21. Un finale a sorpresa:

Giugno 2017

Il motore rombò nella strada e la ruota stridette sull'asfalto. La targa sarebbe stata segnalata in uscita. A quell'ora della notte, la circolazione dei mezzi a motore era vietata in tutta l'isola di Albarella.

"Superate le sbarre automatiche non potrà più rientrare" pensò Mauro, struggendosi.

Vagò per la casa, un occhio rivolto al vecchio cucù della nonna. La playlist romantica di fondo lo stava torturando più di una goccia d'acqua sulla fronte.
«Alexa stop!» urlò così forte da provocarsi un colpo di tosse. Portò una mano allo sterno e raggiunse il bagno per bere un sorso d'acqua direttamente dal getto del lavabo. Gocce fresche schizzarono tutto intorno a lui, anche sullo specchio. Le guardò scivolare giù lasciando lunghe scie, come la pioggia sui vetri d'inverno e sullo sfondo intravide sé stesso: un uomo penoso, il perfetto mix tra un serial killer e un senzatetto sbronzo.

Con un gesto di stizza lo colpì con il pugno chiuso per annientarlo. Un rivo carminio si confuse nel lavandino con i frammenti di vetro. Un gemito di dolore gli sfuggì dalle labbra, chiuse gli occhi nello sforzo di trattenerlo, ma due goccioloni salati trovarono lo stesso il modo di fuggire via. Con uno sfrigolio, i pezzi più piccoli di specchio seguirono il flusso del liquido nello scarico. Spaventato si rigirò la mano aperta sotto gli occhi, per un pianista era preziosa quanto per un chirurgo. Non credeva di essere capace di una tale collera, lui che non aveva mai fatto a botte con nessuno e che impallidiva alla vista del sangue. Per fortuna, si era solo graffiato le nocche. Vi avvolse una salvietta e tornò in camera.

Si levò la camicia macchiata e la scaraventò a terra. Dal comò in rattan estrasse una maglietta liscia makò che si infilò come meglio riuscì. Aprì le imposte della camera per prendere aria, il nodo che aveva alla gola gli strozzava il respiro.

L'umidità della notte si sparse lungo i muri e si infilò nei suoi pensieri, raffreddandolo. La seducente luce della luna piena e il canto allegro delle ultime cicale gli diedero la misura della sua solitudine. Come aveva potuto sprecare una notte come quella? Come aveva potuto sprecare tutte quelle precedenti?

Non le aveva detto mai niente per farla rimanere, eppure quella notte di parole ne aveva avute tante e tutte sbagliate.

Una stretta allo stomaco lo aggredì. Si accovacciò a terra, la schiena al muro e le ginocchia al petto. Le lenzuola del letto erano sfatte e il copriletto pendeva tutto da un lato. Le micro-luci del baldacchino facevano da lugubre cornice a quel luogo di scempio. Ognuna delle scene precedenti, gli tornarono alla mente: i baci, le carezze, quel corpo femminile, tanto adorato, che lieve scivolava sopra le lenzuola e poi, il volto trasfigurato dall'ira e il turpiloquio come uno sfregio su quelle labbra poco più grandi di una fragola.

Premette i polsi sulle orecchie e incassò la testa fra le spalle. Il fischio degli acufeni era tornato per terminare l'opera di distruzione.
«Se n'è andata» si disse a voce alta per convincersi. L'ansia lo invase come fosse febbre. Carrie stava guidando nella notte, probabilmente verso casa, lungo l'autostrada. Cercò il cellulare e digitò sulla tastiera: "Dove sei?"

Attese, invano.

«Ti amo», aveva detto. Non avevano mai usato quelle tre sillabe. Non avevano mai avuto bisogno di spiegare ciò che provavano l'uno per l'altra, mai come una coppia datata, mai fino a quella sera, o almeno, non lui.

"Dove sei?" scrisse di nuovo e di nuovo, e di nuovo fino a che le sue speranze si spensero. Tre ore per raggiungere Milano, poco meno per Bergamo. Avrebbe atteso. Seduto sul cotto del pavimento, iniziò a rabbrividire. Afferrò l'angolo del copriletto e lo tirò a sé. Per un attimo, gli parve di percepire nell'aria il profumo della sua donna. Chiuse gli occhi e inspirò a pieni polmoni.

***

Tre ore dopo, poco prima dell'alba, Mauro non aveva ricevuto ancora una risposta. Il cuore gli batteva così forte che, ogni volta, era una pugnalata al petto. Doveva agire. Non poteva più attendere. Cercò un numero in agenda che non credeva avrebbe mai usato. Il telefono suonò a vuoto, finché una voce stupita chiese:

«Carrie?»

Mauro arricciò le labbra. Sotto quale nome Andrea aveva salvato il suo contatto? Ex di Carrie numero...

«No. Sono Mauro» rispose.

«Mauro?» domandò Andrea sempre più sbigottito: «Che vuoi?»

«Carrie è con te?»

«Con me?» Andrea mangiò subito la foglia. «Stai scherzando?»
Mauro sbuffò. Come aveva potuto pensare che tre giorni d'amore potessero essere un segreto intimo tra lui e la sua donna?

«Che cazzo succede?»

«Abbiamo discusso.»

«E...?»

«Niente. Abbiamo discusso. Volevo sapere se fosse venuta da te.»

Andrea alzò la voce.

«Di notte? Se ne è andata via di notte? E tu l'hai lasciata andare?»

«S-sì» Mauro divenne insicuro. Andrea si stava agitando troppo. «Non potevo inseguirla. I mezzi a motore qui, non possono circolare.»

«Tranne il suo!»

Qualcosa cadde all'altro lato del filo e una voce di donna si lamentò debolmente. Il giovane cantante restò in ascolto.

«Quanto tempo fa?»

«Quanto tempo fa, cosa?» domandò confuso.

«Quando è successo? Cazzo, svegliati!» Andrea era spazientito. «Da quanto se ne è andata?» Borbottò smozzicando le sillabe, come se si fosse infilato qualcosa tra le labbra.

«Da qualche ora.»

«E mi chiami solo adesso?»

Mauro distinse chiaramente il rumore della pietra focaia di un accendino.

«L'ho messaggiata al cellulare, ma non-»

«Porca puttana! Sei proprio un pezzo di merda!»

«Magari guidava, no?»

«Magari no! Neanche la faccia per chiamarla ci hai messo.»

Mauro fece spallucce. Carrie era un'adulta, non una ragazzina. Andrea ne stava facendo un dramma. A chi non era successo di avere una discussione e dire cose sgradevoli che magari non si pensano davvero.

«Che vuoi che faccia?»

«Hai fatto abbastanza.»

«E tu?»

«Mi vesto e vado prima a Bergamo e poi ovunque mi passi per la testa. Prega il tuo Dio che la ritrovi. Altrimenti, ti ci porto con me a calci in culo.»

«Mi chiami se...?»

«Se ...cosa?» mugugnò a denti stretti. La voce era sempre meno chiara, sovrastata da fruscii e sfregamenti nel microfono del telefono. Probabilmente reggeva il cellulare, la sigaretta e stava pure cercando di infilarsi qualcosa addosso. Così almeno, se lo immaginava.
«Ma stai zitto. Fammi, il piacere!»

***

Andrea infilò il cellulare nella tasca posteriore. Si girò e strattonò qualcuno sotto le lenzuola.

«Tesoro, devi andare. Ho una cosa da fare.»

«Adesso?» rispose una donna dai capelli rosso mogano e l'incarnato delicato. «Non posso restare qui? Fino a quando torni...»
Assonnata, ruotò sul fianco e allungò una gamba, ostentando la coscia magra e nuda fino all'anca.

«No. Non so se tornerò e, se dovessi tornare, non sarei solo.»

Andrea strinse gli occhi irritati dal fumo che risaliva dal mozzicone tra le labbra, mentre con le mani richiudeva la zip dei pantaloni.

«E me lo dici così?» Si indispettì, stropicciandosi gli occhi con le dita.

«Ci sono cose che non ti riguardano. Dai, su! Muoviti! Ho fretta.»

Andrea abbandonò la sigaretta accesa sul bordo del comodino e raggiunse il bagno. In pochi istanti, ritornò con il volto rinfrescato e il corpo reattivo. Aprì l'armadio e si infilò una maglia leggera.
La donna scese dal letto completamente nuda, con i capelli lisci a cascata sugli occhi semi-chiusi e la faccia imbronciata. Barcollando verso il bagno, urtò una bottiglia di tequila vuota che ruzzolò sul pavimento andando a sbattere contro lo zoccolino alla parete.

«Hey bionda, non disfarmi casa.»

«Sono rossa.»

«Dipende dove guardi.»

La donna prese una salvietta sul lavabo e gliela lanciò addosso, prima di chiudersi dentro.

«Ottima mira! Vedo che ti sei svegliata.» Sorrise, divertito. Raccolse la sigaretta, fece l'ultimo tiro e gettò la cicca nel lavandino della cucina. Infine, passò alle bottiglie e ai bicchieri sparsi in giro per la casa.

«Ti muovi?» Chiese rivolto alla porta del gabinetto. Si mise a impilare gli abiti della donna, lanciandoli, uno sull'altro, sopra al letto. Quando lei si presentò appoggiata allo stipite con un braccio sopra la testa e l'altro abbandonato lungo i fianchi, Andrea si lasciò sfuggire un fischio. La inquadrò dai piedi alla testa e la raggiunse, gongolando con un sorrisetto maligno.

«Devo andare...»

La donna sussurrò, languida: «Ne sei proprio sicuro?»
Si umettò le labbra con la punta della lingua e le gonfiò a culo di gallina.

Andrea si fermò a un palmo dal suo naso e, mentre lei apriva la bocca per riceverlo, rispose: «Sì», con gli occhi verdi che sfavillavano insolenti, in attesa della prossima mossa.

«Sei proprio uno stronzo!»
La donna delusa, lo respinse e raggiunse il letto, a falcate, per rivestirsi. L'uomo la lasciò fare, poi l'abbracciò, da dietro. Lei tentò di dimenarsi, ma lui la tenne stretta.

«Sei un mascalzone. Lasciami!» I capelli le si erano appiccicati al volto e incastrati tra le labbra, mentre cercava di scuotersi. Andrea le diede un bacio sul collo per calmarla. Poi con una mano, glieli scostò dalla guancia e le bisbigliò all'orecchio:

«Il tuo mascalzone preferito?»

La donna si girò e si incollò alle sue labbra.

«Andiamo, ti accompagno all'auto» replicò, scostandola poco dopo.

«Come un vero signore?»

«Quello mai.»

Se la ingraziò con una delle sue svenevoli espressioni da spaccone e giocherellando con le chiavi in mano si fermò a fissarla oltre la soglia dell'appartamento.

«E tu, Roberta come mi preferisci?»

La donna lo oltrepassò e si piantonò sul pianerottolo con una mano sul fianco.
«Roberta era quella dell'altra sera? Perchè io sono Laura.»

Andrea le diede le spalle per chiudere la blindata.

«Lo sapevo», ridacchiò: «era uno scherzo!»

«Non mi fa ridere.»
Laura imboccò le scale di lena senza girarsi.
Con un'andatura morbida, Andrea la raggiunse mentre, ferma sul marciapiede, cercava le chiavi dell'automobile nella borsetta.
Al suo arrivo, si illuminò.

«Mi volevi accompagnare davvero? Non era uno scherzo?»

Andrea le cinse il fianco e le diede un buffetto sulle labbra.
«No, non posso. È quasi giorno e io sono un vampiro.»
Le fece l'occhiolino accompagnandolo con uno schiocco delle labbra. Spalancò gli occhi per enfatizzare la battuta: «Devo sparire...»

Quindi, si incamminò all'indietro verso la rampa dei garage. A distanza, si passò il pollice sulle labbra ancora umide.

«Rossetto alla pesca di prima mattina? Ottima scelta!»

Accennò un inchino e un saluto militare con due sole dita alla fronte.

«È stato un piacere, Laura. Alla prossima.»

«Ci conto», si affrettò a rispondere la ragazza, per poi allontanarsi in direzione opposta ancheggiando su di un paio di Saint Laurent a stiletto.

Andrea si mise a cercare la chiave del cancello elettrico nel mazzo. Chissà dove aveva lasciato il telecomando, magari nell'auto stessa. Camminando sul marciapiede, a sorpresa, scorse Carrie. Indossava il casco ed era ancora in sella alla propria motocicletta parcheggiata tra una Opel corsa e un'Audi. Rimise l'intero mazzo in tasca e schioccò le nocche delle dita. Peccato aver dimenticato le sigarette di sopra, pensò. Trasse un respiro profondo e si fece forza. Era sana e salva. Era già una buona cosa.

«Carrie...»

La ragazza sollevò la testa a fatica, come se il casco pesasse troppo. Da quanto tempo era lì? Si domandò.

Lei aprì la visiera nera e spalancó gli occhi sorpresa.
«Cosa fai sotto casa all'alba?»

«Stavo venendo a cercarti.»
Andrea dimezzò la distanza a passi lenti, ma continui.
Intanto, prendeva tempo per studiarla e precederne le reazioni.

«Mi ha chiamato Mauro», indagò. Annullò la distanza. «Era preoccupato per te.»

Carrie abbassò lo sguardo sulle proprie mani. Aveva tolto i guanti e li aveva riposti con cura, l'uno sull'altro, sopra il serbatoio. «Avevo paura di perdere il controllo. Me ne sono andata.»

«Hai fatto bene», commentò l'uomo e poi tacque. Le tremavano le mani e aveva un aspetto terribile, ma nient'altro. Si allungò e l'afferrò per un braccio. Ruotò il busto verso l'edificio grigio e rosa e ammiccò con la testa.
«Forza, andiamo su.»

Carrie scese dalla motocicletta, si sfilò il casco e si lasciò condurre.

L'appartamento di Andrea era un bilocale della taglia giusta per un arredatore dell'Ikea e la donna delle pulizie non gli stava mai tra i piedi. Già dalla soglia si poteva percepire il mix di essenze di trascorsi, intensamente vissuti.

«C'è qualcuno?», chiese entrando.

«Non più.»

Attraversarono l'ingresso e per poter accedere al divano, l'uomo dovette traslare il cartone di una pizza famiglia e una lattina di birra, trasformata in portacenere, sul tavolino di fronte.

«Mi ci vuole un caffè e a te una camomilla» affermò, spostandosi in cucina.

«Ti è caduta nel cestino della spesa?» chiese ironica la donna.

«Okay, no. Bleffavo. Però potrei farti una tazza di latte e miele.» Mugugnò parole irripetibili mentre rovistava tra i cassetti. «Sempre se trovo uno scalpello, da qualche parte.»

«Se il miele è cristallizzato, va sciolto a bagnomaria.»

«Sant'Iddio, che eresia! La mia Maria odia l'umidità. Sta meglio tra le fiamme infernali del mio accendino.»

«Andrea!» lo rimproverò Carrie.

Lui fece capolino dalla cucina.

«Ne vuoi un po'? Dicono che sia terapeutica. Ottima per calmare i nervi.»

Carrie lo fissò con il capo inclinato da un lato.

«Scherzavo, scherzavo...» Alzò le mani aperte sopra la testa in segno di resa. «Non farmi arrestare! Una volta è bastata.»
Scomparve e tornò serio.
«Dammi cinque minuti, ho quasi fatto. Ti accontenterai dello zucchero.»

Si accese una sigaretta direttamente dal bruciatore del gas. Richiuse la moka con gli occhi stretti a fessura per via del fumo che risaliva verso la fronte e l'appoggiò sulla fiamma. Poi, con il cellulare in mano e la bionda tra l'indice e il pollice, digitò la prima cosa che gli sovvenne. Osservò soddisfatto la scritta "inviato" e il nome di Mauro lampeggiare qualche secondo sul display, quindi tornò a dedicarsi ai fornelli.

Appena tutto fu pronto, fece l'ultimo tiro, gettò la cicca nel lavandino accanto alla precedente e richiuse la finestra. Con un asciugamano sulla spalla e un vassoio tra le mani si spostò in salotto.
Carrie aveva acceso la televisione e fissava lo schermo. Le pupille erano fisse al centro, indifferenti alle immagini che scorrevano veloci.
Sul tavolino c'era ancora il cartone della pizza. Con un piede spedì la scatola a terra e fece spazio. La donna prese lo zucchero e iniziò a metterlo nella tazza di latte. Andrea glielo ritirò al quarto cucchiaio.

«Che è successo?» chiese con la mano ancora aperta sul barattolo.

Carrie portò la tazza calda alle labbra senza rispondere. Andrea allungò due dita e con il dorso, le fece una carezza sulla guancia. Quel gesto bastò. Le ciglia reclinate della ragazza si riempirono di lacrime copiose che iniziarono a scendere segnandone le guance.

Andrea si alzò, andò in cucina e strappò due pezzi di carta casa da un rotolo.
Non era bravo con le parole.
Odiava la fragilità, lo metteva a disagio e quando si trattava di Carrie il disagio diventava impotenza e l'impotenza diventava rabbia. Carrie lasciò la tazza e si asciugò il volto.

«Sei orribile» l'apostrofò il compagno.

Lei abbozzò un sorriso sghembo.

«Grazie.»

«No, dico davvero.»

Le allungò una mano, l'attirò al bagno e scivolò alle sue spalle di fronte allo specchio sopra il lavabo.
«Avevi detto mai più. Ricordi? Mai più per un uomo», scosse la testa ripetutamente. «Per nessun uomo», sottolineò.

L'aveva cresciuta perché fosse forte: una guerriera, proprio come lui.
Carrie annuì, ma le lacrime ripresero a scorrere.
Andrea prese l'asciugamano e gliele tamponò.
«Lavati!» Con le mani cercò di raccoglierle tutti i capelli e di serrarli in una coda. «Te li tengo io.»
La ragazza ubbidì. Si calò in avanti e con il sapone cercò di eliminare le ultime tracce scure di trucco. Lo sguardo le cadde sulla salvietta.

«Ho fatto un disastro.»

Andrea alzò le spalle. Lasciò che i capelli le ricadessero liberi e le appoggiò il proprio mento sulla scapola. Con un braccio le avvolse la vita e con l'indice le sollevò il mento. Con un sorriso, la riscaldò.

«Guardati! Ora, sei bella.»

Lei cercò di rifuggire la propria immagine. Allora, l'uomo la contenne con entrambe le braccia e ruotò la testa fino a poggiarle un bacio sul collo, leggero come un soffio.
Carrie ruotò dentro quell'abbraccio per accostare la guancia al suo petto. Fece risalire le mani da sotto le ascelle fino alle spalle e si aggrappò alla maglietta stropicciandola fra le dita.
A quella richiesta d'affetto, Andrea la strinse forte a sé, come aveva fatto mille volte quando, in punta di piedi, le arrivava a malapena in vita. Quando si fu completamente abbandonata a lui, la sollevò da terra di peso. La portò al divano e la distese lentamente come fosse stata la sua *Fender Stratocaster. Attese con pazienza, che fosse lei a slacciarsi dal suo collo, prima di rialzarsi.

«Riposati. Hai dormito poco.»

«Dove vai?»

«Torno subito. Prendo una coperta.»

Riapparve e, come promesso, la coprì avendo cura che ogni lembo di stoffa fosse infilato sotto il suo corpo, quasi ne volesse fare una mummia.

Carrie osservava il soffitto, come se sopra ci fosse disegnata una carta geografica con indicata la direzione da prendere.

«Va bene, così?», le chiese appena ebbe concluso.

Lei annuì, ma prima che si allontanasse, lo richiamò a sé.

«Mauro mi ha detto una cosa strana.»

«Cosa?» Andrea corrugò le sopracciglia.

«Mi ha detto che la memory card, che mi ha dato Manuel, veniva da Louis Martinez.»

***NOTE***

* Fender Stratocaster: Marca di chitarra elettrica

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