8. Una canzone senza parole:

Marzo 2017

La pioggia scendeva ormai decisa e costante. Scivolava tra le pietre millenarie a lisca di pesce fino al centro della strada e spariva nei tombini, mondando i segni molesti di una civiltà irriverente.

Mauro si avvicinò. Le braccia abbandonate lungo il corpo. L'incedere lento e costante. Quando fu così vicino da essere pallidamente illuminato dalla luce del citofono, si fermò.

Goccioline come perle scivolavano lente dalle punte dei capelli e si attardavano tra le pieghe del volto. Sul suo viso la pioggia rallentava la propria corsa, come avesse chiesto indulgenza al tempo.

Carrie tremò. Lo studiò, domandandosi se davvero fosse solo acqua ciò che brillava attorno alle sue palpebre. Si lasciò rapire da quegli occhi più neri delle pupille. Vi era una forza oscura lì dentro, capace di attirarla come un magnete.

«Sei bagnato», sussurrò.

Il cuore le batteva in gola, il respiro era accelerato.

«Vuoi salire ad asciugarti un attimo?», le sfuggì in un soffio così leggero che non era certa di averlo pronunciato.

Mauro non rispose e avanzò. Allungò le mani, gli accarezzò il volto con i polpastrelli e poi lo strinse. Si avvicinò finchè i suoi occhi divennero due macchie scure confuse e il respiro, un soffio torrido sulla pelle gelida. Le sfiorò le labbra facendola fremere e poi vi si tuffò, come se volesse incidervi sopra le proprie.

Carrie si abbandonò a quel bacio. Un'onda di ricordi l'attraversò propagandosi all'infinito dentro di lei. Dimenticò l'ombrello che le cadde alle spalle, rivoltandosi. Solo il rumore dello scolo dell'acqua nei tombini superava in decibel, quello del cuore.
Poggiò le mani sul suo petto e le dita si fecero spazio dentro il giubbino, tra i risvolti della giacca, attraverso i bottoni della camicia fino a toccarne la pelle nuda. Un brivido scese a turbare la sua intimità. Allora, si staccò. Lo respinse con forza, aprì gli occhi e deglutì. Prese fiato. Anche l'aria era pregna del suo profumo. Non riusciva a respirare senza desiderarlo. No, non poteva sbagliare di nuovo. Non poteva perdere il controllo un'altra volta. Scosse la testa bagnata disseminando gocce ovunque. Si guardò attorno, allungò la mano e recuperò l'ombrello. Doveva fuggire via. Subito. Invece, avvertì le dita di Mauro risalirle la schiena e cingerle il collo. L'uomo la costrinse a girarsi e a guardarlo.

Per qualche istante si fissarono, occhi negli occhi. Carrie dischiuse le labbra, ma senza trovare le parole, come se la mente e il corpo non appartenessero più alla stessa persona.
Mauro le levò l'ombrello e lo chiuse con il laccio. Incrociò le dita con le sue e se le portò alle labbra per baciarle. Poi si girò verso il portone, portandosela appresso.
Carrie gli passò le chiavi e Mauro le ruotò nella toppa.

Quando furono dinanzi all'uscio dell'appartamento all'ultimo piano, si chinò, la prese in braccio e oltrepassò la soglia sino al letto. La sdraiò sul morbido piumino. Le tolse le décolleté nere e le sfilò i pantaloni. Si sollevò sulle ginocchia, tra le sue gambe aperte e si liberò degli indumenti bagnati. A torso nudo, cercò ammirazione in penombra come bisognoso di conferme, poi le spalancò il cappotto e si chinò verso la sua scollatura. Carrie gli passò le mani sulla nuca, si avvinghiò ai suoi ricci e lo strinse tra i seni, mentre il cuore le batteva più di quando calcava il proscenio a un concerto rock.

***

Si svegliarono la mattina presto. Una luce pallida penetrava dai lucernari del tetto. Carrie si girò a cercarlo e vide che era sveglio. Rimase in silenzio per prolungare quel momento di pace.

Mauro era nudo, il corpo abbronzato, scoperto. Allungò la mano ad accarezzargli il petto. Vi accostò le labbra. Lo sfiorò con un bacio e vi si strusciò sopra come un gatto che fa le fusa. Non le bastava vederlo, nè toccarlo, voleva il suo odore su di sè, come se questo potesse legarli in modo ineluttabile.

Lui le appoggiò una mano sulla spalla, con le lunghe dita le accarezzò l'orecchio, mentre con l'altro braccio le cinse la vita stringendola forte. Rimasero così abbracciati, ciascuno attraversato da mille pensieri senza osare esprimerli, fino a che la luce si fece più intensa.

«Hai fame?» mormorò Carrie.

«Sì» rispose Mauro con un sorriso. Le carezzò la nuca e la sfiorò con un bacio.

Carrie sollevò il volto e assaggiò le sue labbra. Aveva il cuore gonfio e un sorriso aperto da un orecchio all'altro. I loro corpi erano sazi di intimità e conferme. Forse non serviva parlare, pensò.

Poi si alzò, infilò la camicia del compagno e scese dal letto. Raggiunse il bagno e non indugiò allo specchio se non per levarsi le macchie del trucco della sera precedente. Non desiderava confrontarsi con la sua immagine riflessa. Voleva solo rimanere, per un brivido di tempo, in quella favola.

Quando uscì, Mauro era seduto al bancone della cucina e aveva già preparato il caffè e apparecchiato per due. Il viso disteso, il corpo a proprio agio, come non fosse passato un solo istante dall'ultima volta in cui era stato lì.

Quanto era bello Mauro la mattina! Nudo, con i pantaloni appena abbottonati, i capelli ricci scompigliati e quel sorriso sconvolto sul viso. Chissà se c'era un'altra donna, da qualche parte, a condividere quell'idea.
L'aroma intensa del caffèllatte mischiato al profumo della sua pelle riempivano tutto lo spazio vuoto dentro e fuori di lei. Non c'era posto migliore di quello al mondo.

Fecero colazione con le confezioni monoporzione di chissà quale ultimo albergo e raccontando episodi buffi dei recenti concerti. Poi la conversazione scemò.

«Perché non hai rispettato la scaletta dell'esibizione, ieri sera?»

Il volto di Mauro si scurì.

«Volevo delle emozioni vere.»

Le labbra di Carrie si sollevarono da un lato, in un sorriso amaro che si spense subito.

«Gonzalez ti sta soffocando...»

Mauro la fissò.

«Non è Louis. È senza di te che mi manca l'aria.»

Carrie avvertì una fitta attraversarla, come una pugnalata. Mauro distese un braccio sul bancone e sovrappose la propria mano alla sua, accarezzandola.

«Ho bisogno di risposte». Scosse il capo: «mi sta mettendo delle strane idee in testa».

Carrie trattenne il fiato e chiuse gli occhi. Mauro aveva i polpastrelli lisci, il tocco delicato e lieve: aveva mani morbide che non avevano lottato e che non tremavano mai. Con il pensiero le paragonò a quelle ruvide di Andrea con le unghie mangiucchiate e le vene rigonfie. Come erano diverse le sensazioni che provocavano in lei pur riuscendo entrambi a farla sentire al sicuro con un solo tocco.

Quando li riaprì, lui era accoccolato con la guancia sull'altra mano e la guardava con un'espressione sognante. Inspirò quell'aria soffice e statica che pareva volerli risucchiare in un'aurea da fiction, tra la luce grigia di un comune lunedì mattina.

Finchè, lo squillo di un cellulare la riportò alla realtà, come se si fosse risvegliata sonnambula sul bordo del tetto di un grattacielo. Mauro balzò in piedi e si affrettò a raccogliere il telefono a terra, vicino al letto. L'open space fu invaso dal suono gracchiante di una voce che crepitava nel microfono, tenuto a distanza di sicurezza dall'orecchio.

«Sì, sì. Lo so. Certo, Io...No, no. Va bene. Ho capito. Ho capito, ho detto. Arrivo subito. Sono rimasto a letto» mentì, «datemi il tempo di una doccia. A dopo». Chiuse la conversazione e lanciò il telefono sul piumino senza girarsi.
Alzò la voce che stridette nel vuoto:

«Devo andare. Mi ero dimenticato. Oggi siamo in sala prove.»

Una ruga fece capolino tra le sopracciglia di Carrie. Scese dallo sgabello per raccogliere le tazze e le infilò nel lavello.

«Okay.»

Il silenzio calò nella stanza come un gas ammorbante e l'aria divenne irrespirabile. Carrie si sentiva boccheggiare come un pesce in una boccia tonda. Aveva perso l'attimo. Buttò un occhio al suo quaderno di appunti, scordato vicino al lavabo. Anche a distanza, poteva vedere un angolo di quella fotografia che le aveva cambiato ogni prospettiva.

Solo pochi minuti prima, ad occhi chiusi, aveva immaginato che lui potesse capire, o meglio l'aveva sperato. Ma trascinarlo con sè in uno scandalo di quelle proporzioni, era una scelta egoistica.

Mauro voleva tornare in sala prove. La notte era passata e lui rivoleva la sua vita. Quella dorata e costellata di successi e fama. In fondo, lo capiva perfettamente perché era quello che avrebbe voluto lei, o almeno una parte di lei, quella più infima e codarda.
Così, tacque.

Mauro si avvicinò e indicandola con un dito disse:

«Ho bisogno della camicia» , poi aggiunse: «potrei fare una doccia?»

«Sì... certo.»

Carrie gli sfilò accanto. La schiena ritta, il passo di punta lieve come una ballerina che si ritira dalla scena. Raggiunse il fondo della stanza e si spogliò. Lasciò la camicia sul bordo del letto ancora sfatto e si infilò la maglietta del pigiama. Poi, prese dall'armadio un asciugamano, tornò verso la cucina e glielo porse: «Puoi usare questo».

Mentre Mauro faceva la doccia, rimase seduta al bancone: le ginocchia piegate portate al petto con la testa reclinata sopra. Lo sguardo alla finestra. Era una giornata uggiosa e la nebbia si levava dai prati dei colli.

Mauro uscì dal bagno, si rivestì e quando fu pronto la raggiunse. Controllò l'ora sul display del telefono e lo infilò nella tasca posteriore dei pantaloni.

Carrie seguiva ogni gesto di quel corpo, che la notte prima si era appropriato di lei e l'aveva baciata senza lasciarle il tempo di un respiro. Innanzi a sé ora vi vedeva dentro soltanto un ragazzo, preoccupato e spaventato da un futuro prossimo incerto.

Le parole erano inutili, sarebbero state solo promesse vane in un mondo in trasformazione. Mauro doveva definire le sue priorità e lei non voleva essere un ostacolo. Non aveva nulla da offrirgli. Nessuna certezza per cui rimanere.

Mauro sbuffò inquieto nell'ingresso, infilando la giacca ancora umida per la pioggia.

«Devo andare» bisbigliò, mordicchiandosi un labbro.

«Ho capito», rispose Carrie immobile.

Mauro strinse il pomolo e indugiò reggendosi, con la fronte, alla porta chiusa.

«Mauro...» sussurrò lei.

«Dimmi», rispose in un soffio, voltandosi a cercare i suoi occhi.

«Ci sentiamo?»

La voce di Carrie si spezzò. Era un pacco merce in spedizione su di un treno in corsa. Tutto attorno scorreva via e lei non sapeva come rimettersi alla guida della propria esistenza.

«Certo», replicò lui con un sorriso. Indugiò un altro istante, ma non c'era più nient'altro da aggiungere, così uscì.

***

L'uomo riattaccò l'interfono al clic e sorrise soddisfatto: «Bel lavoro di squadra ieri sera. Ora però devi andartene.»

Gettò della cenere, scuotendo il sigaro, nell'apposito contenitore sul tavolo e riprese: «Ha risposto alla chiamata. Arriverà presto. Non deve riconoscere la tua auto nel parcheggio. Lo voglio affranto, non sospettoso.»

«Non capisco. A volte credo che ti piaccia giocare con le persone, ma... non sono tutte pedine», rispose contrito, sistemandosi la spilla portafortuna che indossava sulla giacca a ogni trattativa "speciale".

«Ah, tu dici?», sorrise sornione e riprese imperterrito: «Torniamo a noi. A questo punto, ti rimane una sola mossa: raccogliere la proposta che arriverà bell'è pronta sul tuo tavolo e condurre la gallina dalle uova d'oro, oltreoceano. Al resto, ci penso io».

«Ma cosa c'entra il ragazzo? Perché distruggerlo?»

L'uomo stirò il collo all'indietro e rise. I polmoni rigidi reagirono con due robusti colpi di tosse.
«Non voglio rovinarlo. Fa parte della trattativa. Ma prima di rivenderlo, ne abbasso il valore».
Fece una pausa e continuò serio: «Ho altro a cui pensare. La sua presenza mi complica la vita.»

La conversazione era finita. Estrasse una scatola in legno di autentici sigari cubani da un cassetto della scrivania e se ne passò uno sotto il naso. L'intenso aroma delle foglie arrotolate al sole, lo riportava indietro di mille anni. Gli ricordava le proprie radici.

«Ancora qua?» commentò sprezzante, mentre armeggiava con il tagliasigari.

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