2. Un'altra volta:

31 dicembre 2016

Il Carpe Diem illuminava Milano come un faro nella notte. Vivaci file di giovani, accalcati gli uni agli altri, gremivano il limitare della Safety zone nella speranza vana di rimediare un autografo.

Mauro e Giovanni arrivarono in motocicletta all'ingresso dedicato ai Vip. Giovanni fece leva sulle spalle di Mauro per scendere dal sellino. Si diede una spinta eccessiva e le gambe non ressero il peso. Per poco non finì a terra. Si tolse il casco e scoppiò a ridere. Il posteggiatore li raggiunse di lena. Mauro sollevò il braccio per allungargli le chiavi al volo, ma gli scivolarono a terra in un clangore metallico. Strinse le labbra per contenersi. Appoggiò un ginocchio all'asfalto gelido e si chinò per cercare di infilare le dita nell'anello di metallo del mazzo. L'addetto al controllo fu più rapido. Si appropriò delle chiavi in un secondo e lo redarguì con uno sguardo che gli ricordò suo padre. Si rimise in piedi. Giovanni, ridendo fino alle lacrime, gli assestò un paio di colpi all'abito per ripulirlo. Poi, l'abbracciò e lo trascinò nel locale.

Le loro risa moleste rimbalzarono chiassose tra le vetrate tirate a lucido e i muri lisci illuminati dai led. Il loro incedere era incerto, ma in linea con quello della quasi totalità degli invitati alla festa per la notte più lunga dell'anno.
Mauro depositò casco e giubbino al guardaroba. Giovanni lo seguì a ruota.

I due amici avanzarono insieme verso il cuore della festa. Le loro mani si fecero spazio accarezzando pesanti tende di velluto nero, come il mantello di una pantera. Dentro, si adattarono subito agli insidiosi spot di luci vorticanti e alla musica ad alto volume.

La pista da ballo dominava l'intero spazio. L'odore di corpi sudati ed eccitati li inondò come un richiamo animalesco, attirandoli nella bolgia infernale.

Una ragazza si infilò tra di loro. Quando i suoi occhi da gatta, impreziositi da file di false ciglia, incrociarono quelli di Mauro, un lato delle sue labbra si sollevò assieme al sopracciglio.

Poi scivolò via, in una nuvola di profumo. Restarono a fissarne la schiena nuda, ammaliati dal profondo scollo dell'abito, retto soltanto da un incrocio di file di Swarovski.

Giovanni allungò il braccio e lo spinse in avanti così forte da fargli perdere il baricentro e urtare una donna sulla cinquantina. Mauro arrossì.

«M-mi scusi», blaterò.
La risposta fu uno sguardo lapidario. Giovanni scoppiò a ridere.
«Hai appena rischiato la vita. Sei matto? Gli hai dato del Lei
Mauro corrugò la fronte come un bambino strapazzato e cercò un modo per defilarsi. Tirò dritto fino a raggiungere uno spazio vicino alle vetrate, ove l'aria era meno rarefatta. Da lì poteva vedere il giardino e la piscina. Le luci si inseguivano silenziose sulla superficie dell'acqua.

Se non fosse stata una notte gelida, Mauro ci si sarebbe tuffato. Quella sola vista gli regalava un senso di tranquillità e di appartenenza. Forse perchè era nato ad Albarella, una minuscola isola. Il suono della risacca nei fiordi a ninna nanna.

Un brivido lungo la schiena lo risvegliò dalla catarsi. Trasalì. Dall'attacco, riconobbe il brano. Volse lo sguardo verso il palcoscenico, dove c'era una consolle da dj, ma anche un ridotto allestimento per esibizioni live.

Sotto le luci della ribalta, la chitarra rosso fuoco di Andrea stava calamitando l'attenzione del pubblico, ma gli occhi smaniosi di Mauro ambivano un'altra visione.

Carrie avanzò a passi decisi fino all'asta e afferrò il microfono. La sua voce, potente e graffiata, risuonò nel locale.

Mauro, rapito, la inseguì, per poi fermarsi alle spalle dell'unica fila di tavolini disposti sotto il palco. Mentre attorno i commenti si moltiplicavano, si perse a osservare la forma del suo amore. La linea allungata degli occhi, la bocca a cuore evidenziata dal rossetto color ciliegia.

Lo sguardo calò sino alla punta degli stivali di paillettes argento, per poi risalire ammaliato dal perfetto incarnato olivastro delle gambe che brillavano ricoperte di glitter.

Si soffermò all'apice dello spacco dell'abito di frange e candidi lustrini, all'altezza della coscia muscolosa e tonica. Per un attimo, immaginò di poterne apprezzare il calore sotto il palmo della propria mano e di scivolare oltre, lungo quella superficie liscia e dorata, per arrestarsi solo raggiunto l'incavo del fianco a cui avvinghiarsi.

L'accento milanese di Giovanni lo riportò in sé: «Comé la valà?»

Mauro serrò la bocca e roteò gli occhi. Il pubblico si era infittito e i loro sguardi morbosi erano simili ai suoi. Si infilò le dita nella cravatta bordeaux e l'allentò tirandola con forza in direzione opposta al collo. «Bene.»

Si girò per confondersi nella calca. Le sue erano ormai fantasie alla pari di quelle degli altri uomini presenti.

«Andiamo al bar! Non senti che le casse a terra vibrano e la voce è distorta?», brontolò Giovanni. «Pure da ubriaco avrei fatto meglio. Chi diavolo è il fonico?». Mauro non rispose. Giovanni gli diede due pacche sulla spalla e sollevando un sopracciglio, accennò a due ragazze senza accompagnatori. «Forza bello mio, è ora di far prendere aria alla carta oro.»

Mauro lo seguì fiacco. La sua mano tremava nel ritirare il cocktail. Il profumo della fetta d'arancia sul bordo non mascherava quello del gin. Le giovani donne accolsero l'omaggio con un ampio sorriso. Mauro si impose il proprio. Alzò il bicchiere proponendo un brindisi, ma bevve solo un sorso.

Terminata l'esibizione live, che aveva accompagnato l'arrivo degli Stardust alla festa, il deejay si riprese la scena.
A Mauro pareva fosse calato il silenzio. Sipario chiuso. Spettacolo finito. Ciò che rimaneva non lo interessava più.

La ragazza al suo fianco, insinuò le dita tra i suoi ricci bruni, avvitandoli in cerca di attenzioni.
Mauro strinse la cannuccia tra i denti. Per un attimo ci provò. Socchiuse gli occhi e si abbandonò agli eventi. Si illuse di ritrovare su di lei un profumo capace di appagare i propri sensi.
Ma poi, l'aroma di rosa e mosto selvatico della donna avviluppata a lui, lo risvegliò. Si sentì soffocare. Le sue dita invadenti gli parvero artigli. Cosí, si slacciò dal suo corpo.

«Faccio un giro», borbottò.
Scrollò le spalle e affondò lo sguardo nel bicchiere ancora pieno. Fece tintinnare il ghiaccio contro i bordi. Possibile che quel liquido, che gli bruciava la gola, non bastasse a renderlo euforico? D'istinto si avviò verso la piscina. Aveva bisogno di aria fredda per chetarsi. I suoi stessi pensieri lo infastidivano. Gli ronzavano in testa come api in un'arnia.

Carrie mi avrà visto? Cosa ci fa in Italia? È sola con Andrea? E l'americano? Che fine ha fatto?

Una moltitudine di domande gli bombardavano la mente. Colpi sparati a raffica. Un solo obiettivo: il punto debole al centro del petto.
Strano però che non ci fossero stati pettegolezzi su quella relazione. Forse nessuno aveva fatto in tempo a cogliere lo scoop. Amara consolazione dopo essere stato travolto dal suo abbandono a titoli cubitali su tutte le principali testate scandalistiche. Non aveva mai immaginato che la fine della loro relazione potesse avere più risalto dell'inizio.

Avanzando nella calca, assorto nei suoi pensieri, si accorse di Carrie solo quando le fu di fronte.

«Ciao», lo salutò la donna.

Mauro scattò. Il mento, appuntito da un filo di barba incolta, tremò. Quegli immensi occhi blu cobalto erano ancora capaci di emozionarlo. «Ciao.»

«Ti è piaciuta l'esibizione?» mormorò la donna. Mauro interpretò il labiale. Fissò quelle labbra bagnate di gloss che si schiudevano e richiudevano al ritmo di un trapezista a dieci metri d'altezza. Dopo mesi di assoluto silenzio, davvero voleva intrattenerlo con uno straccio di conversazione amichevole? Si illudeva, se sperava che avesse dimenticato.

Inspirò e si erse in tutta la sua imponente statura. La squadrò con le labbra sigillate e gli occhi come due fessure. In testa gli batteva ancora la rabbia di quando l'aveva sorpresa in camerino con il produttore americano.
Lo sguardo colpevole di lei l'aveva colto impreparato e trafitto da parte a parte, come una lama affilata che affonda nel burro.

Inarcò un sopracciglio. Portò la mano all'orecchio, con l'indice e il pollice aperti, e la roteò più volte in aria.
Sperava che lei capisse.
Invece, non si arrese. Si alzò sulle punte dei piedi, gli appoggiò la mano alla spalla e gli sussurrò all'orecchio: «Come stai?»

Mauro ruotò fulmineo la testa per risponderle a tono, ma cozzò nell'azzurro fatale dei suoi occhi e perse un battito. Prostrò lo sguardo abbattuto e gli uscì solo una replica dal retrogusto ironico:

«Io? Bene.»

Carrie batté le ciglia.

«Quindi... sei a Milano?»

Mauro non rispose. La tensione si tagliava a fette. Carrie portò la mano alle labbra. Si accanì su di un lembo di cuticola sopravvissuto chissà come alla ricostruzione delle unghie.

«Credevo che... fossi ancora a Londra.»

Mauro sbuffò, lasciò ricadere le spalle e capitolò. Non riusciva a rimanere scostante. Avevano avuto una storia importante. Almeno per lui. Non meritava questa fine.

«Ci sono stato. Poi, ho festeggiato Natale con i miei a Treviso. Sono rientrato a casa l'altro giorno. Per lavoro.»

Carrie annuì con la testa.
«Devo andare ora.»
Si volse attorno, cercando di individuare qualcuno tra la folla.
«Allora buon anno nuovo, Mauro. In bocca al lupo per i tuoi progetti. Ti auguro di realizzarli tutti.»

Allungò la mano, ma quella dell'ex compagno rimase abbandonata lungo il fianco. Poteva sforzarsi di essere civile e avere un rapporto verbale, ma quello era il massimo che poteva fare. Carrie invece, si aggrappò ai suoi avambracci per sfiorargli la guancia con un bacio. Mauro si irrigidì. Il seno di lei gli sfiorò il petto. Inspirò quel profumo di cannella e vaniglia e avvertì una stretta allo stomaco. Lei gli mancava. Gli mancavano i suoi sorrisi, le sue mani, le sue carezze. Gli mancava il solletico che gli facevano i suoi capelli sul viso. Gli mancavano tutti i suoi splendidi difetti, anche il dentifricio in bagno, immancabilmente aperto.

I ricordi gli inasprirono il cuore. Si strinse nelle spalle. Si erano incrociati per caso. Carrie non l'aveva cercato. Non era gentile. Era patetica. Con quel perbenismo, pensava di cancellare il torto inflitto?
Credeva che sarebbero diventati due vecchi amici?



La musica pompava a ritmi accesi. Corpi guizzanti si strusciavano l'uno all'altro pieni di vita. L'aria calda, umida, vissuta, era quasi irrespirabile.

Carrie stese le labbra e accennò un sorriso, poi si girò per andarsene. Mauro scattò come una molla trattenuta troppo a lungo. Le afferrò il braccio nudo. Il colore giallognolo delle dita in pressione contrastava con quello cremisi della pelle di lei, attorno alla stretta.

«Tutto qui?», l'ammonì a voce alta.

Carrie inclinò la testa, spalancò gli occhi e la sua bocca disegnò una perfetta o.

Mauro, incalzò.

«Tutto qui? Non mi fai anche gli auguri di compleanno? Non puoi esserti dimenticata. È stato il venticinque dicembre!»

Carrie si riprese dalla sorpresa e inarcò le sopracciglia. Le convenzioni erano finite. Ruotò sui tacchi e gli sollevò un dito dopo l'altro, per indurlo a mollare la presa.

«Ho pensato molte volte di chiamarti, ma non sapevo se tu...», fissò gli occhi nei suoi: «se tu volessi sentirmi».

"Davvero?" Si chiese Mauro cinico. Non la capiva, come molte altre volte del resto. Solo che un tempo, quella sua ambiguità aveva un non so che di intrigante. Ora, era come un pezzo trap in chiesa: fuori luogo. Il labbro inferiore iniziò a tremargli.

«Stupido», si ammonì a denti stretti.

Così, si sentiva dinanzi a lei. Debole e stupido. Abbozzò un sorriso che pareva più una smorfia alla Joker. Abbassò lo sguardo velato sul bicchiere, che ancora reggeva in mano, addentò la cannuccia con foga e se ne andò.

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