6. In quell'isola che non c'è:
Marzo 2017
Con il pollice sul display del cellulare, Mauro scorse rapidamente le notizie che lo riportavano sempre all'ultima ricerca.
Erano passati altri due mesi, ma lui era rimasto lì. Un libro scordato aperto sulla pagina migliore. Perché proseguire sapendo che poteva solo peggiorare?
«Paparazzi...» mormorò a denti stretti, giocando con il dito su e giù, perchè le scritte divenissero sfocate e illeggibili.
"Carrie Gem Bibi ha ritrovato l'amore? Una persona vicina alla cantante ha rivelato che potrebbe non essere più sola."
Sotto, l'articolo continuava sempre allo stesso modo.
"Da qualche tempo Carrie appare più serena e la causa potrebbe essere proprio una nuova frequentazione nel Jet set dello spettacolo. Secondo i rumors, i due si sarebbero conosciuti a inizio anno durante la registrazione del recente album Stich negli Abbey Road Studios londinesi."
Chissà se quanto riportato in quelle pagine era attendibile. Da giorni ormai controllava e ricontrollava, ma niente più di questo era stato battuto dalle agenzie.
"La notte di Milano si risveglia live con un concerto evento per Radio Deejay in piazza Duomo. Tutti i più grandi nomi della discografia nazionale saranno ospiti della manifestazione: dai..."
Verificò per l'ennesima volta, la lista dei partecipanti, come se non la conoscesse già a memoria.
Si mangiucchiò l'unghia del mignolo finché fu troppo piccola per continuare. Gli Stardust, purtroppo, ci sarebbero stati. Strinse il cellulare nella mano e risollevò lo sguardo a fissare un punto indefinito oltre il finestrino. Da quando aveva saputo di quella serata, aveva ricominciato a torturarsi. Il loro mondo era così perfettamente tondo, che evitarsi era impossibile. A lungo, si era interrogato sul motivo di quella fuga repentina dal suo letto. Perché Carrie non si era fermata un altro po'. Almeno fino a mattina. Almeno per chiarire se mettere un punto o una virgola alla loro storia.
«Stupido!» Gli sfuggì a denti stretti.
«E ubriacone!» Ripeté, scuotendo la testa. Ci era ricascato. Chissà cosa aveva elaborato lei di quanto accaduto. Ma erano domande già vecchie se Carrie aveva voltato definitivamente pagina. Avrebbe dato tutto ciò che aveva pur di avere una risposta.
Bloccò lo schermo del telefono e lo infilò nella tasca della giacca.
Erano quasi giunti a destinazione. L'auto dai finestrini neri avanzava a passo d'uomo, tra le transenne e la calca umana, controllata da un numero appena sufficiente di addetti alla sicurezza. Le urla eccitate dei fan gli trapanavano i timpani mentre, dal finestrino abbassato, elargiva sorrisi.
Si appellò al destino. Forse non si sarebbero neppure sfiorati. La scaletta prevedeva che Mauro fosse tra i primi a esibirsi, mentre gli Stardust sarebbero usciti in chiusura.
Scese nel parcheggio e seguì meccanicamente un ragazzo sconosciuto dalla pettorina giallo limone con la scritta "Staff". Non avrebbe potuto perderlo di vista neanche se l'avesse voluto.
Si addentrò nel corridoio stretto dei camerini improvvisati con strutture prefabbricate lignee e raggiunse il proprio. Dal nulla, come illusionisti, comparvero il manager e i collaboratori.
Lo show aveva inizio da lì. Gli portarono l'abito di scena, gli accessori degli sponsor, gli auricolari e poi giunsero il truccatore e il parrucchiere.
In seguito, arrivarono i ragazzi della band. Erano chiassosi e carichi di adrenalina.
Il loro calore umano, in quel piccolo spazio, era più funzionale della stufetta elettrica.
Regolarono le cuffiette in wi-fi con le coriste, ascoltarono le ultime dritte del coordinatore fonico, si trattennero per i saluti di rito e incoraggiamento e poi uscirono di corsa. Al segnale della produzione, sarebbero stati i primi a salire sul palco.
Restò Giovanni, per appuntargli il trasmettitore e regolarne la frequenza.
Sistemati i collegamenti sotto la camicia, asserì:
«A posto» disse, assestando due colpetti sul petto di Mauro con la mano aperta.
Indugiò per qualche secondo, occhi negli occhi, poi annuì in direzione di Louis, il manager.
Si diresse verso l'uscita, aprì la porta e si girò ancora una volta.
«Ti aspetto on stage con i ragazzi, il Mic lo porto io. Ricontrollo il segnale di ricezione alla consolle. Tranquillo, andrà tutto bene. Serata liscia!».
Louis Martinez, il manager, spintonò Giovanni con una spallata e lo precedette. Si insinuò nel vano aperto, bofonchiando tra sé e sé. Si schiarì la gola con un colpo di tosse e caricò l'aria con l'odore di terra e tabacco tostato, del sigaro cubano che reggeva a lato delle labbra violacee.
«In culo alla balena, ragazzo! Io non mi fermo. Ci vediamo dopo al rinfresco e cerca di non mancare, questa volta.»
Rise da solo, della sua freddura e prima di scomparire si aggiustò in vita i pantaloni del completo gessato.
Giovanni sollevò gli occhi al cielo e sbuffò, ripulendo l'aria con un movimento della mano.
«Che problemi ha?»
«Mi sbatte sempre in faccia quella storia, come se non fossero passati mesi.»
«Quale?»
«La fuga» bofonchiò Mauro.
«Ah! Beh, quella volta gliel'hai fatta grossa. Hai mollato tutti senza una parola. Ti hanno cercato ovunque, prima di capire che avevi preso l'aereo per-»
«Non era ora di andare?»
Lo interruppe Anna Sala con gli occhiali fumè sulla punta del naso e un sopracciglio rialzato. Giovanni abbozzò un sorriso storto, che scomparve subito. Abbassò la testa e sparì. Mauro tornò a specchiarsi.
«Tutto ok?» gli chiese, l'assistente personale, ritornata docile. «Sei nervoso?».
«Sono pronto», rispose Mauro deglutendo. «Quanto manca?».
«Un paio di artisti e poi tocca a noi. Ti serve qualcosa? Vuoi dell'acqua?»
Anna si sistemò gli occhiali e prese a girargli attorno per controllarlo dalla testa ai piedi. Poi tossicchiò per schiarirsi la voce.
«Non puoi permetterti di avere problemi con Louis» iniziò, mentre gli sistemava le spalle della giacca. «Sai che è il migliore sulla piazza».
Gli aprì un bottone della camicia e accentuò le pieghe della stoffa per mettere in vista il petto. «Non basta il talento per arrivare in cima. Servono gli agganci giusti, e lui li ha. Ha mani in pasta ovunque, dagli studi televisivi fino ai concerti negli stadio. È quello che ti serve. Hai preso il volo da un ottimo trampolino. Restare con lui è stata la tua scelta migliore. Non lo dimenticare».
Arretrò per ammirare la sua opera. «Capisci cosa intendo?»
Mauro scrollò un polso per far riemergere il braccialetto gadget della serata. Lo ruotò cosicché il simbolo dell'aquila stilizzata fosse bene in vista per le riprese televisive.
Anna gli sorrise soddisfatta e Mauro contraccambiò. Aveva una grande pazienza e sapeva come prendere le persone. L'aveva vista districarsi spesso tra artisti capricciosi e tecnici di produzione. Lei stessa amava definirsi "uno stato cuscinetto", e lo era a tutti gli effetti.
«Bene. Bravo ragazzo!» esclamò a braccia conserte. «Sei la punta di diamante. Il mio preferito!».
Con due dita gli pizzicò la guancia: «Ma non dirlo a nessuno», aggiunse strizzandogli un occhio.
Mauro annuì con la testa. Ne era conscio. La sera della fuga, Anna l'aveva scoperto, ma era stata zitta. Non aveva avvisato nessuno. Chissà, forse per amicizia o per romanticismo. Fatto stà che gli aveva lasciato un vantaggio.
Mauro espirò profondamente. Inclinò la testa a destra e a sinistra per sgranchirsi il collo e accennò due saltelli sul posto, per scaricare la tensione pre-esibizione. Aveva già scaldato la voce con i coristi. Doveva solo calcare la scena e centrare la nota dell'attacco.
Abbandonarono il camerino. Mauro camminava a testa bassa, la fronte accigliata e la mano stretta sul trasmettitore appeso alla cintola dei pantaloni. Anna dietro di lui, come un'ombra, lo accompagnava.
Una porta scricchiolò e si aprì sullo stretto corridoio. Mauro dovette fermarsi e si ritrovò Carrie di fronte.
Avvertì i muscoli del collo irrigidirsi all'istante. L'adrenalina in circolo lo rese più reattivo del dovuto. Così sbottò senza freni:
«Ma tu guarda chi si rivede! Ancora viva?»
Carrie, gelata dall'accoglienza, sgranò gli occhi che divennero blu scuro e li calcò a terra. Fu Andrea a rispondere:
«Ciao Mauro.»
«Andrea?» gli vibrò in gola. «Tutti qui eh, stasera? Vivi e vegeti.»
«Pare di sì» rispose canzonatorio e salutò Anna con un cenno del capo. «Si va in scena?»
Avvolse Carrie con un braccio e la spostò di lato. «Passate, passate pure», disse roteando l'altro come fosse un vigile urbano. «Il pubblico vi aspetta».
«Può aspettare! Ce n'è di gente che aspetta» ribatté Mauro rigido, gli occhi paralizzati sulla ragazza.
«Anna?» la chiamò in causa Andrea. Ma la donna in un tailleur classico, pareva una statua moderna, liscia e priva di espressioni.
Alla mal parata, Carrie ripiegò nel proprio camerino.
«Sei proprio una stronza» biascicò Mauro e, scuotendo la testa, riprese a seguire la linea di luci a soffitto.
A quell'insulto Carrie reagì, tuffandosi nel corridoio alle sue spalle: «Che vorresti dire?»
Mauro ruotò il busto.
«Io?»
«Si fa tardi...», provò a intervenire Anna.
Mauro alzò ancora di più la voce. «Io niente.» Infilò le mani in tasca, sollevò le spalle verso le orecchie e le lasciò ricadere. «Magari tu... »,suggerì languido.
«Niente neppure io!» tuonò Carrie inviperita.
Attorno a loro, tra gli addetti al lavoro e gli artisti in pausa, scese un silenzio vigile. Solo il rumore di sottofondo, di una macchinetta da caffè che riscaldava l'acqua, osava interromperlo.
Carrie avvampò e si ricompose. Si controllò le mani tremanti e le strinse l'una dentro l'altra.
«L'avevo intuito», ironizzò Mauro con un risolino, pur di avere l'ultima parola: «non un solo messaggio...».
Carrie percorse lo spazio che li separava a falcate, e gli puntò l'indice contro lo sterno: «E tu? Tu, invece?»
Sollevò il mento fiera e rivolse il dito verso l'alto. «Mi hai chiesto una notte. Una! E l'hai avuta.»
Mauro si paralizzò, come se il sangue nelle vene fosse divenuto azoto liquido.
La bocca aperta, le sopracciglia raccolte al centro.
Non sarebbe riuscita a farlo sentire in colpa. Era stata lei ad andarsene e quindi a essere in torto. Lei, che forse, si era già consolata: di nuovo. Un'altra volta.
Anna gli strinse un braccio.
«Andiamo» sussurrò, guardandosi attorno. Dal nulla, comparve Giovanni. Allarmato dal ritardo dell'artista, era tornato a cercarlo. Prontamente prese in mano la situazione:
«Ragazzi, ragazzi ...» disse ponendosi fisicamente tra i due e roteò lo sguardo con fare allusivo: «non è il caso di discutere qui».
Poi mise entrambe le mani aperte sul petto di Mauro e ruggì: «È ora di andare!». Lo obbligò a cambiare direzione e allontanarsi da quello scenario di guerra. Anna chiuse rapida la fila.
Giunti alla porta che lo separava dalla scaletta del palco, Mauro si avvinghiò, con entrambe le mani, al braccio di Giovanni.
«Che succede?» chiese, osservandolo preoccupato: «Un attacco di panico?»
Mauro scosse la testa e dichiarò concitato: «Voglio aprire con un altro brano.»
«Che minchiata è questa?»
Mauro lo afferrò dal bavero della giacca e gli ingiunse: «Sei tu il fonico, comunicalo in cuffia. Subito!»
Giovanni sgranò gli occhi.
«E... Louis?», ma si arrese subito di fronte all'espressione severa di Mauro. Sbuffò e avvicinò l'archetto delle cuffie alle labbra.
Mauro sorrise, soddisfatto. Si volse alla porta spalancata. La superò risvegliando il pubblico che si profuse in applausi.
Il fonico allontanò il ricevitore della trasmittente e borbottò, ancora scosso: «The show must go on».
***
Andrea si levò il giubbino sfrangiato, che puzzava ancora di pelle conciata di fresco e lo avvolse attorno a Carrie.
Lei vacillò incerta sui tacchi. Il corpo, scosso da tremori, era affamato d'aria.
Con la delicatezza di chi maneggia una lastra di vetro, Andrea la condusse lontano da sguardi indiscreti, verso l'uscita di sicurezza.
Una guardia, dalla fronte corrugata e le braccia conserte, si parò loro innanzi.
«Cinque minuti d'ossigeno, solo cinque minuti», affermò e tirò dritto verso l'esterno.
All'aperto, tra le impalcature in ferro della struttura provvisoria del palco, i suoni si inseguivano tra quelli originali e il rimando delle casse acustiche.
Restarono muti in un angolo nascosto, anche alle stelle, a spiare la confusione e la felicità altrui. La complicità era assoluta. I loro corpi sobbalzavano agli stessi suoni e i loro occhi abbracciavano gli stessi spazi. Attesero.
La voce di Mauro si levò al disopra delle urla e degli applausi, che scemarono. Si propagò come una brezza calda sull'erba, distendendola.
Carrie scoppiò a piangere. Il trucco si sciolse in rivoli neri lungo le guance arrossate. Si ricalcò nelle spalle. Andrea se la portò al petto. La riparò con il giubbino fino alla nuca e la nascose in un abbraccio, piegando le spalle come fossero ali.
Si lasciarono scivolare a terra fino ad avvertire i sassolini del cemento della piazza sotto i palmi delle mani, senza curarsi di imbrattare i costumi di scena.
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