THIRTEEN
Lo scrosciare dell'acqua fredda sul letto sassoso del fiume generava un rumore costante, mentre i due fratelli immobili si guardavano negli occhi.
Lo sguardo di Jeff era cambiato, una luce di umana fragilità risplendeva nei suoi occhi. Ormai privato della sua corazza, il moro si sentiva troppo fragile per affrontare ancora quella conversazione.
-Jeff, qualunque cosa ti sia accaduta mentre non c'eri, a me non importa- disse Liu, allargando un piccolo sorriso con le labbra tremanti. - Sei ancora mio fratello, e lo sarai per sempre-.
Jeff restò fermo ad osservare il volto del fratello maggiore per qualche attimo, ed il suo sguardo non poté che soffermarsi sulle cicatrici che lo sfregiavano. Ricordava bene quel giorno in cui perse del tutto la testa, e lo aggredì con lo stesso coltello con il quale aveva sfregiato il suo stesso volto. Ricordava il sangue ed il suono di quelle grida che adesso riecheggiavano nella sua mente.
Abbassò lo sguardo, sorpreso del fatto di scoprirsi incapace di sostenere quello del fratello. Che cosa gli stava capitando? Dov'era adesso tutta la sua sicurezza?
Ciò che provava in quel momento era solo un enorme vuoto, ed un soffocante senso di colpa per tutto ciò che aveva fatto, per quello che era diventato.
-Ma niente potrà mai tornare come prima- disse debolmente, alzando le spalle. Niente avrebbe potuto farlo tornare il ragazzino spensierato di un tempo, neppure una magia avrebbe potuto trasformare quella sua mente deviata, non dopo tutto quello che i suoi occhi avevano visto.
Il fratello maggiore fece un passo avanti e poggiò una mano sulla spalla del moro; quest'ultimo dapprima si irrigidì e sentì l'impulso di allontanarsi, ma non lo fece. Rimase immobile fino a quando i suoi muscoli non si rilassarono uno per volta.
-Beh, possiamo provarci- disse ancora Liu, che non voleva di certo darsi per vinto. - Tanto che abbiamo da perdere? -.
Jeff non rispose nulla, ma rimase immobile con gli occhi puntati sull'erba umida sotto ai suoi piedi. Non avrebbe osato dirlo, ma gli sarebbe piaciuto tanto provare a ricostruire quella che un tempo era stata la loro famiglia felice.
-Dai, torniamo a casa- esordì Liu, ritraendo lentamente la mano. - Facciamo colazione insieme, vuoi? -.
Anche questa volta il moro restò completamente in silenzio, limitandosi solo a recuperare il suo coltello da terra per poi seguire il fratello, che si era già incamminato.
Osservò il suo passo gentile sull'erba bagnata fino a raggiungere la strada asfaltata, e si accorse di conoscere fin troppo bene quell'andatura. Allo stesso modo quel luogo, quel prato, quella città, generava o ricordi che facevano vibrare timidamente le corde della sua anima.
Liu si fermò davanti alla porta di casa, e si voltò indietro in direzione di Jeff. Il moro lo seguiva con le mani affondate nelle tasche e lo sguardo basso; i lunghi capelli corvini ne coprivano parzialmente lo sguardo.
-Mamma e papà ti vogliono bene- disse, sorridendo.
I pugni nelle tasche di Jeff si strinsero, e la sua respirazione si bloccò. Una sensazione di dolore e disagio si fece strada nella mente del killer, che tuttavia non disse una parola.
Meritava ancora, l'amore di qualcuno?
-Cerca di essere naturale con loro, e vedrai che andrà tutto bene-.
Liu aprì la porta con un gesto deciso, e trattenne il fiato per qualche secondo; la mamma si era appena affacciata dalla porta dalla cucina, e guardava con stupore e sollievo l'arrivo di entrambi i suoi figli. - Eccovi.. - farfugliò, senza fare nessuna domanda. Rivolse il suo sguardo a Jeff, che continuava a tenere la testa bassa come se non volesse incrociare i suoi occhi.
-Tutto... Tutto bene? - farfugliò.
Liu deglutì saliva con un gesto nervoso, e nella sua mente ecco riaffiorare quelle frasi raccapriccianti che il fratello aveva pronunciato poco prima.
"Io sono un killer, capisci?"
"Uccido le persone per gioco. Le massacro, le torturo"
"Mi faccio il bagno nel loro sangue".
Stentava ancora a credere che tutto ciò fosse vero, ma a prescindere da tutto mamma non avrebbe dovuto saperlo. Ne sarebbe stata terrorizzata, e forse avrebbe cercato in qualche modo di cacciare Jeff da casa.
Non avrebbe dovuto farne parola con nessuno, si disse.
Che fosse vero o meno, poi, non aveva importanza. Jeff era finalmente tornato a casa, e niente al mondo sarebbe stato mai abbastanza grave da cacciarlo via.
Il suo passato non aveva importanza, qualunque esso fosse.
-Vi va di... fare colazione? - chiese la madre, visibilmente in difficoltà nel parlare con un tono di voce rilassato.
Ma Jeff le passò accanto senza guardarla, afferrò una merendina confezionata dal tavolo e proseguì il suo silenzioso cammino fino a salire le scale che conducevano al piano superiore.
Liu fece spallucce.
-Avete... Parlato? - chiese la donna, intrecciando le braccia sul petto.
Il castano annuì debolmente, pensando tra sé e se che doveva calibrare bene le parole. - Un pochino, in realtà non mi ha detto quasi niente- farfugliò.
-Pensi che riuscirai a... Farlo parlare? -.
Liu scosse la testa. - Non lo so, mamma... Credo che ci vorrà del tempo-.
La donna annuì sospirando profondamente. - Sì ma io... Non riesco a darmi pace. Non lo riconosco più quel figlio mio, mi sembra di avere un estraneo un casa e... -.
-Mamma- la interruppe lui - Dobbiamo solo dargli un po' di tempo, okay? Sono sicuro che le cose si metteranno apposto-.
Lui stesso non era per niente convinto di ciò che stava dicendo, ma più di ogni altra cosa al momento voleva proteggere Jeff e rincuorare la mamma.
-Perché non... Sali un po' in stanza con lui? -.
-Voglio lasciargli i suoi spazi- rispose, abbassando lo sguardo. - Forzarlo potrebbe essere controproducente -.
La mattinata trascorse lentamente, tra il continuo venire e andare delle nuvole che in cielo coprivano i raggi del sole. Il papà rientrò a casa ad ora di pranzo, entrò con gli occhi fissi sullo schermo del suo cellulare e si recò in cucina.
-Porto il pranzo a Jeff- disse Liu, riempiendo un piatto di gnocchi.
-È ancora rinchiuso in quella camera? - chiese l'uomo, inarcando le sopracciglia. Il figlio non rispose a quella domanda, ma riempì un bicchiere d'acqua e si apprestò a salire le scale, facendo molta attenzione a non far cadere nulla.
Spinse la porta della stanza con una spalla, e non appena il suo sguardo poté penetrare all'interno si rese conto in pochi secondi che la stanza era vuota.
Jeff se n'era andato via. Di nuovo.
Il castano poggiò il piatto sul comodino e si mise a sedere sul letto del fratello, con le mani sulla faccia. Era inutile che tentasse in tutti i modi di aiutarlo a riallacciare i rapporti con la sua famiglia, se Jeff continuava a fare di testa sua.
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