11. Latin Lover:

Aprile 2017

Il cellulare suonò e Carrie si mise a frugare dentro lo zainetto.

«Hello?» rispose, reggendo il telefono con la spalla e continuando a trascinare il bagaglio.

«Hello? Dove sei, straniera?»

Carrie sgranò gli occhi. Erano trascorsi almeno venti giorni e Mauro le parlava con il tono di un fidanzato di ritorno da un week-end con gli amici.

«Sono a Los Angeles.»

«Los Angeles? Pensavo a Londra.»

«Già stata» ribatté spiccia.

«Andrea è con te?»

«Certo.»

«Impegni di lavoro?»

«Che altro sennò?»

«Sei arrabbiata?»

«Dovrei?»

La conversazione si interruppe. Carrie si maledì in silenzio. Dopo aver ascoltato i suoi respiri per un tempo che le parve un'eternità, Mauro suggerì:
«Ne vuoi parlare?».

"Non c'è nulla da dire", avrebbe voluto rispondere, ma quelle parole non volevano proprio uscirle di bocca.

Incrociò le iridi verdi di Andrea e tornò a guardare dinanzi a sé. Lui la sorpassò per tenere il passo di Denis e lasciarla indietro. Forse, per regalarle un poco di privacy. Carrie temporeggiò. Era troppo presto per rivelare i suoi progetti, ma avrebbe tanto voluto poter confidare a qualcuno i timori che le avevano fatto compagnia nelle ultime settimane.

Mauro deglutì e riprese:

«Quando torni?»

«Dipende da come si mette oggi...». La voce le tremava. Si sentiva come se stesse ballando, sulle punte, sopra un tappeto da fachiro. Lasciarsi trasportare avrebbe potuto farle male.

«Capisco.»

«...»

«Ho ancora tre date con il Summers Festival. Chiudiamo a Verona il ventisei.»

«...»

«Se fossi in zona, a fine mese, io... pensavo di fare un salto ad Albarella.»

«Albarella...» mormorò Carrie, in estasi al solo ricordo.
Mai come in quel luogo, aveva confidato nei sogni. Era un micro paradiso per disintossicarsi dallo stress mediatico. Tutto, in quella minuscola isola veneta era a misura d'uomo. Il tempo, libero di scorrere.
Quel luogo era speciale anche per Mauro che vi era nato e aveva acquisito la proprietà della piccola casetta di vacanza dei nonni.

Carrie si piantonò nella hall del terminal. Quella proposta proprio non se l'aspettava.

«Qu-quanti. Per quanti giorni?»

«Un paio di notti. Giorno più, giorno meno.»

«Non so. Dovrei pensarci. Ora, io... Non lo so.» disse scuotendo la testa.

«C'è tempo. Pensaci». Mauro tacque, per poi aggiungere: «Io sarò lì. Ad ogni modo, fa' come credi. Solo avvisami prima, se decidessi di passare».

«Devo andare», lo supplicò Carrie.

«Sì. Lo so. Ciao.»

«Ciao.»

All'uscita dall'aeroporto, la luce del sole l'aggredì. Los Angeles, dal finestrino dell'aereo, le era apparsa geometricamente ordinata. Ora invece, una farfalla aveva battuto le ali e tutto quanto si era incasinato, di nuovo. Forse era solo l'ora di punta del traffico pomeridiano. Forse era solo stanca per via delle quindici ore di volo. Si portò la mano alla fronte e si schermò con il cellulare per individuare i compagni di viaggio. Denis stava sistemando l'orologio sul fuso locale. Al suo arrivo, la riprese: «Faremo appena in tempo. Potevi richiamare dopo.»

"Dopo? No, avrebbe voluto ribattere." La tempestività è tutto. Ne era certa. Il timbro baldanzoso nella voce di Mauro, alla sua titubanza, si era spento.

***

Giugno 2015

Carrie stava passeggiando, su e giù, per i camerini del Summers Festival. Niente era più stressante di un programma in diretta tivù con diversi artisti e strumentisti.

«Mauro, tocca a te!»

Un uomo, con le cuffie e una cartelletta in mano, l'aveva superata.
Carrie l'aveva inseguito con lo sguardo per poi incappare in due fila di ciglia lunghe e folte, che impreziosivano due perle nere. Sorpresa, era avvampata, invece Mauro le aveva sorriso come se si conoscessero da molto tempo e non solo per un autografo, qualche mese prima.

«Sei pronto per la diretta?» aveva allora, osato chiedere.

«Sono pronto per la ghigliottina», aveva risposto il giovane, con un sorriso malizioso e quel motto scaramantico che l'aveva contraddistinto nel talent show.

Così Carrie si era illuminata e si era prestata al gioco: «L'ultimo desiderio per il condannato?»

«Un bacio?»

Mauro si era proteso, offrendo la guancia liscia a un timido buffetto e subito dopo, l'aveva stesa: «E un'uscita?»

«Mauro? Mauro veloce!», l'avevano ripreso dalle quinte.

«Sì e quando?» aveva commentato Carrie paonazza e con i palmi delle mani rivolti in alto.

«Dopo!», aveva urlato lui, afferrando il microfono e impegnando la scaletta del palcoscenico.

Era iniziata così, con i tempi accelerati dello show business. Dopotutto, Mauro le ispirava fiducia da sempre. L'aveva seguito così a lungo nei real del format tv, da illudersi di conoscerlo. Per mesi era stato un chiodo fisso. Giorno dopo giorno, vi si era affezionata. Ne aveva condiviso gioie, dolori e fatiche aldiquà dello schermo. E alla fine, dopo che il suo sorriso da vincente era scomparso anche dai trend social, se l'era ritrovato nella vita reale.

Così quella notte erano fuggiti via, insieme. Due ore di chiacchere in taxi, dal palco dell'arena di Verona ad Albarella, per vedere l'alba sul mare. Due coperte, due bicchieri di carta e una bottiglia di prosecco.

«A cosa brindiamo?» Aveva chiesto Carrie dal bordo di un plaid sulla sabbia.

«A noi, al mare, al successo di stasera... Tu a cosa vorresti brindare?». Mauro si era distolto dall'orizzonte. Aveva preferito le onde dei suoi lunghi capelli ai riflessi argentei della luna, sull'increspatura dei flutti. Il suo sguardo l'aveva attraversata fino a far arrossire i suoi stessi pensieri, come se avesse potuto leggerli.

«A questa sera, s-sì, sì, va bene» aveva tartagliato.

Dopo un colpo d'occhio alla bottiglia infilata nella sabbia, Mauro aveva aggiunto: «Anzi, aspettiamo l'alba e brindiamo due volte: alla sera che sta per finire e a quella che verrà e ci vedrà rivali in finale».

Carrie aveva annuito, in preda a un'ansia crescente. Tanto prima era stata espansiva in auto, tanto poi si era chiusa ritrovandosi a tête-à-tête con lui.
Mauro aveva allungato una mano sulla coperta, con l'insicurezza di un adolescente. Carrie l'aveva attesa in un misto di stupore e paura, come pioggia senza ombrello; ma quando le dita l'avevano sfiorata, non c'è l'aveva fatta. Era scattata. Le braccia incrociate al petto.

Mauro aveva incassato e si era lasciato andare supino, gli avambracci sotto la nuca. Non aveva capito. Carrie non gli avrebbe spiegato. Non sapeva dire a parole quanto fosse oscuro il cielo, lontano dalla luna.
Come invece, la spiaggia deserta e due sole luci di pescatori, distanti quanto la più remota delle stelle, fossero confortanti.

Sconfitta da sé stessa si era distesa, coprendosi con l'altra coperta fino alle spalle.
Ma non le era parso giusto arrendersi ai suoi demoni tanto in fretta. In fondo era su di un'isola, in un angolo di mondo a sé, poteva provare a fingersi un'altra. Una persona senza passato. Come se tutto quanto, intorno a lei, fosse nuovo. Come se non conoscesse la finalità della situazione in cui si era infilata. Come se fosse capace di giocare il gioco delle parti, alla pari.

Quindi, si era rotolata sul fianco, a sbirciare il profilo del compagno. Il naso appuntito, le labbra delicate, il mento piccolo, erano tutto ciò che era riuscita a scorgere.

A sua volta, Mauro l'aveva imitata girando sul lato. Nel buio, anche se così vicini, erano solo due ombre. Le loro espressioni, pennellate confuse tra cielo e terra.

Tutti i suoni attorno erano confluiti in lei, si sentiva una spugna arida di vita. La risacca del mare, il frizzare della spuma rilasciata dalla marea, il sollevarsi e abbassarsi del suo petto, il soffio leggero che vibrava tra le labbra socchiuse di Mauro.

«Se ti chiedessi di uscire ancora con me domani, alla fine della rassegna?», aveva sussurrato il ragazzo, infrangendo la sottile barriera che si era creata tra loro.

Carrie aveva chiuso gli occhi, a nascondere anche l'ultimo punto di bianco. La voce lieve di Mauro era in armonia con tutto intorno a loro e le risuonava dentro leggera, come un andante con punte verso l'allegro.

«Non lo so. Non sappiamo ancora cosa succederà dopo la finale.»

«E se non fosse domani? E se fosse un altro giorno?»

Carrie era rimasta immobile. Nella cassa toracica riecheggiava un tamburo a festa.
«Sì», avrebbe voluto rispondere. «Sì, a tutto», ma la voce era rimasta un singulto, nella gola.
Quanto aveva desiderato, in quell'attimo, scomparire fino a che l'alba avesse sciolto le tenebre e reso tutto più chiaro.
Finché, quell'incendio nel petto che non riusciva a domare, avesse smesso di bruciare. Finché tutto fosse tornato come il mare all'orizzonte in una giornata serena: calmo e piatto.
Finché... finché... non avesse più dovuto fare i conti con tutte le innumerevoli, voci contradditorie, che le urlavano dentro.

Mauro non si era arreso: «È un no?».

Carrie aveva inspirato l'aria salmastra, gonfiato il petto e cercato un modo per sviarsela, ma tutto intorno soffiava un vento nuovo che pareva sussurrarle a fior di pelle, che era giunto quel giorno. Il giorno giusto per alzare il mento e guardare oltre.

Mauro aveva deciso di giocarsi l'ultima carta:

«Okay. Allora, te lo richiederò domani.»

«Domani? Perché?», aveva domandato stupita, ritrovando di getto le parole.

«Perché ora, qui con me, ti senti obbligata a essere gentile. Invece, domani potresti anche rispondermi: no grazie, non sono interessata».

I lati delle labbra le erano saliti su verso le orecchie e la luna le era parsa più brillante.

«Ah, è così che funziona?»

«Esatto!»

Mauro si era sollevato su un gomito e aveva allungato un dito a disegnare cerchi sulla sabbia, oltre la coperta.
«In prima media, scrissi un biglietto a una compagna per chiederle se voleva mettersi con me e mi ha risposto proprio così.»

Prima media, dodici anni. Carrie aveva cercato di immaginarsi la scena. Si era abbandonata supina a guardare le stelle. A quell'età, l'unico ragazzo a cui pensava era Andrea. Stava bene solo accanto a lui, mentre per il resto del tempo era terrorizzata.

Anche Mauro era tornato a sdraiarsi e le aveva rubato un lembo di coperta, ripetendo come fosse un mantra:

«Domani. Te lo chiederò domani.»

«Allora manderai un biglietto anche a me?», aveva bisbigliato con una vena di speranza puerile. Nessuno l'aveva mai corteggiata prima. Il desiderio di essere un po' quella bambina, l'aveva colta sul vivo.

«Può darsi... Non rovinarmi la sorpresa» aveva sogghignato, semi nascosto dal plaid.

L'alba li aveva sorpresi addormentati. Il sole li aveva risvegliati solo ore dopo, fianco a fianco, la testa di Carrie nell'incavo del suo collo, la fronte accostata alla sua guancia.

Una busta era arrivata in camerino, il pomeriggio stesso. Era azzurra e spruzzata dell'abbondante profumo di Mauro.

Carrie l'aveva aperta. Era perfetta: del suo colore preferito. Dentro, in stampatello, a mano su un foglietto a quadretti, c'era una domanda e due sole risposte possibili da barrare: "sì e sì". In quel ragazzo, sotto, sotto, doveva alloggiare un Casanova.

Aveva stretto la lettera al petto, dopo averla annusata più volte, senza smettere di ridere. Poi aveva tolto dalla borsa il quadernetto delle idee. Vi aveva strappato una pagina e scritto:

"Non vale!!! Giochi sporco! E comunque non avrei mai rifiutato una cena a Venezia."

Dopo averlo riletto più volte, senza togliere un solo punto esclamativo, vi aveva aggiunto il proprio numero e rispedito al mittente. Infine, aveva fissato busta e biglietto nel quaderno dei testi. Al centro della pagina, in alto a mo' di titolo, aveva annotato: Latin Lover.

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