14. Il gioco

Maggio 2012

«Yoo-hoo! Ehilà, c'è qualcuno?»

Andrea la provocava, ronzandogli nelle orecchie come una mosca sullo zucchero. Le saltò innanzi con i pugni chiusi ai lati del volto, per poi dischiuderli e spalancare occhi e bocca, allo stesso tempo.

«Che roba! Wow! Siamo negli Universal Studios!»

Carrie ruotò la testa e sollevò un angolo delle labbra.

«Ah-ah-ah», scandì: «Divertente. Proprio divertente».

«Pensavo fossi così concentrata sulle battute del copione che non te ne fossi accorta»

Si spostò a lato per farle strada e prese ad arrotolarsi le maniche della camicia di lino. Carrie si immobilizzò come avesse avuto una visione, si mise le mani tra i capelli e li arruffò per poi strizzarli: «Oh mio Dio, siamo dentro. Sto per fare il provino di un film. È da tutta la vita che aspettavo questo momento!»

Andrea scoppiò a ridere e applaudì: «Sei un'attrice nata! Te l'avevo detto!»

Denis li interruppe, portando l'indice alle labbra.

«Shhh! Perché tutto questo chiasso? Fate i seri per una volta!»

«Mai e poi mai. Basti tu con la tua giacca nera da becchino.»

Andrea gli pizzicò il colletto, poi lo prese sottobraccio e con l'altro arto indicò una porta bianco ghiaccio in fondo al luminoso corridoio.

«Et voilà: siamo arrivati!»

Carrie si affrettò per osservarla meglio. Era laccata lucida con la maniglia satinata argento. Si era immaginata di trovare pareti arricchite da manifesti di pellicole premiate e fotografie di registi e attori di fama mondiale.
Invece, tutto era sterile più che in ospedale. Forse i sogni avevano bisogno di pareti vuote per realizzarsi, pensò.
Sentiva un nodo alla gola e l'aria vi passava a fatica. A tratti, doveva affannarsi per procurarsi il giusto apporto di ossigeno. Quel senso di intonso e di rigore, la facevano sentire sbagliata, come un neo sulla pelle di un albino.

Verificò la scritta incisa sulla targa.

«Sì, è l'ufficio giusto» decretò.
Posò la mano sulla maniglia, ma prima di abbassarla si girò verso Andrea: «Tu rimani qui fuori, vero?»

L'uomo esibì un sorriso a trentadue denti:

«Certo! Tutto il giorno se serve.»
Portò la mano al petto, l'altra dietro la schiena e abbozzò un mezzo inchino. «Faccio anche servizio panini. Chiedi e ti sarà dato!», affermò strizzando un occhio.

Carrie strinse il labbro inferiore fra i denti, accennò un sorriso e schiuse la porta. La sua voce aleggiò attraverso la soglia aperta.

«Buongiorno, sono Carrie Gem Bibi.»

«Lieti di averla qui. Si accomodi pure, ci vorrà ancora un po' di tempo.»

«C'è anche il mio manager, qui fuori. Deve entrare?»

«No, non è necessario. Questo è solo un provino. Ogni cosa a suo tempo.»

«Perfetto! Grazie.»

Carrie richiuse la porta alle sue spalle e scomparve, come fagocitata da tutto quel candore.

***

«Andiamo?»
Andrea si era rivolto a Denis.

Il manager lo guardò sorpreso, si girò verso la porta chiusa e poi di nuovo verso di lui.

«Ti offro una sigaretta» insistette.

«Io non fumo. Dovresti saperlo.»

«No, è vero... no»
Andrea abbassò gli occhi a terra e cercò di trattenere un sorriso beffardo. «Ma puoi farmi compagnia», insistette. «Passando, ho visto una sala smoke and coffee. Ti offro da bere.»

Si sedettero a un tavolino vicino alla parete finestrata. Il rumore degli aspiratori compensava il silenzio degli occupanti.

«Allora, cosa è successo stamattina?» sparò Andrea mentre, con una sola mano, scartava l'involucro esterno del pacchetto di sigarette appena acquistato al distributore automatico. «Hai visto che prezzi? Qui per sfondarti i polmoni devi vendere casa», commentò.

«Cosa vuoi dire?» rispose Denis.

«Mi hai preso per uno stupido? Credi che non abbia notato quante volte hai controllato il cellulare? Non ho detto nulla per lasciare Carrie tranquilla, ma non sei mai stato molto furbo».

«Cosa ti devo dire?»

«Quello che ti ho chiesto» rispose, mentre soffiava, a lato delle labbra, un lungo sbuffo bianco.

«Mi hanno scritto dall'agenzia. Ieri notte, è stata postata una fotografia da un sito non verificato. Una sola e ...», Denis si interruppe roteando il bicchiere di caffè tra le mani. «Che mondo di merda!» grugnì, poi scosse la testa più volte prima di continuare: «È rimbalzata subito sulla rete. Da non credere! Il sito ufficiale è stato sommerso di commenti».
Si alzò in piedi con il bicchiere in mano e si allontanò per versarsi dell'altro caffè americano dalla caraffa ancora calda.

Andrea attese il suo ritorno, giocherellando con le bustine di zucchero.

«La gente preferisce lo zucchero di canna perché è più facile da rovesciare. Non trovi?» commentò, inchiodando i propri occhi verdi su Denis che era tornato a sedersi.

«Non saprei...»

«È più pesante. È difficile che si rovesci sul tavolo quando apri la bustina. Basta scuoterlo e finisce tutto da un lato. Dal lato giusto. Vedi?»
Andrea fece seguire i fatti alle parole e lo zucchero finì tutto dentro il bicchiere. Girò il bastoncino per scioglierlo e bevve il caffè in un sorso.
«È semplice.»

Denis, perplesso, strinse entrambe le mani attorno alla propria tazza.

«I ragazzi dell'agenzia stanno studiando la situazione. Prima o poi dovremo ribattere qualcosa...»

«Qualcosa, sì. Ovviamente, qualcosa concordato prima con Carrie... o con me.»

«Ma, certo! Ovvio. Aspettavo solo la fine del provino. Ad acque chete, come si suol dire.»

Andrea annuì. Fece l'ultimo tiro di sigaretta per poi spegnerla nel bicchiere. Si appoggiò allo schienale della sedia, reggendolo ancora con due dita.

«Di che cosa parliamo?»

«Di questo.» Denis estrasse il cellulare dalla tasca, lo sbloccò e, dopo una breve ricerca, lo appoggiò sul tavolo. «Guardi mai i vostri siti fanclub?»

Andrea gli lanciò un'occhiata sprezzante, che gli fece tremare la voce, ma continuò. «È un bacio.»

L'uomo inclinò il volto di lato, gli occhi come due fessure. Si passò le labbra ancora intrise di caffè con il pollice, senza smettere di squadrarlo. Denis aveva tutta la sua attenzione.

«Tra Carrie e Manuel, ieri notte.»

«No, non credo proprio...» sollevò un sopracciglio, incredulo. Un ghigno amaro si dipinse sul suo viso. «Fammi vedere!» tuonò, slanciandosi sul tavolino verso il telefono, appena prima che Denis lo riprendesse.

Il manager arricciò le labbra in una smorfia da operetta.

«Non sarai geloso? Io questa cosa tra di voi non l'ho ancora capita, sai?» Per una volta, era in vantaggio. «Lei dice che sei suo fratello, ma sei solo quello che l'ha cresciuta. Tu dici che è tua sorella, ma poi vorresti approvare tutti quelli con cui esce.»

«Non dire stronzate!» La voce di Andrea risuonò nel locale.

Denis abbassò gli occhi e sogghignò, prima di continuare. «Il post era correlato di hashtag: broken relationships, honeymoon, loveholiday, eccetera e nomi e cognomi di entrambi. Impossibile arrestarne la circolazione. Ha avuto milioni di views in pochissime ore.»

«Basta raccontare le cose come stanno. Citare il provino. Potrebbe essere anche un'ottima pubblicità per la sua immagine.»

«Non possiamo.»

«Perché?»

Denis si alzò. Il labbro inferiore fu colto da brevi, quasi impercettibili, spasmi. Strinse il cellulare con due mani, lo osservò adorante, poi lo bloccò e lo infilò nella tasca posteriore dei pantaloni.

Andrea sollevò lo sguardo e rinnovò la domanda: «Perché?»

«È presto. Se non passa il provino, che figura ci facciamo? Una love story in più, non farà male a nessuno.»

«Dovrebbe decidere Carrie.»

«Deciderà...» sussurrò Denis, laconico.

«Puoi scommetterci!» minacciò Andrea. Si levò in piedi e con un calcio riposizionò la sedia sotto il tavolo. Raccolse il pacchetto di sigarette, ignorò gli sguardi che aveva catalizzato e si allontanò. Odiava non avere potere risolutivo. Tutto ciò che riguardava Carrie, riguardava anche lui.

***

All'ora di pranzo, Carrie squillò Andrea. Si ritrovarono soli, nel corridoio. Denis si era eclissato in una delle Free Wi-Fi zone per lavorare.

«Com'è andata?»

«Bene.»

«Sei telegrafica. Non sei soddisfatta?»

Carrie abbassò lo sguardo e si incamminò per allontanarsi dalla hall di attesa. Andrea la seguì. Quando furono nel pianerottolo del piano inferiore, gli si rivolse a bassa voce:

«C'è qualcosa che non va. Il provino è durato pochissimo, giusto qualche battuta. Eppure, ho visto io stessa il regista passare la mia cartella informazioni all'assistente di destra. Quella che si occupa della pila di carte meno alta... Capisci cosa voglio dire?»

«Forse voleva proprio te per il ruolo di Italoamericana. Per il tuo accento.»

«No, è troppo facile, troppo facile. Sono rimasta fuori abbastanza da capire quanto durino i provini. Non c'era nessun altro candidato per la mia parte. Non dovrebbero provare tutti gli aspiranti attori di un ruolo, lo stesso giorno?»

«Non saprei. Io farei così. Ma...» rivolse, i palmi delle mani e gli occhi, verso l'alto: «chi lo sa?»

«Il mio sesto senso mi dice che qualcosa non va.»

«Se è per quello, un problema ce l'hai.»

«Del tipo?»

«Hai baciato Manuel, ieri sera?»

«No, certo che no. È stato quell'idiota ad attaccarsi al mio collo. Si è preso gioco di me!»

«Beh... comunque è tardi. Sono state condivise delle foto, di voi due, in Twitter e anche in Instagram. Sai come funziona: milioni di repost. Domani potresti essere citata pure nei telegiornali. Che vuoi fare?»

«Non ci posso credere, che faccia di...», Carrie portò un pugno stretto alle labbra per zittirsi e ve lo batté contro un paio di volte, con forza. «Costringerò Denis a darmi il suo numero. Ha organizzato lui la cena e magari anche il resto. Lo voglio distruggere!» affermò furente.

«Denis non è intenzionato neppure a dare spiegazioni sulla tua presenza qui.»

«Che vuoi dire? Non capisco.»

«Preferisce lasciar circolare dei pettegolezzi scabrosi piuttosto che svelare la verità.»

«E perché mai?»

«Non lo so. Non ho capito.»

«Sai dov'è? Voglio parlarci subito.»

«Sì. Sta lavorando. Andiamo!» Andrea le fece cenno di seguirlo. Allargò le braccia quanto più possibile, pur mantenendo le mani infilate nelle tasche dei jeans. Carrie raccolse l'invito e si aggrappò al suo braccio.

Denis era impegnato in una conversazione via Skype. Al loro arrivo, si interruppe chiudendo il microfono e ripiegando lo schermo del portatile.

«Devo finire questa cosa» disse, ammiccando verso il PC. «Andate pure a mangiare, vi raggiungerò appena possibile.»

I due uscirono per strada. Il sole era caldo e abbagliante. La strada mattonata era pulita come quella di un parco giochi a tema. Si incamminarono a caso, senza una direzione. Le vie pullulavano di fast food come in Italia di caffetterie.

Si fermarono all'aperto, in un American graffity, i cui colori accesi sprizzavano felicità tutto intorno.

«Aspettiamo Denis per ordinare?» chiese Carrie, con il menù a sfondo rosso tra le dita.

Andrea controllò il colore della spunta all'ultimo messaggio inviato.

«No, ha letto. Arriverà. Ho fame», protestò: « E sete», aggiunse. Si rizzò in piedi con il bicchiere, a strisce, e raggiunse il distributore di bibite self-service.

Pochi minuti dopo, sopraggiunse Denis. Si catapultò nel locale e si appoggiò con i pugni al tavolo, facendo scrocchiare le nocche.

«Che succede?» gli chiese Carrie. «Ti vedo agitato».

L'uomo riprese fiato come appena terminata una corsa e si volse intorno in cerca di Andrea.

«Non mi chiedi del provino?»

«Sì, sì certo. Com'è andata?»

«Bene, credo.»

«Okay, ascolta. È successa una cosa...»

«Dimmi?» chiese Carrie, fingendosi stupita, come se Andrea non le avesse anticipato nulla.

«Sono state divulgate in rete alcune foto di te e Manuel Del Vescovo, ieri notte. La notizia sta dilagando. L'ufficio comunicazioni mi ha messo in guardia. Dicono che sia prematuro, per noi e per lui, parlare della collaborazione in un film di Hollywood. Per quanto si tratti di uno studio minore, la cosa è grossa. Finché non abbiamo conferme. Sì, insomma, conosci quel detto: mai dire gatto se non ce l'hai nel sacco.»

«Quindi cosa mi stai proponendo? Chiaro e tondo» affermò Carrie, incrociando le braccia e accavallando le gambe.

«Ma perché ti arrabbi, ora? Questo è un problema che hai creato tu. E io che sto pure qui a risolvertelo!»

Andrea si intromise appoggiando la bibita sul tavolo. «Che succede?» domandò nell'indifferenza più totale.

«Certo, hai ragione», sogghignò Carrie «questa questione non ti riguarda. Chiamerò Manuel. La risolveremo, in qualche modo.»

«No, no, aspetta, aspetta...» Denis si scordò il tono imperioso e tornò a essere il solito: «Magari lo faccio richiamare dallo staff». Si raddrizzò e si sfregò le mani, l'una dentro l'altra «È meglio. Dopotutto, avremo relazioni di lavoro a lungo termine. Te l'ho detto che potrebbe essere lui a seguire la promozione del film in Italia e che il suo gruppo finanziario è in cima alla lista dei candidati?»

«Ma come? Fino a pochi secondi fa, non avevamo certezze sull'esito del provino e ora ti preoccupi che io abbia un buon rapporto con i sovvenzionatori del progetto?»

Denis abbassò lo sguardo, abbattuto. Andrea si inserì.

«Carrie la sua è un'ipotesi. Non essere precipitosa! Sta valutando tutte le implicazioni, giusto Denis?»

«Certo» si affrettò a confermare.

«Io credo che Carrie sia abbastanza adulta da gestire la situazione nell'interesse di tutti. In fondo è una questione personale.» Andrea girò le spalle al manager e le fece l'occhiolino.

«Va bene, va bene» rispose Denis e controllò i due, saltando da un volto all'altro.

Carrie abbozzò un sorriso gelido. Se in quel momento fosse stata sola, avrebbe percorso a piedi tutti i viali di Los Angeles fino a rintracciare Manuel ed esprimergli a chiare lettere il suo disappunto. La scenetta della sera precedente, le foto dentro il museo, ogni cosa sembrava creata apposta per uno scopo preciso: richiamare l'attenzione per poi svelare l'arcano e pubblicizzare il film. Manuel l'aveva usata alla stregua di un murales della Street Art? Che razza d'uomo era uno tanto calcolatore? L'aveva raggirata per bene!

Dopo un pasto frugale e silenzioso, Andrea intervenne:

«Allora, domani si rientra. È arrivato il momento di fare i turisti. Andiamo alla spiaggia?»

«Prima non visitiamo la Walk of fame? Siamo molto vicini» ribattè Carrie, come risvegliata da una catarsi.

«No, ragazza, sulla Sunset Boulevard ci andiamo stasera»
Andrea si ripiegò verso la giovane, vis-a-vis. Le fece una carezza sulla guancia con due dita, poi incalzò: «la notte è giovane, la vita una e domani abbiamo più di nove ore di volo, senza scalo, per dormire!»

Carrie rise. Andrea sapeva come ribaltare una giornata.

«Tu sei dei nostri?» aggiunse rivolgendosi al manager e sgranchendo le braccia verso l'alto, come se si stesse scrollando di dosso una lunga giornata di duro lavoro.

«Io rientro in albergo. Devo finire un po' di cose.»

«Come vuoi. Comunque, sei noioso!» Andrea fece l'occhiolino a Carrie e, dopo aver riversato gli occhi al cielo, con un sorriso le allungò la carta di credito: «Paga tu che ti spieghi meglio.»

Carrie la prese e la fece roteare per un angolo, sopra al tavolo.

«Comunque, se tutto quanto diventasse di dominio pubblico e io scegliessi di rinunciare al ruolo e Manuel proseguire...», sbuffò: «tutti penserebbero alla nostra foto al museo. Farei la figura della vittima lasciata alla vigilia della firma del contratto, che fa l'offesa e si ritira, rifuggendo l'occasione della vita per... Come dire? Pene d'amore? Bella situazione, bella davvero...», grugnì.

«Ma perché mai dovresti rinunciare?» Si lasciò sfuggire Denis e si asciugò il sudore dalla fronte con un tovagliolo di carta.

***

Il dottor Cohen stava sdraiato su un lettino in rattan. Dalla terrazza panoramica della sua villa, poteva respirare la brezza del mare e controllare la piscina a sfioro del giardino pensile.

La cameriera gli stava servendo un cocktail americano ghiacciato, con una fetta di arancia in bilico sul bordo del bicchiere. L'uomo alzò un dito per silenziarla. Il rumore del ghiaccio, smosso dalla cannuccia, lo infastidiva. Aprì lo smartphone e scelse il numero più richiamato tra quelli non memorizzati.

«Buonasera», esordì senza presentarsi. Aspirò un sorso dalla cannuccia e fece cenno alla donna di ritirarsi.

«Il film si farà», dichiarò.

I gabbiani volavano sulla baia in stormi, riempiendo l'aria della sera con le loro grida. I piedi nudi, che spuntavano dal risvolto dei pantaloni cachi, erano quelli di un vecchio, attraversati da vene bluastre rigonfie e ricoperti da pelle screpolata e scialba quanto il mantello di una statua in gesso. «I tuoi investitori parteciperanno con la quota di maggioranza. Il ragazzetto ci sa fare.»
Fece una pausa, ammirando il panorama e aspirando lo iodio dell'aria a pieni polmoni. «Questa è la fine tra di noi?» , chiese serio. «Vedrò più la tua faccia?»

«Puoi anche scordartela», rispose l'interlocutore soddisfatto: «Les jeux sont faits, direbbero i francesi. Siamo uomini d'onore.»

«Però, voglio la ragazza.»

«No, questo no», dissentì l'uomo vivacizzato dall'inaspettata piega della conversazione: «Non era nei piani.»

«Voglio la ragazza.» Ripeté Cohen, senza accalorarsi.

«Lei non sa nulla. Te lo posso garantire ed è meglio per tutti che le cose restino tali.»

Il produttore appoggiò la bibita sul tavolino a fianco e si risistemò un'auricolare nel padiglione.

«Ci tieni così tanto a quella donna?» sussurrò con la stessa intensità che avrebbe usato un serpente per sibilare. «Pare quasi che tu la voglia difendere. Eppure, l'hai messa in mezzo. Anche se...», continuò dopo un altro sorso di cocktail: «ora la dichiari estranea. Comprendi che tutto ciò è quantomeno bizzarro? Quindi, ora la voglio: sul set. Oppure, non se ne fa nulla.»

«Non posso marcare la mano senza che sospetti qualcosa. Ho già spinto la situazione al limite. La scelta di restare o meno deve essere sua.»

Il dottor Cohen fece una risata.

«Ma non mi dire... non dipendeva tutto da te?» Si accarezzò la fede di platino sull'anulare. «Queste sono le condizioni», sentenziò.

«Le nuove condizioni...», ribatté l'altro.

«Sì, le nuove. Prendere o lasciare. The show must go on, non c'è più tempo per tirarsi indietro. Hai messo le tue pedine in tavola? Ora non vuoi muoverle?»

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