Cuore e motore... e padre
14 settembre 2035, Missione Asimov - 44 ore al lancio della Columbus
Era una mattinata soleggiante, quella. Anche se d'inverno, il sole del Colorado risplendeva felice in ogni angolo dello stato americano, dalle rocce bollenti del Black Canyon alla vivace Pearl Street Mall, fino al Colorado National Speedway. Proprio lì un manipolo di veloci auto da corsa di differenti modelli stava percorrendo ad alta velocità il percorso della pista circolare. Auto come Ford Torino, Viper, Camaro, Lancia Delta S4 e svariati altri modelli modificati si contendevano un'amichevole combattuta in pieno stile americano, con derapate e sgommate, urti e auto scaraventate. Tutto nella norma, per una competizione motoristica americana.
In testa si trovava la regina Ford Mustang, seguita da una Mitsubishi e da una Stinger.
Auto improbabili in quella pista, ma proprio per questo vennero scelte: era una gara rustica, brutale, senza logica.
Vinceva la velocità, non il modello, non la bellezza. Si prendevano anche auto di lusso e le si metteva a ferro e fuoco per gare di questo tipo. Alla faccia dei milionari!
La Gran Torino e la Mitsubishi si contendevano aspramente il primo posto, a suon di spintoni e scorciatoie, mentre la Stinger veniva raggiunta da una Chevrolet, e subito dopo da un fiotto di auto che si riversava sulla pista per cercare di recuperare la posizione.
Dal mezzo di quel mucchio di auto in combattimento sfrecciò una Audi R8, modesta, dal colore bianco scuro e contraddistinto dall'incisione di un razzo fiammeggiante sul cofano.
L'auto era rimasta nascosta per tutto il tempo, in attesa del momento propizio per accelerare e sorprendere tutti, e ora che la fine della gara era vicina, il pilota decise di svincolarsi dalle altre auto e "prendere il volo", come usava dire.
Aumentò la marcia e come un fulmine si catapultò fino al bordo pista. La risistemò di nuovo e sterzando in discesa surclassò la marea di auto che a stento riuscivano a superarsi tra loro, sollevando una nube di polvere e sabbia che in quel periodo avevano invaso il circuito e disorientando i propri inseguitori.
"Dilettanti!" pensò con adrenalina.
Presto raggiunse un Aston Martin del 76 sgargiante, che stava dimostrando segni di cedimento.
L'Audi dell'abile pilota avanzò con slancio poco più a sinistra e scattò, sorpassandolo di striscio.
"Tornatene negli anni '70, ferraglia!" infierì al volante.
A quel punta era già vicino al terzo posto.
Rimanevano solamente la Stinger e la Chevrolet.
La Stinger traballante, dallo sgargiante colore arancione, cominciava a non reggere il confronto con la Chevrolet, che si mise sulla sua coda per punzecchiarla e cercare di destabilizzarla. La Chevrolet sbatté con violenza contro il posteriore della Stinger, facendola sbandare furiosamente fuori pista.
A quel punto, il pilota dell'Audi, sbigottito dal comportamento della Chevrolet, decise di fargliela pagare, e scattando, si avvicinò a bruciapelo vicino alla portiera, cercando di rimanere sulla sua stessa velocità nonostante la superiorità. Dopodiché, utilizzò la radiolina affianco al cruscotto per comunicare con l'avversario.
"Ehi amico, giocare lealmente no, eh?"
La domanda sarcastica non ricevette risposta, e sapeva benissimo che il pilota lo stava ignorando.
"Facciamo così: tu rallenti e ti conservi la tua bella macchinina, oppure ti tampono e mando la tua auto dritta dallo sfasciacarrozze. Cosa preferisci?"
All'improvviso, la Chevrolet si mise a urtare lievemente contro l'Audi, facendole capire che la sua intimidazione non avrebbe avuto effetto, e dopo qualche secondo di esitazione, il pilota della Chevrolet rispose.
"Fanculo."
L'auto si appiccicò alla R8 e iniziò a spingerla verso il bordo della strada per cercarla di gettarla fuori dalla pista.
Il guidatore dell'Audi non ne fu sorpreso, e con fare distaccato, batté ritmicamente le dita sul volante in pelle, e appoggiò la mano sinistra sulla leva del cambio, mentre con la mano sinistra cercava di mantenere il veicolo sulla soglia della pista.
"Ma come sei maleducato! Hai avuto l'occasione di salvarti la vettura, amico, ma hai preferito sfidarmi..."
Ridacchiò soddisfatto.
"Se sopravvivi, ti pago il carro attrezzi!"
Come un lampo inserì la retromarcia e rallentò impulsivamente, cogliendolo di sorpresa.
La Chevrolet sfregiò di scatto contro i paraurti dell'Audi, sprigionando in aria scintille e una miriade di schegge, per poi volteggiare su sé stessa più volte e andare definitivamente fuori pista capovolgendosi.
A quel punto l'Audi ripartì più veloce di prima ed esibendosi in piccole coreografie spinte riuscì a vincere la tremenda gara.
Fece un secondo giro trionfante, desideroso di non fermarsi e di continuare a sentire il brivido della velocità, ma per ovvie ragioni, dovette imboccare la corsia di uscita del circuito e ritirarsi difronte al box, dove una squadra di tecnici lo aspettavano per cacciarlo dal veicolo e rimettere l'Audi in sesto.
Si fermò lungo il tracciato e deliziato uscì fuori dal veicolo malmesso, che emanava fumo da ogni angolo.
Col sole cocente che gli illuminava la visiera e gli riscaldava il capo, si tolse il casco e la sua faccia si presentò: un ragazzo dai capelli castani corti in quel momento spettinati, dal viso grondante di sudore e dall'espressione fiera e gagliarda.
Mentre osservava lo staff trasportare l'auto nelle rimesse scolandosi una bottiglia d'acqua, una serie di applausi sempre più vicini lo infastidì: era sua padre.
Il padre, un rozzo a metà tra un idraulico e un redneck, si avvicinò al ragazzo e gli strappò violentemente la bottiglia.
"Ragazzo mio, lo sai che bere troppo non fa bene?"
L'uomo rise in modo antipatico e finì la bottiglia, e dopo aver tirato uno schifoso rutto e aver altrettanto educatamente sputato per terra, si mise a pavoneggiarsi immotivatamente.
"Sei stato bravo, Erik. Tutto suo padre!"
Erik allora controbatté alla stupidaggine del genitore.
"Ma smettila! Non sapresti guidare neanche un pandino, figuriamoci una Audi modificata!"
"Non sfidarmi, bello! Tuo padre guidava ancora prima di nascere! Durante la Guerra del Vietnam investivo i viet con le jeep!"
L'ingordo scatarrò odiosamente per terra.
"Fottuti hippy! Per colpa loro abbiamo perso la guerra!"
Erik - questo era il nome dell'abile pilota - lo guardò seccato, e sperava che qualche spettatore in tribuna non avesse visto quella palla di lardo che sprizzava maleducazione da ogni poro, o peggio: che capisse che quello fosse suo padre. Sarebbe stato un duro colpo allo charme di Erik; chissà se le ragazze l'avrebbero visto ancora con quegli occhi lucidi e bramosi, una volta scoperta la raffinata personalità del suo babbo...
Infatti Erik era un tipo molto fiero della sua immagine e particolarmente sensibile all'opinione altrui. Cercava sempre di mostrarsi al pubblico, ad attirare su di sé tutti gli sguardi, cosa non troppo difficile, a causa del suo visino niente male e sopratutto della sua personalità esuberante e magnetica.
Ma attenzione: non era un gradasso! Era competitivo, cronicamente testardo e avventato, ma sapeva rivelarsi tendenzialmente umile. Quando perdeva, riconosceva sempre la sconfitta, e non sprecava tempo a rigettarla dando voce a stupide scuse, ma casomai lo impiegava per la rivincita! Se un giorno perdeva, non voleva mai finire la giornata con quella sconfitta in sospeso, ma cercava sempre di ottenere un'ultima vittoria, e guai se a sera portava a casa un fallimento: non mangiava e non dormiva. Si scervellava per ore sotto la doccia e fissava il tetto della sua camera, ragionando nervosamente sul fatto e cercando di smaltirne l'umiliazione, farneticando tutta la notte.
Ma poi arrivava il giorno del riscatto, e dopo aver sistemato tutte le questioni in sospeso, si gustava la gloriosa rivincita, e tutto ritornava come prima, ed Erik poteva ricevere ancora le attenzioni delle ragazze del posto con l'aggiunta di qualche bacio.
In tutto questo, il padre di Erik, Kirk, rappresentava un ostacolo: era un provincialotto proveniente dalla campagna, ignorante, cafone e arrogante, con la sensibilità di un sasso e particolarmente irritante, sopratutto quando nel torto. Osava sempre difendersi per le cose più stupide, e accusare gli altri di incastrarlo in non precisati "complotti relazionali", così li chiamava.
Era un tipo burbero, che rasentava in pieno lo stereotipo dell'americano campagnolo, anche se ormai viveva in città. Il padre infatti si era spostato nella stessa città della Colorado National Speedway per avviare una piccola impresa dedita alla riparazione delle auto, e Erik crebbe e lavorò in questo ambiente, sviluppando una grande passione per le automobili e le corse. Presto si appassionò anche all'elettronica e all'ingegneria avanzate, e decise di frequentare l'università, nonostante la situazione economica non proprio favorevole e le pressioni del padre, che lo voleva in officina a tempo pieno.
Ma Erik voleva di più, voleva vivere nuove esperienze, affrontare nuove sfide. Preferiva guidare un missile in partenza per lo spazio anziché una comunissima auto, anche la più moderna, la più prestante, la più bella che abbia visto... anche se non gli sarebbe dispiaciuto farci un giro!
Lo spazio per lui divenne un campo nuovo, e quando fu notato per le sue "doti e capacità innate", era determinato a superarsi.
Non lo faceva per altruismo o per la Scienza (e ciò lo specificava molto bene) come il resto della squadra, bensì per sé stesso, per puro ego.
Julius, almeno, l'idealismo lo teneva molto a cuore, ma Erik, lui, non se ne faceva niente. Voleva solamente andarsene da quell'officina per qualche anno, e provare qualcosa di nuovo.
E nessuno, nemmeno suo padre, lo avrebbe fermato.
Tornato a casa, scortato rudemente dal padre, Erik attraversò la rimessa e una volta entrato negli alloggi, si rinchiuse nella sua stanza, dimenticandosi completamente del padre. Non voleva perdere tempo a mangiare, lo avrebbe fatto alla mensa della NASA. Doveva solamente farsi una doccia, finire di prepararsi, e far finta di piangere davanti al padre per la partenza. Diede uno sguardo alla sua stanza: era un po' polverosa, disordinata e caotica, con i modellini sparsi per gli scaffali e le coppe per terra.
"Quando torno da Marte sistemo tutto, promesso."
Prima di entrare nella doccia, se voleva darsi la carica, doveva spargere nell'aria un po' di energia, qualcosa che potesse dargli vigore e ispirazione.
Prese il telefonino appoggiato sul comodino e lo collegò ad una radio Bluetooth, navigò rapidamente su Internet e impostò una traccia.
La musica titubò un po' a partire, ed Erik esitò a tirare la manopola del soffione, ma subito il suono di un gruppo di flauti lo risvegliò, e mentre il getto d'acqua partiva e si schiantava sul suo capo e le sue spalle, Erik, quasi incantato, entrò in un altro mondo armonico, che si trasformava col variare delle note, a cui solo lui poteva accedervi.
"Musica, pace, tranquillità... Un monte che sovrasta le nuvole, e la sagoma di un uomo che sovrasta il monte. Non si sente nulla, calma totale. Si odono soltanto i corvi gracchiare raucamente e fissare le nuvole; aspettano qualcuno: chi?
Il cielo è un miscuglio tra il candito bianco delle nuvole e l'acceso azzurro dell'orizzonte, reso più caloroso ed emozionante dalla luce del sole e da macchie arancioni innaturali sparse qua e là. Sembrano disegnate col pastello.
Ma d'un tratto, ecco che la sagoma urla: il grido non si ode, ma se ne percepisce il fragore. Invoca qualcuno.
Me? Ma quale me!
Si sprigionano fulmini e lampi che squarciano il cielo, le nuvole si addensano e si compattano, fremono, s'agitano, diventano grigie, cupe, sembrano domandare pietà.
La figura alza lo sguardo, e davanti a sé le nuvole discendono lentamente come in una scala, ed ecco che compaiono delle ombre, via via sempre più nitide. Angeli? Ma quali angeli!
Figure celesti munite di elmi ed armature argentee che risplendono al bagliore del sole, che domano nobili cavalli bianchi dalla cresta dorata e dalla sella pregiata che con slancio avanzano verso di me.
Alla loro eroica visione impallidisco, rimango fisso, immobile, ad aspettare che passino. Vedo le loro facce, femminili ma grosse, marziali, ardenti, guardano dritto per la via e mi tendono le mani, spalancano timidamente la bocca.
Il freddo sparisce, mi sento come se un abbraccio impetuoso mi stringesse in modo energico.
Mi sento sereno, protetto, in pace.
Un'ombra paffuta si avvicina, allarga la mano verso di me, sento uno spiffero, e sul piede sento spalancarsi una ferita che provoca un dolore in incremento. La sento borbottare e inveire contro di me. Mi guardo il piede: vicino ad esso vi è un sassolino a forma cilindrica, consumato. Sento dolore, e la figura si avvicina. Il cuore batte forte, la pace svanisce. Che cosa vorrà da me?"
...
"Erik, brutto rinconglionito! Chiudi la bocca, ti sta entrando lo shampoo!"
La musica e il momento poetico si interruppero di colpo ed Erik, nel frattempo ripresosi, dallo spavento inciampò su un flacone di shampoo che gli era caduto sul piede, e stramazzò per terra.
Cercò di rialzarsi aggrappandosi ai bordi della vasca, ma la quantità di acqua era tale che continuava a scivolare e cadere di nuovo, e i getti d'acqua del soffione gli pizzicavano il viso, infastidendolo.
Una volta rialzatosi, chiuse l'acqua e inveì contro il padre.
"Dannazione papà, ma che ti è preso? Per poco non mi spaccavo la capoccia!"
Il padre imbarazzato dal corpo del figlio controbatté.
"E per poco non allagavi la casa!"
Allungò la mano sul tappo della vasca e la tirò, e di colpo l'acqua fu man a mano inghiottita.
"Dovresti fare più attenzione, caro mio. Spero che nello spazio tu non abbia la stessa incapacità di attenzione che hai qui sulla Terra!"
Erik lo guardò stranito.
"Papà, ciò che hai detto non ha alcun senso logico-grammaticale, ma comunque sia, stavo solamente per i fatti miei, ascoltando buona musica!"
"Hahah! Buona musica! Ma sentilo! Ogni volta che ti fai la doccia ascolti sempre quella lagna del... come si chiama? La cavalla delle valchirie?"
"La Cavalcata delle Valchirie, papà! La Cavalcata!"
"Ts! Alla tua età io le cavalcate non le ascoltavo, le facevo! Sopra ad un cavallo bastardo!"
"Io invece cavalco automobili, e tra poco cavalcherò una navicella spaziale!"
"Navicella o no, dovresti ascoltare qualcosa di più moderno e giovanile, come Oh Susanna o Bohemian Rhapsody..."
Erik rispose al consiglio del padre con del sano sarcasmo.
"Oh sì, e dovrei mettermi anche dei pantaloni a zampa di elefante o qualche parrucca colorata? Oppure dovrei vestirmi alla Gordon Gekko?"
Ma il padre sentenziò...
"Gekko è stato interpretato da Michael Douglas nell'87, ignorante!"
"Settantanovenne bastardo!"
Poi il padre tornò improvvisamente serio, quasi preoccupato e pensieroso.
"Ad ogni modo, ho già sistemato la tua roba. Ma prima di uscire, piglia lo straccio e pulisci per terra, subito!"
"Comandi..." disse seccato.
Il padre sfilò degli asciugamani dall'armadietto vicino allo specchio e mentre se ne andava, espulse del gas intestinale, vale a dire: tirò una scoreggia.
Erik, che si stava asciugando, rimase inorridito ma comunque non sorpreso dal comportamento del padre, e fissando la porta, si chiedeva come una creatura orripilante come quella potesse essere suo padre.
Fece un passetto avanti e noncurante dell'acqua che aveva invaso il pavimento, scivolò di nuovo e sbatté col didietro.
Non si alzò, rimase per terra. Dopo aver macinato la rabbia, un certo sentimento di compassione e affetto lo invase improvvisamente, e non sapeva spiegarselo.
"Beh, almeno con lui ho l'acqua calda!"
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