Capitolo undici.

"Non c'è la faccio a vedere quella porta chiusa, sono quattro fottute ore che nessuno esce da lì. Entrano solo infermieri con del sangue e non danno notizie." Mi rimisi sulla mia sedia a rotelle e me ne andai da quella sala. Ritornai a guardare il cielo azzurro e limpido, su quel balcone che avevo scoperto da qualche ora e mi ci aggrappai sopra,alzandomi in piedi.

"Perché è così difficile?" Chiesi a Sharon, notando la sua presenza avvicinarsi ed appoggiarsi alla ringhiera.

"Lei supererà anche questa non ti preoccupare." Cercò di tranquillizzarmi, ma come si poteva star calmi in un momento del genere?

"Non ci riesco e se non ci riuscisse? Se non c'è la facesse? Se la perdessimo? Non le ho dedicato molto tempo da quando ho iniziato a muovermi. Lei c'è sempre stata quando avevo bisogno di lei, quando dovevo sfogarmi con qualcuno nonostante conoscessi il suo carattere da 'voglio i dettagli e ti farò un trilione di domande finchè non otterrò quello che voglio'." Sentii i suoi passi allontanarsi. Avevo paura, avevo seriamente e fottutamente paura di perderla. Volevo solo tenerla di nuovo tra le braccia e vederla sorridere.

"Devi distrarti. Non startene qui con questi pensieri che ti affligono. Ti verrò a chiamare io appena uscirà." Era Cameron. Mise le sue mani sulle mie spalle e mi baciò la guancia.

"Perchè dura tanto?" Domandai guardando il cortile vuoto.

"Non ne ho idea." Disse sconfitto, affiancomi e porgendomi la mano. Era all'in piedi per chi sa quale strana ragione.

"Cosa?"

"Alzati su." Sospirai e, anche se era il momento meno opportuno per iniziare a camminare di nuovo, afferrai la sua mano.

Appoggiai l'altra sulla sua spalla e levai su, aiutata da lui. Mi strinse forte. Era quello che che serviva, un suo abbraccio. Calò il silenzio, non uno di quelli pesanti. Forse era meglio star zitti e goderci quel momento che continuare a fissare le lancette dell'orologio, sperando che finisse in fretta l'operazione.

"Tu passassi ore in quella stanza." Disse all'improvviso.

"Che?" Domandai sbalordita.

"7 ore, 49 minuti e 22 secondi." Rise lui.

"Tre giorni e 17 ore. L'orario che ci volle per farti risvegliare." Aggiunse, osservando la ia faccia sbalordita ed entusiasta allo stesso tempo.

"E tu sei stato lì a contare il tempo? Non avevi niente di interessante da fare?" Domandai sperando che la risposta all'ultimo quesito fosse negativa.

"Ero lì aspettando di rivederti e no, non avevo niente da fare."

"A te chi c'era quando successe tutto?"

"Mia sorella." Arricciò il naso e distolse il suo dal mio sguarda. Capii che era un argomento fragile e quindi lasciai perdere.

"Io vado a trovare una persona." Gli diedi un bacio sulla guancia e, aiutata da Cameron, mi rimisi sulla sedia a rotelle.

"A che piano sei?"

"Quarto."

"Quarto? È pediatria? Chi e questa persona?" Alzò un sopra ciglio ed io scossi il capo per quel piccolo atto di gelosia.

"Sei geloso di una bambina di appena cinque anni?" Chiesi e lo vidi alzare gli occhi al cielo.
Si chinò verso di me, appoggiando le mani sulla mia sedia a rotelle.

"Non sono geloso." Disse con uno sguardo di sfida.

"Se non lo fossi stato, non avresti fatto domande." Gli risposi, guardandolo nello stesso modo.

"Se avessi fatto quelle domande per sapere i fatti della mia ragazza?" Mi sorrisi furbo.

"Dovresti fidarti della tua ragazza." Mi sporsi, dandogli un bacio e me ne andai, ridacchiando.

Salii al quarto piano e mi diressi nella stanza di Aria.

"Ehi bellissima." Le diedi un bacio sulla giancia e le mi sorrise.

"Tutto bene?" Annuì e mi indicò.

"Diciamo, la mia compagna di stanza è stata portata quattro ore fa in sala operatoria." Scrisse sopra un fogliettino colorato 'Mi spiace' ed io le sorrisi.

"Mamma tua dove sta?" Chiesi, notando l'assenza di quella donna. Trascrisse la parola 'caffè'su un fogliettino ed annuii.

Entrò in camera Hanna e la salutai.

"Come va, Abigail?"

"E sotto i ferri la mia amica, quindi non molto bene. Il mio fidanzato mi ha consigliato di distrarmi e ho pensato di venire a trovare sua figlia." Anche lei si dispiaque milto come Aria.

"Cos'ha?" Domandò dispiaciuta.

"Un tumore al seno."

"Non sia quanto mi dispiaccia." Annuii.

"Andrà tutto bene, non ti preoccupare." Mi consolò la signora.

"Quindi c'è l'hai il fidanzato. La scorsa volta mi avevi detto il contrario. "

"È successo tutto stanotte e stamani." Sorrisi al ricordo del suo discorso sulla perfezione.

Mi sentii d'improvviso chiamare. Mi voltai e vidi Cameron.

"È uscita. È in camera." Queste parole. Mi rasserenarono moltissimo.

"Vai cara, vai." Mi spronò la donna. Non me lo feci ripete due volte. Arrivammo in camera e trovai Kristal che mi sorrideva anche se era ancora un po' stordita. A fianco a lei c'era seduta Sharon che ci sorrideva.

"Ti voglio bene." Mi fiondai su di lei e la strinsi forte a me. All'inizio rimase assai colpita da quel gesto ma poi ricambio.
Mi staccaia dopo non so quanto.

"Che stavi dicendo l'altro giorno in proposito di quella ship?" Io ridacchiai e udimmo, uscire dalle labbra di Kristal, un piccolo urletto.

"Voglio i dettagli." Affermò lei. Ri-ecco la mia Kristal.

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