letto, poggiò un'agenda sul comodino ed afferrò il braccio destro del paziente.
-Misuro la pressione sanguigna- spiegò, con una freddezza innaturale.
Il ragazzo lo lasciò fare, senza più dire una singola parola. Odiava il modo in cui tutti si sentivano in diritto di giudicare Jeff senza neanche averlo mai conosciuto.
Loro, tutti loro, tutti quegli estranei che erano bravi solo a sputare sentenze e magari in segreto commettevano atrocità a loro volta.
Jeff era una persona malata, non cattiva; e quei due concetti erano molto molto diversi tra loro.
-84/70 mmhg...- mormorò il medico, rilasciando il braccio del giovane paziente. -Hai la pressione molto bassa. Ti senti stanco, o intontito?-.
Liu annuì.
-Bene, vediamo di farla alzare un po'. Nel frattempo, resti sdraiato, cerchi di non fare nessun tipo di sforzo- gli disse, recuperando l'agenda che aveva poggiato poco prima ed appuntandovi qualcosa con una penna.
-Intesi?- insistette, puntando il suo sguardo truce in quello del ragazzo.
L'altro emise un piccolo sospiro.
-Intesi...- ripeté.
Il medico allargò un sorrisetto palesemente forzato ed abbandonò la stanza, richiudendo la porta dietro alla sua schiena.
Rimasto nuovamente da solo, Liu ebbe la sensazione di stare per scoppiare a piangere; faticava a credere che tutto ciò fosse reale.
Come avrebbe potuto porre rimedio ad una situazione simile?
Jeff era un pluriomicida. Sarebbe stato certamente condannato all'ergastolo e nessun avvocato, neanche il più bravo del mondo, avrebbe mai potuto salvarlo da quella fine.
Il castano sentì gli occhi inumidirsi, ma il rumore generato dalla porta che si stava nuovamente aprendo lo costrinse a contenere le lacrime.
Ad entrare nella stanza questa volta furono mamma e papà; si tenevano per mano, come se il loro rapporto fosse davvero ancora sincero com'era stato un tempo.
-Liu... Tesoro...- farfugliò la donna, correndo in direzione del letto. Si mise in ginocchio ed abbracciò delicatamente il figlio, terrorizzata dall'idea di poter fargli male; mentre l'uomo, decisamente più impacciato, si avvicinava al lato opposto del letto.
Strinse con la sua grande mano il braccio sinistro di Liu, stando ben attento a non toccare la flebo che vi era agganciata.
-Stai bene, figliolo?- gli chiese. Si stava commuovendo, ma non voleva darlo a vedere.
Liu si voltò in sua direzione ed accennò il sorriso più rassicurante che riuscì a fare, poi si rivolse a sua madre.
-Dov'è Jeff, adesso?- chiese, rendendosi conto solo in seguito di quanto fosse risultata fredda la sua voce.
La donna sciolse quel debole abbraccio e si ritrasse, improvvisamente spaesata. -Tesoro...- mormorò. 
-Dov'è Jeff?- insistette il castano, alzando il tono della voce.
-Credo... Sia stato portato alla centrale di polizia...- borbottò.
-Credi?- ripeté il ragazzo, assumendo un'espressione stupefatta. -Credi? Cioè, non lo sai?-.
-Calmati, Liu- intervenne suo padre.
Ma il ragazzo neanche ascoltò quelle parole. -Non avete... Minimamente provato a difenderlo, vero?- gridò, tentando di sollevare la schiena.
Ancora una volta un dolore atroce si espanse nel suo torace, ma riuscì ugualmente a mettersi a sedere.
-Liu, hai rischiato di morire dissanguato...- farfugliò la madre, cercando di giustificarsi. -Credevamo che ti avremmo perso...-.
-Devi pensare a te stesso, adesso- intervenne ancora l'uomo.
Ma la rabbia di Liu stava crescendo esponenzialmente, e si era fatta troppo intensa e bruciante per essere contenuta. -Da quanto ti interessi di quello che succede intorno a te, papà?- sbraitò; si voltò poi verso la donna, che aveva assunto un'espressione stupefatta. -E tu, mamma. È stato davvero così facile per te smettere di voler bene a Jeff? Non è anche lui tuo figlio?-.
Stava gridando, ma neanche se ne rendeva conto. Tutta la frustrazione che aveva accumulato adesso usciva dalla sua bocca, con asprezza.
-Immagino siate entrambi sollevati, adesso Jeff non vi sarà più di alcun disturbo-.

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