Capitolo 6
CAPITOLO SEI
Lorenzo non aveva mai accettato veramente la facoltà di giurisprudenza, continuava a frequentare i corsi, ma in modo svogliato ed assonnato, perché la sera faceva spesso tardi con le prove al teatro. I genitori erano convinti di averla avuta vinta perché tutte le mattine usciva da bravo studente universitario ed andava a studiare i rudimenti del diritto, ma erano comunque contenti che il figlio avesse mantenuto un hobby che lo stimolasse a stare con la gente, a fronteggiare il pubblico, erano convinti che sarebbe stato utile per il carattere del ragazzo. Ed avevano ragione, almeno in questo, perché Lorenzo era indubbiamente introverso ed un po' ombroso, ma quando saliva sul palcoscenico del piccolo teatro parrocchiale e sentiva gli applausi del pubblico, si trasformava, il resto del mondo non esisteva più, lui non più era lui, qualcosa entrava nel profondo e lo stregava, i suoi personaggi si animavano, con modi e parole e gesti tutti loro, le quinte e la scenografia di cartone diventavano la sua casa e la compagnia, la sua famiglia, che lo amava e lo rispettava. Spariva la timidezza, spariva la paura di parlare o il timore di essere giudicato o non accettato dagli altri ragazzi, diventava sfrontato, aggressivo, pazzo, divertito, guappo oppure gentiluomo di inizio novecento, medico, musicista, sindaco, padre, figlio. Lorenzo era nato per il teatro, eppure ancora non lo sapeva, o meglio non se ne rendeva conto. Certo, non era agevolato dalla famiglia e dagli amici, che pensavano a tutt'altro, e nemmeno dalla fidanzata Daniela, che lo guardava con sospetto, giudicava degli sfigati i ragazzi della compagnia, che in effetti non erano certo delle cime di cultura, ma il teatro, almeno quello che facevano nella parrocchia, era democratico, una livella, metteva tutti sullo stesso piano, maschi e femmine, bianchi e neri, professionisti e disoccupati, famiglie buone e disgraziate. A lui questo piaceva, amava la commistione di lingue, di esperienze, e di intelligenze, capiva anche che lo scopo principe di quella compagnia non era formare attori professionisti, ma soprattutto fare integrare i ragazzi, soprattutto quelli che per un motivo o per un altro erano ai margini della società, o che avevano dei problemi. Napoli d'altra parte è così, anche nei quartieri residenziali, come Posillipo, convivono a pochi passi realtà diametralmente opposte, proprietari di attici con vista sul mare e occupanti di bassi nei vicoli del Casale, Mercedes e motorini rubati, Soci del Circolo Canottieri e aspiranti parcheggiatori abusivi o spacciatori: è una delle caratteristiche di quella città, il forte contrasto di colori, di umori e di suoni. O si ama o si odia.
Avrebbe dovuto capirlo subito che Daniela non era la ragazza per lui, dal momento che si erano messi insieme, non c'era stato alcun colpo di fulmine, nessun trasporto particolare da parte di lei, anzi era sembrata quasi una trattativa notarile, loro erano stati amici per un po', perché avevano cantato nel coro della scuola e poi avevano cominciato ad uscire insieme, in comitiva, o da soli, al cinema o restando a casa a provare qualche pezzo, comunque si erano visti abbastanza spesso, poi lui le aveva proposto di diventare qualcosa in più, lei lo aveva ascoltato, aveva appuntato mentalmente le sue ragioni e poi lo aveva rimandato ad una settimana dopo. Alla fine, dopo qualche giorno di valutazione, e dopo aver stilato una lista dei pro e dei contro, lei gli aveva comunicato l'esito positivo della transazione. A parte l'inizio sui generis, certamente non tipico di due giovani che avrebbero dovuto saltare tutti i convenevoli, e cercare ogni momento per esplorare la bocca ed il corpo dell'altro, senza pensare certo al domani, la loro storia si era dipanata più come un saggio sulle relazioni interpersonali che come un romanzo d'amore, era nata lentamente e placidamente, senza strappi di passione o eccessi, era quasi tutto calcolato e studiato: entrambi di buona famiglia, intelligenti, svegli, un'unione fattibile, ideale, peccato che mancasse qualcosa di fondamentale, il pathos. Comunque per un bel po' continuarono a stare insieme, ma lei non condivise mai i suoi fremiti per il teatro, anzi, abbandonò anche il canto, che era stato ciò che li aveva uniti inizialmente. Lui invece manteneva saldo il suo legame col palcoscenico, anzi, studiava di nascosto, non solo i copioni che gli erano assegnati, ma leggeva il brani antichi e contemporanei, locali ed internazionali, inoltre provava a scrivere, componeva pezzi musicali, si documentava consultando manuali di teatro e regia, guardava le commedie di Eduardo in videocassetta più e più volte, cercando di cogliere l'intensità delle espressioni, i tempi e le pause, gli alti e i bassi della voce, e studiava la scelta degli attori.
Di giorno si vestiva, prendeva la sua moto e andava a frequentare i corsi che lo annoiavano mortalmente, ingannava se e la famiglia e poi si dedicava a ciò per cui era nato.
Quel Natale accadde qualcosa che gli avrebbe cambiato la vita, durante la cena che tradizionalmente i ragazzi della compagnia organizzavano per scambiarsi auguri e pensieri, il regista aveva chiamato da parte lui ed un altro e ed aveva detto loro che una compagnia teatrale semi professionistica stava cercando un attore per una particina. Avrebbero fatto un provino in piena regola e solo uno dei due sarebbe stato scelto per la parte, il brano sarebbe stata breve, ma chi avesse superato il provino, avrebbe vissuto un'esperienza molto interessante perché sarebbe entrato in un mondo diverso da quello piccolo e protetto del quartiere. I ragazzi avevano accettato di buon grado ed una settimana dopo si erano presentati in un appartamento antico, dalle parti di piazza Garibaldi, arredato con mobili di inizio secolo, come quelli che aveva visto nelle commedie di De Filippo. Appena entrati si sentirono stranamente in soggezione con tutto quel mobilio pesante e fuori moda e gli occhi dei ritratti antichi sulle pareti che li fissavano, ma poi li accolsero una decina di persone di mezza età con un forte accento napoletano popolare, che con piglio deciso ed allegro li misero immediatamente a loro agio. Lorenzo era molto emozionato, ascoltò molto attentamente le indicazioni della regista, una donna piuttosto giovane per l'età media che aveva intorno, guardò uno per uno gli attori che gli sorridevano cercando di trasmettergli tranquillità, e poi utilizzò al meglio i due minuti che gli erano stati assegnati. Forse fu il fato, oppure il suo amico non aveva intenzione di avere la parte, fatto sta che la sua performance fu senza dubbio la migliore e con un forte applauso fu scelto per la parte.
Da quel giorno passò tutte le feste di Natale a provare la sua parte, il pomeriggio chiuso nella sua stanza e la sera, ogni volta in una casa diversa, senza nemmeno sapere chi fosse il proprietario dell'appartamento, ma lui non aveva problemi, prendeva la moto ed andava. Ma c'era un posto che gli piaceva di più degli altri, e che per fortuna più spesso degli altri veniva usato come spazio per le prove: era un locale gestito da uno degli attori, l'Hard Rock, una rivisitazione napoletana della catena di ristoranti dedicati alla musica. Quello era il posto che aveva preferito, con un ingresso attraverso una porticina angusta su una via altrettanto stretta ma molto frequentata a causa del gran numero di locali che vi si affacciavano, ma appena all'interno si apriva uno spazio molto grande ed articolato con numerosi tavoli e panche ed un vero e proprio palco per le performance dal vivo. Anche il menu era particolare, panini dedicati ai più famosi musicisti napoletani, da James Senese a Pino Daniele, fino ad arrivare a Tullio de Piscopo. Una bella trovata. Ma ciò che lo aveva conquistato era il palco, che lo faceva sognare di essere un vero attore, ogni tanto ci saliva, sfiorava la batteria in un angolo, lasciava vibrare leggermente il piatto per creare un po' di atmosfera e così chiudeva gli occhi e fingeva di vedere il pubblico davanti a se applaudire e divertirsi.
Poi arrivò il giorno della prima. Stavolta in un teatro che non conosceva, con un pubblico che non aveva mai visto, in un posto di cui non sapeva l'esistenza. Era il cinque di Gennaio, i suoi genitori non sarebbero andati a vedere lo spettacolo, era troppo lontano, e poi comunque lui li aveva dissuasi dall'andare, non ne valeva la pena per una parte piccolissima come la sua. Non sapeva perché l'avesse fatto, ma aveva voluto che quel momento fosse tutto suo, non aveva cercato testimoni, nemmeno la sua ragazza Daniela, manco a dirlo, era solo, con la sua nuova compagnia teatrale. Ma stava bene così. Aveva lasciato la moto fuori all'Hard Rock alle due del pomeriggio, e poi era arrivato fino al teatro in macchina con la regista ed il protagonista, che erano marito e moglie. Non aveva idea di dove si trovasse, aveva perso i riferimenti dopo pochi chilometri, mentre si addentravano in quartieri che non aveva mai frequentato, poi alla fine vide un enorme capannone, un teatro tenda, di cui nemmeno sapeva il nome, li si fermò la loro corsa, ed entrarono. Lo spazio dentro era immenso, c'erano forse mille posti a sedere, Lorenzo stentava a credere che quella sera tutte quelle persone sarebbero state davanti a lui, poi arrivò al palco, che era ancora un po' spoglio, alcuni stavano già lavorando per montare le scene, che con esperienza venivano su con grazia e velocità. Nel giro di mezz'ora tutto era pronto per la prova generale, impianti, arredi, tutto, dovevano indossare solo i vestiti di scena per la ripresa, ma notò che non c'erano camerini, solo uno spazio comune dietro le quinte, quindi tutti si cambiavano contemporaneamente, uomini e donne in modo piuttosto promiscuo e naturale, senza particolare vergogna, situazione ben diversa da quella cui era abituato con le ragazze che pudicamente si nascondevano nelle stanze delle donne anche se dovevano cambiarsi una scarpa. Notò che alcune donne discretamente conservate, erano presenti anche li, per lui che aveva vent'anni a stento, una quarantenne era già una vecchia, e ne apprezzò i lineamenti tonici fasciati da collant scuri e calze velate.
Poi arrivò l'orario, era quasi tutto pronto, la prova finita, lo spuntino fatto. Cominciava ad alzarsi la tensione, calò il silenzio all'improvviso, gli attori si appartavano per concentrarsi, il brusio del pubblico si iniziava ad avvertire. Era il momento più magico del teatro, quello che regala a chi lo vive la sensazione inspiegabile e irripetibile dell'attesa di ciò che sarebbe accaduto di li a poco, lo aspettava il pubblico che non sapeva cosa avrebbe visto, lo aspettavano gli attori, che non sapevano se la loro fatica sarebbe stata premiata: era un momento unico di tensione emotiva ed artistica dal quale di li a poco sarebbe sbocciato il miracolo del teatro. Mentre rifletteva sulle possibili cose che avrebbero potuto andare storte si accorse che davanti a lui c'era un pianoforte a coda, e seduto sullo sgabello, in silenzio, c'era Pasquale, il protagonista, era truccato, e vestito da padre di famiglia squattrinato e svogliato, aveva tolto la giacca, sembrava riflettere. Quando ad un tratto mosse le sue dita sul piano e cominciò a cantare, non era un canto sommesso, no, anzi, una voce potente da tenore si alzava da quel piano e si spandeva con forza in tutto il teatro. Non riconobbe immediatamente la canzone, era una classica napoletana, parlava d'amore, poi senti un nome e capi: Carmela. Era estasiato dalla bravura e dalla naturalezza di quel canto che sembrava venire dalle viscere della terra, sembrava che la stessa Napoli cantasse un canzone ad una sua fanciulla. Lorenzo si guardò intorno, tutta la compagnia si era avvicinata come per un richiamo, si abbracciarono tutti, anche lui con loro, ed un piccolo coro seguì la voce principale che poi lentamente si spense, così come era nata. L'atmosfera rimase surreale per qualche secondo, il crocchio si disperse, Pasquale si alzò dal piano e si mise la giacca, vide che il ragazzo lo fissavo stranito e gli disse: "La canto sempre prima di andare in scena, mi rilassa, lo sanno tutti, non si inizia senza Carmela!". Lorenzo non capì cosa intendesse, se ci fosse stata una Carmela nella sua vita o no, ma la commedia iniziò inesorabilmente, con la sala gremita, ed il calore della gente che invadeva tutto il teatro. Cunzumamm' Natale, questo era il titolo, un testo dolce amaro, scritto da uno di loro, che analizzava il Natale vissuto in povertà da una famiglia del rione Sanità, strozzata dai debiti e dalle bollette, ma che comunque cercava di dare tutto il possibile ai figli senza che loro dovessero soffrire dei problemi degli adulti.
La gente rise, applaudì, si divertì, probabilmente un po' troppo per gli standard cui il ragazzo era abituato, ma quello era un pubblico diverso, saltava all'occhio anche a uno poco esperto come lui, era gente di strada, che viveva alla giornata, gente che soffriva, che aveva bisogno di distrazioni per superare la notte della loro vita. Dopo due ore e mezza di recitazione, applausi ed abbracci, il teatro tenda si svuotò e la compagnia si ritrovò a dover sistemare le scene fino a dopo la mezzanotte, Lorenzo era stanco morto, fuori casa da quasi dodici ore, ma sulla strada del ritorno fu costretto ad un'altra sosta. La regista, la moglie di Pasquale, gli chiese se per lui fosse un problema fermarsi a comprare delle cose pochi minuti, lui ovviamente accettò, ma le fece presente che era quasi l'una di notte, sarebbe stato difficile trovare qualcosa a quell'ora di notte. Non finì nemmeno la frase che l'auto svoltò in una piazza gremita di gente, letteralmente migliaia di persone si affannavano intorno a bancarelle di ogni genere, illuminate a giorno. Sembrava mezzogiorno al mercato di Fuorigrotta.
"Che roba è?", chiese stupito, loro risero vedendolo così ingenuo.
"Qui stanno aperti tutta la notte per la Befana, compri quello che vuoi e lo paghi la metà, cioccolate, giochi, libri, quello che vuoi, qua lo trovi a molto meno, e noi veniamo sempre qui per comprare i regali ai nostri figli, facciamo una calza esaggerata, troppo bella, mo' ti faccio vedere!". Pasquale parcheggiò la macchina in tripla fila, sapendo che nessuno sarebbe passato a chiedergli conto e ragione di quella scorrettezza e si incamminò a passo deciso del dedalo delle bancarelle, arrivando a colpo sicuro in uno slargo in cui Lucignolo nel paese della Cuccagna sarebbe impallidito. C'erano cascate di cioccolatini, baci, bon bon, caramelle colorate, mandorle tostate, blocchi di fondente, carbone bianco e nero, frutta martorana, dovunque si girasse vedeva dolci, Pasquale prese una busta e cominciò rapidamente a prendere qua e la quello che desiderava, non c'erano prezzi segnati da nessuna parte, manco a dirlo, ma apparentemente nessuno si era posto il problema. In meno di dieci minuti erano fuori dal mercato con due buste piene di dolciumi, un garage giocattolo, una bambola ed un grosso peluche, non chiese quanto aveva speso, ma dai loro occhi vide la soddisfazione di chi sapeva di aver risparmiato un bel po'. Sorrise rientrando in macchina, gli occhi ormai si erano fatti pesanti, in quella mezz'ora di strada prima di arrivare alla moto avrebbe cercato di recuperare le forze per arrivare a casa sano e salvo, tante emozioni in un solo giorno grazie al teatro ed ora anche quello, aveva appena toccato con mano ciò che la commedia da poco finita aveva raccontato, una Napoli in cui centinaia, forse migliaia o più, di persone disposte a uscire nel cuore della notte pur di portare ai loro familiari la testimonianza del proprio amore, anche quando per quell'amore dovevano spendere le uniche lire che erano rimaste.
La domenica successiva avrebbe replicato l'esperienza, sperando di evitare il mercato.
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