Capitolo nove
"Devo farlo ma non voglio." Singhiozzi, lacrime e piccole urla di disperazioni echeggiavano in quella stanza.
"Vuoi che?" Annuii.
Mi asciugai le lacrime, tenendo lo sguardo rivolto verso il basso.
Mi sedetti sulla sedia a rotelle e lui mi seguì nel bagno della camera.
"Sei sicura? Posso chiamare anche Kristal." Scossi il capo e tirai sul col naso.
"Devo farlo e voglio che ti mi aiuti." Lo guardai dritto negli occhi, quasi supplicandolo.
Poggiò le sue mani sul mio viso freddo e mi lasciò un bacio sulla fronte.
"Ho paura." Sussurrai lenta. Mi fissai allo specchio e passai, un'ultima volta, la mano fra i capelli.
"Ti fidi di me?" Sussurrò, ancora chinato, Cameron ed io annuii. Almeno credevo di fidarmi di lui.
Avevo paura. Non una fobia qualunque, un timore che mi stava logorando dentro e il perchè mi era incomprensibile.
"Allora sappi che tu c'e la farai."
"Perchè mi dici queste cose se sei nella mia stessa posizione?"
"Io sono qui da un bel po', da una normale appendicite a scoprire di avere un tumore al cervello. Sono mesi e mesi che sono ricoverato in queste mura del cazzo e vorrei solo andarmene, scappare via di via. Ma non posso perchè a causa di un fottuto tumore sono incatenato in questo ospedale e non so se riuscirò a rimanere in vita prima di uscirmene." Aveva gli occhi lucidi, rivolti verso un punto indefinito, e lo potevo ben capire.
A nessuno piacerebbe sapere che, molto probabilmente, da un giorno all'altro un tumore si ingrandisca, portandolo alla morte.
Presi tremante il suo viso, costringendolo a guardarmi negli occhi. Sentii il mio respiro affannoso e d'istinto unii le mie labbra alle sue. Durò qualche secondo perchè mi staccai e corsi via dal bagno.
Davanti alla porta, vi trovai Kristal ma la sorpassai e mi diressi in un corridoio vuoto al terzo piano. C'era un balcone abbastanza grande che dava una vista fantastica. Mi alzai all'in piedi e, aggrappandomi alla fredda ringhiera di ferro, sentii il lieve vento di primo giugno, scompigliarmi i capelli.
Da lì di potevano vedere i bambini ridere, correre e giocare nei giardini dell'ospedale, le mamme che cercavano di richiamarli invano, un paio di anziani che guardavano il vuoto e sorridevano, forse ricordando i momenti felici, trascorsi fuori dall'ospedale.
Potrò io correre di nuovo spensierata, richiamare mia figlia per il tardare nel ritirarci a casa, ricordare i momenti vissuti e superati in questo ospedale quando sarò vecchia?
Delle braccia mi avvolsero la vita ma mi staccai, tenendomi ancora appoggiata alla ringhiera e fissando i giardini.
"Voglio stare sola." Mentii.
"Non è vero." La sua voce era calma. Cerco di prendere la mia mano ma i suoi tentativi erano in vano poichè li schivavo.
"Vattene ti prego." Gli urlai esasperata.
"Dimmelo guardandomi in faccia." Mi prese un polso, costringendo i nostri occhi ad incontrarsi.
"Lasciami." Tentai senza successo di liberarmi così ricorsi all'altra mano, la quale era ancora aggrappata saldamente alla ringhiera. Errore. Persi l'equilibro ma, per mia fortuna, Cameron mi prese in tempo.
Mi risedetti sulla sedia a rotelle e rientrai dentro. Prima di chiudere la finestra, mi cadde l'occhio su di lui. Teneva le mani sul viso e sospirava pesantemente.
Mi recai da Sharon. Non sapevo perchè ma avevo bisogno di parlare con qualcuno che non fosse Kristal.
Quest'ultima avrebbe fatto un milione di domande, mi avrebbe fatto ripete un miliardo di volte la scena in cui ci siamo baciati o meglio io l'ho baciato e l'avrebbe presa alla leggera.
"Sharon posso?" La porta era socchiusa così decisi di entrare.
Trovai la ragazza nelle braccia di Morfeo nonostante fossero le... Che ora era?
Lasciai la stanza e domandai al primo infermiere l'orario ma la risposta mi fu negata dalla fretta che aveva il trentenne circa.
Andai di nuovo al quarto piano. Pediatria. Feci il giro per i corridoio e davo la stessa risposta a tutti gli infermieri che mi chiedevano che ci facessi lì: visite.
"La bambina dovrà aspettare un po' di essere operata." Vidi un dottore dirigersi fuori dalla camera... Perchè queste stanze non avevano un numero? Al loro posto erano fissate figure di ogni tipo di animale. Su quella da cui era uscito l'uomo, c'era una coccinella.
"Disturbo?" Bussai alla porta e vi entrai. Era una stanza colorata di giallo e c'erano solo due letti, uno di questi occupati da una bambina dai capelli rossi, quella fanciulla di un paio di giorni fa.
"Chi sei?" Mi domandó una donna, presunevo fosse la madre.
"Una paziente dell'ospedale." Feci spallucce e mi avvicinai ala bimba che mi sorrideva.
"Come vi conoscete?"
"Eravate al piano terra qualche giorno fa?" Annuii.
"Ho visto questa bella bambina che sorrideva e sono rimasta incantata dal suo sorriso, devo dire."
"Sai che è muta?" Scossi il capo. Non mi importava che malattia avesse, tanto qui in questo ospedale siamo tutti affetti da qualcosa.
"La bambina ha i suoi problemi, io i miei, tutti in quest'ospedale e all'infuori di esso hanno dei problemi; c'e chi li ha fisici, chi mentali, chi psicologici e via dicendo. Ma il problema che accomuna tutti gli esseri umani è quello di non riuscire ad accettare la verità, la realtà che ci appartiene." La donna abbassò il capo mentre io continuai ad accarezzare ed osservare la creatura. Ripensavo a Cameron e il perchè non riuscissi a dimenticarmelo. Che cazzo di problema mi affliggeva da non poterlo scordare?
"Aria." Disse d'un tratto la donna che poteva avere sui venticinque anni.
"Cosa?" Ritornai con la mente sul pianeta Terra.
"Si chiama Aria e io Hanna." Mi sorrise la donna.
"Mi può dire che ore sono?" Dopo aver parlato del più e del meno, mi ricordai che ancora non sapevo l'orario.
"Le diciannove." Cazzo era tardi, la dottoressa mi avrebbe fatto una delle solite ramanzine. Forse era stato meglio non ritornare in camera. Non mi ero rasata i capelli ma dovevo sistemare le cose con Cameron.
"Devo andare." Hanna mi fermò subito.
"Tu ancora non mi hai detto cosa ti costringe a restare rinchiusa in queste pareti bianche." Le sorrisi.
"Un tumore al cervello." Sospirai, non mi ero resa conto di trattenere il respiro. La donna calò la testa e sussurrò un 'mi dispiace'.
"Non si dispiaccia, va tutto bene." La tranquillizzai e me ne andai.
Salii al sesto piano e mi diressi in camera di Cameron.
"Cam..."
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