Capitolo 43
CAPITOLO QUARANTATRE
Che cena ragazzi, è stata un'esperienza stupefacente, dall'inizio alla fine, anche se la fine è arrivata un po' tardi, verso le tre di notte. Ma che vuoi, quando vai al ristorante alle undici e mezzo di sera, mi pare il minimo. Comunque, non pensavo che la serata potesse andare così bene, anche perché durante lo spettacolo io ho sbirciato continuamente le reazioni di Lorenzo, e devo dire che non promettevano niente di buono, faceva delle facce assurde, come se stesse guardando delle operazioni di spurgo di un pozzo nero, o che so come se davanti a lui stessero squartando un maiale. Insomma pareva veramente inorridito, e la cosa ancora più assurda è stata che intorno a noi la gente invece si divertiva, si, impazziva dal ridere, batteva le mani, ed io non sapevo che cosa fare. Ad un certo punto, verso la metà del secondo atto, si è alzato e ha cercato di andarsene, io lo ho fermato con la scusa che eravamo ne mezzo della platea e non poteva disturbare tutti solo perché la commedia non gli stava piacendo. Così è rimasto fino alla fine dell'atto e poi sono riuscita a convincerlo a rimanere fino anche alla conclusione dicendogli che comunque ero curiosa di vedere come andasse a finire. Poi c'è stato l'exploit del cannolo alla crema inglese che ha fatto svoltare la serata, anche se all'inizio ho avuto paura, mi pareva veramente che alcuni personaggi fossero impazziti, non so che cosa gli fosse preso, ma inveivano e gridavano contro Lorenzo, manco lui avesse ammazzato qualcuno. Comunque, il capo comico, o il regista, ora non so bene la differenza, è stato bravo ad intervenire ed ha sedare il tumulto, così Lorenzo è riuscito a parlare ed è stato un grande, tirando fuori la storia della fisiognomica dolciaria, io non so come fa ma mi stupisce sempre. Ed io lo conosco da molti, molti anni. Insomma, alla fine lo hanno anche applaudito e poi siamo andati tutti insieme nel ristorante del suo amico filosofo che ci ha preparato una cena in tema De Filippo. Intanto lo chef, il filosofo, si fa chiamare Kant ed il ristorante si chiama Kant che ti Pass, un nome una garanzia, lui ci ha accolti nel locale che era ancora pieno come fosse mezzogiorno e ci ha fatto accomodare in una specie di privè separato dal resto della sala da un albero che troneggiando, faceva da immenso paravento. La saletta sembrava un giardino d'inverno, con pareti in vetro che guardavano una strada chiusa al traffico. Devo dire che l'arredamento del locale era piuttosto strano, sembrava pieno di roba presa dai robivecchi e riutilizzata per fare design, sulle pareti c'erano locandine di concerti classici di teatri di mezza Italia, ma soprattutto del San Carlo di Napoli, del Politeama di Palermo e della Scala di Milano. C'era un vecchio pianoforte verticale in un angolo e mezzo caravan appoggiato ad un muro, si mezzo, nel senso di un caravan, nello specifico un Wolksvagen Caravel azzurro, segato longitudinalmente, giusto nel mezzo e fissato alla parete. Di dubbio gusto, ma di sicuro effetto. Kant ci ha offerto un aperitivo vicino al veicolo smezzato mentre il tavolo veniva preparato e ci ha illustrato il menu ed ovviamente filosofia del ristorante.
L'aperitivo è stato servito in dei bicchieri a forma di scarponcino, in latta colorata, e si chiamava Spritz Miseria e Nobiltà. Composto da un vino rosato molto campagnolo, che rappresentava la miseria, con uno Champagne Siciliano che rappresentava la nobiltà, una fetta di arancia essiccata, e della frutta a pezzi. Kant lo ha presentato dicendo: questo è il nostro inizio, Lo Spritz Miseria e Nobiltà, servito in una scarpetta di Latta..."
"Ah com l'autore di Miseria e Nobiltà!" è intervenuta Maria.
"Esatto, Scarpetta, il padre di Eduardo, dal quale quindi è iniziato tutto. Perciò noi abbiamo voluto omaggiarlo in questo itinerario dedicato a De Filippo.
Tutti si sono complimentati ed hanno cominciato a bere, sciogliendosi alquanto sia nell'eloquio che nel volume, tant'è che dopo circa dieci minuti ci hanno fatto accomodare per non disturbare il resto dei clienti.
Poi è iniziata la vera è propria cena, e Kant si è superato, facendoci un trattato di filosofia ad ogni piatto, e parlando della personalità di Eduardo, degli scontri col fratello, della malattia della sorella. Gli attori chiaramente sentendo parlare lo chef con tale precisione dei loro miti si sono incuriositi e gli hanno chiesto se anche lui fosse un attore oltre che cuoco, lui ha risposto di no, semplicemente conosceva Lorenzo che gli aveva trasmesso quella passione e quindi grazie a lui aveva cominciato a conoscere la napoletanità e la bellezza del teatro napoletano. Non ha esitato a rispiegare la sua fisiognomica culinaria e poi finalmente ci ha fatto mangiare. Io non ricordo più nemmeno un piatto, perché dopo la seconda scarpetta già mi ha cominciato a girare la testa, poi ci ho aggiunto il vino rosso e tutto è scivolato nel dimenticatoio. Ricordo solo che erano cose buonissime, che Lorenzo era contento e che la compagnia non la smetteva di fare domande per migliorare le loro intonazione, e lui cercava di correggere tutte le loro imperfezioni, e allora faceva dire loro Poggioreale e loro rispondevano Poggiorreale, raddoppiando fortemente la R, scatenando la rabbia di Lorenzo che rispondeva istericamente "Nain, nain, nain!", e li interrogava su un altro argomento. Insomma ci siamo divertiti, mi pareva di stare ancora a teatro, con tutti quegli attori che bevevano e facevano battute. Verso la fine poi, il capo della compagnia ha chiesto ufficialmente a Lorenzo di tenere per loro un corso di dizione e cucina napoletana, in modo tale da poter migliorare le loro performances e lui ha accettato. Non hanno parlato di soldi, o almeno non ne ho sentito io, ma immagino che tra uomini d'onore queste cose si facciano in privato. Poi finalmente sono arrivati i dolci, e quelli me li ricordo: il famoso cannolo con la crema inglese, una caprese alla liquirizia che con il suo dolce amaro ricordava tutto il teatro di Eduardo, sempre a detta di Kant, e poi i Filumena Martorana, pasta di mandorle con la faccia di Titina, brutti da morire, ma dolcissimi.
Siamo tornati a casa brilli e stanchi morti, guardando il cielo ci siamo accorti che in un paio di ore si sarebbe vista l'alba, ma eravamo contenti, perché entrambi avevamo capito che era stata una serata importante, soprattutto per Lorenzo, che aveva una luce diversa negli occhi, come se un antico fuoco si fosse riacceso. Ed il merito, è stato il mio, almeno la scintilla iniziale.
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