Who am I? Who am I? When I don't know myself
– Solo una domanda: perché? – sbotto. La città di New Orleans prende forma davanti ai miei occhi per la prima volta. Non riconosco i suoi colori, non riconosco i suoi angoli, questa non è casa mia, e già la detesto.
– Avevamo bisogno di cambiare un po' aria – mi volto verso mia madre che sorride, continuando a guidare.
Un bel giorno si è alzata, mi ha portato fuori a pranzo e mi ha detto che ci saremmo trasferite a New Orleans, che avremmo lasciato San Francisco e la California per la calda e umida Lousiana, così, senza un motivo apparente.
– E ti sembra una spiegazione razionale? Una risposta da persona adulta? Abbiamo abbandonato la nostra vita a San Francisco da un giorno all'altro per venire in...in...in Louisiana! – mi porto le mani sul volto, esasperata. Non volevo andarmene dalla California e non riesco a capire il perché di questo trasferimento. Odio le cose che non posso controllare, ancor di più quelle che non riesco a spiegare.
– Andiamo Rosebelle, ti piacerà tanto New Orleans...e poi sono io la madre qui, non devo darti nessuna spiegazione –
– Già, ottima risposta – incrocio le braccia sotto il seno, imbronciata. Non vedo l'ora di compiere diciotto anni, finire il liceo e andare ad Harvard, è sempre stato il mio sogno, un po' come Rory Gilmore.
– Rose fidati di me, per ora è meglio se stiamo lontane da San Francisco...e poi dovresti essere elettrizzata per il tuo primo giorno di liceo. –
– Sì ma la scuola di qui non mi permetterà l'accesso ad uno dei college dell'Ivy League come avrebbe potuto fare la Lick-Wilmerding. –
– Se sei brava e ti impegni non avrai bisogno di nessuna scuola dal nome pomposo per accedere ad una buona università – poggio la testa sul vetro, discutere con mia madre è praticamente inutile, lo dice sempre mia nonna. –E poi, dopo l'uragano Katrina, quasi tutte le scuole di New Orealns sono private, quindi non vedo il problema. Il Benjamin Franklin è il primo liceo della città, ha persino un Advanced Placement Program...sono sicura che, nel giro di una settimana, amerai questa città e non ricorderai nemmeno come sia San Francisco –
– Sicuramente – sbuffo, allungando i piedi sul cruscotto.
– Poi ci sono alcuni miei amici qui che hanno i figli della tua età. –
– Da quando hai degli amici qui? – corrugo la fronte. – E poi non cercare di organizzarmi la vita –
– Okay Rosebelle adesso basta – mia madre frena violentemente ed io, per poco, non sbatto la testa in avanti. –Io sono tua madre e so cosa è meglio per te, e in questo momento stare a San Francisco non lo è. Quindi ora ti stampi un bel sorriso in faccia e fai finta che tutto vada bene è chiaro? Se poi non ti piace, tra tre anni e mezzo sarai maggiorenne e te ne potrai andare –
– Ti odio – sputo quelle parole slacciandomi la cintura di sicurezza e scendendo dalla macchina. Sbatto fortemente lo sportello e incrocio le braccia sotto il seno.
Davanti a me c'è una piccola villa bianca, di quelle tipiche del sud, con un giardino e il portico in stile coloniale.
– Ciao – sussulto quando, davanti ai miei occhi, si manifestano due grandi iridi biondi e dei meravigliosi capelli biondi e lunghi. Appartengono ad una ragazza che mi sta sorridendo, una ragazza che non ho mai visto prima d'ora. –Sono Daisy Green, è un piacere conoscerti – mi tende una mano, che io stringo titubante. Da dove diamine è sbucata fuori?
– Rosebelle Greyson. –
– Oh vedo che stai già facendo amicizia, visto tesoro? –incenerisco mia madre con lo sguardo, mentre lei fa avanti e indietro con i pacchi con la stessa allegria di una diciottenne che si sta per trasferire al college.
– Abbiamo saputo del tuo arrivo, così sono venuta per darti il benvenuto. –
– Abbiamo...?- mi massaggio le tempie, sono stanca, il mio cervello sta iniziando a non connettere più. –Ah già, vero, voi siete i figli degli amici di mia madre, gli sconosciuti amici che sono sbucati fuori dal nulla –
– Esattamente, ma ora è meglio che ti presenti agli altri, vieni con me – afferra il mio braccio ed inizia a trascinarmi, senza chiedermi se io sia d'accordo oppure no. Odio questo posto.
– Dove mi stai portando? –
– A casa di Daniel Manson, andiamo sempre lì quando non sappiamo che fare – camminiamo per un paio di metri prima di arrivare davanti ad una villa a dir poco enorme, con un giardino maestoso che si estende all'infinito.
– Però – mi guardo intorno visibilmente stupita. Mi aspettavo di vedere una tipica abitazione del sud, invece ho davanti un'enorme casa con tantissime porte a vetro e il parquet sul pavimento. Lo stile è moderno e le pareti sono di color avorio, con un tavolo di vetro enorme che sta al centro del salone.
– Daisy sei...ah, quindi l'hai già portata qui- ci voltiamo entrambe, sentendo una voce maschile dietro di noi. Appartiene ad un ragazzo alto, dai capelli biondi e due grandi occhi azzurri.
– Sì – Daisy mi spinge verso di lui, il mio respiro si blocca per un attimo. E' di una bellezza sconvolgente, e le sue iridi di un azzurro penetrante. –Daniel lei è Rosebelle Greyson, Rose lui è Daniel Manson –
– Piacere – sta volta sono io che gli tendo la mano e mi sento subito stupida. Che stai facendo? Non ti sei guardata allo specchio oggi?
– È un piacere conoscerti Rose...Daisy non ti ho sempre detto di avvertire prima di piombare a casa mia? –
– Perché, hai degli ospiti? –
– No, ma si sta preparando per il futuro – esclama un'altra voce. Un ragazzo dai capelli scuri e gli occhi chiari sta sull'uscio della porta, con un sorriso radioso stampato in fronte. –Ciao Rosebelle, io sono Albus St. Cloud – si avvicina con passo sicuro e mi stringe la mano, senza smettere un attimo di sorridere.
– Ma io non capisco, mi stavate aspettando? –
– Più o meno – Daniel si stringe nelle spalle, è di una bellezza sconvolgente. –I nostri genitori ci parlano da un po' di te, spero che tu ne valga la pena – assottiglio le labbra. Si accorgeranno ben presto che non è così ed io combinerò sicuramente qualche casino.
– Non farci caso, è a giornate il nostro Danny. –
– Finiscila di chiamarmi così, non ho più otto anni. –§
– Io non ne sarei così sicuro. –
– Okay adesso basta voi due – Daisy ridacchia. Sono finita in una gabbia di matti, grazie mamma. – La spaventerete così –
– Oh bambolina, non hai idea di quanto ti divertirai con noi –Albus ridacchia ed io posso giurare che, quando la luce del sole lo colpisce in pieno, il suo corpo venga avvolto da un'aura misteriosa.
🪼🪼🪼
– Buongiorno fiorellino – mia madre mi schiocca un bacio sulla fronte, io grugnisco in risposta, addentando un muffin. –Hai programmi per oggi? –
– Daisy mi aveva detto di andare in un posto, ma se tu vuoi che io rimanga a casa a sistemare qualcosa per me non ci sono problemi. –
– No tranquilla, ho sistemato tutto ieri. –
– Ne sei sicura? Perché non vorrei mai che ti affaticassi per sistemare le mie cose, ormai sono grande. –
– Niente da fare Rose, ci hai provato – sbuffo lasciando andare la testa sul tavolo. Ed io che già pregustavo una tranquilla mattinata a casa in tuta e ciabatte. – Non capisco perché tu sia così chiusa con le persone, a quest'ora dovresti essere già fuori a fare amicizia –
– Mamma io non piaccio alla gente, credevo che fossimo d'accordo su questo punto. –
– Finiscila – mi circonda le spalle con un abbraccio, il suo profumo mi penetra le narici. E' assurdo che non lo abbia mai cambiato in tutti questi anni. – Rose solo perché hai avuto qualche problema alle medie, questo non significa che tutta la tua vita sarà così –
– E' difficile crederlo. –
– Io, invece, sono sicura che questo sarà il periodo più bello della tua vita, quello che ti ricorderai per sempre – mi passa una mano tra i capelli castani, mi calma sempre quando fa così. – Datti una possibilità Rose, non è sempre e solo colpa tua –
– Va bene, ma non mi organizzare più il circolo di amici, chiaro? –
– Chiarissimo – mi schiocca un alto bacio e se ne va contenta. È l'unica che ancora crede in me, le professoresse l'hanno chiamata per tre anni di fila per lamentarsi della mia difficoltà ad integrarmi.
Finisco di mangiare, salgo a lavarmi i denti e corro di nuovo velocemente giù, non mi oriento per niente e c'è una seria possibilità che io possa perdermi. E poi detesto arrivare in ritardo, a prescindere che ci sia qualche impedimento oppure no.
Non appena metto piede fuori casa, però, mi accorgo di non avere la più pallida idea di dove andare. Complimenti Rose.
Comincio a camminare, tanto, se vado sempre dritto, da qualche parte dovrò pur spuntare, no?
– Ti sei persa, vero? – sussulto quando vedo Daniel spuntare davanti ai miei occhi. Il cuore mi accelera per un secondo, prima di ritornare alla velocità normale. Mi sono presa un bello spavento.
– E tu che diavolo ci fai qui? Mi hai fatto prendere un colpo. Mi stavi seguendo per caso? –
– No, ma avevo scommesso venti dollari con Albus che non saresti riuscita ad arrivare al luogo dell'appuntamento e volevo essere sicuro della mia vittoria – un sorriso sornione si dipinge sul suo volto, attorno a lui si forma la stessa aura che ho visto ieri su Albus. Riduco le palpebre a due fessure, non troppo sicura di cosa sto vedendo.
– Effettivamente, non ho davvero idea di dove debba andare –ammetto, passandomi una mano tra i capelli castani. Sento le guance tingersi di rosso, non ho mai avuto un ottimo senso dell'orientamento.
– Sì infatti stavi andando dalla parte opposta – abbasso lo sguardo imbarazzata mentre Daniel mi supera senza farsi problemi. Ottimo lavoro Rose, riesci sempre a renderti ridicola.
– Non mi oriento per niente. –
– È normale, sei qui da poco. -
– Da due giorni, anche se è strano, a San Francisco non mi sono mai persa, ed è una città enorme. –
– San Francisco è casa tua però – il ragazzo continua a camminare con passo svelto, senza curarsi se io lo stia ancora seguendo oppure no, non mi guarda nemmeno in faccia quando mi parla.
– Vero anche questo. –
–Rose tieni il passo, non starò ad aspettarti- sbatto le palpebre incredula, è come se mi avesse letto nel pensiero. Assurdo.
– Sì scusa Danny – lui si volta immediatamente verso di me, bloccandosi. Io, per poco, non gli finisco di sopra. – Che c'è? –
– Perché mi hai chiamato in quel modo? –
– Perché il tuo nome è troppo lungo – mi stringo nelle spalle, sussurrando appena quelle parole. – Voglio dire, anche a me chiamano Rose quando in realtà è Rosebelle –
– Odio essere chiamato in questo modo, è chiaro? –
– Chiarissimo – deglutisco a fatica, i suoi occhi sembrano aver cambiato colore, sembrano essere diventati viola.
Per il resto del tragitto nessuno dei due fiata, io mi limito semplicemente a stare qualche passo indietro e a camminare a testa bassa.
Ci mettiamo circa venti minuti prima di raggiungere casa di Albus. Anche lui sta nel nostro stesso quartiere (che ho scoperto chiamarsi Garden District), vicino ai giardini di St. Charles Avenue.
– Al sgancia i venti bigliettoni, ho vinto io. –
– Rose non sei riuscita ad orientarti?– Daisy, anch'ella presente nell'abitazione, saltella verso la mia direzione, con i capelli che si muovono da un lato all'altro.
– No, ma non sapevo nemmeno che loro due avessero fatto una scommessa a riguardo– la bionda li fulmina entrambi con lo sguardo, i due sorridono sornioni, come se non avessero fatto niente.
– Complimenti ragazzi, andate sempre meglio – arriva anche un altro ragazzo, credo che, a loro, piaccia fare queste entrate ad effetto. È alto, con i capelli rossi e una spruzzata di lentiggini sul volto. – Io sono Christopher Damien, l'unico normale del gruppo, ma tu puoi chiamarmi Chris – mi porge la mano, che io stringo titubante. Sono finita in una gabbia di matti. – Comunque ti manca ancora qualche pezzo, siamo un gruppo abbastanza numeroso –
– Ciao ragazziiiii – una fanciulla, dai lunghi capelli biondo cenere, arriva sorridendo. Il suo sguardo si posa prima su Daniel e poi su di me. – Quindi tu sei la ragazzetta da San Francisco? Io Diana Godwin–
– Sì, ma abbiamo la stessa età, quindi... –
– Shhh – mi zittisce malamente prima di squadrarmi da capo a piedi. – Oh mio dio, porti le Converse sotto il vestito, e lasciamo perdere il resto! Credi di essere uscita da un blog di Tumblr o cosa? – abbasso lo sguardo, non è la prima volta che qualcuno critica il mio abbigliamento, quindi mi limito a storcere la bocca. Ormai ci sono abituata, però vorrei davvero che qui fosse diverso, proprio come si augura mia madre.
– Ehi Diana, non è il miglior modo per presentarsi –Daniel mi affianca e posso quasi vedere gli occhi della ragazza diventare a forma di cuoricino. –Attaccare lei è come prendersela con Bambi –
– Grazie – sbuffo, sapevo che era meglio starmene a casa. Odio New Orleans.
– Guarda che era una specie di complimento, stavo cercando di difenderti! –
– Oh...ehm...scusami – Daniel accenna ad una risatina. Diana, invece, continua a schiarirsi la voce perché, stranamente, io ed il ragazzo ci guardiamo, senza riuscire a distogliere lo sguardo l'uno dall'altro.
– Allora, avete finito di fissarvi o ce ne possiamo anche andare?– sbattiamo contemporaneamente le palpebre e interrompiamo il contatto visivo. Mi sento strana quando ciò avviene, come se mi avesse privato di tutte le mie forze e di tutte le mie energie, che sono già poche, di per sé. – Quindi tu vieni da San Francisco eh? Cosa ti porta nella cara e vecchia New Orleans? –
– Non ne ho idea, mia madre un giorno, semplicemente, ha deciso di fare le valige e di trascinarmi qui – mi stringo nelle spalle, lei non si vuole togliere dal viso quell'espressione disgustata che nel guardarmi.
– Non è che, per caso, i tuoi genitori si stanno separando e allora tu e tua madre vi siete trasferite qui per questo? Guarda che succede molto spesso, soprattutto quando il padre ha avuto tante amanti – sospiro. Ci siamo conosciuta da appena cinque minuti, e già mi ha dato addosso più di Daniel, il che è un record.
– Mio padre è morto quando avevo due anni, quindi non credo proprio sia questo il problema. –
– Ottimo lavoro ragazzi, veramente – ed ecco che spunta, per l'ennesima volta, un'altra ragazza. Ha lunghi capelli scuri, due grandi occhi verdi e la pelle color caffelatte. La testa mi gira vorticosamente, sono confusa, voglio tornare a San Francisco. – In particolare tu Diana, hai un tatto che mi stupisce – si avvicina a me con un dolce sorriso stampato sulle labbra. Non so come ma, la sua semplice presenza, mi calma. – Io sono Audrey Carter, mi dispiace che questo gruppo di decerebrati ti abbia infastidita o ferita, a volte non riescono proprio a tenere a freno la lingua – incenerisce tutti con lo sguardo mentre si passa una mano fra i lunghi capelli castani. Lei mi sembra l'unica normale.
– Rosebelle Greyson – la guardo più attentamente, le sue iridi sono quasi dorate, splendenti. Forse è arrivato il momento per un controllo della vista.
– Bene Rose, benvenuta a New Orleans, spero che la città ti piaccia. –
– In realtà non ho visto tantissimo – mi gratto la testa, d'altronde sono arrivata solo ieri.
– Oh per l'amor di dio, siete un branco di deficienti. –
– Ehi! –i ragazzi rispondono in coro, ed io non posso fare a meno di nascondere una risatina. Sono completamente suonati.
– Andiamo, seguimi. –
– Ma io veramente volevo prendere un po' il sole. –
– Sei libera di rimanere qui Diana, se vuoi – la bionda sembra pensarci un attimo prima di scuotere la testa e di tornare a camminare.
Nel frattempo, Audrey mi prende sottobraccio e avvicina le sue labbra al mio orecchio. – Non lo avrebbe mai fatto, hai una cotta barra ossessione per Daniel tremenda, lo segue come un cagnolino, nonostante lui le abbia fatto capire più volte che non possa esserci niente tra loro –
– Buono a sapersi – mi volto per un attimo indietro, Daniel tiene lo sguardo fisso su di me, i suoi grandi occhi azzurri sembrano essere screziati di viola.
– Questo vuol dire che, ogni volta che ti avvicinerai a lui, sarai molto probabilmente a rischio di morire – Daisy si aggancia al braccio libero, io deglutisco a fatica. Non voglio avere problemi, voglio soltanto passare questi quattro anni di liceo serenamente, invisibile e insignificante come sempre.
– Non vale rapirla, però – in un attimo Albus è davanti a noi, che cammina all'indietro con passo sicuro.
– Attento, potresti farti male – le sue labbra si curvano in un sorriso radioso, sembra emanare luce da ogni parte del suo corpo.
– Tranquilla bambolina, sono fatto di roccia – mi fa l'occhiolino. Rido, mi sento quasi una stupida, tanta felicità per un gesto tanto semplice e tanto insignificante. Sei proprio un'illusa Rose.
– Albus usa qualche tecnica diversa almeno- –il moro fa la linguaccia a Daisy. Alle mie spalle posso chiaramente sentire la voce squillante di Diana che sommerge Daniel, senza, tuttavia, ottenere risposta.
– Io, però, direi di cominciare portandola al Quartiere Francese – il ragazzo afferra la mia mano e mi trascina via, correndo così velocemente che i miei piedi a stento toccano il suolo. Posso facilmente intravedere le ossa delle sue scapole dalla t-shirt bianca, sono all'infuori, come le mie. Quando ce ne siamo accorti avevo circa dieci anni e mia madre mi disse che, spesso, venivano chiamate 'alate', perché così ce le avevano solo gli angeli.
Dopo circa trenta minuti e tanti dolori alle gambe ci fermiamo – Eccoci arrivati – mi fa fare una giravolta, la musica jazz impregna l'aria intorno a noi, sembra di essere catapultati totalmente in un'altra era. Gli edifici, infatti, dovrebbero risalire almeno a due secoli fa, nonostante gli effetti dell'Uragano Katrina del duemilacinque. Non credo, tuttavia, che mia madre sarebbe contenta di sapermi in questo posto, visto la reputazione che ha.
– È davvero molto bello qui. –
– Questo quartiere è l'anima di New Orleans – Albus comincia a ballare in modo buffo, io non riesco proprio a trattenere una risata. – È il più antico nucleo della città e, nonostante si chiami, appunto, Quartiere Francese, la maggior parte delle strutture sono state costruite dagli spagnoli infatti, se guardi attentamente, puoi notare lo stile coloniale del loro paese –
– E questo è Albus che dà sfoggio delle sue qualità da danzatore provetto slash guida turistica –Daniel lo sbeffeggia divertito, eppure al ragazzo non importa niente, è solamente felice di essere lì.
– Andiamo Daniel, credevo che fossi tu la parte impulsiva tra noi due. –
– Aspetta, voi due state insieme? –
– Oh mio dio, devi essere proprio stupita tu – Daniel si volta verso di me, il suo sguardo duro mi fa gelare il sangue nelle vene. – Non siamo fidanzati, siamo semplicemente migliori amici da una vita. Siamo nati lo stesso giorno, ma siamo come il sole e la notte, per questo ha detto in quel modo –
– Va bene, ma credo che avresti potuto spiegarlo anche senza urlare – le sue labbra si curvano in un sorriso canzonatorio, le sue iridi, sotto la luce, sembrano diventare viola.
– Sai, è appena un giorno che sei qui, eppure mi stai già antipatica, questo è un record. –
– Ma io non ho fatto niente. –
– Appunto, ma quelle poche volte in cui apri bocca, dici cosa totalmente inutili. Sei come un'ombra praticamente, non hai personalità, non lasci il segno, la gente non si ricorda nemmeno della tua esistenza – sento gli occhi pizzicare per le lacrime. Non capisco il perché di tanta crudeltà nei miei confronti, neanche mi conosce, mi ha visto per una manciata di ora ieri e già dà giudizi del genere? – Ecco, ci mancava solo che ti mettessi a piangere. Tira fuori gli artigli Rose, nessuno ti regalerà niente in questo mondo – roteo gli occhi, incapace di frenare le lacrime in alcun modo.
Decido che, per oggi, ho socializzato abbastanza perciò, senza aggiungere altro, giro i tacchi e corro via, non so bene dove, ma spero il più lontano possibile da lui. Voglio tornare a San Francisco, dopotutto, non è cambiato niente, e non vedo motivi per restare nell'ennesimo posto in cui nessuno mi considera.
Mi fermo solamente quando sento i polmoni bruciare e il cuore quasi esplodere nel petto. Sono circondata dagli alberi, dal verde, quanto lontano sono andata? Dove sono finita?
Il panico mi assale, la mia gola comincia a restringersi notevolmente. Voglio tornare a San Francisco.
Sbaaam!
ecco il primo dei capitoli revisionati di starlight. ammetto che, ritornare su questa storia, fa un certo effetto, i ragazzi sono ancora così piccini.
anyway, fatemi sapere, un bacio e a presto,
rose xx
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