Capitolo 1: Santo Stefano


«Grazia, ma perché non ti siedi un po'?» zia Francesca, coi capelli corti color cenere che le sfioravano il collo grasso, seguiva con lo sguardo sua madre, che a passi veloci galoppava tra salotto e cucina con le braccia cariche di piatti.

«Di', l'hai presa anche tu 'sta brutta abitudine?» zia Stefania le fece un cenno col mento, le unghie laccate di rosso tamburellavano sul tavolo.

«Quale?» Anna inarcò un sopracciglio e le depositò un piatto immacolato davanti.

«Quella di sparecchiare che uno non ha ancora finito di mangiare», Stefania fece una smorfia, gli occhi verdi puntati sulla tovaglia immacolata.

«Eeeeh», suo padre, seduto nella solita poltrona lisa ricoperta di centrini accanto al fuoco e gli occhiali sulla punta del naso rubizzo, continuò a compilare le parole crociate.

«Ma non è vero, avevate finito tutti!» una vampata di calore scaldò le guance, Anna sistemò il piatto pulito anche per lui.

«Lasciale dire. Sono vecchie, grasse, e hanno solo da dare aria alla bocca», sua madre comparve con la pentola di tortellini stretta nelle presine, il profumo del brodo si spanse in tutto il salotto e coprì quello dei salumi che avevano mangiato come antipasto.

Francesca scoppiò in una risata stridula che le fece virare la pelle del viso verso un profondo magenta. «Ah, perché te sei rimasta una ragazzina!»

«A proposito di ragazzine, tuo figlio? Quand'è che possiamo conoscere la sua?» Stefania si alzò appena, allontanò le bottiglie e sistemò il sotto-pentola.

«Ah, ma non è mica quella dell'anno scorso», suo babbo mollò le parole crociate e raggiunse la tavola, gli occhi fissi sulla pentola. Con un sorriso rapace sfregò le mani e sedette.

«Ah no?»

«Ah, no! Gli ho detto che finché non è quella buona io non le voglio più conoscere, che poi mi affeziono», sua mamma scosse la testa, l'umidità che saliva dalle pentole le aveva arricciato i capelli castani.

Anna si nascose con una mano e ridacchiò. Era più probabile che Gesù Cristo in persona si alzasse dal presepe per mangiare con loro, che suo fratello mettesse la testa a posto. «Ieri ha pranzato qua, oggi è andato a casa dei genitori di lei. Come si chiama questa?»

«Chiara? Clara?» sua mamma si strinse nelle spalle.

«Clara. Lavora al centro Lame», suo padre immerse il mestolo nel brodo, l'espressione distesa di chi parlava del tempo.

Francesca rise: «Oh, fa finta di niente ma sa tutto, eh?»

«Beh, cosa vuoi che abbia da fare, ormai. È in pensione», ciarlò Francesca.

Suo babbo sollevò di scatto le sopracciglia e tornò alla sua espressione neutrale, Anna ridacchiò e fece per rubare il piatto dalle mani di sua mamma, che le sibilò contro di stare ferma e fece un cenno verso Francesca. «E tuo figlio?»

Quella sventolò una mano tozza. «Ah, in Francia. Avevano i bambini ammalati e son rimasti dai suoceri».

Gli occhi verde slavato di Francesca si puntarono su di lei: «E tu?»

«I-io?» Anna irrigidì, il piatto rovente che aveva in mano traballò e il brodo minacciò di tracimare.

«Eh, tu. Ce l'hai il moroso?»

«Ma va là, mia figlia lavora e basta. È sempre chiusa in quel suo studio», sua madre sospirò, scuoteva la testa come se invece di lavorare spacciasse crack in stazione.

Anna gonfiò le guance e sedette, i pugni stretti in grembo e il calore che saliva dal collo all'attaccatura dei capelli. Sapeva che dopo suo fratello sarebbe toccato a lei. Sperava solo che la questione si chiudesse lì.

«Ma fa bene lei, sta' buona», bofonchiò suo padre a bocca piena.

Stefania risucchiò il brodo, la fissava con gli stessi occhi verdi e slavati delle sue due sorelle. «Hai sentito che ha avuto una bambina?»

«Ah, ma dai!» cinguettò sua madre.

Anna socchiuse la bocca e la richiuse, pietrificata. Non poteva credere che dopo sette anni e altre relazioni, fossero ancora lì a chiederle del suo ex. Come se lei non fosse lì, sua madre e le zie si imbarcarono in una vivace discussione sulla vita di Alberto. Sapevano tutto: con chi si era fidanzato dopo di lei; chi aveva sposato, alla fine; in che quartiere di Bari era andato a vivere. Pure il giorno in cui era diventato padre.

Suo babbo la occhieggiava in silenzio, come se volesse dirle di lasciarle parlare, di lasciarsi scivolare addosso tutto, ma gli occhi bruciavano e aveva le guance in fiamme. Non fosse stato scortese e una scusa perché le sue zie sparlassero di quanto doveva essere difficile, per lei, essere ancora nubile a trent'anni, quando avrebbe dovuto sposarsi a poco più di venti, avrebbe sbattuto i pugni sul tavolo e se ne sarebbe andata. La parte peggiore, era che sarebbero andate avanti a lungo, il loro tono si sarebbe trasformato in quello lamentoso di chi la compativa, come se quel giorno non fosse stata lei a fuggire all'altare, ma lui.

Chiuse gli occhi e con la mano che tremava riprese a mangiare. "Anche se ti sembra impossibile, riuscirai a farlo. La tua migliore amica ce l'ha fatta. Qualcuno ti risponderà offrendoti un lavoro, e addio natali in famiglia a farti compatire. Nessuno ti chiederà come sta il tuo ex, uscirai da questo... questa palude".

La mano tremò e un tortellino ricadde nel piatto, Anna sussultò. Stringeva il cucchiaio con così tanta forza che le nocche erano sbiancate. Lo appoggiò sul bordo con la scusa di ripulirsi la bocca col tovagliolo e incontrò gli occhi di suo padre. Lui scosse la testa, lo sguardo fisso nel suo. "Hai ragione, papà. Meglio che stia zitta".

«Quindi tuo figlio come sta?» suo padre rivolse lo sguardo verso zia Francesca, che allargò gli occhi e agitò il cucchiaio, presa da quanto suo nipote fosse un prodigio.

«Adesso parla sia in francese che in italiano!»

"Beh, sai, sua madre è francese, suo padre italiano..." Anna strinse le labbra e rimescolò il brodo. Lo assaporò lenta, con le voci dei familiari in sottofondo. Annuì quando era richiesto, intervenne con dei 'ma davvero?' che simulavano sincero interesse per fingere di essere parte della conversazione, e si occupò di fare i caffè per allontanarsi dal tavolo. "Se Dio vuole, anche Santo Stefano è andato..."


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Jeon Moeum sedeva composta all'unico tavolo apparecchiato al centro del ristorante. Teneva gli occhi bassi e giocava con l'angolo del tovagliolo candido, le labbra strette in una linea tesa. I lunghi capelli neri incorniciavano il viso volpino, in parte nascosto dal bouquet di ortensie azzurre posizionato accanto all'alto candelabro d'argento. Un fine collier brillava sotto la liquida pozza di luce soffusa che le pioveva addosso dai faretti sul soffitto. Le candele di un pallido rosa completavano il quadro.

Era molto più bella di quanto fosse stata quella mattina in chiesa, per la messa di Santo Stefano, coi capelli coperti dal fazzoletto candido e il mento attaccato al petto tanto teneva il capo chino. Non abbastanza bella da giustificare la sua presenza lì, comunque.

Baekhyun esalò un profondo sospiro e scoprì il quadrante dell'orologio: le otto e venti. Era riuscito a tardare di quasi un'ora, e lei aveva resistito. "O ha davvero voglia di conoscermi o sua madre l'ha obbligata a restare". Infilò la mano in tasca, col pugno stretto indossò un sorriso, raggiunse il tavolo e tirò indietro la sedia, che stridette nel silenzio. «Scusa il ritardo, Moeum-ssi. Il traffico».

Lei sussultò e sollevò il viso di scatto. Gli occhi neri, arrotondati dal trucco leggero, si allargarono e lei avvampò. «No-non c'è problema», la sua voce era un timido squittio.

"Voleva proprio conoscermi..." forzò la smorfia che avrebbe voluto fare perché rimanesse un sorriso da telecamera, sedette e sistemò il tovagliolo in grembo. Il cameriere, che lo aveva seguito come un'ombra silenziosa, versò il vino bianco nel suo calice e in quello di lei. Baekhyun lo ringraziò con un cenno e si rilassò contro lo schienale. Trovare argomenti per quegli stupidi appuntamenti combinati era sempre una piaga.

Lei, con gli occhi fissi sul piatto immacolato, bisbigliò: «So che sei molto impegnato, spero che questo appuntamento non sia troppo... inopportuno. Mia madre...»

"Inopportuno?" Baekhyun sollevò un sopracciglio; era un eufemismo. Avrebbe potuto definire inopportune molte cose, quell'incontro era rottura di palle. Ma non poteva dimostrarsi apertamente scortese o avrebbe dovuto sorbire le lamentele di sua madre, che era anche peggio. «No, non ti preoccupare. Mi dispiace averti sottratta alla tua famiglia, oggi. È molto che aspetti?»

«No», lei strinse il tovagliolo, le nocche sbiancarono. Teneva le spalle rigide, la linea delle clavicole disegnava un arco delicato sotto l'organza nera che copriva il petto, sopra lo scollo a cuore dell'abito nero. «Immagino che sia stata una giornata impegnativa, con la messa e tutto il resto. Tua madre ha detto che passi la maggior parte del tempo a lavoro».

«Già», Baekhyun le rivolse un sorriso vago. Se a sua madre fosse interessato, avrebbe smesso di cercare di sistemarlo con le figlie dei suoi ricchi amici industriali. «Credo ti abbia già informata del fatto che tra tre giorni lascerò la Corea del Sud».

«S-sì, anche se lo sapevo già», il suo viso magro si tinse di un vivace rosa sotto il fondotinta pallido e lei riprese a giocare col tovagliolo.

«Ah! Sei una nostra fan?» sarebbe stato terribile se la risposta fosse stata sì. Le 'Aces' erano gli appuntamenti peggiori che avesse mai avuto. Erano così impegnate a sbrodolare addosso all'idol, che nemmeno si accorgevano di quanto fosse scortese.

Lei rattrapì come un maglioncino infeltrito, il capo incassato tra le spalle. «Sì, da... da sempre. Ma non... non è per quello che... Cioè, io non volevo che... O meglio, volevo, ma non perché sono una fan!»

«Non c'è niente di male, se lo sei», Baekhyun le sorrise. Era arrossita così tanto da emanare intense ondate di calore e i suoi occhi viaggiavano all'uscita come se avesse voluto scappare.

«Non...» Moeum si torse le dita e strinse le labbra, come se avesse bisogno di pensare a ogni parola. «Scusa, non so che mi prende. Dovrei esserci abituata».

Baekhyun sospirò; si era aspettato l'ennesima chaebol viziata con la spocchia sotto il naso, invece aveva davanti un agnello terrorizzato. Se possibile, era pure peggio. Fosse stata il solito stereotipo di donna che si trovava di fronte, essere sgarbato sarebbe stato molto più semplice. «Che ne dici se ordiniamo, intanto?»

Moeum afferrò il calice, bevve un lungo sorso e annuì. Baekhyun le passò il menù, lei vi si nascose dietro.

Sarebbe stato un lungo primo appuntamento.


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⊹⊱✿⊰⊹SPAZIO AUTRICE⊹⊱✿⊰⊹

Ciao, Stelline! ❤

Com'è stato il vostro week-end? Vi siete divertit*?
Io sono ammalata da sabato scorso e spero di essere a posto anche per tutto il 2025.

Comunque, eccoci al primo capitolo di Start Over!
Lo so, è corto, ma i primi capitoli sono un po' introduttivi, e a me piace mettere una serie di basi, prima di partire in quarta con incontri e innamoramenti.

Anna è bloccata in uno di quei classici pranzi di famiglia, Baekhyun è - per qualche motivo - incastrato in un bell'appuntamento combinato. A quanto pare, diventare un idol non è bastato a uscire del tutto dalle grinfie di sua madre...

E sorpresa, sorpresa! A differenza di Minjun, che è buddhista, il nostro Baek è cristiano (e a quanto pare costretto alla messa, lol).

Chi ha letto Noona immagina già di che Natale si tratti, ma spero siate curios* di sapere come questi due arrivano al punto che voi già sapete. Quindi spero di ritrovarvi qui, domenica prossima, per scoprire anche il prossimo capitolo!

Nel frattempo, se la storia vi sta piacendo, lasciatemi commenti e stelline!
E se avete amic* alla ricerca di una storia romantica da leggere, fate un po' di passaparola; per me è fondamentale!

Se è la prima volta che capitate in una delle mie storie, potete trovarmi anche su IG e su TikTok come barbara.ottani.autrice.

Lì condivido retroscena, curiosità e novità su questa storia e sui libri che sto scrivendo. Insomma, tanti contenuti extra che non trovate qui su Wattpad!

Ci rileggiamo domenica prossima, puntuali alle 21! ❤

Cosa vi aspettate dal capitolo 2?

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