Capitolo 20


CAPITOLO VENTI

Quella casa abbandonata era veramente la sede scelta dalla compagnia, entrando Lorenzo si era trovato davanti ad una scena che ricordava le occupazioni dei licei del periodo della Pantera, c'erano sacchi a pelo per terra in ogni stanza, due o tre fornelli a gas, pentole seminate qua e la, sacchi e valigie un po' dappertutto e poi candele ed odore di cera bruciata. Capì immediatamente che c'era qualcosa di strano in quell'accomodamento, tutte le finestre erano chiuse ed oscurate, e la luce elettrica era staccata, qualcosa filtrava da un lucernario sul tetto ed illuminava in modo sinistro gli ambienti polverosi, gli pizzicò il naso a vedere le lame di luce che evidenziavano l'aria carica di pulviscolo, istintivamente si coprì naso e bocca per non respirare quel gas malsano, non c'era anima viva, almeno così sembrava, girò tra una stanza e l'altra cercando di farsi sentire, ma non sapeva se chiamare a voce alta Pasquale e la moglie o evitare e scappare via, magari aveva sbagliato a segnare l'indirizzo, e quella era una casa occupata da zingari o roba del genere. Cominciò ad avere paura, pensando di aver fatto una idiozia ad entrare nonostante tutto gli dicesse di non farlo, si girò per uscire in fretta, ma una figura di donna gli si parò davanti. Non riusciva a distinguerne i dettagli perché la luce che veniva dalla porta d'ingresso aperta ne mostrava solo i contorni, sembrava esile, con una lunga capigliatura che probabilmente era acconciata o per meglio dire attorcigliata sulla testa, con tante ciocche che scappavano in diverse direzioni. Si fermò davanti a lui, lentamente i suoi occhi cominciarono a distinguere qualche particolare, poi lei cominciò a parlare con un chiaro accento napoletano: "Che ci fai qui? Come sei entrato?", il tono non gli sembrò particolarmente ostile, vide che teneva una tazza con entrambe le mani, non indossava scarpe ma due calze spesse ed un po' troppo comode per la sua gamba fine, e probabilmente aveva una camicia da notte od un vestito da massaia anni cinquanta, il timbro della voce era grazioso, delicato, non doveva avere più di vent'anni, forse era più piccola. Lui allora cercò nel modo più gentile possibile di spiegare la sua situazione, per evitare reazioni violente, o impreviste, soprattutto se in quella penombra fosse venuto fuori all'improvviso qualche altro personaggio.

"Scusami, forse ho sbagliato, mi chiamo Lorenzo e cercavo Pasquale Macrì, vengo da Napoli perché...", non riuscì a finire la frase che lei subito intervenne cambiando tono.

"Ah tu allora sei il tipo che deve sostituire Angelo, vero?"

"Non so, penso di si, io so solo che il figlio di Pasquale si è rotto un piede e qualche giorno fa mi hanno chiamato per prendere il suo posto nella commedia, e poi mi ha dato questo indirizzo.". Lei si avvicinò ancora un poco per cercare di guardarlo in faccia, ed aggiunse: "Si, Angelo è il mio ragazzo, e si è fatto male saltando da un cancello, perché lo stavano rincorrendo dei mariuoli!". Lorenzo rimase un po' interdetto e non volle approfondire la dinamica dell'incidente, stava realizzando che quella era veramente la sede della compagnia e che il ragazzo era probabilmente solito avere a che fare con gente poco di buono. Un brivido gli attraversò la schiena e si ricordò le parole della madre gli attori so' muorte 'e famme, forse era ancora in tempo a chiamare veramente lo studio Abbamonte e mettersi a fare un lavoro serio e non il saltimbanco. La ragazza interruppe i suoi pensieri invitandolo ad accomodarsi con una certa civetteria ed aggiunse, continuando il discorso: "Vieni puoi lasciare la tua roba qui nella mia camera, tanto lui non c'è, è tornato a Napoli!", lo invitò a seguirla, la casa era piuttosto grande, e, dopo aver superato un corridoio con parquet che scricchiolava come nei migliori film dell'orrore, arrivarono davanti ad una stanza dalla quale veniva fuori un chiarore tremolante. Anche quella aveva le imposte chiuse e la luce veniva da un vecchio candeliere a sei bracci sul quale ardevano altrettante steariche. Lorenzo pensò che non vedeva tante candele tutte insieme accese dai tempi dell'infanzia quando nella sua casa al mare andava via la luce ed i genitori erano costretti in tutta fretta ad aprire il loro cassetto dell'illuminazione d'emergenza e tirare fuori cerini e stoppini di ogni genere mentre il nonno cercava di accendere il generatore che puntualmente faceva cilecca e ed impiegava almeno mezzora per partire. L'atmosfera era surreale, intima, tra quelle mura il silenzio era rotto solo dal raro sfrigolare della cera e delle sue impurità, sei sottili colonnine di fumo azzurrognolo si alzavano parallele e raggiungevano il soffitto disperdendosi come formiche davanti ad un pericolo, Lorenzo poté finalmente vedere in viso la sua inaspettata ospite, non capiva se fosse carina o meno, certo, la penombra è perfetta per celare i particolari indesiderati e creare chiaroscuri glamour, nessuno vuole troppa nitidezza in certi momenti, eppure i lineamenti erano regolari, un naso piccolo ed all'insù proiettava la sua ombra sulle pareti, forse aveva qualche piercing, sul labbro e ad una narice, dei capelli non poteva dire granché perché erano una specie di massa informe legata da una fascia spessa che scopriva il volto ma li costringeva in una coda di difficile gestione, anche perché non sembravano lisci ma annodati in mille treccine. Gli passò la tazza fumante per spostare il candelabro dicendogli: "Ti piace il tè? Bevi se ti va, ho una teiera piena di là!", lui rimase un po' imbambolato ed incerto se accostare le sue labbra lì dove si erano posate quelle della ragazza, lei si piegò per spostare il suo sacco a pelo e fare spazio allo zaino di Lorenzo, uno spacco del vestito scoprì la coscia di lei e nello stesso tempo un profumo di vaniglia e cioccolata arrivò alle narici del ragazzo. Lei si fermò, probabilmente accortasi che la stava guardando, si girò e con una posa impudica alzò la gamba destra poggiando il piede su una sedia, lasciando nuovamente nuda la coscia e mostrando parte di un tatuaggio che raffigurava un'animale, probabilmente una tigre. Lei gli ripetè: "Bevi, che aspetti!", lui obbedì in silenzio, annuendo, allora lei sorrise, gli tolse la tazza dalle mani e senza mai staccare gli occhi dai suoi bevve anche lei. "E' buono vero?". La sua voce gli sembrò una carezza, così come quella delle mani di lei, così sottili e delicate, che lo avevano sfiorato nel prendere il tè, quella sconosciuta così sfrontata lo turbava. Era appena arrivato a Roma e già gli sembrava di essere diventato il protagonista bohémien di un romanzetto rosa. Si scosse all'improvviso da quella specie di trance in cui rischiava di cadere e decise di reagire, non voleva essere una preda, la sirena era ammaliante, ma lui non era un marinaio. Discostando a fatica lo sguardo da lei e fissando la finestra chiusa le chiese: "Non mi hai neanche detto come ti chiami."

"Cosa vuoi sapere, il mio vero nome o il nome d'arte?", lei non smetteva di provocarlo.

"Vedi tu, come preferisci essere chiamata, se non vuoi che ti appelli con un semplice Ehi tu!", lei fece un mezzo sorriso come a voler cogliere la sfida e continuò:

"II mio nome è Imma, ma mi faccio chiamare Margherita!", ormai la sua voce era diventata un sussurro, nulla turbava quelle due ombre sole nella camera.

"Interessante, e come mai hai scelto proprio Margherita? E' un bel nome, comunque, ma ce ne sono tanti belli, forse per un nome d'arte non è proprio il meglio."

"Ma quello non è il mio nome d'arte...", la sua bocca si era avvicinata pericolosamente all'orecchio di lui.

"Ah no?", lui cercava di fare l'indifferente fissando le loro ombre sulla parete.

"No, ho scelto Margherita perché il mio romanzo preferito è il Maestro e Margherita!"

"Bulgakov! Ti piacciono gli scrittori russi?"

"Non lo so, ma sto ancora aspettando il maestro che mi rapisca e mi faccia diventare la Regina... tu ne conosci qualcuno?". Lui deglutì vistosamente, come se dovesse ingoiare un enorme rospo, cercò le parole per uscire da quella situazione con una battuta di spirito. Ma non le trovò, decise allora di farle la ovvia domanda successiva. La situazione era rischiosa, sentiva di stare al limite dell'invalicabile linea di confine fra le schermaglie innocenti, il flirt e il tradimento. Aveva ancora una fidanzata a duecento chilometri da lui, che probabilmente era impegnata in chissà quali irrinunciabili occupazioni, che lo aveva lasciato andare con un buona fortuna carico di sfiducia nelle sue possibilità, ed ora lui stava fronteggiando la sua prima prova, davanti ad una ragazza che continuava a farlo camminare al limite del precipizio. Non poteva negare che nonostante quella situazione lo intimorisse, la curiosità e la tentazione di sapere fino a dove avrebbe potuto spingersi senza bruciarsi o precipitare era fortissima, come forte era il profumo di vaniglia e cioccolato che la pelle di lei emanava. Ebbe l'improvviso desiderio di mangiarla. Cercò di dominarlo facendole una seconda ovvia domanda:

"Quindi Margherita è il tuo nome d'arte?"

"No, Daisy!" e dicendo quella parola fece una specie di inchino tenendosi il vestito con la mano sinistra.

"Giusto, ottima scelta, fantasiosa direi!", era finalmente riuscito a trovare le parole che cercava, taglienti al punto giusto per cercare di portare la discussione ad un livello un po' più equilibrato, non voleva essere la preda, anche se al momento non gli dispiaceva ricevere quel tipo di aggressione. Doveva solo cercare di colpire delicatamente l'autostima di lei per poter gestire la situazione. Ci stava riuscendo, lei cambiò espressione, da felino affamato divenne una gattina impaurita e gli chiese:

"Sei ironico?", funzionava, anche lei non capiva, come quasi tutti, se parlava sul serio o no, poteva restare su quel registro e farla scoprire un po' di più.

"No, perché dici questo, è una buona idea, tradurre in inglese il tuo nome, non lo ha mai fatto nessuno prima d'ora!"

"Mi stai prendendo in giro, non ti piace!", lei era passata alla tecnica della bambina indifesa e abbandonata. Si voltò dandogli le spalle, forse aspettandosi che lui le si avvicinasse. Lo fece e le sussurrò nell'orecchio:

"Non è vero, io amo le margherite." e poi aggiunse quasi in un sospiro: "Mi piace strapparne i petali uno per uno, spogliarle fino a lasciarle tutte nude...", lei ebbe un fremito e si girò nuovamente verso di lui stando al gioco: "E tu spogli tutte le margherite o qualcuna in particolare?"

"Tu che ne dici?" ribatté lui, avevano superato da tempo la distanza di sicurezza, erano così vicini che potevano sentire l'uno il respiro dell'altra, lui aveva perso il senso del tempo e dello spazio, aveva dimenticato il motivo per cui era finito in quella casa e da quanto tempo fosse lì, a lume di candela in compagnia di quella strana sconosciuta. Ma il tempo era passato in fretta, fuori il tramonto si era fatto sera e un rumore di passi interruppe quella scena da film. Entrambi istintivamente si allontanarono l'uno dall'altra, aggiustandosi capelli e vestiti, carichi di sensi di colpa di ciò che sarebbe potuto accadere e che probabilmente sarebbe stato soltanto rimandato.

"Sono tornati!" gli annunciò lei.

"Chi?" chiese stupidamente lui, più per prendere tempo che per sapere realmente chi fossero i nuovi arrivati.

"Come chi? Non fare domande idiote, Pasquale e gli altri!", le voci dissonanti degli attori si disperdevano e si sovrapponevano per la casa. Lei gli prese la mano e gli intimò di seguirla.

"Signori, vi presento il nuovo Saverio 'o Guappo!", poi rivolta a Lorenzo disse sottovoce: "Fai l'inchino!". Lui eseguì imbarazzato nella sala illuminata a stento dalle candele, e salutò tutti con affabilità, rispondendo alle solite domande su viaggio, tempo e sistemazione, intravide facce che sembrava ricordare, altre che probabilmente non aveva mai visto, ma non poteva fidarsi della sua memoria essendo uno scarso fisionomista, probabilmente conosceva ben più della metà dei componenti della compagnia ma lo aveva dimenticato o gli era stato reso impossibile dalla semi oscurità . Poi alla fine chiese: "Scusate, ma chi è Saverio 'o Guappo?". Tutti fecero una risata, ed indicarono Silvana la regista, dandole la parola.
"Non te lo avevamo detto a telefono? E' la parte che dovrai interpretare, Saverio, un giovane guappo napoletano, innamorato di Margherita, che lo ha sedotto e che non lo vuole più perché sa che un poco di buono, e lui fa il pazzo per riaverla. Lui annuì riflettendo e poi chiese già temendo la risposta:

"Mmm, Margherita, chi sarà Margherita nella commedia?"

"Io!", con una piroetta ed un inchino la ragazza che già conosceva gli si parò davanti dicendo con voce da bambina: "Piacere Margherita!". Lui allungò la mano e più seriamente rispose "Piacere Lorenzo.". Una voce dalle retrovie la invitò a confessare il suo vero nome.

"Devo proprio?" disse lei.

"Certo!" continuò la voce, "Altrimenti glielo diciamo noi!"

"E' proprio così brutto?" le chiese ironicamente Lorenzo, fingendo di non sapere, ma temendo che le avesse mentito.

"Non c'entra niente con lei!" gridò qualcuno in mezzo alla sala, seguito da diverse risatine. Lorenzo era confuso: "In che senso non c'entra niente!".

"Lascia stare andiamo, vieni a sistemare il bagaglio!" intervenne lei visibilmente infastidita.

"Dai, aspetta almeno dopo cena, non avere fretta!" commentò un'altro, vicino al primo.

"Stronzi!" tagliò corto lei, "Siete proprio stronzi!" e scappo' in camera sua sbattendo la porta, mentre Lorenzo era rimasto nel bel mezzo di quella situazione imbarazzante.

"Ho fatto qualcosa che non avrei dovuto fare? O mi sono perso qualche dettaglio che dovrei sapere?" chiese timidamente Lorenzo al buio che era intorno a se, improvvisamente tutti si erano allontanati e fingevano di occuparsi chi delle candele, chi della tavola, chi dei sacchi a pelo. Per fortuna Silvana gli venne in soccorso prendendolo per un braccio: "Tranquillo sono sciocchezze da ragazzi, lei è un po' permalosa sull'argomento!" e mentre diceva quelle parole si guardava intorno cercando gli occhi padroni dei commenti precedenti. Poi gli si avvicinò e nell'orecchio, per assicurarsi che nessuno ascoltasse gli disse "Sono gelosi!". Lui decise di non farsi ulteriori domande, e per cambiare discorso completamente fece la domanda più stupida che gli venisse in mente: "Perché non accendete le luci?".

Imma era una ragazza difficile. Nascosta nella sua camera, sdraiata a pancia in giù sul letto cercava di non pensare a quello che era successo poco prima. Ma le parole che le avevano detto bruciavano ancora. Apparentemente uno sfottò come tanti altri, tra ragazzi, ma lei soffriva quei commenti, perché sapeva che erano veri, ma sapeva anche che non riusciva a farci niente. A lei i ragazzi piacevano, anzi, ne aveva bisogno, per sentirsi viva, amata, desiderata. Come non era mai stata amata nella sua vita, fin da piccola. Anche un apprendista psicologo sarebbe riuscito a far risalire i suoi disturbi sentimentali, se così vogliamo chiamarli, alla prima infanzia, da quando il padre aveva abbandonato lei e la madre. Lei allora era troppo piccola per ricordare la faccia del padre, o cosa fosse realmente accaduto, ma la madre aveva sempre cercato di mantenere in lei un ricordo o comunque costruire una favola in cui lei potesse credere e nella quale potesse identificarsi e trovare il padre che non aveva mai avuto. Aveva vissuto protetta da quella finzione fino alla quinta elementare, quando una sua compagna di classe con la cattiveria e l'odio cristallino che solo i bambini possono avere, senza minimamente pensare alle conseguenze delle sue azioni le rivelò ciò che aveva ascoltato in una discussione tra i suoi genitori. Lei era una figlia illegittima, il padre non se ne era mai andato per costruire pozzi di petrolio in oriente, non era mai stato prigioniero dei sultani terroristi e non sarebbe mai tornato come sempre le raccontava sua madre, perché in realtà lui aveva un'altra famiglia, ed in quella sarebbe rimasto, per sempre. La povera bambina era stato solo un'incidente di percorso. All'inizio non le credette, pensò che la sua amica Gaia avesse inventato la storia soltanto per farla arrabbiare, magari perché anche a lei piaceva il suo compagno di banco Mario, ma appena arrivò a casa e chiese alla madre la verità, quella non si sentì di mentirle ancora. Fu come la delusione per avere scoperto che Babbo Natale non esiste, ma mille volte volte più dolorosa, quella fu la fine della sua infanzia, dei suoi sogni, del suo futuro e l'inizio di un'adolescenza travagliata alla ricerca della figura che non solo non c'era mai stata, ma che aveva preferito un'altra bambina ed un'altra moglie a lei ed a sua madre, e poi per non sbagliare se ne era andato in America, a New York, per non vederle mai più. Non glielo avrebbe perdonato mai, e non avrebbe perdonato mai gli uomini, decise quel giorno che avrebbe reso a loro quello che il padre aveva fatto a lei ed alla mamma. Allora aveva dieci anni, ancora non sapeva cosa volesse dire quella promessa, ma con l'arrivo dell'adolescenza e della giovinezza, con le curve del suo corpo che si facevano via via più pronunciate e gli ormoni che la spingevano sempre più verso il sesso opposto, il suo peccato originale si evidenziò con una morbosa necessità di essere desiderata dai ragazzi. Conobbe il sesso molto presto, verso la fine delle scuole medie, con un ragazzo ripetente del terzo anno, lui aveva quasi diciotto anni, e lei tredici appena compiuti, non fu né bello, ne brutale, quello voleva solo aggiungere una bandierina ai suoi trofei, lei era troppo smaliziata per i ragazzini della sua età e trovò in lui pane per i suoi denti. Di giorno erano a scuola e il pomeriggio con la scusa di andare a studiare dalla sua amica del cuore lo andava a trovare all'officina dove lavorava come apprendista, e lì, in fretta, tra grasso di moto e puzza di benzina, consumavano il peccato chiusi nel bagnetto lurido durante la siesta dello zio. Da quel periodo iniziale, la sua vita sentimentale non era cambiata molto per lei, certo i volti erano ogni volta diversi, ma le dinamiche erano le stesse, e purtroppo, comportandosi così più di una volta si era messa nei guai, aveva conosciuto la droga, i tatuaggi, e gli ambienti che nessuna madre vorrebbe far scoprire alla propria figlia. Proprio la madre, che aveva cercato di proteggerla come aveva potuto, cadde dalle nuvole quando fu convocata urgentemente dalla preside: sua figlia era stata sorpresa nel bagno dei ragazzi durante le lezioni ed una piccola indagine interna aveva evidenziato che quello, a quanto pare, non era stato un caso isolato, la ragazza aveva una vera e propria doppia vita ed una passione per i bagni. Ovviamente ebbe una settimana di sospensione, e durante quei giorni, la madre, che per mantenere entrambe doveva lavorare quattordici ore al giorno in una fabbrica di bottoni, decise di prendersi un permesso per motivi familiari e cercò di affrontare la sua disperazione e la sofferenza della figlia. Di comune accordo cambiarono casa, giro di amicizie e scuola, e si trovarono un'appartamentino vicino alla parrocchia, che cominciarono a frequentare. Lì conobbero Silvana ed il marito che da qualche tempo si occupavano di un gruppo di giovani del quartiere, che riuniva ragazzi di strada, alla deriva, problematici o con caratteri difficili: attraverso il teatro e la musica cercavano di tirarli fuori dai giri pericolosi. Immacolata, che tutto era fuorché immacolata, fu invitata da Silvana il giorno di Natale, ad unirsi a loro, perché aveva notato nel suo sguardo spento e solitario, un silenzioso grido d'aiuto, lei accettò con una certa ritrosia e diffidenza, pensando che la cosa fosse stata architettata dalla madre per tenerla buona in un ambiente controllato, ma non era così, la madre ne restò fuori, e nel giro di poco tempo Imma divenne una assidua frequentatrice dell'oratorio parrocchiale anche grazie alla sua voce, un soprano cristallino ed espressivo che dava al coro un'anima angelica. Silvana ebbe fin dall'inizio un debole per quella ragazza problematica e fragile, ed istintivamente la tenne sotto la sua ala protettrice cercando di aiutarla a studiare ed ad integrarsi, le dava lezioni di musica, insomma la trattava quasi come una seconda figlia. Ma la ragazza era bella, e, nonostante i tentativi di Silvana di arginare la sua esuberanza, dannatamente disinibita, amava vestire in maniera provocante, lasciando intravedere con abilità biancheria di pizzo e colorata ogni volta che si muoveva; ovviamente ebbe gioco facile sui maschi della compagnia, che nonostante tutti i millenni di evoluzione, erano sempre discendenti di scimmie in continua tempesta ormonale e non esitarono a provare un bocconcino come quello, finendo non poche volte a botte per causa sua. Nel giro di poco tempo la sua reputazione anticipava la sua presenza a chiunque arrivasse nel giro di amici, le ragazze la odiavano e i ragazzi la desideravano, anche se soltanto per una breve avventura e niente di più. Silvana era riuscita a tenere suo figlio lontano da lei per più di un anno, anche perché per una sorta di stregoneria lui non amava il teatro, voleva gli spazi aperti silenziosi e deserti, magari bagnati da un ruscello o dal mare, nei quali gli unici esseri viventi che si potessero incontrare erano solo gli uccelli ed i pesci. Probabilmente per una sorta di contrappasso, nonostante fosse praticamente cresciuto tra i camerini e le sedie del teatro della parrocchia, avesse passato buona parte dell'infanzia a seguire i genitori durante le prove, addormentandosi in un angolo per la noia, li avesse aiutati a costruire le scenografie, fosse stato alla biglietteria, al bar, ed una volta avesse anche fatto la parte del bambino in Miseria e Nobiltà - tutti ancora ricordavano l'impresa titanica di fargli ripetere la celeberrima frase "Vincenzo m'è pate a me!" e come si era bloccato davanti a tutti durante la rappresentazione - lui, arrivato all'età di sedici anni non aveva voluto sapere più niente di commedie, attori e scene. Insomma, mentre Lorenzo per poter seguire il suo sogno era quasi scappato di casa, Angelo, che non avrebbe dovuto alzare un dito per poterlo fare, aveva odiato quel mondo e dicendo che voleva studiare per diventare avvocato. Tutto questo fino a quando per caso non incontrò la bella Imma a casa sua. Lui solitamente non partecipava alle riunioni ed ai pranzi che i genitori organizzavano con i ragazzi della compagnia, non amava quella confusione che sempre si creava in quelle occasioni, odiava le canzoni da chitarra che, complice la birra, puntualmente diventavano l'occasione per intonare cori da stadio con le parole di Baglioni, Pino Daniele o Battisti; eppure una sera mentre stava vestendosi per uscire di casa e nel salone si stavano consumando le ultime prove di una ennesima commedia, sentì che un silenzio innaturale copriva il brusio delle voci cui solitamente era abituato. Un arpeggio di chitarra che conosceva gli giunse alle orecchie e poi una voce da sirena lo rapì, si fermò a mezz'aria, con la camicia in mano, cercando si capire da dove provenisse, aprì la finestra pensando che fosse qualcuno con lo stereo troppo alto, ma la richiuse subito, perché il rumore di fondo della città copriva quella musica sublime. Allora, quasi in trance ed ancora mezzo nudo si diresse verso l'origine di quella voce, si affacciò nel salone delle prove e vide una scena che non avrebbe dimenticato: una decina di persone accovacciate a terra in cerchio, suo padre con la chitarra in mano che suonava, con accanto sua madre ed in piedi, in mezzo al cerchio, una zingara a piedi nudi, con un vestitino corto a fiori verdi su fondo viola, capelli ramati sciolti sul collo nudo che ad occhi chiusi stava intonando Carcere 'e mare, pezzo preso dal musical Scugnizzi. Quella ragazza era ancora più bella della sua voce, come si muoveva, come sentiva ogni parola che pronunciava, come faceva alzare la gonna sulle cosce quando si girava, e quei piedi, piccoli e perfetti che danzavano senza saperlo. Tutto ciò che vedeva cospirava per farlo innamorare. E lui ci cascò come tutti i marinai cedono al canto delle sirene, avrebbe dovuto farsi legare all'albero maestro come Ulisse, ma non lo fece, e la passione lo divorò, appena la sirena si voltò verso di lui, scostandosi i capelli dal volto lo vide, facendolo vergognare ma lasciando in lui l'immagine più dolce che potesse ricordare. Chiuse la porta silenziosamente e tornò nella sua stanza con il cuore che batteva all'impazzata, si vestì in fretta cercando di decidere rapidamente il da farsi, se ammazzarsi immediatamente per la vergogna o cercare di conoscerla e magari riuscire a scambiare qualche parola. Per sua fortuna decise che avrebbe rivisto immediatamente l'oggetto di quel desiderio improvviso, con la scusa di salutare i suoi genitori prima di andar via riaprì con decisione la porta dalla quale precedentemente si era affacciato, tutti si girarono a guardarlo, e lui con fare indifferente si rivolse ai genitori comunicando loro che sarebbe uscito, a nel frattempo si guardava in giro cercando l'immagine che poco prima aveva catturato la sua anima. Non la vedeva più, guardava e riguardava, ma tra tutti quei volti non riconosceva lei, indugiava sulla soglia non sapendo che fare, con i ragazzi che lo guardavano curiosi, alla fine si decise e con una battuta chiese: "Chi era la cantante di poco fa?". Scorse un movimento alla sua destra, ed una voce che diceva: "Ero io!", dall'angolo la vide alzarsi, stavolta con due sandali ai piedi che probabilmente si stava allacciando, lei fece due passi verso di lui tra gli sguardi curiosi della compagnia, i suoi occhi verdi come smeraldi disarmarono definitivamente il povero Angelo che non riuscì nemmeno a guardarla più in faccia, disse solo: "Devo andare, sei brava!" prima di scappare via richiudendosi la porta dietro le spalle, seguito da un'onda di risatine sommesse. La madre non perse tempo a capire che anche suo figlio era finito nella rete della bella sirena, capi immediatamente che si sarebbe trovata nel giro di poco di fronte ad una scelta di madre molto difficile, impedire con tutte le sue forze che al figlio cedesse ad un amore facile e pericoloso, che lo avrebbe sicuramente ridotto in pezzi col rischio di farsi odiare e perdere il figlio e la ragazza, o lasciare che Angelo facesse la sua vita, guardandolo dagli spalti, magari cercando di portarlo lentamente sulla strada della ragione senza essere troppo invadente. Non voleva che lui rimanesse deluso, ma sapeva che il ragazzo a venti anni ormai doveva camminare con le sue gambe, non avrebbe potuto fermare la sua volontà senza farsi detestare, e così rapidamente capì che non aveva molta scelta, si consolò pensando che magari la presenza di Imma potesse essere uno sprone per il figlio a tornare a vivere il teatro con la famiglia. Poi quando la storia con lei sarebbe finita chissà.... E così fu, dopo quella sera Angelo ritrovò uno strano entusiasmo per la passione di famiglia, decise di seguire le prove, si fece dare il copione per fare il suggeritore, insomma rientrò alla grande con somma gioia soprattutto del padre, che non aveva capito niente. A nulla valsero le battute sulla personalità problematica della ragazza che ogni tanto la madre si lasciava scappare casualmente a cena, lui non raccoglieva le provocazioni e dopo qualche mese annunciò che usciva con lei. Silvana gli sorrise con l'amarezza che solo una madre che ama alla follia il proprio figlio potrebbe esprimere e gli comunicò la sua gioia, sperando che i giorni tristi potessero arrivare il più tardi possibile e che magari la ragazza miracolosamente guarisse proprio grazie a lui. Ebbe la forza soltanto di avvertirlo con un sibillino: "Stà attento!".

Imma era stesa sul suo giaciglio, umida di pianto, umiliata dalle insinuazioni dei maschi della compagnia e dagli sguardi severi delle donne. Ci era cascata ancora, per l'ennesima volta la maledizione l'aveva colpita, e lei si chiedeva ancora perché le capitasse, perché si comportasse in quel modo ogni volta che incontrava un ragazzo nuovo. Perché doveva investirlo con il suo fascino? Perché doveva provocarlo? Non poteva parlarci semplicemente, magari del più e del meno, per conoscersi meglio? Non aveva una risposta, sapeva solo che qualcosa di oscuro e profondo la spingeva a trasformarsi in una femme fatale

e poi a ritrarsi nel suo guscio per la vergogna. Silvana entrò nella stanza, accompagnando Lorenzo, la guardò con tenerezza, come si guarda un cane bagnato, non era arrabbiata, no, era rassegnata, sapeva che la ragazza non avrebbe resistito, il tradimento era ormai parte di lei, prima o poi sarebbe accaduto, e quella era stata un'occasione perfetta, da soli in casa, per tutto il pomeriggio, con tutta la compagnia fuori, certo non le faceva piacere, ma se ne sarebbe fatta una ragione, così come Angelo, appena lo avesse saputo. Pensò che sarebbe stato inutile cercare di impedirle di stare con Lorenzo, aveva imparato a sue spese che nulla avrebbe fermato quell'istinto, non poteva certo stare sveglia tutta la notte a controllare le camere, perciò con molto fair play spogliò i vestiti di madre e rivestì quelli di regista. Ruppe l'imbarazzo di Lorenzo parlando per prima e rivolgendosi alla ragazza che si era messa seduta e si asciugava gli occhi disse: "Spiegagli un po' la trama della commedia e poi cerca di sistemare un po' qui per fargli spazio!", non riuscì ad evitare il tono severo nella sua voce, nonostante si fosse ripromessa di cercare di essere atona. Lei la guardò con gli occhi ancora pieni di lacrime, Silvana era veramente quasi una madre per la ragazza e l'ultima cosa che voleva era ferirla, singhiozzando le disse: "Non abbiamo fatto niente! Giuro, non c'è stato niente! Credimi.", nonostante fosse vero, l'odore di incenso e cera che impregnava quelle mura certamente non la aiutava. Lorenzo tentò un intervento ma fu prontamente fermato da un gesto di Silvana che non voleva che lui si sentisse coinvolto nella vicenda, con sommo sforzo le poggiò una mano sulla testa a mo' di carezza e cercò di mettere tutta la dolcezza che aveva nella sua voce: "Non importa, non importa!" le disse, poi con uno sguardo mise Lorenzo a suo agio e se ne andò. Lui rimase qualche secondo in piedi in quell'atmosfera surreale, senza sapere che fare, quella ragazza così provocante e sensuale, ora era davanti a lui, bagnata di pianto e stropicciata. Si sedette accanto a lei, guardandole dentro il cuore, non parlò, cercò le sue mani e le prese, delicatamente, sapeva di avere li vicino un fiore fragile e delicatissimo, lei era ancora scossa dai singhiozzi e ripeteva tra se mi dispiace, mi dispiace, lui aspettò ancora un po' che si calmasse e poi con la leggerezza impalpabile di una piuma le alzò il viso costringendola a guardarlo e le sussurrò: "Ehi, McFly c'è nessuno in casa?", le strappò un sorriso, e delle scuse. Si vergognava, profondamente, e glielo confessò: "MI dispiace, ora ti sarai fatto una bella idea di me!", si fece piccola piccola, come se volesse scomparire tra le pieghe delle lenzuola, ma lui la fermò e le fece coraggio, in fondo non gli importava cosa avesse combinato prima e cosa pensassero gli altri di lei, non gli importava nemmeno che fosse la ragazza del figlio di Silvana, non era certo colpa sua. Lorenzo pensò solo che quello era il posto dove voleva stare, al diavolo i pregiudizi e le le facce della gente, se ne sarebbero fatte una ragione, anche il povero Angelo, del quale non ricordava nemmeno la faccia, e poi tanto, ancora non era successo niente, non la aveva ancora nemmeno baciata...purtroppo. Così avvicinò la sua bocca all'orecchio di lei e le disse: "No, io non so di cosa stia parlando, ma comunque non ho mai ascoltato le voci e le malelingue, e non so niente di te, ma vorrei conoscerti meglio!". Lei si rilassò e trasse un sospiro di sollievo, strinse ancora di più le mani di lui nelle sue per mostrargli la sua gratitudine, e continuò ad ascoltarlo mentre lui continuava : "Ho visto che qualcosa o qualcuno ti ha ferito, spero non sia stato per causa mia, io non vorrei mai...", lei lo interruppe dicendo: "No, quelli sono degli stronzi, solo perché ad alcuni di loro non l'ho mai data...!", istintivamente, mentre sentiva quelle parole gli venne da pensare se ad alcuni non l'ha data, ad altri invece sì, ma scacciò via il pensiero e per rassicurarla che a lui non creasse problemi quella situazione aggiunse: "Sono gelosi, come ha detto anche Silvana, anche se non ho capito cosa intendessero quanto ti gridavano non c'entra niente non centra niente.", lei si rabbuiò nuovamente e lui temette di averla involontariamente ferita, si affrettò quindi a dirle: "Vabbè non importa, non voglio saperlo, in fondo non mi interessa!". Lei scosse la testa e si alzò lasciandogli le mani, camminò nervosamente per pochi passi e poi fermando esordì: "No, voglio dirtelo, anche perché quegli schifosi devono prendere la responsabilità di quello che fanno: intendevano dire che il mio nome non c'entra niente con la mia persona!"

"Imma?" esclamò un po' stupito lui senza capire fino in fondo l'offesa. Strizzò leggermente gli occhi come per mettere meglio a fuoco il concetto, ma lei ormai aveva rotto gli indugi e continuò a parlare.

"Si, Imma, cioè Immacolata!", lui annuì annaspando un po', poi mentre ripeteva il suo nome come per riascoltarne il suono capì e se ne vergognò immediatamente. Istintivamente esclamò: "Oh cazzo! Mi dispiace!"

"Tranquillo, ci sono abituata.", incrociò le braccia com per difendersi dal giudizio di lui, ma lui si alzò a sua volta e gliele sciolse con delicatezza, carezzandole le dita affusolate, poi scelse le sue parole con cura e le disse: "No, nessuno dovrebbe abituarsi a delle parole così, tanto meno una ragazza bella e profonda come te!"

"Chi ti dice che sono profonda!"

"Me lo dicono i tuoi occhi, e me lo hanno detto dal primo momento che ti ho visto!"

"Quindi il resto ti fa schifo!", si schernì lei, mentre lui pensava che le ragazze sono strane, se le guardi e dici che hanno belle tette e bel culo si offendono affermando che hanno anche un cervello se invece apprezzi l'anima e la personalità sentono sminuito il loro corpo.

"No!", riprese lui, "Il resto è meraviglioso, e desiderabile, ma io ho visto qualcosa dietro, magari mi sbaglio, ma tu non sei soltanto un bell'involucro, un bel pacco regalo, dentro nascondi qualcosa, qualcosa che deve venire fuori per poterti permettere di essere felice finalmente!"

"Pensi che io non sia felice?", gli chiese lei, conoscendo la risposta.

"Magari mi sbaglio...ma non credo!". Impercettibilmente, un millimetro per volta si erano avvicinati tanto che ormai quasi non avevano più bisogno parlare, si esploravano con gli occhi, mobilissimi, le loro voci erano diventate un sussurro, sentivano l'uno il calore dell'alito dell'altro, non ne avevano fastidio, anzi, sembrava quasi che respirassero meglio, dopo un istante che pareva eterno lei domandò: "E tu pensi di potermi dare la felicità?", le sue labbra lambivano pericolosamente il lobo dell'orecchio di lui.

"Non lo so, non ho questa presunzione, ma magari posso aiutarti...", era il suo turno di provocare, e lo fece sfiorando la spalla nuda di lei e strappandole un brivido.

"Come faresti...raccontami!" lo esortò lei, era una situazione paradossale: ciò che i corpi comunicavano era completamente diverso dal significato delle parole pronunciate, sembravano due situazioni diverse, eppure si fondevano perfettamente al calore della cera che bruciava.

"Beh..." cominciò lui, stavolta puntando direttamente al collo, "Potrei cominciare col chiederti come mai ti piace il teatro ad esempio...", lei piegò la testa in segno di resa, lasciando la pelle nuda inerme alla bocca di lui, ma Lorenzo non affondò il colpo, e dopo aver indugiato qualche secondo lei si riscosse ribattendo: "Mi sembra un po' banale come inizio, che ne pensi? Puoi far dei più, dai, impegnati un po'!", era il suo turno, con la mano afferrò il primo bottone della camicia di lui e lo fece saltare, lui lo guardò rimbalzare sul pavimento, mentre lei affondava leggermente le unghie nella carne del suo petto, allora cambiò espressione e con un sorriso di sfida le disse: "Allora vuoi la guerra!"

"Esagerato! Una piccola battaglia...!", lui quindi con le mani libere le fece cadere entrambe le spalline del vestito che cominciò a scivolare sulle curve del corpo, si fermò a mezz'aria, bloccato dai capezzoli che per l'eccitazione si erano induriti e reggevano da soli il peso del tessuto.

"Non stai correndo un po' troppo?" gli sussurrò lei? Lui rispose con un'altra domanda: "Vuoi che te lo tiri su?".

"Tu che dici?" ormai avevano perso anche quel briciolo di imbarazzo che li aveva fermati poco prima.

"Io dico che la forza di gravità deve fare il suo corso!", nello stesso istante lei si scosse impercettibilmente e i fiori verdi che coprivano il corpo di lei lentamente scivolarono a terra, il seno era semplicemente perfetto, un'arma da usare con estrema attenzione, lui seguì la caduta del vestito come si segue la pallina da tennis in un incontro, poi risalì lentamente con lo sguardo centimetro per centimetro, si soffermò qualche istante in più ad apprezzare gli slip viola e poi, come a voler onorare quella bellezza proibita, disegnò con lo sguardo le due curve del seno e infine la fissò dritta negli occhi. Lei istintivamente si coprì con le mani, ma poi si strinse a lui, dopo avergli aperto definitivamente la camicia, per sentire il calore del suo petto. Esitarono ancora un po' in quella posizione, un po' per godere della sensazione dei rispettivi corpi, dei profumi che si mischiavano, delle ombre che proiettavano sulle mura, poi prese le misure l'uno dell'altra ruppero gli indugi e finalmente lasciarono che labbra si fondessero affamate in un bacio liberatorio e carico di desiderio.

Fecero l'amore senza pensare al prima, al poi, al dove ed al quando, erano solo loro, erano sempre stati solo loro, alla ricerca di una effimera felicità che forse avrebbe lasciato qualche livido prima o poi, ma che in quel pomeriggio li aveva trovati per puro caso, due anime sole, entrambe incomplete e forse smarrite. Giacquero nudi nel giaciglio ad una piazza disfatto ed umido del loro sudore, lei sorrideva con il viso poggiato sul suo petto, lui, inspiegabilmente, non pensò che aveva appena tradito la sua ragazza che chissà cosa stava facendo a Napoli, ma le tornò in mente Claudia, che qualche giorno prima gli diceva "Ho baciato un altro ragazzo!", "Ecco" disse fra se: "Anche io ho baciato un'altra ragazza!".


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