Capitolo 24


CAPITOLO VENTIQUATTRO

Lorenzo aveva ricevuto l'invito in una busta di carta di Amalfi a casa dei genitori, ma Claudia lo aveva chiamato per dargli l'annuncio di persona, ci teneva che venisse al matrimonio e voleva assicurarsi che ricordasse bene la data per essere presente. Lui gradì molto la telefonata, non aveva mai negato a se stesso di avere un debole per quella ragazza così fresca e vivace, sapeva che poteva anche non vederla per mesi, che potevano uscire con altri, ma poi appena la incontrava nuovamente, tutte le distanze si appianavano immediatamente ed il tempo tra loro sembrava non essere mai passato. Lorenzo, nonostante tutto, dopo i fatti dell'undici Settembre era rimasto a Roma, perché alcuni della compagni si sarebbe trattenuti per qualche altro lavoretto, e così, aveva deciso di non tornare a casa, anche perché questo avrebbe significato rinunciare al suo sogno. E lui non poteva permetterselo, soltanto perché una manciata di pazzi furiosi terroristi aveva deciso di mettere a ferro e fuoco il mondo intero, certo, aveva avuto paura, le notizie nelle settimane successive all'attentato si erano accavallate, smentite e riconfermate decine di volte, il volto di Osama Bin Laden rimbalzava quasi ogni giorno sui teleschermi e le parole obiettivo sensibile, allarme rosso e sicurezza erano le più ripetute anche fra la gente comune. Sapeva che Roma era una città turistica che ospitava ogni giorno centinaia di migliaia di persone da tutto il mondo, tra amanti della cultura e della storia, pellegrini o giapponesi che volessero conoscere la città eterna, e non sarebbe stato inverosimile pensare che qualche kamikaze avrebbe potuto pianificare un attentato proprio lì, scegliendo uno degli innumerevoli siti archeologici, o qualche monumento famoso, avrebbero avuto solo l'imbarazzo della scelta. Ma la Capitale aveva superato l'incendio di Nerone, i Barbari, due guerre mondiali, la breccia di Porta Pia, non sembrava preoccuparsi di una tale eventualità, tutto pareva continuare con la solita decadente e placida indolenza, tipica di una città che non teme il tempo, figurarsi un combattente islamico che spera di morire per la sua ideologia aspettandosi un giardino pieno di vergini nell'aldilà. Per tutti questi motivi aveva salutato i suoi compagni di ventura del teatro Argentina, aveva accompagnato all'aeroporto la bella e tormentata Imma promettendole che si sarebbero scritti e sentiti, e che quando lei avesse voluto, la avrebbe ospitata con piacere a casa sua, quando ne avrebbe avuta una, ed aveva cominciato col cercare un lavoro per potersi mantenere in città. Per un po' era rimasto nella casa abbandonata, con alcuni dei colleghi, e con il benestare del direttore del teatro, che lo aveva preso in simpatia e gli aveva dato la possibilità di dare una mano in sala, in biglietteria, per raggranellare qualche soldo e per capire un po' l'aria che tirava nell'ambiente. Con la scusa del lavoro, aveva assistito alle prove degli spettacoli, all'allestimento delle scene, ed aveva avuto anche l'occasione di conoscere qualche attore e qualche regista. Aveva sperato che qualcuno lo notasse ma sembrava invisibile, perso nel rumore di fondo e nel buio della sala, uno dei tanti figuranti che ruotavano intorno al mondo del teatro, in cui tutto è finto e vero allo stesso tempo, sta a noi capire dove volere stare. E lui voleva stare sul palco, con tutte le sue forze, non poteva restare tra i satelliti che portano il caffè ed i panini agli attori. Aveva perciò deciso, dopo circa un mese di lasciare la casa del direttore, che per lui era oltremodo scomoda e inquietante, e si era trasferito in una camera ammobiliata nell'edificio di una trattoria di Trastevere e per trovare i soldi necessari a pagarne l'affitto lavorava al piano inferiore, ovviamente in nero. Il padrone sembrava Mangiafuoco, con una barba lunga e nera ed un pancione enorme, ma era simpatico e gioviale, ed aveva una risata che faceva tremare i bicchieri sui tavoli, gli aveva dato il suo nome il direttore del Teatro Argentina dicendogli che quello era l'ultimo dei nipoti di Ottavio Chiaramonte. E così un po' per gioco, un po' per ricordarsi dell'esperienza nella grande casa abbandonata, aveva scelto quella soluzione. Mangiafuoco era un tipo burbero, ma a modo suo simpatico, e aveva dato il permesso di mangiare quello che rimaneva invenduto, a patto che non rubasse altro cibo o denaro. Per lui fu una svolta, perché avrebbe risolto in contemporanea il problema dell'affitto e della spesa. Avrebbe potuto così concentrarsi sui suoi obiettivi. La mattina andava in giro per teatri, cercava annunci di provini e leggeva copioni, e la sera serviva i piatti della tradizione romana a tedeschi, americani e giapponesi, con un sorriso accattivante e la mano veloce per intascare le mance.

Era tornato a Napoli solo due volte da quando era partito, quella del matrimonio di Claudia era stata la terza, non aveva detto a nessuno del lavoro al ristorante, soprattuto ai suoi genitori che non avrebbero approvato, l'unica cui aveva dovuto confessare tutto era stata la sua ragazza Daniela, che lo aveva guardato con la sua solita aria supponente ed aveva commentato: "Beh, se questo è quello che vuoi... ma non pensare che io venga a mangiare al tuo ristorante, io odio la carbonara!". Mangiafuoco gli aveva accordato un permesso di tre giorni più un bonus di due, perché, gli disse, amava le feste nuziali, così Lorenzo ne approfittò e si fece finalmente una settimana di vacanza dopo quasi tre mesi. Certo, suo padre avrebbe commentato diversamente, cioè che quella sarebbe stata una settimana in famiglia dopo tre mesi di festa, considerando che per lui fare l'attore non era certo un lavoro. Ma per fortuna il figlio lo aveva tenuto completamente all'oscuro delle sue vicissitudini, pertanto lui lo accolse come l'avvocato di successo che sperava ancora sarebbe diventato.

Appena arrivato a casa trovò il biglietto con l'invito, in bella mostra sulla credenza, con una scritta vicino Per Lorenzo, non fu una sorpresa per lui, era tornato per quello, ma vedere stampato su quella carta ruvida ed anticata il nome di Claudia con quello del futuro marito gli diede in piccolo dolore, come se qualcosa dal suo cuore fosse caduto, sospirò, prese dalla busta il rettangolo più piccolo che indicava la sede della villa e ne calcolò mentalmente la posizione e la distanza dalla chiesa. Erano entrambi in città, in due quartieri diversi, ma a pochi chilometri di distanza, probabilmente solo il traffico avrebbe potuto ritardare un po' il solito flusso di invitati che dalla fine della messa si riversano immediatamente al ricevimento per l'aperitivo. Il matrimonio sarebbe stato celebrato il giorno seguente e lui avrebbe passato la giornata appresso alla sua ragazza per decidere il vestito migliore per la cerimonia, e nel caso non avessero trovato qualcosa di adeguato sarebbe stato costretto ad andare con lei a fare shopping. Lui non avrebbe avuto problemi, aveva soltanto un abito decente ed avrebbe certamente indossato quello, magari con una cravatta azzurra o giallo oro, poi avrebbe deciso. Era molto meglio essere uomini in certi casi.

Finalmente dopo due ore di cambi, prove, tentativi frustrati e sguardi torvi, Daniela trovò quello che lei pensò fosse più opportuno per la serata, un abito nero e verde, un tailleur con pantalone e giacca, adornato soltanto da una camicetta bianca con qualche trasparenza. Lui non amava quella mise, pensava che una donna con la gonna ed una calza velata fosse molto più eccitante di una con un pantalone, ma lei era convinta di avere le gambe storte e rifiutava categoricamente di mettere su qualcosa che la scoprisse, in realtà non c'era niente di storto in lei se non l'immagine che lei vedeva allo specchio. Per questo, alla fine, esausto decretò che la scelta del tailleur fosse stata la migliore, se non altro per non sentirla più nelle orecchie, ed attese pazientemente che lei terminasse la lunga preparazione di trucco e acconciatura pensando che se a vent'anni, senza rughe e con la pelle perfetta ci voleva più di un'ora per essere pronta, a quaranta quanto ne sarebbe servito? Forse meno, perché non avrebbe avuto abbastanza tempo tra lavoro, figli e casa da dedicare a se stessa. Sorrise e decise di lasciarla fare.

Alla fine erano pronti, lei sembrava uscita dal film "Una donna in carriera", lui sembrava uno che non aveva mai visto una cravatta, ed in effetti era quasi così, salirono sulla fuoriserie di lui, una Peugeot 106 di seconda mano ed incidentata, con circa due centimetri di polvere e terra del deserto a coprire la vernice sbiadita dal tempo. Lei lo guardava inorridita mentre entrava tra le lamiere cercando di non sporcarsi, lui se ne fregava, dicendo che così era sicuro che nessuno avrebbe rubato la sua auto, e se aveva vergogna che qualcuno vicino la chiesa avesse potuto vederli in quella carretta, lui avrebbe parcheggiato lontano e peggio per lei che si era messa i tacchi alti.

Non fu possibile usarle quella gentilezza, perché il cielo rosso di scirocco e carico di umidità aveva deciso di scaricare tutta la sua rabbia acquea proprio nei dieci minuti che precedettero il matrimonio, l'ingresso della chiesa era accessibile soltanto da un'isola pedonale perciò Lorenzo fu costretto ad accostare ad un centinaio di metri ed a fare scendere Daniela sotto gli scrosci di pioggia. Osservò quasi divertito la scena di lei e di altre tre o quattro invitate che nella penombra tentavano di fuggire dalla pioggia schivando le pozzanghere e coprendosi i capelli tanto faticosamente acconciati. Lui, dopo aver aspettato almeno dieci minuti per parcheggiare, riuscì ad entrare in chiesa pochi secondi prima dell'arrivo della sposa, che per sua fortuna fu accompagnata dall'auto proprio davanti all'ingresso, privilegio riservato solo a lei, si fermò in uno degli ultimi banchi per non interrompere la sua marcia, dimentico della sua ragazza che doveva essere da qualche parte probabilmente a sistemarsi l'abito ed i capelli, e la vide passare frusciando tra le note di Mendelssohn, accompagnata dal padre che con sicurezza la dava il braccio per guidarla verso lo sposo, avanzò lentamente, sorridendo a tutti, e facendo ciao con la mano, poi gli passò accanto e gli sembrò che per un istante, un brevissimo istante, esitasse, guardandolo, come per trasmettergli qualcosa, con lo sguardo o col respiro, poi, ripartì dietro le note della musica lasciandolo dubbioso e disorientato. Si guardò intorno come a cercare un punto cardinale, un riferimento, ma trovò solo la mano di Daniela che con fare severo gli intimava di avvicinarsi a lei.

Non smise di piovere nemmeno per un secondo ma Claudia non parve accorgersi di nulla, era leggera, non le importava che il vestito potesse bagnarsi o stropicciarsi, in fondo serviva solo per quel giorno, e praticamente solo per la funzione in chiesa, infatti appena arrivata alla villa dove era preparato il ricevimento si tolse immediatamente il bolero bianco che aveva usato come coprispalle e si liberò del velo e dello strascico, mostrando chiaramente l'abito stretto in vita e sul seno, le spalle atletiche scoperte ed uno spacco nella gonna lunga dalla quale ad ogni passo si intravedeva una calza autoreggente bianca corredata di immancabile giarrettiera. Claudia era bella e raggiante, accompagnata da Luca, impeccabile nel suo abito su misura, aprì l'aperitivo con un energico brindisi, quasi rischiando di rompere i bicchieri, non c'era alcun timore o timidezza nei suoi modi, non era tesa affatto per l'esito della festa, ed in realtà non era stata emozionata nemmeno per un momento durante tutta la funzione, era felice, questo sì, considerava quel matrimonio quasi un punto di arrivo e non un inizio di qualcosa, sì, era felice per il padre che con tutti i suoi acciacchi dell'età era riuscito ad accompagnarla all'altare, per la madre che aveva un genero bello e gentile. Però qualcosa le era mancato, a lei come allo sposo, qualcosa di sottile che rende il giorno del matrimonio unico e speciale: la profonda sacralità del voto che aveva poc'anzi sottoscritto. Forse erano troppo giovani, forse troppo presi da loro stessi, dal lavoro, dal nuoto, e dal divertimento di un'età che ti fa sentire invulnerabile, ma in quel momento non ci pensavano, anzi, pensavano a tutt'altro, a mangiare, a bere, a divertirsi e a far divertire gli invitati. Quello fu un peccato originale che la coppia non sarebbe mai riuscita ad emendare. Finalmente l'aperitivo si concluse, dopo fiumi di bollicine e centinaia di piatti caricati e consumati sui tavoli nel salone principale, era arrivata l'ora della cena, tutti si diressero verso il proprio tavolo, gli over al primo piano e gli under nella tavernetta. Nessuno sapeva quale fosse la disposizione dei tavoli e soprattutto come fossero seduti gli invitati. Lorenzo e Daniela, dopo un paio di bicchieri di prosecco per uno e svariati vol 'a vaint, decisero di cercare la loro sistemazione, camminando tra i tavoli e sbirciando tra i segnaposto color madreperla, non trovavano i loro nomi, incontravano diversi colleghi dell'università, altri amici con i i quali erano usciti, ma il loro tavolo sembrava svanito. Poi videro Claudia, che già festeggiava con un bicchiere in mano ed un seguito di tre o quattro persone urlanti compreso il neo marito, lei, capendo che non sapevano dove sedersi, indicò loro con sicurezza il posto, indicando il tavolo degli sposi, attendendo divertita la reazione ovviamente stupita. Daniela non fece mancare una smorfia di dissenso, mentre Lorenzo ne fu felicemente sorpreso. Tra l'altro gli era stato assegnato il posto alla sinistra della sposa, mentre Daniela, a sua volta era posizionata alla sua sinistra. Era quasi surreale brindare allo stesso tavolo con gli sposi, ma fu una trovata molto apprezzata, perché così davvero Claudia e Luca sarebbero stati parte della festa e non distanti spettatori come in quasi tutti i matrimoni, potevano commentare il cibo ed il vino, anche se li avevano scelti loro, e potevano chiacchierare un po' senza essere costretti a girare tra i tavoli come d'uso. Lo avrebbero fatto ma giusto un po' e magari al piano superiore, dove i vecchi si aspettavano di ricevere le visite di rito, con i giovani invece, i loro amici, dopo cena avrebbero ballato fino a togliere il fiato, non c'era bisogno di tanti convenevoli. Gli altri commensali seduti al tavolo speciale erano il cugino di Claudia, Andrea, e Fabio Capece con la fidanzata Luisa, cari amici della sposa. Lorenzo conosceva bene il cugino, ma molto poco gli altri due, che però sembravano simpatici, soprattutto lui, nonostante il tipico modo di parlare e la erre moscia, ultimi vezzi dalla nobile famiglia di appartenenza. Luisa era una bella ragazza, con capelli castani ed un corpo ben fatto, aveva un un vestito bordeaux incrociato sul seno e la gonna che scendeva obliqua sulle cosce, scoprendo bene la destra ed arrivando fin quasi alla caviglia della sinistra. Lorenzo, cui piacevano le belle ragazze, non si lasciò sfuggire uno sguardo impertinente verso di lei la prima volta che la vide accavallare le gambe. Daniela se ne accorse e lo fulminò con lo sguardo, anche Claudia vide la scena e inspiegabilmente sentì una punta di gelosia, come si permetteva di guardare un'altra donna e non lei? Lui si smarcò elegantemente con la sua famosissima espressione da bambino innocente che cadeva dalle nuvole e che era tanto amata dalle mamme delle sue amiche. Nel frattempo era arrivato l'antipasto, un tris di terra che consisteva in un tortino di polenta e funghi, un canestrello di sfoglia con porcini e speck, e delle chips di ovuli con una maionese alle erbe. Lorenzo, che non si lasciava mai scappare l'occasione di punzecchiare la sua ragazza in pubblico, soprattutto se davanti c'era Claudia, osservò con attenzione il contenuto del piatto, e con un sorriso di gioia esclamò: "Ah che bello, ci sono i funghi!", poi rivolgendosi alla sua sinistra, aggiunse tagliente: "Amore prendine uno, tante volte trovassi quello avvelenato...". I commensali si sganasciarono dalle risate per quella cattiveria gratuita e inaspettata, ma ben azzeccata nei tempi, Claudia sentì che quella battuta poteva essere un avvertimento ai presenti che lui si volesse liberare della ragazza, ebbe perciò un altra piccola fitta di dolore perché ormai era fuori gioco, Daniela dalla sua dovette fare buon viso a cattivo gioco, incassò il colpo sportivamente, ma capì chiaramente che quella era una dichiarazione di guerra, o meglio, una resa dei conti. D'altra parte lui era lontano perché ormai viveva a Roma, ma non solo, si sentiva lontano, presto o tardi avrebbe dovuto fare i conti con la realtà dei fatti, la storia con Imma era stato solo l'inizio. L'unico che non capì niente fu Luca, che era troppo occupato a sistemarsi i capelli dopo aver brindato e divorato i funghi che, purtroppo, non risultarono velenosi per nessuno

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top