Capitolo quattordici.

"Io non so che dire." Disse Cameron più a sé stesso che a me.

"Non dire niente ti prego. Il silenzio sono le perfette parole che vorrei sentire." Lo strinsi a me più forte, singhiozzando, e lui fece lo stesso, nascondendo il capo tra i miei capelli.

***
"Mi devi ridare quella felpa comunque." Ridacchiai, vedendolo gironzolare nella mia camera in cerca della sua maglia di cui mi ero appropriata qualche giorno prima. Mi sedetti come le gambe a penzoloni, ricordandomi ciò ch'era avvenuto un'ora prima.

"Credo che ti debba delle spiegazioni. " Dissi, scompigliandomi i capelli e guardando verso il basso. Si bloccò, girandosi verso di me ed accovacciandosi davanti a me con le mani sulle mie cosce.

"Non c'è n'è bisogno. Se vorrai parlare, me lo dirai." Alzò di poco il collo e mi baciò e, dopo esserci staccati, appoggiò la sua fronte sulla mia.

"Non hai paura che questi segreti possano distruggere la nostra relazione." Posizionai le mani nei suoi capelli, arruffandoli, e notai il suo sorriso espandersi.

"Credi veramente a quelle frasi fatte? Non sono i segreti ad abbattere una relazione ma le persone. Pensa a Kristal e alla sua storia. La sua relazione è finita a causa di quel Herik che la tradiva, il segreto è stato costruito dal ragazzo." Alzai gli occhi al cielo, sorridendo.

"Possibile mai che devi fare discorsi complicati?" Ridacchiò e lasciò un bacio a stampo.

"Mi piace vedere quella tua faccia buffa mentre cerchi di capire le mie parole. Sei troppo carina." Da un accenno divenne un grosso sorriso il mio, accompagnato dal suo che cercava di trattenere. Ethan fece irruzione in camera mia, facendo un colpetto di tosse ed interrompendo il nostro gioco di sguardi e risa.

"So che cercate di tenere al sicuro la vostra relazione ma, se fosse entrata la dottoressa, non sarebbe rimasta a lungo termine nascosta." Cameron si alzò in piedi e scosse la testa alle parole dell'infermiere, sorridendo. Mi voltai verso il trentenne, al quale pochi secondi prima davo le spalle, e gli sorrisi.

"Che ci fai qui?" Chiese con tono insicuro, rimettendosi sulla sedia a rotelle prima di ricevere qualche richiamo.

"Cameron la Hersen vuole parlarti ma non chiedermi di cosa perché non ne ho la più pallida idea." Prima di uscire dalla stanza, si voltò e mi sorrise.

Mi sdraiai sul letto e buttai le mani sul mio viso, cercando di trattenere quell'enorme sorriso che mi era apparso vedendo quello di Cameron. Tirai un piccolo urlo, ridacchiando tra me e me.

"Devo chiamare la psicologa?" Domandò la ex bionda, sogghignando. La guardai male, continuando a sorridere nonostante tutto.

"Credo che tu stia per impazzire." Travolta rise fragorosamente ed io la seguii a ruota.

"Vado da Sharon, vieni?" Disse, raccattando alcune riviste dal letto, ma scossi il capo. Da quando si era instaurata un'amicizia tra quelle due, la rossa stava migliorando. Sorrideva più stesso ed avevo udito da una dottoressa dire che mangia di più, rispetto a poche settimane prima.

"Mi trovate in pediatria se avete bisogno." Le sorrisi, uscendo da camera e dirigendomi al quarto piano.

"Posso?" Bussai e, non rivedendo alcuna nessuna risposta, decisi di entrare. Vidi la piccola Aria fissare il panorama, inginocchiata su una sedia.

"Piccola." Sentendo la mia voce, si voltò sorridendomi e salutandomi con la manina.

"Mamma dov'è?" Scese dalla sedia, prese un fogliettino e, dopo aver scritto qualcosa sopra, me lo mostro. 'Casa' aveva trascritto.

"Vieni con me?" Le chiesi sorridendole e la bambina annuì. Mi avvinai a lei, la presi in braccio e la feci sedere sulle mie gambe.

"Tieniti forte." Mise le mani dietro il mio collo, aggrappandosi. Percorsi un paio di corridoi prima di arrivare in una sala dove rare volte si radunavano i bambini e giocavano. Aprii la porta e la feci scendere.

"Eccoci qui." Si guardò intorno stranita ed inclinò il capo verso il lato sinistro, osservandomi.

"Siediti." C'erano diversi tavolini rotondi, affiancati da sedie colorate, come negli asili, e lei si accomodò su una di essere.

Presi, da uno degli armadietti, dei fogli, dei pennarelli, della tempera e dei pennelli. Li poggiai sul tavolo e vidi Aria trattenere un sorriso.

"Dipingi, disegna, mostrami ciò che ti rende felice." Mi indicò con i suoi grandi occhi puntati su di me.

"Anch'io?" Annuì, alzando il pollice verso l'alto e mostrandomi un bellissimo sorriso a trentadue denti.

***

Io disegnai mia madre mentre lei delle note musicali.

"Ti piace la musica, allora?" Annuì soddisfatta del tuo lavoro ma sporca di tempera su tutte le mani e un po' sulla faccia. Lei indicò il mio foglio, inclinando la testa da un lato, ed io sorrisi al solo ricordo di quella donna di cui non ricordavo nulla.

"Questa è mia madre." Sorrise, scrivendo su un foglio 'Anche mia madre mi rende felice' e sorridendomi. 'Mi canti qualcosa?'. Ciò che scrisse su un'altro fogliettino, mostrandomelo successivamente.

"Ti do la timidezza che a volte sembra poco, però, nasconde molte più cose importanti. Perché da qui, da questa strana porzione di vita, la verità è che nessuno sa dirti dov'è e dove andrebbe cercata." Mi avvicinai a lei, tenendole la mano che si affrettò ad afferrarla.

"E poi c'è questa cosa che chiamano cuore, che riempe le canzone, che aspetta e lo sa." Intinsi il dito nella tempera rossa e misi l'indice sul suo nasino, sporcandolo.

"Che cadono le ombre sotto le suole se metti il viso al sole. Se giri il viso al sole." La vidi sorride e fare tante giravolte mentre continuavo a ripete le parole delle canzoni.

"Ti do la differenza tra quello che volevi e quello che hai è solo un altro modo di osservare. Perché da qui ci sembra tutto così gigante ma poi non è che un labirinto di piccole strane sotto ad una lente." Mi sporcò anch'ella il naso con la tempera ma questa volta di colore giallo, espandendo ancora di più il suo sorriso.

"E poi c'è questa cosa che chiamano cuore, che riempe le canzoni, che aspetta e lo sa. Che cadono le ombre sotto le suole, se metti il viso al sole." Le feci fare una giravolta e poi un'altra.

"Se giri il viso al sole." La misi in piedi sul tavolino e lei cominciò a fare strani passi di danza, seguendo le mie parole.

"E non li odio più questi vent'anni lanciati coi dadi. Perdonali anche tu perché, perché da qui può mescolare le carte e la vita che è appena iniziata."

"E poi c'è questa cosa che chiamano cuore, che riempe le canzoni, che aspetta e lo sa. Che cadono le ombre sotto le suole, se metti il viso al sole. Se tieni il viso al sole." Scese dal tavolino con un salto e mi abbracciò, sorridendo. La strinsi forte finché una voce non ci fece voltare verso l'entrata.

"Siete bellissime." Disse Hanna con gli occhi lucidi e una mano alla bocca, sorpresa ed felice. Ci raggiunse e ci abbracciò forte.

"Grazie per esserle accanto." MI disse in un orecchio prima di staccarsi e stringere sua figlia. Mi vennero le lacrime agli occhi, osservando la scena di madre e figlia che io non avevo avuto.

"Devo parlarti." La voce di Cameron mi riportò alla realtà. Mi avvicinai a lui e gli sorrisi. Non ricambiò.

"Che hai?" Domandai sospettosa, notando quell'aria cupa che non lo affliggeva fino ad un paio di ore prima.

"Andiamo in camera tua, ho bisogno di parlarti."


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