Capitolo 11
CAPITOLO UNDICI
Alla fine le lusinghe di Diego mi avevano convinto a dargli una possibilità, quel ragazzo era così premuroso, e così affettuoso che, nonostante fosse incatenato in una routine familiare per lo meno sui generis, chiusi un occhio, anzi tutti e due, e mi lasciai trasportare dal suo entusiasmo. Pensai che non ci fosse niente di male, era un collega di facoltà, quindi sarebbe stata la perfetta unione tra l'utile ed il dilettevole, avremmo avuto più tempo per stare insieme, studiando e chiacchierando, senza dovere aspettare il sabato sera o la fine degli esami per incontrarci.
Grosso errore.
Eh già, fu un vero errore, perché Diego si rivelò maledettamente competitivo, quello che avrebbe dovuto essere un momento gradevole di confronto, cioè lo studio, divenne in poco tempo un terreno di lotta, quasi di battaglia. Un continuo confronto tra le sue conoscenze e le mie, e lui ne doveva uscire per forza vincitore; questo significava che lo studio insieme finiva per essere una continua pantomima, in cui lui si incaponiva a ripetere e ripetere paragrafi e capitoli, citazioni e concetti, ed io restavo li ad ascoltare e qualche volta mi era permesso di fare una domanda. Non era possibile invertire i ruoli, Diego era rigido di famiglia, perciò io sviluppai una grandissima capacità di apprendere semplicemente leggendo e ascoltando, senza nemmeno tentare di mimare l'esame orale. In fondo a me non creava troppi problemi, anche perché poco mi importava di prendere trenta, la lode oppure venticinque. Sapevo il fatto mio, non mi interessava primeggiare, soprattutto col mio ragazzo, per cui lo lasciavo fare, anche se sapevo perfettamente di essere più intuitiva e più veloce ad imparare, ma per quieto vivere tacevo, e non glielo facevo notare. Così lui parlava, ripeteva leggi, commi e paragrafi, ed io fingevo di esserne interessata.
Giorno dopo giorno l'inverno passò, e ci trovammo in primavera, Lorenzo non mi guardava ormai, nemmeno per caso, d'altra parte avevo sempre la mia guardia del corpo piazzata di fianco che pensava per me, veniva prima a lezione, mi teneva il posto, prendeva gli appunti, non avevo molte possibilità di movimento autonomo. Però nonostante tutto, le rare volte che ci incrociavamo a chiacchierare con i colleghi, mi rendevo conto che qualcosa di lui mi attraeva, non era l'aspetto fisico, non solo comunque, quello che mi aveva colpito era la sensazione, di essere perfettamente compatibili, come se ci capissimo al volo, quasi senza parlare, io facevo una battuta e lui la terminava, lui iniziava un discorso ed io concludevo, come un copione non scritto, ma ben rodato. Peccato che dopo quegli scambi tutto finisse lì ed ognuno andasse via per la sua strada. Poi un giorno lui mi portò il biglietto di una commedia che avrebbe messo in scena di lì ad una settimana, lo vidi arrivare diretto, senza tergiversare, con un sorriso che non ero abituata a vedergli addosso, mi invitò alla prima, anzi ci invitò, visto che come sempre Diego era al mio fianco. Si era ricordato della nostra breve conversazione, questo mi lusingò, non lo posso negare, ed ovviamente accettai di buon grado, anche quando il mio guardiano mi ricordò che avevamo un altro impegno quel giorno. Io non ebbi alcun dubbio e rimandai l'impegno, che consisteva tra l'altro in un'uscita con la sorella ed il suo nuovo fidanzato che avrei dovuto conoscere proprio quella sera. Si anche lei aveva un fidanzato, era proprio vero che l'amore è cieco, ma non solo, anche sordo e spesso un po' pazzo.
Non posso negare che aspettai quel sabato come se dovessi vedere un concerto di Bon Jovi, ero stata agitata dalla mattina, come se fossi dovuta andare io in scena, avvertivo la tensione della performance e non capivo perché. Era molto strano, continuavo a pensare e a ripensare a cosa dovessi mettermi, non perché mi interessasse essere elegante o provocante, anche perché sapevo che lo spettacolo sarebbe stato ospitato nel teatro dei Fatebenefratelli, che certamente non era il San Carlo. Era un piccolo teatro, di pertinenza di un ospedale, niente di mondano o luccicante, anzi, sarebbe stato pieno di bambini, preti e familiari degli attori. Ma non era quello l'importante, di nuovo avevo avuto la percezione che qualcosa mi legasse a quel ragazzo, sentivo la sua tensione e la facevo mia, anche a distanza, quella sera lo avrei visto sul palco travestito da...da cosa? Non lo ricordavo, anzi in realtà non lo sapevo, perché non avevo nemmeno guardato il biglietto, avevo accettato l'invito e messo tutto al sicuro in borsa. Qual era il titolo della commedia? Doveva essere qualcosa che aveva a che fare con gli animali, così almeno mi era sembrato che avesse detto, ma tanto che importava, io ci sarei andata lo stesso.
Poi finalmente venne l'ora di uscire, feci la strada in macchina col cuore che mi batteva in petto all'impazzata, cominciai quasi a pensare che fossi matta, ma immaginavo Lorenzo dietro le quinte che camminava avanti e indietro concentrandosi per entrare nel personaggio, vedevo le facce tese degli attori e delle attrici, immaginavo che si scambiassero abbracci e strette di mano per incoraggiarsi, vedevo anche che quell'intimità, quel vivere da vicino delle emozioni così forti, potesse far nascere passioni e amori molto facilmente. Una punta di gelosia mi strinse il petto, subito cercai di scacciar via quel pensiero, per godermi la serata, ma non fui abbastanza veloce, perché Diego che, era alla guida, si accorse del mio silenzio e forse anche della mia espressione corrucciata e mi chiese cosa avessi. Fui costretta ad inventare una scusa, e sorridere forzatamente. Alla porta mi chiesero il biglietto, così finalmente potetti leggere il titolo della commedia che ci apprestavamo a seguire: Tre pecore viziose, di Eduardo Scarpetta, era un classico del teatro napoletano, una farsa comica ed esuberante, così ci disse la tipa all'ingresso, una incursione nelle debolezze umane.
Quella era una finzione, ma la realtà a volte è molto più fantasiosa.
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