Capitolo 32


CAPITOLO TRENTADUE

La vita è strana, impietosa, sadica, da una parte di fa annusare il profumo della felicità e dall'altra ti colpisce duro, come se volesse punirti per aver cercato di godere quel poco che pensavi di meritare. Prima o poi sarebbe arrivato il momento, lo ho temuto per tutta la mia gioventù, ma ora purtroppo credo che la sua ora sia arrivata. Mio padre, è stato male ieri notte, proprio dopo la bellissima giornata che avevo passato con Lorenzo e che avevamo poi terminato al teatro, fingendo di guardare la commedia, mentre le nostre mani e le nostre gambe si intrecciavano tra gli sguardi incuriositi degli spettatori. Ci eravamo appena lasciati, dopo un'infinità di baci sotto al mio portone, come i ragazzini alle prime armi, e mentre ancora stavo pensando al suo sapore, ho aperto la porta d'ingresso e ho capito che qualcosa non andava. Mio padre era seduto al buio in poltrona, erano le due di notte e lui a quell'ora dormiva in genere da tempo, per un attimo ho pensato che mi stesse aspettando in piedi perché era preoccupato, ma appena mi sono avvicinato a lui per salutarlo e per dirgli di andare a dormire ho sentito il suo respiro, sembrava che stesse russando, ma con gli occhi aperti e con quegli stessi occhi mi chiedeva aiuto, come se volesse che io gli soffiassi aria nei polmoni, non riusciva a parlare per la fatica, non capivo perché lui stesse così, da solo, al buio, gli ho chiesto dove fosse mia madre, lui mi ha indicato la stanza da letto, probabilmente si era alzato in silenzio per non svegliarla. Ho avuto paura, si, paura che morisse li davanti a me, ho svegliato mia madre, ho chiamato un'ambulanza che ci ha messo un'eternità ad arrivare, e mentre aspettavamo lui diventava sempre più blu e sempre più lontano da noi. Alla fine due angeli vestiti in arancione sono entrati in casa, gli hanno attaccato l'ossigeno e rapidamente lo hanno portato in ospedale. Io sono andata con loro, in ambulanza, mentre mia madre, che era in uno stato catatonico, è rimasta a casa per chiamare i miei zii ed raggiungerci dopo. Edema polmonare, così lo hanno chiamato, e per questo lo hanno mandato immediatamente in rianimazione, per aiutarlo a respirare e capirne la causa, non mi hanno fatto entrare, lì non c'è possibilità di restare, bisogna aspettare fuori, sulle sedie di plastica, insieme a tutti i parenti degli sfortunati ricoverati. Quando è arrivata mia madre accompagnata da mio zio Pino, ed ho visto la sua faccia, ho capito che quando papà morirà, lei non sopravviverà molto, probabilmente si lascerà andare, senza mangiare e bere, aveva gli occhi persi nel vuoto, non parlava e non si orientava, quando io le facevo una domanda lei non rispondeva o se lo faceva mi diceva cose sconclusionate, per fortuna lo zio la ha tenuta tutto il tempo sotto braccio e non la ha lasciata andare durante tutta l'attesa. Siamo rimasti tre ore davanti alla porta di metallo, non sapendo se sperare che qualcuno uscisse a darci notizie, perché ogni volta che quella si apriva, ed un nome veniva tirato fuori dal cilindro, tre o quattro persone accorrevano per avere informazioni e poi si alzavano urla e pianti disperati. Non mi sono seduta un'attimo, ho camminato tutto il tempo, guardavo la gente seduta a terra o sdraiata che pregava, avevano tutti le stesse facce, come la mia probabilmente, facce di terrore, di sgomento, di sconforto, tenute in vita solo da una labile speranza, scritta a caratteri cubitali sulla porta argentata: Rianimazione.

Quante vite si incrociano in un posto come questo, vite che lottano per restare al mondo, altre votate al sacrificio, che giorno e notte le assistono, ad altre ancora, come le nostre che restano lì, come in un limbo aspettando che qualcuno le chiami verso l'inferno o il paradiso. Un ragazzo di diciannove anni era entrato poco prima di mio padre, a quanto pare si era sentito male mentre era in discoteca con gli amici, e tutti loro sono arrivati all'improvviso, con i volti sconvolti, le ragazze ancora truccate e con le minigonne che non riuscivano a coprire in nessun modo, ed i ragazzi spettinati e con i jeans strappati, mi hanno chiesto se un tale Pasquale Scognamiglio fosse passato di la, ma io ovviamente non ho saputo rispondere, poi una ragazza si è alzata e li ha chiamati, ho capito che era la fidanzata, si sono baciati, abbracciati, era disperata, e come non esserlo, con un figlio tra la vita e la morte, cercava di capire faceva domande, per sapere che cosa fosse successo, se avessero preso droghe, o avessero bevuto troppo. La morte non si accetta mai, ma a maggior ragione quella di un ragazzino è ancora più difficile da sopportare, io penso a mio padre e mi sento fortunata, lui ha ottant'anni ed ha fatto la sua vita, qualsiasi cosa accada, posso dire che con lui sono stata felice, ma un giovane di quell'età con tutta la sua storia ancora da scrivere proprio non si riesce a capire...

Quanto avrei voluto chiamare Lorenzo per avere un conforto, dire una parola, anche solo averlo al mio fianco, ma non era il mio ragazzo, era notte ed avevo paura di dargli fastidio, non avevo nessun diritto di chiedere il suo aiuto, ero sola, con mia madre e mio zio. E' stato un grosso sforzo ma ho resistito. Ovviamente l'idea di chiamare Luca, non mi ha nemmeno sfiorata, lui in una situazione come quella sarebbe stato a suo agio come un pesce fuor d'acqua. Abbiamo atteso tutto il resto della notte e poi verso le sette alla fine è arrivata una dottoressa, che con espressione molto seria ci ha detto che papà aveva avuto un brutto infarto, che il cuore si muoveva a stento e che il polmone era pieno d'acqua per cui avevano dovuto intubarlo, insomma era attaccato ad una macchina per respirare, se la situazione si fosse stabilizzata avrebbero provato a fare una coronarografia, ma per il momento non si poteva muovere. Ci ha suggerito di andare a casa per riposarci un po', tanto la nostra presenza era inutile, non potevamo vederlo, si è presa il nostro numero di telefono in caso di comunicazioni urgenti e poi è rientrata velocemente nel reparto. Non c'era più motivo di stare lì, così siamo andati via, abbiamo fatto colazione al bar dell'ospedale, tanto ormai si erano fatte le sette e mezza, poi lo zio Pino ci ha riaccompagnate a casa. Mia madre non ha detto una parola per tutta la strada e poi appena aperta la porta di ingresso si è seduta sulla stessa poltrona sulla quale ho trovato mio padre la notte prima ed è rimasta lì in silenzio fino ad ora di pranzo, quando l'ho chiamata per mangiare.

Nel pomeriggio ho sentito Lorenzo, mi ha chiamato lui, nonostante tutto, quando ho letto il suo nome sul display del cellulare una sensazione d gioia mi ha invaso, anche se solo per pochi secondi, voleva salutarmi prima di partire e dirmi che il giorno prima era stato bene, io non ho potuto fare a meno di raccontargli quello che mi era successo, si, gli ho detto tutto, è stato molto carino ad ascoltarmi, e poi, anche se aveva la nave la sera, è passato a salutarmi, è venuto su, ed è stato un po' con noi, anzi con me, visto che mia madre era completamente assente. Sembrerà assurdo e fuori luogo, ma avrei voluto fa l'amore con lui, non mi importava di mia madre dall'altra parte dell'appartamento, non pensavo più a mio padre in ospedale, volevo solo stare con lui, si, perché con lui mi sentivo protetta ed Dio solo sa se in quel momento avessi bisogno di protezione. Lui era il mio unico alleato, in un momento della mia vita in cui ero sola contro il mondo, perché stavo perdendo mio padre, il mio paladino, la mia roccia, il mio tutto. Mi ha tenuto stretta, con tenerezza, mi ha sussurrato parole dolci, mi a accarezzato, ed io ho potuto finalmente piangere un po', parlargli delle mie paure, ed affidargli i miei timori segreti. Che strano, a pensarci, sono passate poche ore dalla giornata più bella della mia vita e mi sono trovata probabilmente a vivere quella che per ora è stata la più brutta. Meno male che c'era lui.

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top