Atto III: Il nuovo mondo Gettare l'ancora
Una pila di fogli cadde sul pavimento freddo, e i fogli di una carta ruvida sgusciarono via in mille direzioni.
Bridestine corse nella sala di controllo delle operazioni NASA con affanno, imboccò il largo corridoio ed entrò di furia, guardandosi attorno.
Tutti i posti erano pieni e gli operatori indaffarati nello svolgere le proprie attività: erano tutti in piedi e agitati, presi dal lavoro, e si erano messi a gestire computer con calcoli di traiettorie, parametri, dati d'ogni sorta.
Tutto era pronto per l'atterraggio, gli operatori dovevano offrire il massimo supporto con la massima efficienza. Il minimo sbaglio sarebbe stato fatale. Ora o mai più.
Bridestine era spaesato e non sapeva che fare. Tutti gridavano e si spostavano freneticamente da ogni parte, generando un caotico fragore.
Era difficile impartire ordini e analizzare la situazione con quella confusione, e Bridestine non sapeva proprio come organizzarsi.
In quell'esatto momento arrivò Foster, che invitò Bridestine a scansarsi, per poi urlare severamente e parlare in maniera autoritaria.
"Allora signori, che diavolo succede? Siamo al parco o in un centro missione? Tornate tutti ai vostri posti o vi darò così tanti calci che vi farò andare su Marte! Siamo in una dannata missione spaziale, per Dio!"
Non appena quelle parole furono pronunciate sull'intera stanza calò il silenzio e l'ordine, tutti gli operatori si erano messi a sedere e aspettavano le direttive.
Bridestine ne rimase folgorato.
L'impetuosa figura di Foster si giostrava per il centro di comando, ispezionando computer e dati.
Rivolse lo sguardo verso lo schermo e parlò con l'equipaggio, ricevendo risposta qualche minuto dopo.
"Qui Asimov-1, siamo in prossimità di Marte. Abbiamo iniziato le fasi preliminari per la procedura d'atterraggio. Tutto nella norma, abbiamo le tute spaziali e siamo pronti ad atterrare."
"Perfetto. Iniziate procedura di atterraggio. Che Dio sia con voi!"
"Procedura di atterraggio. Avamposto agganciato. Entrata nell'orbita marziana tra 10 minuti." - informò Bridestine.
"Qui si fa la storia, gente..."
"Qualche ultima volontà?" - chiese ironico Erik.
"Risparmiala per quando sarei vecchio e innondato di gloria!" - rispose Julius.
"Non esiste gloria nello spazio."
"Ma su Marte sì. Quindi vediamo di atterrare salvi e salvi! L'interrogativo non è atterrare, ma durare!"
"Inizio inserimento in orbita. Stiamo entrando nel sistema. Angolo di inclinazione: 12 gradi."
La Columbus si inclinò verso le Valles Marineris, la vasta distesa di valli posta all'equatore, e iniziò rapida la discesa, disattivando i razzi principali.
Più penetrava nell'atmosfera marziana, e più l'astronave acquisiva velocità, mentre l'attrito stendeva davanti ad essa una barriera di fuoco.
"20.000 chilometri orari!
1.000 gradi! Se continuiamo di questo passo finiremo arrosto!"
"Calmati Antony! È tutto secondo il programma!"
"Accensione retrorazzi!"
Dal ventre della nave fuoriuscirono vari piccoli razzi protesi verso il basso, che spinsero con forza ed energia.
Poco a poco la nave perdeva velocità, passando da 20.000 chilometri orari a 1.000.
Ora toccava una delle parti più difficili: la correzione d'assetto. I piloti dovevano far ruotare l'astronave affinché non atterrassero col muso per terra. Era estremamente complesso poiché bisognava essere veloci e meticolosi, visto che un minimo sbalzo avrebbe potuto distogliere la nave dalla traiettoria.
Erik era nel momento di massima tensione. Il computer gestiva in gran parte i movimenti della nave, ma il pilota doveva coordinare il tutto e aggiustare ogni minuziosità.
"Erik, puoi farcela!"
"Io devo farcela!"
"Esatto! Devi prestare attenta cura al computer! Noi ti aiuteremo a gestire i parametri, tu tieniti pronto ad ogni evenienza!"
La Columbus allora iniziò ad inclinarsi.
Gli astronauti sentivano la struttura roteare e muoversi in aria, come in una botte lanciata in un pendio.
Quando la nave ebbe finito di riallinearsi, gli astronauti attivarono subito i razzi per attenuare la caduta.
Mancavano tre minuti all'atterraggio completo.
"Comandante, l'altimetro segnala che siamo a 10 chilometri di altezza!"
"Ok, aprire gli LDSDP!"
Intorno alla nave si aprirono tre palloni gonfiabili con più di 8 metri di diametro e un grande paracadute di trenta metri di diametro, volti ad attutire la caduta.
Mancavano ora 50 secondi all'atterraggio.
L'equipaggio era teso come non mai.
"Signori, vorrei tanto fare qualche battuta catastrofica, ma non vorrei attirare energie negative..." - gridò Erik.
"E se non vuoi attirare la mia rabbia stai zitto!" - lo fece tacere Antony.
Al centro di comando nessuno era seduto. Tutti osservavano con ansia gli indicatori d'altitudine, la diagnostica strutturale e le telecamere della nave.
Foster non poteva far altro che imprecare sottovoce.
"Andiamo, andiamo..."
La nave stava rallentando velocemente, fino a quando i LDSDP si sganciarono dalla nave e la potenza dei razzi la fermò completamente ad una manciata di metri dal suolo.
"Ci siamo!"
La nave iniziò a fluttuare rilasciando una tormenta di fuoco e fumo.
Iniziò a discendere lentamente fino ad appoggiarsi al suolo. Non appena gli astronauti sentirono il mondo stabilizzarsi di nuovo, non poterono che provare gioia e sollievo.
Finalmente erano giunti a destinazione!
Si misero tutti a gridare, applaudire e quasi a piangere dall'emozione.
"Ce l'abbiamo fatta, cazzo!"
"Marte è nostra!"
Erik si appiattì sulla poltrona, soddisfatto, mentre Henry a stento riusciva a contenere le lacrime. Julius strinse il pugno contro il poggiamano, Victor addirittura si mise a ridere, Antony chiuse gli occhi pensieroso.
La squadra si mise a controllare i parametri e quant'altro. Non vedevano l'ora di uscire, ma prima dovevano controllare che fosse tutto in regola, per evitare spiacevoli imprevisti.
I finestrini erano tutti sigillati e le telecamere esterne che erano sopravvissute alla forte pressione erano spente. Gli astronauti volevano vedere Marte in prima persona, niente avrebbe potuto rovinare quel momento magico.
"Siamo atterrati a 90 chilometri circa da Foundation Site. Tutto nella norma, non abbiamo rilevato danni strutturali. Ci apprestiamo ad uscire dalla Columbus." Questo era il rapporto, scritto di fretta e furia e con vari errori causati dall'emozione.
Julius stava sistemando della valvole mentre il resto della squadra preparava l'attrezzatura: le tute da escursione, che erano diverse da quelle usate per l'atterraggio, le provviste, le bombole d'ossigeno, gli affetti personali, e batterie, e tutto quello che serviva per il viaggio alla base.
Antony diede uno sguardo al pensieroso Julius.
"Andiamo comandante, andrà tutto..."
Stava per dire qualche frase di conforto, ma si bloccò di colpo, forse perché non reputava consono formulare l'ennesima frase di incoraggiamento. Se ne erano pur dette tante durante il viaggio e per tutti gli anni precedenti. Era il momento di guardare la missione sotto una nuova luce.
"Comandante, ricordati di attivare la telecamera del tuo casco!"
Julius emise un mormorio di conferma.
Non appena ebbe finito, si mise la tuta d'escursione e raggiunse gli uomini al portello principale.
Erano tutti tesi e su di giri.
Antony fissò l'euforico Henry che guardava in basso.
"A cosa pensi, cowboy?"
Henry ricambiò lo sguardo di colpo.
"Penso al paesaggio che avrò di fronte a me tra pochi secondi.
Julius gli lanciò un sorrisetto affettuoso.
"Concentrati, non c'è bisogno di pensare a ciò che i tuoi occhi possono vedere. Lasciati sorprendere dall'ignoto, utilizza la mente soltanto per mantenere impresso ciò che vedi."
Henry non seppe cosa rispondere e annuì frettolosamente.
Al contrario di lui, Antony notò che Julius, posizionato davanti a tutti, fissava la porta. Non vedeva l'ora che si aprisse, che posasse lo sguardo su quel panorama mortale, e poggiasse i suoi piedi su quella sabbia così misteriosa.
"Peccato non poterla toccare a piedi nudi..."
Vide invece che Victor aveva lo sguardo da tutt'altra parte, sul palmare con tutti i parametri ambientali riportati all'esterno e quelli vitali dei suoi compagni.
Probabilmente nonostante l'emozione Victor non pensava a nulla e si limitava a ripetere nella sua testa quei dati, e a tenerli bene a mente. Lo scopo era senz'altro nobile.
Erik invece era poggiato davanti alla parete, e teneva gli occhi chiusi. Anche Erik era un grande sognatore, e già immaginava il paesaggio che avrebbe dovuto affrontare, ma non riusciva a non pensare ad una landa desolata. Era troppo abituato a pensare a paesaggi terrestri, con i suoi monti innevati, la sua nebbia soffocante, i suoi oceani infiniti e i gelidi ruscelli. La novità semplicemente lo lasciava impreparato.
Alla NASA neppure un'anima era adagiata sulle sedie: non c'era tempo per stare comodi, ormai gli operatori erano una cosa sola con gli astronauti, così come le milioni di persone che davanti allo schermo del proprio televisore o del proprio telefono assistevano a quell'evento. Le telecamere nei caschi degli astronauti erano gli occhi dell'umanità intera, per quanto la lontananza e i disturbi elettromagnetici ritardassero le trasmissioni.
La depressurizzazione terminò, e finalmente la porta si aprì, rilasciando un altare di scalini che portavano al terreno.
Gli astronauti rimasero accecati per un istante, dopodiché i loro visori anti abbaglianti iniziarono a fare effetto e la vista tornò come prima.
Julius diede uno sguardo al fatidico pianeta: il sole era in parte oscurato da un cielo nuvoloso e tetro, lasciando però spazio a vari spifferi di fioca luce e ampie zone soleggiate. Intanto Julius poteva ammirare le numerose formazioni rocciose che si perdevano a vista d'occhio, con grandi crateri e rocce di forme mai viste.
Julius non poteva credere ai suoi stanchi occhi. Era tutto vero, ed era il primo essere umano a vederlo.
Julius parlò al microfono e pronunciò la frase che rimase impressa nei libri di storia per l'eternità:
"Terra, qui Asimov... su Marte c'è bel tempo!"
Dieci minuti dopo quella frase risuonò in tutta la Terra, e con essa, le milioni di mani che applaudirono con forza e speranza. Alla NASA esplose l'emozione. Bridestine rimase senza parole, e orgoglioso degli uomini che aveva addestrato. Foster era visibilmente soddisfatto e sorrise.
Per le vie del mondo le macchine tuonavano con i clacson, le persone scendevano in strada e sventolavano bandiere, intonavano canti, ballavano, si abbracciavano, lanciavano fuochi d'artificio. Le campane di tutte le chiese suonavano con fragore, nonostante il rammarico di qualche chierico.
L'umanità non era mai stata così unita come in quei pochi minuti di festa. E questo era soltanto l'inizio.
Gli astronauti scesero gli scalini e rimasero stupefatti da quel mondo così lontano.
Erik arrivò persino ad inginocchiarsi e lodare il Signore, e tutte le persone che lo avevano portato lì.
Victor rimase estasiato da quella visione incantevole quanto cruda.
Henry poté finalmente poggiare i piedi su qualcosa di stabile e sicuro, le lacrime gli offuscavano la visiera.
Antony non poté far altro che sorridere soddisfatto, tutte le sue preoccupazioni erano svanite di colpo.
Julius si girò lentamente, senza fretta, e guardò con orgoglio e paternità i suoi uomini.
"Signori... siamo ufficialmente i primi umani a diventare alieni... i marziani ci guardano compagni... e l'umanità pure..."
Dopo qualche minuto finalmente la comunicazione NASA giunse alla squadra.
"Qui comando operativo NASA. Siamo fieri di voi ragazzi, ma festeggeremo più tardi. Dovete immediatamente raggiungere Foundation Site. Sigillate l'astronave e raggiungete il punto. Una volta lì avrete le istruzioni. Passo e chiudo, Foster."
Julius si ricompose e invitò i suoi uomini a fare lo stesso.
"Avete sentito Foster? Forza signori, in marcia!"
Diede uno schiaffetto sul proprio casco e guardò Victor con entusiasmo.
"Victor..."
Victor capì al volo, e addirittura sorrise dall'eccitazione.
"Faccio atterrare la vespa, signore?" - chiese retoricamente già sapendo la risposta.
"Fallo!"
Victor premette un pulsante e dal retro della Columbus si aprì una grossa portiera, e dei bracci meccanici portarono fuori un grosso rover da trasporto per tutta la squadra più un ampio spazio per i rifornimenti.
Erik salì subito al posto di guida e lo accese.
Non appena il motore elettrico si accese, fischiò.
"Hehehe, sarà uno spasso! Tutti a bordo della Orwill Express! Chi arriva ultimo si farà mangiare da uno xenomorfo!"
La squadra sigillò la Columbus ed entrò a bordo, e inserì la meta nel navigatore di bordo.
Henry si era voltato e ammirava la dea di ferro che lo aveva portato a destinazione.
"Già nostalgico?" - chiese Victor.
"Più che altro stupito. Percorrere gloriosamente tutta questa strada per poi finire sepolta dalla sabbia... che fine ingloriosa..."
"Alla fine è solo un pezzo di metallo. Non ti dico quanti guasti aveva! Foundation Site sarà la tua nuova casa!"
Henry fu stranamente confortato da un Victor più conciliante del solito.
"Mi fa piacere che ti sia caricato così!"
"Beh, che ti devo dire... l'aria marziana forse?"
"Era una battuta per caso?"
"No, assolutamente!" - rispose beffardo Victor.
"Non la senti anche tu l'aria di Marte? È così stimolante!" - continuò.
"Ehi, dall'umorismo al sarcasmo?"
"E dalla Terra a Marte, Henry!"
I due sorrisero.
Ehi piccioncini, possiamo andare?"
"Vadi! Oh, ehm, volevo dire: vada!" - rispose Henry.
Il rover allora si mise in moto lasciando la vecchia Columbus indifesa.
Finalmente, tutta quella fatica aveva portato l'Uomo sul pianeta rosso. Il futuro attendeva l'intera umanità.
Ne sarebbe stata all'altezza?
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