Due uomini, una meta

14 settembre 2035, Missione Asimov - 40 ore al lancio della Columbus

Antony e Julius stavano ancora viaggiando, in aperta campagna.
Mancava poco per arrivare al centro di lancio "Vanguard" della NASA, e da lì tutto sarebbe iniziato.
La struttura che li avrebbe lanciati nello spazio era a poche ore di distanza, e rimaneva sempre lì, fissa, ad accudire nel suo ventre quella bestia d'acciaio che puntava in alto, verso le stelle, o Dio...

Intanto, la vecchia auto di Julius, una BMW bianca del 2019, continuava a macinare chilometri senza mai fermarsi e senza nemmeno svoltare, a causa della piattezza della strada e dal traffico poco intenso presente nella regione.

All'interno della vettura, Julius rimaneva concentrato, con lo sguardo fisso sulla strada e le mani che stringevano il volante.
Antony invece fissava di striscio il paesaggio al di fuori del finestrino sporco; in quel momento aveva la sensazione che fosse il mondo a muoversi attorno a lui, e non il contrario.

L'ambiente era esasperante, non solo per il condizionatore guasto e il segnalatore delle cinture che continuava a suonare, ma anche per via di ciò che avrebbero fatto: si sentiva molta ansia in quel veicolo, entrambi erano tesi, anche se cercavano di nasconderlo. In fondo, era una delle poche cose veramente scusabili al mondo, visto che erano diretti verso lo spazio inoltrato...

Antony staccò lo sguardo dal finestrino, poiché infastidito dal silenzio assordante di Julius, e cercò di tirare fuori un argomento, anche un banale commento.
"Cavolo amico, ma li hai mai lavati questi vetri? Sono tutti unti!"
Julius rivolse repentinamente lo sguardo verso il passeggero e lo raddrizzò di nuovo verso la strada, tutto in pochi secondi.
La sua risposta fu secca, stordita, formulata in maniera frettolosa.
"Oh, ehm, sì, hai... hai ragione. Dovevo lavare l'auto qualche giorno fa ma non ne ho avuto il tempo..."
Antony stava pensando a come rispondere, ma perse la voglia di parlare e protese la mano verso la radio, accendendola e lasciandola sulla prima trasmissione che c'era, ma presto Antony se ne sarebbe pentito, poiché dal dispositivo uscì una alquanto malinconica e pacata voce che recitava:
"Qui Radio Donbass, il più autorevole canale radiofonico di informazione sulla sanguinosa guerra in Ucraina..."
Antony ne fu amaramente sorpreso, e si affrettò a cambiare programma: allungò svelto il dito con l'intento di premere il tasto per cambiare frequenza, ma mentre la punta del suo dito lo pigiava, anche quella di Julius lo raggiunse.
Le mani di Julius e Antony erano appicciate l'un l'altra, mentre entrambi i loro indici premevano contemporaneamente lo stesso pulsante. Dalla radio si sentivano rumori di interferenza e piccole voci che si interrompevano continuamente, a causa del pulsante che rimaneva schiacciato e cambiava stazione.

I due si fissarono decisi negli occhi, ognuno percepiva i sentimenti dell'altro:
Julius percepiva la frustrazione di Antony, il suo dolore e la sua voglia inestinguibile di scappare dalla realtà, di fuggire da tutto e di non sentire niente;
Antony invece percepiva l'amarezza di Julius e la sua sete di rivalsa, ma anche la sua determinazione e il suo spirito di amicizia.
Non era uno sguardo amorevole, bensì uno sguardo fraterno, tra due inseparabili compagni di sventura.

I due rilasciarono quasi contemporaneamente le dita dalla radio, che si connetté su un classico canale di musica.
Julius rimise le dita sul volante, mentre Antony le poggiò sulla gamba sinistra, mentre con la mano destra giocherellava con la levetta del finestrino.
A quel punto, nemmeno la musica riusciva a tranquillizzarlo, così decise di riprovarci, stavolta in modo meno scherzoso.
"Lo apprezzo, Julius..."
Julius rispose, senza guardarlo, con fare modesto.
"Beh, non c'è problema. In fondo, niente fa più male di un tizio che passa le sue giornate a parlare via radio di una guerra di cui sai tutto, sbaglio?"
Antony tirò un piccolo sorrisetto e annuì.
"No, non sbagli!"
"Già..."

D'un tratto Julius cambiò discorso, senza pensarci due volte.
"Sembrano passati secoli da quando abbiamo combattuto insieme. Foresta di Charkiv, io e te e qualche altro stronzo. Contro una ventina di miliziani separatisti che ci assalivano da tutte le parti."
"Ah, ricordo. Quel giorno persi molti amici..."
"Però ne trovasti un altro, dico bene?"
A quella frase Antony rimase sorpreso, pensieroso.
"Sì, vero."
Fu l'unica cosa che riusciva a dire. Non trovava alto.
"Ricordo che quel giorno sbattei la testa contro i rami una quindicina di volte!" scherzò Julius.
"Sì, ricordo. Quel giorno ti salvai la pelle più di una volta."
"Ora guardaci: stiamo viaggiando in aperta campagna senza dover stare attenti a mine o pattuglie appostate! Ora non siamo più soldati, ma siamo astronauti. La nostra meta ora si trova a migliaia di chilometri di distanza dai campi di battaglia. Lontano da bombe e dalla morte..."
Antony iniziò ad assumere un tono più contratto, rude, ma non violento.
"Lontani dalla morta un bel niente! La morte sarà vicina a noi per tutto il tempo. I rischi di morire sono forse più alti che in guerra. Siamo davvero sicuri che ne valga la pena?"
Julius fu colpito da queste parole, ma aveva sentito questo discorso troppe volte per lasciarsi sopraffare.
"Se ne vale la pena? A volte me lo chiedo anch'io, ma ho capito che se vogliamo essere qualcuno, avere una vita migliore, dobbiamo abbandonare il nostro Io terrestre e crearne uno da capo, su Marte. Io non mi faccio chissà quali domande sullo spazio, Dio o simili. Ho accettato questo incarico perché io possa fare qualcosa nella mia vita, e magari cambiarla, la mia vita, e anche quella dell'Umanità, se possibile."
"Spero soltanto di non finire ammazzato da qualche esplosione o da qualche pellegrigia..."
Julius diede una gomitata amichevole ad Antony, ritornando al suo fare scherzoso e disinteressato.
"Pensa al lato positivo: almeno avrai il primato di essere il primo essere umano a morire per mano di un alieno! Non ti sentiresti fiero?"
"No, se quello mi vaporizza il culo e mi fa diventare un cumulo di polvere!"
"Meglio: cremazione gratis!" ironizzò ancora Julius, mentre Antony rideva assieme a lui.
"Cento dollari per chi sopravvive! Ci stai?" domandò beffardo Antony.
"Va bene, ci sto! Vedrò di allacciarmi la cintura quando saremo lì sopra!"
I due si strinsero la mano e scommisero.

Julius poi abbassò il braccio verso il portaoggetti della portiera, e tirò fuori un disco con su scritto "D.B-S.O." col pennarello, protetto da una custodia trasparente.
Lo tirò fuori dalla custodia e lo inserì dentro il lettore CD della radio.
Dalle casse partì una canzone rock, che a Julius piaceva molto. La voce che la cantava era potente, leggiadra, e il testo lo era ancora di più.

Dopo un minuto, anche ad Antony piacque molto la canzone.
"Un bel pezzo. Di chi è?"
"David Bowie. Si chiama "Space Oddity", me l'ha prestato Erik un po' di tempo fa."
Antony sorrise.
"Quel pazzo! Non cambierà mai! Speriamo solo che non si metta a fantasticare durante il viaggio, sennò siamo fregati, come nella canzone!"
"Già, haha!"

Tutto tornò scherzoso e allegro. L'ansia scomparve dai loro cuori, e sulle loro facce ritornò la serenità.
Mancava poco per arrivare all'apice, al punto di non ritorno, e il tempo passava inesorabilmente, mentre l'auto continuava ad avanzare veloce per la sua strada, mentre Space Oddity continuava ad echeggiare dalla radio...

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