THREE

Liu era in piedi affianco al tavolo della cucina, con un lungo coltello stretto nella mano destra ed una misera cipolla bloccata sul tagliere con quella sinistra. Mamma gli aveva chiesto di dare una mano con la preparazione del pranzo e lui, seppur controvoglia, aveva accettato.
Mentre tagliava delle fette più sottili che poteva, tuttavia, barcollava un poco e non faceva altro e scuotere la testa per paura di addormentarsi con il coltello in mano; anche quella notte non aveva dormito quasi per niente.
-Allora? L'hai tagliata o no?- domandò la mamma, intenta ad aprire il forno.
-Ancora un attimo- rispose lui. Iniziò ad affettare con più fretta, ed ecco che la lama finì per tagliare anche la sua mano. Il ragazzo emise un lieve lamento, e subito gettò il coltello sul tavolo e bloccò l'uscita di sangue con l'altra mano.
-Liu.. Che succede?-.
Corse in bagno ed aprì il rubinetto del lavandino; poi, con movimenti lenti, mise la mano ferita sotto al getto d'acqua. Il sangue si lavò via, ed il taglio fu meglio visibile; nulla di troppo grave, ma comunque piuttosto profondo.
-Aspetta, prendo un cerotto e una garza- esclamò la mamma, che nel frattempo lo aveva raggiunto -Sei davvero maldestro...-.
La mattinata proseguì lenta, quasi interminabile. Liu se ne stava seduto al tavolo, aspettando che il pollo fosse pronto così da poter spegnere il forno e chiamare gli altri. Non aveva voglia di fare assolutamente nulla, e si sentiva pesantemente demoralizzato.
Quando fu il momento mangiarono tutti insieme; poi, nel primo pomeriggio, papà uscì per tornare a lavoro.
Era una giornata di sole, anche se qualche nuvola di passaggio qualche volta copriva la città con il suo manto grigiastro.
La mamma stava lavando i piatti, e Liu la osservava seduto sulla sedia, avvolto nei suoi pensieri. La stanza era silenziosa, fatta eccezione per il ticchettio delle stoviglie ed il frusciare dell'acqua aperta; ma quando la porta d'ingresso si aprì, fu facile per entrambi udirne il cigolio.
-Papà ha dimenticato la porta aperta?- domandò mamma, senza voltarsi.
-Non lo so- disse Liu -Può darsi-.
Si alzò svogliatamente, e percorrendo il corridoio a passo lento giunse fino al soggiorno. Osservò l'ingresso con la fronte aggrottata; la porta era socchiusa, ed uno spiraglio di luce entrava per poi allungarsi sul pavimento. -Papà dimentica sempre tutto- farfugliò. Ma mentre poggiava il palmo sulla maniglia per chiudere la porta, vide qualcosa entrare di corsa e quasi si prese un infarto.
Spalancò gli occhi e fece un balzo indietro, andando a sbattere la schiena contro alla parete.
Poi si portò la mano al petto, sospirando.
-Cenerentola, mi hai fatto prendere un colpo-. La gatta dei vicini, miagolando, saltò sul divano.
-Che ci fai di nuovo qui, eh? Non è questa la tua casa-.
La gattina rizzò la coda, poi si mise a sedere. Il suo manto era interamente bianco, o almeno avrebbe dovuto; in realtà, quella bestiola non faceva altro che sporcarsi, dunque per la maggior parte del tempo la sua pelliccia presentava macchie grigie o nere, che si provocava chissà come.
-Ancora Cenerentola?- gridò mamma dalla cucina -Buttala fuori-.
-Ma no, mamma... Dai,  non posso, mi spiace-.
-Lo sai che in casa non ce la voglio-.
Il ragazzo sbuffò pesantemente. Poi si avvicinò alla porta e la chiuse sbattendola. -Fatto- esclamò, mentre ridacchiando rivolgeva lo sguardo alla gatta, adesso comodamente distesa sul divano.
-Sto rischiando grosso per te- esclamò accarezzandola -Dovresti come minimo venerarmi come un dio-. Sorrise, quando la gatta socchiuse gli occhi intenta a godersi quelle carezze.
Ma quel momento così pacifico e tranquillo venne bruscamente interrotto da un secondo rumore, ancora una volta generato dalla porta.
Liu si voltò. Era sicuro di averla chiusa loco prima, e invece era di nuovo mezza aperta.
Si alzò in piedi, confuso. Si chiese se stava impazzendo.
Ma poi, accadde una cosa che mai più nella sua vita avrebbe dimenticato. Il fascio di luce a terra si espanse di colpo, e per qualche attimo il ragazzo dovette chiudere gli occhi accecato dai raggi del sole che adesso avevano invaso la stanza.
Quella che trovò davanti a lui era una figura umana, ferma davanti al ciglio della porta. Una felpa bianca piuttosto larga e usurata celava parte del suo volto, nascosto sotto al cappuccio, ed entrambe le sue mani infilate dentro alla tasca. Portava un paio di jeans strappati in più punti, ma non di quelli che su acquistano in negozio già così: erano logori, tagliuzzati e macchiati. Portava dei lunghi capelli neri, parte dei quali fuoriuscivano dal cappuccio e si adagiavano sul petto.
Liu stava per chiedere a quella persona chi fosse, ma le parole gli morirono in gola quando lo strano individuo sollevò il capo, mettendo in mostra il suo viso sfregiato.
Quello era... Jeff. 
Suo fratello.
Il moro puntò il suo sguardo dritto su di lui, senza dire una singola parola; e Liu poté vederlo ancora: quello sguardo folle, bestiale. Gli occhi di un demone. Aveva esattamente quella stessa espressione la maledetta sera in cui impazzì, si sfregiò in volto e scappò via.
Liu lasciò cadere la mandibola, esterrefatto. Il suo corpo iniziò a tremare, scosso da una valanga di emozioni che non riusciva a sovrastare; sentì una vampata di calore salire fino al suo volto, ed i battiti del cuore accelerare in modo improvviso.
Quello era un sogno. Non poteva essere vero.
Jeff allargò un lieve sorriso con un movimento di delle guance appena percettibile; ma quella non un'espressione di serenità, o di soddisfazione, né tantomeno di nervosismo. Quel sorriso era perfido, malvagio.
Mosse lentamente la mano destra sotto gli occhi del fratello che, immobilizzato dalla sua stessa paura, riusciva a malapena a respirare. Poi, con un movimento leggermente più scaltro, estrasse dalla tasca della sua felpa bianca un lungo ed affilato coltello da cucina.
Liu lo riconobbe immediatamente; lo stesso coltello che aveva preso dalla cucina quella sera, più di un anno prima. Era lui. Lungo, manico nero, scheggiato vicino alla punta.
Aveva sognato quel momento a lungo, immaginato quanto sarebbe stato bello poter incontrare ancora il suo amato fratello minore, poterlo vedere, poterlo toccare e digli tutto quello che avrebbe voluto dire ma che chissà come aveva sempre omesso.
E invece soltanto adesso, suo malgrado, si stava rendendo conto che quel suo sogno somigliava molto più ad un terribile incubo.

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