Capitolo 4


CAPITOLO QUATTRO

Fu in una mattina di dicembre, fredda ma soleggiata, che Lorenzo ricevette l'invito, i corsi erano ormai iniziati da un po' e le matricole ormai si conoscevano più o meno tutte fra loro, si erano anche creati i vari gruppi di studio e le prime simpatie si palesavano, lei gli si parò davanti con sfacciataggine disarmante e gli disse: "Ho organizzato una festa di Natale per sabato prossimo a casa mia, vuoi venire? Ci sono un po' di colleghi, così facciamo tutti amicizia! Ah, dimenticavo, io sono Claudia, nel caso non ricordassi il mio nome!". Lui non trovò controindicazioni a quell'invito, ed accettò di buon grado, notando comunque che quella ragazza magrolina con l'aspetto da santarellina, nascondeva una caparbietà molto spiccata.

Quando si aprì la porta dell'appartamento al Vomero, lui vide una figurina esile fasciata da un vestitino di velluto rosso che le scopriva le gambe sopra il ginocchio, con un cappello da Babbo Natale che parzialmente nascondeva la cascata di capelli biondi. La pelle del viso, bianchissima, era ravvivata dal colpo di colore delle labbra, ovviamente rosso fuoco. Quell'immagine sarebbe rimasta stampata nella mente di Lorenzo per tutta la vita, ma in quel momento non se ne accorse, acquisì soltanto l'informazione, la salutò e presentò ai presenti la sua ragazza, Daniela, che, come un lupo in difesa del suo territorio, prima si guardò intorno per scovare minacce e pericoli e poi gli intimò di pulirsi i resti di rossetto che l'ospite gli aveva lasciato sulla guancia. La serata passò velocemente, senza strappi o colpi di scena, d'altra parte alcuni invitati erano vecchi amici di Claudia, ed avevano contribuito a rendere la festa piacevole, altri, come Lorenzo e vari colleghi, si incontravano in area non universitaria per la prima volta ed avevano approfittato per scambiare quattro chiacchiere e conoscersi meglio. Daniela non si allontanò da lui neanche per un minuto, e quasi con aggressività pretendeva che Lorenzo le preparasse il piatto dal buffet, le portasse il bicchiere con il cocktail, insomma che mostrasse a tutti che era un devoto fidanzato. Lui, dalla sua parte, era innamorato di Daniela, anche se a distanza di anni, non avrebbe saputo dire il perché, erano due caratteri molto diversi, che si andavano formando con le esperienze di ogni giorno, e che ogni giorno divergevano un centimetro di più. Ma a quel tempo lui era ancora convinto che lei fosse la donna della sua vita. Sbagliando ovviamente, ma sbagliare è umano, perseverare un po' meno.

Dopo aver mangiato abbondantemente e bevuto con moderazione, erano sempre a casa di una ragazza, con i genitori che facevano da valletti dalla cucina al salone, qualche buontempone amico di Claudia propose di cominciare i giochi di Natale, quelli che riempiono il tavolo verde di bucce di mandarino, carte napoletane, fiches colorate, monetine e frutta secca. Lorenzo odiava quei giuochi, gli ricordavano le interminabili serate a casa dei parenti nelle quali era costretto ad annoiarsi durante il pomeriggio per arrivare alla cena e dopo per arrivare alla mezzanotte. Non amava scommettere, non era fortunato al gioco, e non trovava divertenti le carte. Solo il tressette a perdere aveva avuto per lui un certo fascino l'estate di qualche anno prima, ma probabilmente perché giocava sempre con una ragazza di cui era perdutamente invaghito da quando era quasi bambino, ed alla quale non aveva mai confessato la sua cotta. Sicuramente se avessero passato i pomeriggi a ricamare, per lui sarebbe stato lo stesso.

Quella sera però non si annoiò, accettò di giocare perché sarebbe stato poco elegante rifiutare l'invito, Daniela infatti notò la stranezza e gli disse nell'orecchio: "Ma tu odi giocare..." sperando di poterlo convincere ad allontanarsi dal tavolo e da eventuali pretendenti. Ma lui le sorrise e si sedette accanto a Claudia che gli mostrava il posto libero accanto a lei. La guardò, e mentre il ragazzo a capotavola mischiava le carte per fare il primo giro di sette e mezzo, qualcosa di lei lo colpì, era fresca, spensierata, spontanea, aveva una voce squillante che diventava sensuale quando abbassava il tono, ed era divertente, si, lo faceva sorridere, vicino a lei, si sentiva più leggero, più gioioso. Non era poco per un ragazzo come lui, che viveva un continuo tormento interno, da quando era piccolo, si sentiva inadeguato, inadatto alla città in cui viveva, considerava la maggior parte delle persone che aveva intorno a se vuote e stupide, e per di più arroganti e spesso violente; lui odiava la violenza ed il mondo che aveva intorno, anche perché non sapeva battersi, aveva paura di farsi male, non era abbastanza coraggioso da lasciarsi coinvolgere in una rissa. Probabilmente, anzi sicuramente non aveva mai picchiato nessuno. Ma avrebbe voluto farlo, eccome, quante volte aveva ripensato ai gruppetti di guappi che sull'autobus lo avevano preso in giro e tentato di indurlo a reagire, ma lui non aveva ceduto, non reagiva mai, ma non riusciva a trattenere quello sguardo di supponenza che tanto infastidiva gli altri, e soprattutto non riusciva a trattenere quella lingua tagliente che in futuro avrebbe rischiato di metterlo nei guai. Anche quella sera, vedeva diversi personaggi che cercavano di guadagnare maggiore visibilità nella compagnia, con barzellette, battute, toni alti e lazzi, lui non sarebbe mai stato come loro, pensava, era timido in fondo, e scostante, e non aveva molto da dire in mezzo a tanta gente, a meno che non dovesse recitare un copione. Lorenzo non sapeva parlare del più e del meno, o del tempo, non amava la dialettica sterile, quella che puntava a dimostrare chi avesse ragione su un qualsivoglia argomento, no, lui preferiva entrare in contatto con le persone e conoscerle, per poter scoprire cosa avessero dentro. E non non aveva mai avuto un gruppo di amici, maschi, come spesso i ragazzi hanno a quell'età, tranne i tre nerd del liceo, lui non amava fare parte di un branco, e soprattutto non tollerava i capibranco, e quelli che si sfidavano in prove idiote tanto per dimostrare la propria eccellenza in stupidi ed inutili abilità, come lo sputare più lontano degli altri, o bere una bottiglia di birra senza staccare la bocca, o peggio sfidare la legge rubando pacchetti di gomme dal tabaccaio o lanciare gavettoni dal balcone. Era normale che ci fossero quelle persone, e lo era anche quella sera, ma quella volta a lui non importava, li guardava anzi con occhio quasi benevolo, stava bene accanto a Claudia, era a suo agio, non sentiva fastidio, aveva la sensazione che lei lo conoscesse da tempo immemore, anche se ovviamente non era così, e, cosa ancor più strana per un po' aveva quasi dimenticato Daniela che alla sua destra gli stava chiedendo da dieci minuti di passarle il portafogli. Non aveva sentito la sua voce, soltanto quando, con una certa irruenza seccata, gli aveva colpito più volte la spalla per farsi notare, aveva voltato lo sguardo verso di lei e si era reso conto che le sue labbra si stavano muovendo e come una valanga le sue parole lo colpirono: "Ehi mi stai ascoltando o no? Il portafogli, passami i soldi!". In quel preciso momento ebbe la netta sensazione, effimera ma nitidissima, di avere accanto a se contemporaneamente il proprio futuro ed il proprio passato. Da un lato c'era un'onda che lo portava al largo e dall'altra un'ancora che lo teneva legato alla riva.

Fu la prima, delle tante volte che scelse l'ancora.

Fu la prima delle tante occasioni perdute.

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