7. In quale notte sei stata mia?

Marzo 2017

La serata era finita. Gli addetti ai lavori erano le nuove star del palco. Era il loro turno di sfidare la durata delle stelle per cambiare il fugace panorama e, inseguiti dai sogni, realizzarli altrove.
Invece, gli artisti erano al rinfresco a festeggiare e a cenare. La notte era ancora lunga per chi la viveva tutta.

La residenza Nemi, un antico chiostro, si ergeva austera e impenetrabile con le mura e le volte ad arco quattrocentesche. Dall'esterno, non pareva il luogo adatto a quella calca di giornalisti, modelli, produttori e personaggi curiosi di ogni genere. Eppure, c'era stato un tempo in cui aveva avuto la medesima funzione, ospitato la stessa gente: gente che conta, e amici di gente che conta e amici degli amici di quelli che contano o che credono di contare solo per essere lì.

Carrie chiuse lo specchietto da pochette e lo ripose con il rossetto.
«Sono a posto?»
«Sei perfetta!»
Andrea le allungò una mano sul ginocchio e lo strinse.
«Arrivati» brontolò Denis e rilasciò uno sbuffo liberatorio.

La sfilata di auto eleganti era stata più snervante del solito.
Andrea rise divertito al suo tono scocciato.
«Chi ha voluto la Limousine per un paio di chilometri? Lo sanno tutti che è fuori moda: lenta, pesante e ingombrante. Il troppo stroppia!»

Carrie strinse le labbra per trattenere un risolino. Denis finse di non aver sentito e scese per primo. Le sue scarpe nere di vernice brillavano così tanto sotto i flash dei fotografi che si sarebbe potuto specchiarci dentro.

Fece il giro dell'auto bianca dai finestrini neri pavoneggiandosi con un'aria cerimoniale. Aprì la portiera e porse la mano a Carrie. La sottile caviglia esposta nelle décolleté nere di raso apparve per prima, seguita dalla gamba fasciata in un paio di pantaloni in ecopelle. Ogni muscolo delle sue gambe, modellato da anni di danza, era esaltato dai tacchi sottili e dalla mise aderente.

Andrea scese per ultimo e si accostò per le foto d'ingresso. Infilò una mano nella tasca dei pantaloni sotto la giacca cangiante bordeaux, arricchita dall'applicazione in pelle di un drago stilizzato.

Si erano accordati sul look rock per tradire di proposito le aspettative del manager che invece, si era messo in ghingheri: completo in gilet nero di raso, camicia e pochette bianche.

Denis cercò di isolarsi durante l'esplosione dei flash, invece Andrea ci tenne ad affiancarlo. Pareva godere nel sottolineare le loro differenze di stile e di immagine.
Ma era solo una piccola provocazione. Erano tutti ben consapevoli che quelle scaramucce erano possibili solo finché indossavano abiti firmati dagli sponsor. La loro, seppur dorata, restava sempre una gabbia.

Varcato l'ingresso della dimora, poterono distendere le guance e respirare a pieni polmoni le essenze diffuse con l'aria climatizzata come fossero in una Spa.
Carrie si tastò le tempie per massaggiarle. La ressa dei fotografi, le luci dei flash, le urla di richiamo, la fame e quel profumo, così asfissiante, la stavano mettendo a dura prova.

Andrea intrecciò le dita con le sue, le piazzò un bacio a schiocco sul dorso della mano e la strattonò, trascinandola con sé.
«Al buffet!», ordinò.

Mentre Carrie si riempiva un piatto troppo mini con degustazioni gourmet della cucina internazionale, Andrea raccoglieva consensi femminili. Un lato delle labbra di Carrie si sollevava divertito a ogni sguardo sfuggente che lui le dedicava a distanza. Sapeva, per abitudine, che non sarebbero rientrati insieme quella notte.

Una donna più sfrontata della concorrenza, gli sfiorò le parti basse passandogli alle spalle, per poi affiancarlo al tavolo degli spritz. Andrea sorrise. Arricciò le labbra, se le inumidì e le sussurrò qualcosa all'orecchio. Lei incurvò la schiena, spinse il petto verso l'alto e si coprì la bocca con una mano, mentre rideva, fingendosi scandalizzata.

Continuò a osservarli a distanza, poi quando la sirena di paillettes iridescenti si fu allontanata, lo raggiunse.

«Sarà lei il dolce di stasera?»

Andrea si lasciò sfuggire un sorrisino e afferrò una mini brioche salata con le dita.

«Può darsi...», rispose e la ingoiò in un boccone.

Carrie lo scrutò, accigliata.

«Ti senti mai in colpa?»

«No. Perché?» Sollevò le sopracciglia al centro. «Sono loro che mi cercano».

Carrie si guardò attorno. La bionda di poco prima, la fissava in cagnesco a qualche metro di distanza. Sembrava un avvoltoio in attesa del proprio turno. Era una scena quasi comica per quanto assurda. Era evidente che non avesse idea di chi fosse Andrea. L'aveva inquadrato a caso, un pezzo di carne fresco e ben vestito; altrimenti avrebbe saputo che lei non era una rivale.

«Perché non scegli qualcuno con cui legarti? Non vuoi qualcosa di più?»

«Sto bene così.»

La risposta di Andrea risuonò come una sentenza, ma quell'aria pesante durò poco. Inclinò la testa e gli occhi verdi scintillarono.
Con una mano afferrò una tartina di caviale e con l'altra strinse Carrie in vita. Lei intuì le sue intenzioni e iniziò a dimenarsi. Odiava il caviale.

«No, Andrea no...» lo pregò, ma lui, per tutta risposta, gli infilò la quiche in bocca ridendo. Carrie si guardò attorno e rimediò un bicchiere d'acqua al volo. Non poteva certo rigurgitare in pubblico. Con gli occhi lucidi lo fulminò, ma con le labbra gli sorrise. Andrea raggiante continuò a ridere di gusto. Poi le passò un fazzolettino di carta e si chinò al suo orecchio.

«Ci sei tu. Che me ne faccio di un'altra?»

Incurante degli sguardi, le diede un bacio in fronte, afferrò due spritz e si allontanò verso l'avvoltoio. Prima di sparire tra le forme della nuova compagna su di un divanetto, sollevò il calice, nella sua direzione, in segno di saluto. Discussione finita. Andrea era ermetico per certi versi. Nessuna replica, nessuna divagazione, una pietra liscia priva di appigli.

Carrie si ripulì, riprese il proprio piatto di pietanze e decise di fare un giro.
Oltre due enormi porte bianche con le maniglie dorate e le antiche vetrate piombate, la scalinata di pietra portava al giardino inglese e alle strutture esterne. La passeggiata era illuminata da torce a terra che donavano, ai lunghi abiti da sera delle signore, un tocco di suggestione aldilà dell'eleganza. Carrie le osservava rapita. Quelle gonne lunghe le facevano sembrare così "per bene": seducenti e innocenti allo stesso tempo.

Si accostò all'uscita. L'aria fredda primaverile soffiava attraverso i sottili vetri colorati. Affamata, raccolse dal piatto un onigiri che profumava di salmone e lo inghiottì.

«Posso?»

Una mano si allungò a sfiorarle le labbra con un tovagliolo.

Carrie si irrigidì e una ruga le increspò la fronte. Quegli occhi castano chiari, all'improvviso così vicini, avevano fatto sbarrare i suoi.

«Manuel?»

«Esatto! Buonasera, Carrie.»

Repentina, distolse lo sguardo per rivolgerlo al giardino oltre le sue spalle. Un ragazzo alto e riccio rapì la sua attenzione. Mauro stava passeggiando in compagnia di una donna, i cui lunghi capelli svolazzavano leggeri sulla schiena nuda fin quasi a raggiungere lo spacco posteriore dello stretto tubino. I due si fermarono, si sorrisero. Le labbra laccate rosso lucido di lei erano un pugno di colore nella notte. In pochi secondi, erano già troppo lontani per continuare a seguirli.

Un brivido la percorse, strinse le labbra e il mento si corrugò, imbronciato.

«Ti va di scendere con me? Ti posso introdurre...» disse Manuel allargando il braccio a indicare la zona più esclusiva della festa: un gazebo esagonale in ferro battuto e vetri trasparenti.

Carrie sbatté le palpebre e annuì con un sorriso forzato che a lui bastò.

«Prego» disse, agevolandole il passaggio: «prima le signore».

***

Mauro, dopo aver visitato il giardino con un'avvenente compagnia femminile, ritornò sui suoi passi da solo, deciso a raggiungere il buffet. Un altro bicchiere di vino l'avrebbe aiutato a essere più socievole.
Al centro della corte, lungo il vialetto ghiaioso, Louis Gonzalez lo fronteggiò adirato.

«Ah! Eccoti qui. Ti stai divertendo?»

Mauro lo studiò: non era da lui ubriacarsi. Eppure, aveva qualcosa di insolito.
Con le dita infilate nelle tasche e le braccia ripiegate a gonfiare la sua presenza già ingombrante, gli si parò innanzi osteggiandolo.

«Ragazzo, inizi a costarmi più di quanto vali!»

La sua voce si erse subito molesta. Si tolse il sigaro dalla bocca e tossì così forte che anche i camerieri in guanti bianchi si girarono in quella direzione. Mauro roteò lo sguardo fulmineo e si rese conto di quanta attenzione Louis sapesse richiamare.

«Cosa credevi di fare stasera? L'indipendente? Pensi davvero di poter scegliere la scaletta dei brani?». Scosse la testa in modo scenico e continuò: «Non hai capito proprio niente. Sono io che decido. Io, non tu!».

Mauro sentì le orecchie andare in fiamme: era della sua musica che si stava parlando.
«La canzone di stasera era nell'album e ...» provò a ribattere.

«Ma non era quella che avevo scelto. Chi cazzo fa l'apertura sul palco con una canzone che non è un singolo? Te lo dico chi: un perdente!»

Fu allora che Mauro scorse Carrie in compagnia di Manuel del Vescovo. Lo riconobbe subito. Solo qualche giorno prima Louis glielo aveva presentato nei corridoi degli Studios.

«Volevo fare quella canzone per- perché...» incespicò. Nella mente, mille pensieri sconnessi si composero come i pezzi di un puzzle.

"...una nuova frequentazione nel Jet set dello spettacolo..."

Le frasi degli articoli di gossip gli arrivarono come schiaffi in faccia.

«Per... che cosa? Eh?» continuò Louis, a voce sempre più alta: «Tu devi produrre e io fatturare. Devi fare quello che ti dico. Non è difficile, Cristo Santo!»

«Avevamo preparato un arrangiamento diverso...», cercò di riprendersi Mauro, mentre la gola gli si asciugava.

"...una persona vicina alla cantante ha rivelato che potrebbe non essere più sola...i due si sarebbero conosciuti a inizio anno..."

Ogni parola letta in precedenza, tornò a scuoterlo. Iniziò a fissare Carrie come se fosse l'unica persona tra la folla di cui gli importasse qualcosa, mentre il cuore impazzito gli opprimeva il petto.

Louis, di fronte alla sua debolezza, incalzò: «Un professionista non improvvisa mai. Mai!».
Poi si interruppe. Il tempo di una boccata di sigaro e sentenziò: «quella canzone è entrata nell'album solo perché c'era spazio. Non diventerà mai una hit, come tu non sarai mai una star!».

Gli spettatori si zittirono. Gli alberi, le luci, le colonne antiche del chiostro, iniziarono a vorticargli attorno. Mauro ricordò le testate sensazionalistiche degli ultimi tempi:
"Carrie Gem Bibi ha ritrovato l'amore? "

Restò inebetito. Tutto quello che aveva fatto, l'aveva fatto per lei. Aveva messo ogni cosa in gioco e la stava perdendo di nuovo o forse, non era mai stata sua.
In confronto il macigno, che Louis gli aveva appena lanciato addosso, era polvere.

Giovanni li raggiunse in volata e cercò di intromettersi.
«Perché non ne discutete in ufficio?», mormorò: «volete dare da mangiare ai giornalisti?»

«I giornalisti?», tuonò Louis di rimando, mentre l'altro si guardava attorno preoccupato.

«Sì, d'accordo, parliamone... Parliamo di quanto mi costano. Dopo stasera, dovrei rovesciare le tasche ancora una volta per fermare le rotative di quei giornaletti patinati da quattro soldi.» Indicò Mauro con un ampio movimento del braccio e riprese, deciso: «Fa le scene in corridoio, il ragazzetto, manco fosse un adolescente alle medie».

Insoddisfatto dalla mancanza di reazione, tornò a rivolgersi a Mauro: «Chi ti credi di essere? Non sei altro che un povero stronzo venditore di brani porta a porta per qualche migliaio di ragazzette in calore. Devi sorridere con tutti i trentadue denti e offrire le chiappe dal palco, se serve per arrivare in cima. Non ho bisogno di decine di testate rosa con un frignone nostalgico in copertina. Vuoi sembrare uno stalker del cazzo?»

Ondate di calore attraversarono Mauro, tanto da farlo tremare nello sforzo di contenersi. La sua dignità di uomo veniva fatta a pezzi. Questo era diventato? Era così immediato il passaggio mediatico da "ritorno di fiamma" a persecutore?

Strinse la mascella così forte che il contorno divenne evidente sotto il filo di barba e spostò lo sguardo sul manager con aria di sfida. Dove voleva arrivare?

«Allora, chi mi rifonderà delle spese, tu? E con cosa? Con la tua musica?»

Louis allargò le braccia così da sembrare quasi enorme.

«E fino a quando? Fino al prossimo scandalo?»

Carrie si fece spazio tra le file di persone immobili e si portò al centro del capannello: «Gonzalez», lo chiamò, mentre intorno la piccola folla pareva trattenere il fiato: «sta esagerando, non è successo niente, non ci saranno altri episodi. È stato solo un malinteso».

Rivolse a Mauro uno sguardo implorante perché sedasse la discussione.

Louis la respinse agitando una mano in aria come se scacciasse una mosca: «Sciò, sciò, via tu. Nessuno t'ha interpellata».

Mauro la inquadrò. Carrie non aveva il diritto di infilarsi nelle sue questioni. Non era un bambino. Non aveva bisogno di essere difeso, soprattutto da lei.

Serrò i pugni, le vene del collo si gonfiarono, divenne paonazzo fino ad esplodere.
«Tu non sei nessuno.Nessuno!» urlò all'indirizzo del manager, gonfiando le labbra di disprezzo: «sono io a sudare sul palco. Tu sei solo un pidocchioso succhiasangue.».

Carrie si coprì la bocca spalancata con la mano. La vide arretrare tra gli spettatori. Denis le sussurrò qualcosa all'orecchio e lesto le passò la giacca che aveva già pronta alla mano. Manuel del Vescovo la affiancò e, dopo aver indicato un punto in fondo al giardino, avvolse le spalle di Carrie con un braccio e la condusse via.
Il petto di Mauro si sgonfiò. Aveva ancora le orecchie in fiamme, ma si sentiva come se le forze l'avessero abbandonato di colpo.

Louis temporeggiò, seguendo il suo sguardo, soddisfatto. Poi si chinò al suo orecchio e con la voce atona e le mani sui fianchi sibilò:

«Hai chiuso con me», si interruppe per aumentare il pathos e poi riprese: «Non hai capito niente. Bye bye, ragazzo romantico. Sei fuori! Ti sei appena fottuto la carriera».

Accennò un sorriso storto e ammiccò, con la testa, nella direzione da cui Carrie se ne era andata.
«Che ti eri messo in testa? Quella è una puledra di razza. Come credevi sarebbe finita?». Si girò per fissarlo occhi negli occhi.
«L'hai visto l'americano, no? Lei sì che ci sa fare!»
Si ficcò il sigaro in bocca e lo fece lagrimare con il fumo di scarto.

Mauro impallidì.
Come faceva a conoscere quella storia?

Louis rovesciò la testa all'indietro in una grassa risata, come se avesse letto i suoi pensieri, affondò l'ultimo colpo.
«Chi credi che quella volta, l'abbia fatto tornare negli States come un fottuto fantasma? Nessun pettegolezzo, niente di niente? Te lo sei mai chiesto? Piccolo idiota! Ti ho inseguito a Roma per farti fuori, ma poi, grazie a te, mi sono fatto un amico. Io faccio i soldi. Sempre. E tu? Sai stare a galla? L'acqua è piena di squali e tu non sei più al pianoforte nella tua cameretta».

Gli batté una mano sulla spalla, strizzò un occhio ad Anna e si allontanò ridacchiando.

Mentre Mauro impalato, in piedi rifletteva, la folla si disperdeva in commenti e risolini.

Anna gli carezzò la schiena e cercò di consolarlo con un tono accogliente:
«Forza Mauro, andiamo a bere qualcosa di forte. Leviamoci da qui. La partita è chiusa.»
Giovanni sorrise per incoraggiarlo.
Mauro li seguì come un automa, ma giunto all'interno della sala del palazzo,
i suoi dubbi raggiunsero consistenza.

Louis comprava le notizie e lo faceva per "business": questo spiegava come fosse riuscito a crescere tanto in fretta in quel settore.
Ma Carrie? Che c'entrava lei?
L'aveva dipinta come un'arrivista disposta a tutto per la carriera, ma non era vero. Lui l'aveva conosciuta, l'aveva amata ed era stato amato.
Era stato amato... amato... Si sentiva come se qualcuno gli avesse appena strappato via qualcosa, ma non sapeva cosa: se l'onore o l'amore, ma il dolore era lo stesso.

Le mani sudate tremavano di rabbia. I pensieri avevano un unico soggetto. Senza batter ciglia rigò dritto oltre i tavoli imbanditi di dolci al cioccolato per il gran finale e si allontanò a falcate.

Ritirò la motocicletta dal garage e si infilò in superstrada e poi in autostrada, con la presa stretta sull'acceleratore.

In sorpasso tra le macchine, all'altezza di Dalmine, gli parve di intravedere, in lontananza, una Porche nera.
Un figlio di papà non poteva che avere un'automobile d'effetto. Digrignò i denti.
Vernice opaca, vetri oscurati e targa svizzera. Erano loro. Poteva cercare di precederli.

Il cielo nero era rischiarato dai lampi del temporale in arrivo. Giunse a Bergamo. Carrie abitava in Città Alta, la parte antica, custodita tra le mura venete. Proseguì lungo la strada in salita fino a quando gli fu possibile, perché le strette vie cittadine erano interdette al traffico dei non residenti, poi continuò a piedi a passo svelto. A diversi metri dall'ingresso dell'abitato, rallentò per non essere notato. Spiarla avrebbe potuto restituirgli qualche risposta.

Mentre le nuvole riversavano fredde catenelle di pioggia, vide sopraggiungere due giovani figure e senza alcuna esitazione, entrare.

Il suo cuore si infranse. Dovette aprire le labbra per respirare.
Come aveva potuto vivere con quella donna ed essere tanto cieco? Rimase immobile. Sconfitto come un passero con le ali troppo fradice per alzarsi in volo.
Il cuore iniziò a pulsargli nelle tempie.
Sollevò lo sguardo sopra il palazzo per sincerarsi di quanto appena scorto.

Il cielo cupo fu presto rischiarato dai lucernari sul tetto dell'appartamento di Carrie. Così erano davvero loro, insieme e soli, nel suo spazio privato, nella sua intimità quotidiana.

Strinse i denti che battevano anche per il freddo.
Era finita, dunque, quella serata orribile. Era finita davvero, era finito tutto quanto. Aveva distrutto tutto per niente.

Ruotò sui tacchi e si allontanò per tornare alla motocicletta ma, dopo qualche metro, avvertì il rumore del pesante portone antico dell'ingresso. Si voltò e vide un ragazzo avviarsi a piedi in direzione opposta alla sua.
"Manuel? Possibile?" Si chiese confuso.

Ritornò sui suoi passi dondolando incerto mentre, dentro di lui, una debole fiammella di speranza chiedeva di essere nutrita.

Nel buio, Carrie era poco più colorata della sua stessa ombra. Pareva la protagonista di una rivista di fotoromanzi ingiallita dal tempo. Avanzando, Mauro non riusciva a non domandarsi chi avesse di fronte e quale ruolo avrebbe interpretato ora. Non era sicuro di voler conoscere la risposta a quella domanda.

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