Voglia di rubare qualcosa

❝Bisognerebbe essere sempre un po' improbabili❞

Oscar Wilde, Frasi e filosofie ad uso dei giovani

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Ezra leggeva presagi nelle intelaiature d’acciaio del Crystal; leggeva presagi in ogni cosa che fosse opera umana, in realtà, e faceva scorrere le dita della mano sul DDM, perché il DDM era uno zingaro più in gamba di lui. Leggeva presagi nelle temperature corporee, ed erano presagi decisamente più attendibili di quelli che Ezra intravedeva nelle costruzioni. 

Tirò fuori il Noxrit. Mandò giù qualche pillola proprio nell’istante in cui il suo cervello formulò una domanda: “perché lo fai?”. Il sapore di acido folico e zolfo rispose per lui: “l’ho scordato”. 

Il monocolo del suo eye patch scannerizzò la struttura del Crystal Palace con un battito meccanico e metaforico di ciglia. Ezra vide proiettate nella lavagna azzurra della sua mente mappe che si sovrapponevano l’una all’altra, in una gara di numeri e dati che per qualche assurdo motivo non lo avrebbe fatto impazzire. Poteva lavorare fino a tardi limando proiettili calibro 22, cromando la Rot Ripper, aggiustando la convergenza del monocolo, manipolando il DDM e altri aggeggi dai nomi indicibili. E niente di tutto questo lo avrebbe fatto impazzire. Questo era uno dei pochi vantaggi di essere già pazzo. Altro vantaggio: se eri pazzo non pensavi. Mai. Ezra infatti non pensò. Sapeva fare qualcosa di meglio: essere invisibile. Non in senso letterale. Era bravo a non dare nell’occhio. Gli piacevano le ombre tanto quanto gli piacevano le macchine, riusciva a capirle, ci si amalgamava bene. Percorse sale e corridoi raso parete, evitando di entrare negli aloni luminosi delle lampade a gas. Sentiva di non avere più consistenza, di essere veramente nient’altro che un’ombra. Attese il momento. Attese il buio.

E nell’attesa, un ricordo sconfisse le barriere del Noxrit e una voce di donna gli fece vibrare le costruzioni delicatissime dell’anima, portando le volte architettoniche dall’equilibrio precario dei suoi meccanismi interni sul baratro del collasso. “…non esistono presagi. Il destino non ci manda messaggeri. E’ troppo crudele, per fare una cosa del genere” [1]. Ezra poteva vederla chiaramente, era stampata nella sua testa. Alta, giovane, forse troppo, struttura ossea al limite della perfezione, occhi di un colore a metà strada tra le vampate scure delle ciminiere e la volta celeste in tempesta. Pantaloni stretti e verde spento, arrotolati appena sopra le caviglie. “Mi stai ascoltando?”.

Sì, la ascoltava. L’aveva sempre ascoltata. Avrebbe fatto qualsiasi cosa per poterla ascoltare ancora, un’altra volta, un’ultima volta. Ma adesso lei era solo un ologramma incastrato nella retina del suo unico occhio, e non portava sempre quei pantaloni stretti e arrotolati. A volte indossava un vestito che lui ricordava chiaramente di averle visto addosso una volta o due, quando la conosceva, quando la ascoltava. Quando il Noxrit non gli serviva.

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Girava per Londra per un’assurda teoria sulle distorsioni sub-spaziali, ma Lexie non era mai stata più rilassata di così. 

Il vapore che investiva le persone per le strade rendeva la città evanescente. A Croydon il fumo contribuiva solo a rendere sporca, calda e soffocante l’aria - e la mente di Lexie veniva sepolta e annebbiata. Ma Londra sembrava alimentarsi delle opalescenze bianche e grigie dei vapori che si alzavano dalle ciminiere, dalle fabbriche, dai magazzini, dai battelli, dai treni. I tetti delle case, oltre la coltre artificiale, svettavano verso il cielo, dei in cemento e mattoni.

Lexie aveva sempre avuto i piedi ben piantati a terra, ma per le strade di Londra si sentì priva di corpo, evanescente come un serpente di fumo, piccola come una micro rondella di uno degli orologi del Prof. Beare.

Il furetto emise un mugolio nel suo orecchio - come se la spalla dove dormiva di solito gli risultasse improvvisamente scomoda. Lexie gli lanciò un’occhiata, e se lei era una micro rondella, il furetto poteva essere a malapena un elettrone, o ad essere gentili, un atomo. ― Dacci un taglio, Bibi ― gli disse. ― Non è una gita di piacere.

Il Crystal Palace sembrava brillare di luce propria, aveva un’aurea alla quale era impossibile restare indifferenti. A guardarlo con attenzione, non era una struttura così immensa da non poter essere eguagliata da altre. Ma era maestoso. Le infinite lastre di vetro che si susseguivano lungo tutto il perimetro riflettevano la luce del sole al tramonto - sopra il fumo della città brillavano il rosso cremisi, l’amaranto, il rosa caldo. 

Il gorgoglio dell’acqua della fontana all’entrata attirò l’interesse di Lexie. Il fumo di Londra le aveva appiccicato addosso la camicia, e un tuffo non sarebbe stato male. Evitò solo perché infastidire inutilmente qualcuno della sicurezza non le sembrava vantaggioso. “Vuoi rubare un magnete plasmante, Lexie”, pensò, superando la fontana e entrando, “vedrai che questo basterà a farli incazzare parecchio”.

Una volta dentro il Crystal, Lexie sollevò lo sguardo. Metri, metri e metri sopra di lei, una cupola di vetro mostrava il cielo di Londra, il grigio, il bianco e il nero delle colonne di fumo che lottavano contro i colori del tramonto, mangiandoseli. Lexie sentì Bibi solleticarle l’orecchio. ― Bella roba, non ti pare? ― Il furetto non rispose. Non rispondeva mai.

Lexie tornò con lo sguardo a terra. Puntò il banco informazioni come fosse stata un grosso felino in vista di una gazzella.

Si schiarì la voce e fece appello a tutta la sua femminilità inespressa. ― State chiudendo? ― chiese amabilmente.

Uno che sembrava un nano di Biancaneve alzò gli occhi su di lei. Le sorrise con gentilezza, annuì con quella testa leggermente sproporzionata rispetto al corpo che si ritrovava. ― A momenti, Miss.

― Può essermi d’aiuto? Cercavo un bagno e… temo di essermi persa.

Il nano arricciò le labbra. Sollevò il braccio, la manica gli si tirò su e da sotto il polsino spuntò fuori un orologio da polso. Diede una rapida occhiata alle lancette, poi tornò a guardare Lexie, come se il suo viso fosse un altro quadrante da dover leggere. ― Svolti a sinistra e subito dopo a destra, poi entri nell’ultima porta. Faccia in fretta, non dovrei nemmeno darle il permesso…

― Grazie! ― Senza aspettare il resto, Lexie si volatilizzò. Prima di imboccare il corridoio per il bagno, si fermò un istante di fronte alla mappa del Crystal. Memorizzò quell’intreccio di linee disegnate su carta e la posizione della sala del magnete. In bagno ci andò, ma se la prese con comodo. Troppo comodo. 

Quando le ultime voci si spensero nella distanza, Lexie seppe che era il momento. Il gas con cui veniva tenuta accesa l’illuminazione non arrivava più alle lampade ad olio sparse per le sale e i corridoi.

Lexie uscì dai bagni, e il buio era intenso. Cercò a tastoni lungo la cintura il Drill Bolt. Lo trovò con facilità. Lo accese. Un piccolo alone luminoso si disegnò lungo la traiettoria dell'apparecchio. Adorava la tecnologia.

Si accorse presto però che il punto luce del Drill Bolt non faceva che peggiorare il buio tutt’intorno. Bibi le camminò lungo l’arco delle spalle per cambiare punto d’osservazione. ― Forza, Capitano. E’ il nostro momento.

Si mosse lentamente, con gli intarsi geometrici della mappa del Crystal impressi nella mente. Aveva una buona memoria fotografica. A forza di osservare meccanismi, il suo cervello aveva cominciato a lavorare con schemi analitici che nemmeno lei avrebbe saputo spiegare. Tutto ciò che esisteva, per Lexie, erano linee, cerchi dentellati, perimetri ed aree. E pensare che a matematica era una capra.

Raggiunse la sala del magnete con una facilità sorprendente. Sorrise tra sé e sé.― Bingo.

Oltre una sottile porta di vetro, il magnete brillava dentro una teca dall’aspetto mistico. Era al centro della sala, circondato dal vuoto più totale. Quattro aggeggi simili a Drill Bolt lo illuminavano da quattro angolazioni differenti. 

Sembrava troppo facile, perciò Lexie aguzzò la vista. Sotto la teca, due piccoli pulsanti dall’aria non troppo amichevole stavano a guardia del magnete. Lexie afferrò Bibi senza troppe cerimonie, lo mise a terra. Gli si accucciò accanto, allungò un dito. ― Quello rosso, Capitano ― Bibi corse agilmente verso la teca. Era veloce e silenzioso al punto che era assurdo pensare che fosse solo carne, sangue e ossicini. Arrivò di fronte ai due pulsanti, si sollevò sulle zampe posteriori e colpì con una testata quello rosso. Aveva i suoi metodi. 

I punti luce si spensero, e qualcosa suggerì a Lexie che nonostante l’aspetto, quegli aggeggi non fossero affatto semplici Drill Bolt. Il silenzio diventò assordante, cominciò a rimbombare nella testa di Lexie come un orologio in piena notte. 

Una goccia di sudore le scivolò lungo il collo, dentro la camicia, giù per la schiena. Ebbe un brivido. Si mosse. Mentre avanzava a passi microscopici, provò a calcolare quanto tempo le sarebbe rimasto per scappare prima che la sorveglianza notturna si accorgesse del furto. Piede destro, piede sinistro. Piede destro, piede sinistro. Bibi le si arrampicò su una gamba, facendole prendere un colpo. Il cuore le martellò in gola per un istante. Si avvicinò alla teca, osservò attentamente il magnete. Lo puntò con il Drill Bolt. 

Era un semplice sasso. Ad una prima occhiata nero, ad un secondo sguardo venato di un viola purpureo che sembrava pulsare ad intermittenza. Sì, nel complesso l’aspetto del magnete non era granché, ma nella mente di Lexie risuonò un nome, come un monito. “Vivian”. Quel sasso avrebbe salvato sua sorella. E fu proprio in quell’istante, con quel pensiero in testa, che mise a fuoco quello che si trovava oltre il magnete, dall’altra parte della teca. Un occhio turchese. Un eye patch con una lente smeraldo. Quello sguardo bicromatico la osservava attentamente. ― Ciao, bambolina. Voglia di rubare qualcosa? 

E allora Bibi andò all’attacco. 

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[1] Il ritratto di Dorian Gray, Oscar Wilde

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