15. Il re
Maggio 2012
Aprì e richiuse le dita per distenderle. Il pianoforte a muro andava accordato, si ripeté. Mauro raddrizzò la schiena e intrecciò le mani dietro la nuca. Non riusciva a concentrarsi. Sedeva lì, scimmiottando vecchi brani, senza nessuna nuova idea in testa. Più si sforzava e meno ci riusciva. Niente musica e niente parole. La sua testa era un foglio bianco o meglio un groviglio di pensieri indecifrabili da trascrivere su carta.
Allungò un braccio e fermò il metronomo. Abbassò il coperchio dei tasti e si alzò. L'intera colonna vertebrale gli doleva. Aveva trascorso ore e ore seduto in quella posizione per niente. Si sfregò le guance ispide e si spettinò i ricci già arruffati. Doveva rimettersi in sesto, pensò. Almeno per quello, bastava il barbiere sotto casa.
Gettò un'occhiata all'agenda aperta. C'era una lunga lista di numeri, meno della metà vistati. Avrebbe dovuto impegnarsi di più se voleva trovare un nuovo manager. Basta, raccontarsi favole su come farcela da solo. Nessuno l'avrebbe preso sul serio. Le case discografiche amavano gli artisti, ma a distanza, come belve allo zoo. Preferivano di gran lunga le promesse degli intermediari, come fossero domatori. Il contatto diretto non dava garanzie.
Inoltre, aveva bisogno di mille altre cose, come uno staff che per ogni esibizione si occupasse degli spostamenti degli strumenti, dei costumi e degli accessori. Doveva avere una band, delle coriste e un tecnico per il suono, che lo seguissero fin dalle prove.
Non sarebbe mai riuscito a cantare sulla base preregistrata perché gli piaceva improvvisare. Piccole variazioni dell'intonazione o del testo che nascevano dall'ispirazione del momento. Grazie all'affiatamento con i suoi ragazzi ogni esibizione, fino ad ora, era stata unica.
Com'era possibile che non si fosse mai accorto di tutto il lavoro che ci stava dietro? Sbuffò, sopraffatto. Era una formica su una zattera alla deriva. Ricostruire un formicaio da solo, un'impresa impossibile.
Fanculo tutto quanto, pensò. In fondo, aveva ancora qualche mese di tempo per trovare una soluzione.
Attraverso i vetri, poteva scorgere le luci nelle case adiacenti. Non conosceva i vicini. Stavano rinchiusi in schiere di palazzine; residence ammobiliati per abitanti di passaggio. Quella casa gliel'aveva rimediata l'ufficio di Louis. Pagava l'affitto con rimessa diretta ogni tre mesi. Non aveva mai incontrato il proprietario dell'appartamento. Se avesse smesso di versare, si sarebbe fatto vivo. Sorrise. Un problema in meno. Almeno non avrebbe dovuto contattare Louis per rintracciarlo, se fosse finita male.
Si sedette in cucina e prese il cellullare in cerca di una pizzeria da asporto sotto casa.
Appena attivato il display, i cookies gli spiattellarono la notizia del momento: Carrie e Manuel in vacanza a Los Angeles.
In particolare, la notizia faceva riferimento, con tanto di fotoreportage, alla visita al "Museum of Broken Relationship". Il titolo riportava: "Storia finita o nuovo inizio?"
Gli tornarono alla mente le parole scambiate per telefono solo il giorno prima.
Mauro le aveva chiesto: «Quando torni?». Carrie aveva risposto: «Dipende da come si mette oggi».
Quindi, lei aveva mentito. Ne aveva la prova. Non era andata a Los Angeles per lavoro e soprattutto non era andata con Andrea. Poco importava cosa avesse fatto in quel museo e come alla fine si fossero messe le cose: aveva mentito. Di nuovo. Ancora. Ora comprendeva tutta quell'ansia e l'incertezza nella voce.
Rimase immobile ripiegato sulle ginocchia, un braccio avvolto attorno al ventre. C'era un silenzio assurdo. Non sentiva niente. Neanche una nota gli risonava dentro, come se al centro del petto avesse avuto un buco nero che stava risucchiando tutto quanto. Per la prima volta, non provava rabbia o gelosia, ma solitudine. Aveva fatto tutto il possibile e non era cambiato niente
Il mondo pieno di vita, in cui era entrato con la sua musica, si era svuotato e lui vagava nel buio più assoluto. Non riconosceva le persone che aveva avuto attorno. Li vedeva sotto un'altra luce. Erano estranei. Aveva smarrito la direzione e ogni motivazione. Tutto questo perché era un perdente. Sì, un perdente. Come aveva detto Louis. Un disadattato, un sognatore caduto dal letto.
Se anche avesse trovato il modo di riavvolgere la pellicola, avrebbe fatto le stesse cose, perché un altro modo di agire non lo concepiva. Non sapeva mentire, né fingere.
Squillò alla pizzeria.
«Una margherita» borbottò, «pago il sovrapprezzo per la consegna singola».
Uscì in terrazza con la sigaretta in mano. Aspirò il fumo a fondo. A sorpresa, gli tornò all'orecchio un vecchio brano. Sorrise, con una piega amara delle labbra. Beh, in quanto a fingere un po' ne era capace. Quella canzone per esempio, gliela avevano rifilata. Non era sua, anche se stava nel primo Lp. Louis gli aveva detto che ci voleva un brano più vivace e come per magia l'aveva tolto dal cassetto. Forse nessuno era sincero, non fino in fondo, quantomeno.
***
Carrie si svegliò nel letto. Finalmente a casa!
Non c'era posto migliore al mondo della propria tana. La biancheria diffondeva un avvolgente profumo di ammorbidente. D'altronde rimaneva più tempo ripiegata nell'armadio che a prender aria tra le coperte.
Allungò un piede oltre il bordo del materasso. Tirò un respiro e scoprì le braccia nude allungandole verso l'alto, poi le lasciò ricadere a peso morto, ai lati del corpo.
Una spallina della camicia da notte scivolò giù. Carrie non se ne preoccupò. Non c'erano finestre da cui qualcuno potesse spiarla.
La casa era irradiata dai raggi del sole che filtravano dai lucernari e venivano riflessi dallo scuro parquet, così lucido da apparire bagnato.
Di solito quella vista la invogliava a scivolarci sopra con qualche passo di danza, ma quel pomeriggio non ne aveva l'energia.
La strada che aveva innanzi non era lastricata d'oro: era ottone lustro. L'ingaggio lavorativo sembrava appannaggio di qualcosa di losco e con Manuel era in una situazione spinosa.
Inoltre, tornare in America non la entusiasmava. Il patto stretto con John, la scorsa estate, ve l'avrebbe riportata prima o poi, ma non così presto come avevano creduto.
Fino all'ultimo, voleva essere libera e tener fede alla promessa che lei e Andrea si erano fatti da ragazzini. "Puntare in alto, puntare il cielo", si erano detti, "costi quel che costi". Il primo ad arrivarci avrebbe trascinato l'altro. Proprio così, come ora. Si sarebbero supportati sempre e per sempre. Due punti fissi nell'universo.
Per questo doveva capire a che gioco stesse giocando Manuel. Quel satellite era di troppo nella loro già complicata galassia.
Così scattò seduta. Scrocchiò le dita, infilò le caviglie sotto le cosce, allargò i fianchi e si sedette come un monaco buddista. Doveva essere risoluta, ma serafica. Prese il telefono dal comodino e compilò il numero che Denis gli aveva passato.
«Ciao Manuel, sono Carrie. Ho avuto il tuo contatto dal mio manager», specificò subito: «Come stai?»
La chiamata era intercontinentale.
«Sempre al top. E tu? Sei rientrata? Hai fatto un buon viaggio?»
«Sì, tutto perfetto, grazie. Sto cercando di superare il jet lag.»
«Ottimo. So perché mi stai chiamando, ma stai tranquilla, non rilascio mai dichiarazioni alla stampa rosa. Preferisco che gli eventi seguano il loro corso. Sai come si dice...nel bene o nel male, l'importante è che se ne parli.»
«Però io volevo chiederti proprio l'opposto. Per quale motivo hai divulgato quelle foto?»
Manuel scoppiò in una risata, tanto contenuta quanto improvvisa.
«Ma cosa dici? Non sono stato io. Qualche paparazzo ci avrà seguito».
Si schiarì la voce per darsi un tono e riprese quasi professionale: «Se osservi con attenzione le fotografie postate, non hanno le stesse inquadrature di quelle scattate da me. Anzi...», respirò nel microfono come dispiaciuto per la situazione.
«Sai che faccio? Te le invio tutte, le cancello dall'IPhone e ne riparliamo a Milano, quando rientro».
«Se ci avessero seguito dal ristorante, avrebbero notato i tuoi ospiti. L'abbinata, Stardust a cena con un produttore cinematografico di Hollywood, non valeva di più?»
«Forse la tengono nel cassetto per essere i primi a dare la notizia. Sai come funzionano queste cose... senza certezze, a chi interessano? Hanno preferito il guadagno facile del gossip anziché puntare sul presunto scoop.»
Carrie era sicura che, dietro quella dialettica così logica, Manuel stesse mentendo. Non poteva dimostrarlo in modo razionale, ma aveva delle vibrazioni negative. Forse avrebbe conseguito il suo scopo, fingendosi meno acuta.
«Pensavo... di certo, hai più conoscenze di me a Los Angeles. Cercheresti il paparazzo? Vorrei recuperare tutto il materiale scattato». Si arrotolò un riccio di capelli tra l'indice e il medio. «Denis non vuole che escano notizie, fino a quando non avrò firmato il contratto». Ridusse la voce a un sussurro, quasi fosse una confidenza: «Si è un po' innervosito per l'altra sera».
«Va bene. Per te questo e altro», rispose Manuel e aggiunse giocoso: «In cambio, cosa avrò?»
«Organizza qualcosa per quando torni. Mi terrò una serata libera nelle prossime due settimane.»
«Ottimo. Cercherò di fare del mio meglio per non deluderti», rispose insidioso. «Immagino che questo sia il tuo numero privato, ti ricontatterò molto presto. Sarò un fulmine.»
«Perfetto! Ci sentiamo. Buona permanenza a Los Angeles.»
«Grazie cara. A presto!»
«Ciao.»
Chiusa la conversazione, Carrie alzò lo sguardo al soffitto e respirò a fondo, prima di lasciarsi cadere all'indietro. La luce oltre gli abbaini, sopra la sua testa, non era più accecante e il cielo era già rosato. I veli attorno al baldacchino erano candidi, come le lenzuola, mentre lei, distesa in camicia da notte nera, era una ignominia nella purezza. La veste gliel'aveva regalata Mauro, ma l'aveva scelta Anna. Era del colore sbagliato, ma all'epoca, non aveva voluto cambiarla perché aveva preferito preservare intatto il ricordo di quella sera. Come il dipinto inviolabile dentro un quadro. Il fermo immagine di un momento perfetto.
Ora però, l'indossava come fosse una punizione auto inflitta per ricordarsi di essere l'orrore nella storia. Lei aveva rovinato ogni cosa.
Si immaginò come una macchia di vernice scura che si espandeva ammorbando tutto quanto. Spalancò gli occhi spaventata e si impose un ricordo felice: Mauro in camicia di lino e jeans arrotolati, ricci indomiti al vento e la spiaggia selvaggia di Albarella. Sorrise. Si inumidì le labbra secche, i cui lati volarono liberi fino alle orecchie. Aspirò l'aria e le parve quasi di sentire il suo profumo mischiato a quello salmastro del mare. Si portò le braccia al petto e le mani a stringere gli avambracci. Finse che quell'abbraccio fosse il suo abbraccio. Lo immaginò sopra di sé. La catenina con la chiave di sol a dondolare nello spazio tra i loro corpi fino a carezzarle il seno. Le vene rigonfie, lungo i muscoli tesi delle braccia. Le folte ciglia abbassate. Le sopracciglia aggrottate in milioni di piccole, nuove, smorfie di piacere. Ogni particolare era scolpito nella sua mente. Dai suoni più profondi sprigionati dall'unione delle loro intimità, sino all'effluvio della passione che si spandeva nell'aria. Quel comune languore quando, occhi negli occhi, si fermavano perché la fine fosse ancora lontana. E poi, il piacere caldo, violento, che si portava via tutto, il prima e il dopo in un solo attimo di paradiso e, infine, la gioia della condivisione che rimaneva impressa in ogni fibra.
Era un'agonia.
Più ricadeva nell'errore, promettendo di non ripeterlo, più si consumava nel desiderio di un'altra, ultima volta.
Quando aveva deciso di lasciarlo, di girargli le spalle e andare via, le era parso facile perché aveva un motivo solido. Ora che tutto si era rivelato un abbaglio, si sentiva più sola che mai. Stare lontano dall'unica persona che l'aveva resa felice, per un patto che forse non sarebbe stato onorato, era una sofferenza priva di senso.
Seguì l'impulso del momento. Riprese il telefono tra le lenzuola, selezionò il primo numero tra i preferiti e lo accostò alle labbra.
«Ciao, Mauro.»
«Carrie?»
«Sì. Sono io.»
Dopo un breve silenzio, Mauro chiese stupito:
«Sei a Los Angeles?»
«No, sono rientrata oggi. Sono a casa.»
Timido, aleggiò in lei il desiderio di invitarlo a raggiungerla, ma Mauro, quasi l'avesse letta nel pensiero, lesto si defilò.
«Io invece sono in partenza. Cena in autogrill e, domani, concerto in piazza a Brindisi.» Prese fiato. «Ti ho interrotta. Mi hai chiamato per...»
Carrie deglutì. Si era illusa che lui fosse a disposizione. Sollevò il labbro in un silenzioso ghigno. Rideva di sé stessa e della propria ingenuità, ma aveva ancora una carta da giocare.
«Ho riflettuto. Ti ricordi cosa mi avevi chiesto?»
Mauro esitò. «Sì, mi ricordo.»
«Ho deciso che potrei venire da te qualche giorno.»
«Ad Albarella?» domandò frastornato.
«Sì», sussurrò la ragazza, con un filo di voce.
Un silenzio carico di attesa seguì la risposta. Carrie tese l'orecchio sino a sincronizzare il respiro con quello di Mauro dentro il ricevitore.
«Va bene», rispose infine il giovane, per poi commentare quasi tra sé e sé: «Pensavo che ormai... che tu... ma va bene. Va bene».
«Io, cosa?»
«No, niente.»
«No, dimmi», lo pregò.
Lo sapeva. Lo sapevano entrambi. Le notizie volavano sulle fibre ottiche ed erano capaci di affettarti la vita con maggior rapidità di una spada laser. Ma Carrie voleva spiegarsi di persona. Credeva di avere ancora un briciolo della sua fiducia.
«No, niente. Davvero. Perdonami, ma devo proprio andare.» Mauro sbuffò. «Avremo tempo per parlare.»
Era dura da mandare giù, ma non c'era altro modo. Carrie sentiva l'odore di sangue dalla nuova ferita inferta, ma al telefono non si poteva ricucire.
«Certo. Allora, buon viaggio e buon concerto.»
«Grazie.» Mauro riattaccò.
Carrie allontanò il cellulare dall'orecchio e lo abbandonò sulla trapunta. Non era così che si era immaginata quella conversazione. Aveva appena ascoltato l'inizio della fine. Si stava arrendendo. Quando non c'è più neppure la rabbia a unire due persone, allora non c'è più nulla. Questo aveva imparato nei romanzi per ragazze. Questo recitavano i testi delle canzoni d'amore. Si passò una mano a lato della tempia tra i capelli e la ritrasse bagnata. Se la portò dinanzi al viso, la studiò e poi l'appoggiò alle labbra. Era salata, ma troppo amara per ricordarle il mare. Raccolse il lenzuolo con le dita e vi si nascose sotto.
***
Manuel ruotò, sulla poltrona, verso la finestra. Appoggiò i gomiti sui braccioli e si lasciò scivolare fino a poggiare il collo allo schienale. Il sole del mattino brillava sull'orizzonte piatto dell'oceano come sul pontile di un enorme yacht da crociera. Con la sintesi vocale dell'I-phone, chiamò un numero.
«Ciao. Tutto a posto?»
«Sì perfetto. Grazie a te», rispose l'uomo allegro: «Stai andando a gonfie vele.»
«Ottimo. A giorni, rientro», comunicò il giovane rampollo. «Ho saputo che gli accordi sono cambiati...»
«Le belle notizie volano», ironizzò l'altro. «Per un attimo, ho pensato ci fosse il tuo zampino dietro.»
«E perché mai?»
«Ti avevo chiesto di fare un po' di show per la stampa, ma intendevo qui, in Italia. Le notizie si sarebbero concentrate sul dramma dell'ex fidanzato. Invece, le hai puntato i fari addosso a Los Angeles. Che dovrei pensare?»
«Ho colto l'occasione, nient'altro. Mi sono concentrato sul triangolo amoroso. Non avevo capito che ci fosse un contesto preciso da rispettare.»
«Non avevi capito, eh?» L'uomo tossicchiò. «Oppure, ti faceva comodo...», osò aggiungere.
«No, ti sbagli. Siamo nella stessa squadra.»
Manuel si scostò un ciuffo di capelli dalla fronte e continuò: «Anzi, avrei bisogno di un aiutino. Voglio il paparazzo di quella sera.»
«Perché?» chiese l'altro.
«Carrie mi ha contattato. Le ho promesso che l'avrei aiutata a recuperare più materiale possibile per chiudere la faccenda. Dammi le foto, un nome e sono a posto.»
«E chi ti dice che le abbia?» chiese l'altro.
«Niente rotocalchi, nessun meme. È scappato giusto un tweet. Questo è essere professionali.»
«Mi piace avere il controllo» si vantò l'uomo, con una risatina da brividi. «Il fotografo l'ho rintracciato il mattino dopo. Mi ha detto che in redazione avevano ricevuto una soffiata anonima. Immagino la tua. L'ho ben pagato e istruito». Nel microfono risuonò il fastidioso rumore di una caramella che roteava fra i denti. «Nel caso qualcun altro indagasse» continuò, «anche se non credo. La memory card del servizio è già qui a Milano, nel mio ufficio. Te la consegnerà Anna al tuo rientro.»
«Bene. Sabato prossimo proporrò a Carrie di uscire a cena e salverò la situazione. Se non vuoi che entri nel cast mi inventerò qualcosa.»
«Ne dubito», grugnì l'uomo. «Hai spinto troppo. Cohen non mi ha dato scelta.»
L'uomo tossì e sputò l'espettorato e la caramella nel cestino, con un rumore talmente ripugnante che Manuel assunse un'espressione disgustata, pur essendo a molte miglia di distanza. «Visti gli sviluppi, mi hai risparmiato una sudata. L'hai messa spalle al muro. Salirà su quel dannato set per forza di cose. Comunque non ti pagherò gli straordinari, hai sbagliato. Dovevi parlarmene prima.» Fece una pausa e poi sogghignò. Ostentando un tono compiaciuto, riprese. «Quella donna fa strage di cuori, o sbaglio?»
«A dirla tutta, è stata lei a invitarmi a uscire. Se vuole arrivare al cuore, deve cercarlo sotto i vestiti» rispose Manuel, gongolandosi malizioso.
Il tabagista rise fino alle lacrime e tossì, colpito dai suoi vizi.
«Allora goditela! Scommetto che ha voglia di divertirsi pure lei, dopo quel perdente del cazzo. A risentirci.»
Manuel appoggiò l'iPhone sul cristallo della scrivania e tornò a guardare fuori attraverso i vetri. Il fragore dell'oceano lì non arrivava, solo il sottofondo regolare e continuo dell'aria condizionata. Avere un ufficio con affaccio su quell'immensità era solo uno status symbol.
Attorno a lui c'erano armadi dalle ante smaltate nere, con bordature dorate che luccicavano più del Rolex che sfoggiava al polso. Chissà che effetto avrebbe fatto, assistere al piazzamento del logo di famiglia sul tetto di un edificio come quello. Contava di scoprirlo presto.
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top