Capitolo 13: "Un bacio inciso per sempre"
Dire che la situazione fosse tesa era un eufemismo.
Se solo Alex avesse potuto sarebbe scappato, si sarebbe rigirato e avrebbe buttato all'aria tutte le sue motivazioni, il suo coraggio inutile e soprattutto suo padre.
Gli aveva promesso che lo avrebbe ascoltato, ed era proprio quello che voleva fare, ma lo stava aspettando già da dieci minuti e il giovane si stava maledicendo per la sua insensata e stupida decisione.
Avrebbe tanto voluto che Cameron fosse lì, ma col senno di poi, lasciare il suo ragazzo fuori da quella situazione era stata una cosa positiva.
Non vedeva suo padre da anni, ma lo ricordava come una persona violenta, figuriamoci, se dopo tutto quel tempo, si fosse presentato con una persona al suo fianco, presentandogliela come il suo compagno di vita.
No, meglio non rischiare, era suo padre, era lui che doveva parlarci, Cameron era la sua intera vita, e dopo quell'episodio sarebbe andato avanti con lui, ma prima doveva fare quel passo da solo.
"Alex?" sentendosi chiamare il giovane alzò il volto e incontrò quegli occhi che in men che non si dica, si ritrovò ad evitare.
Gli occhi erano una delle cose che Alex aveva preso dal padre, non se ne lamentava troppo, finché era una cosa fisica; ma si sarebbe odiato se, per caso, in futuro fosse diventato come quell'uomo.
Non si mosse, fu suo padre a sedersi al suo stesso tavolo, davanti a lui, rimanendo in silenzio.
Rimasero ad esaminarsi, Alex alzava qualche volta lo sguardo e notò come era cambiato suo padre.
Era dimagrito, aveva un completo, ordinato, non puzzava di alcool, sembrava lucido e cosciente.
Ma c'erano altre cose che non erano cambiate, come le mani, sempre rovinate dall'ansia, lo sguardo indecifrabile e la rilassatezza dei muscoli, mai contratti per troppo tempo.
"Sei cambiato"
Qualcuno doveva pur incominciare a parlare, ma proprio in quel momento, padre e figlio, avevano deciso di dire la stessa frase, nello stesso momento, all'unisolo.
"Buffo, pensavo non mi avresti rivolto la parola..." disse sospirando l'uomo, accennando un sorriso malinconico.
"Io invece pensavo che non ti saresti rifatto vivo, ma a quanto pare non è così, peccato..."
Era freddo Alex, più di un blocco di ghiaccio, come se quella sua freddezza gli servisse per difendersi da qualcosa di inaspettato, forse un attacco a sorpresa.
"Senti Alex, volevo parlarti di una cosa, successa molto tempo fa"
Alex aveva ripreso a guardare quell'uomo, ma con serietà, forse troppa, quella serietà che forse gli sarebbe servita come scudo.
"A quel tempo io e tua madre eravamo sposati solo da pochi mesi, eravamo troppo giovani, incoscienti, ma poi un giorno lei venne da me, dicendomi di essere incinta" poi si prese una pausa, come poteva dire una cosa del genere a suo figlio, che fino a quel momento era rimasto all'oscuro di tutto.
"Ero io, ok, questa parte la so, puoi anche saltare la parte in cui rovini la vita mia e di mia madre, per favore?" chiese Alex con tutta la cattiveria che aveva in corpo.
"Non eri tu Alex, quello era il secondo aborto di tua madre"
Cosa?!
Ok, doveva ragionare, erano appena sposati, non economicamente stabili e probabilmente hanno deciso così. Probabilmente ai loro occhi era una scelta saggia.
"Tu sei mio figlio, ma i due bambini, precedenti a te, che tua madre non ha voluto portare in grembo... Non erano miei..."
No.
"Ma non è per questo che ha deciso di interrompere la gravidanza, lo ha fatto perché non si sapesse in giro che la moglie perfetta faceva le corna al marito"
No.
"A me non importava, era la donna che amavo e avrei potuto amare quelle creature, anche se non era figlio mio, ma lei non volle così, all'inizio pensavo che fosse così solo perché si sentiva in colpa per avermi tradito"
No.
"E ammetto che il tradimento, divenne il motivo principale della mia rabbia, negli anni a seguire, ma mi sbagliavo. Non era solo per quel motivo, che aveva deciso di non dare vita a quei bambini"
No. No. No.
"Lei non voleva averne, ma il terzo, quel bambino, non glielo ho lasciato uccidere, non ho permesso che mi togliesse ancora la possibilità di avere un bambino con la donna che amavo..."
No...
"Alex, quel bambino eri tu... Ti ho amato, anche quando non ti voleva nessuno, neanche la donna che ti avrebbe dovuto dare la vita e io-"
"Bella storia" disse Alex interrompendolo.
"Peccato che non creda ad una singola parola di tutto ciò" disse alzandosi e lasciando dei soldi sul tavolo, per poi girarsi.
"Immaginavo che lo avresti detto, non posso obbligarti a credermi, ma posso dirti come sono andate le cose" disse alzandosi a sua volta l'adulto.
"Ah, perché ora tu dici il vero eh?!" gli urlò contro Alex voltandosi di scatto.
Ci furono diversi momenti di silenzio in cui i due non smisero mai di guardasi, ma poi, dopo interminabili secondi, Il signor McCardue, posò dei documenti sul tavolo, Alex non si era neanche accorto che li avesse sempre avuti in mano.
"Se non ti fidi di me allora ti lascio ai fatti, grazie della tua attenzione... Addio Alex, ti ho amato figlio mio"
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"Dove vai?" chiese Cameron al suo compagno di stanza.
"A pedinare gente, perché?" disse con tutta la tranquillità del mondo il moro.
Si era già avvicinato alla porta, con l'intento di aprirla e uscire, quando Cameron lo chiamò ancora una volta.
"Non credo sia legale Austin" disse con una nota di preoccupazione nella voce l'altro.
"Infatti si chiama stalking ed è perseguibile dalla legge" aggiunse Jonah, allacciandosi le scarpe, segno che anche quest'ultimo non era intenzionato a rimanere in camera.
"Tu non hai niente di meglio da fare?" chiese acido Austin.
Ogni giorno che passava, a Cameron, quei due sembravano sempre di più due gatti intenti a litigare, si soffiavano, si minacciavano, si graffiavano e facevo di tutto per rendere la vita dell'altro un inferno. Avrebbe riso di quella situazione, se non si fosse trovato anche lui in quel pasticcio, ovviamente.
"Si, stavo per uscire, così almeno non vedo il tuo brutto muso" disse Jonah scansando Austin e uscendo dalla parta.
Era abituato, ogni giorno, a correre, almeno un'oretta.
Il campus gli piaceva, soprattutto a quell'ora tarda, dove ancora c'era abbastanza luce, ma era troppo fievole per accecarlo, con quei riflessi arancioni e rossi, tipici del tramonto.
Correva dal dormitorio fino alla mensa, poi fino agli uffici, da lì fino al campo di football, poi di fianco alla palestra e agli spogliatoi, infine tornava indietro tagliando per il cortile che attraversava quasi tutto il campus.
E anche in quel momento era intenzionato a fare il suo solito giro, almeno fino a che il suo sguardo non si posò su una bellissima chioma color nocciola.
Così si avvicinò lentamente alla figura che si stava tranquillamente riposando, cullata dagli ultimi raggi del sole che gli illuminavano il volto riposato.
Aveva le palpebre chiuse e gli auricolari nelle orecchie, mentre le sue ciglia tremavano leggermente insieme agli occhi, segno che si era accorto della presenza di qualcuno.
Pian piano quella piccola e dolce creatura si stava svegliando e Jonah era sicuro che quello fosse uno degli spettacoli più belli al mondo.
"Buon giorno bellezza" sussurrò Jonah, facendo così destare del tutto Zack che sussultò e spalancò gli occhi, trovandosi davanti l'altro a sorridergli.
"Mi hai spaventato" disse Zack dopo qualche momento di puro panico.
"Scusa..." disse dolcemente Jonah, per poi sedersi di fianco al ragazzo.
Zack ancora un po' titubante abbassò lo sguardo e sospirò pesantemente.
"Ehi, piccolo, qualcosa non va?"
Qualcosa in Zack non andava, Jonah non lo conosceva poi così bene da capire il suo stato d'animo, ma abbastanza da sapere che aveva bisogno di lui, così il più grande si avvicinò lentamente, solo col busto, per poi posare un piccolissimo bacio sulla guancia dello scricciolo di fianco a lui.
Il più piccolo si girò di scatto e si ritrovò davanti gli occhi neri e profondi del suo amato.
"Credi sia possibile innamorarsi in un giorno?" chiese titubante senza più staccare gli occhi da quelli di Jonah.
"No, magari potrebbe piacerti qualcuno, ma in giorno non credo, ma forse in una settimana è possibile"
Zack rimase sorpreso, come se qualcuno gli avesse appena gettato addosso una secchiata d'acqua gelata addosso, per svegliarlo.
"Io credo di essermi innamorato di te in un giorno, quando ci siamo incontrati..." disse imbronciandosi il più piccolo, era come se Jonah gli stesse dicendo che non lo amava.
"Io invece credo di aver maturato, fino ad ora, un sentimento man mano più forte, per un ragazzo bellissimo, dolcissimo, che mi ha fatto girare la testa e che amo alla follia... Peccato non sia presente..."
Zack lo guardò malissimo, non capiva cosa intendesse fare quel ragazzo, ma era stanco, aveva passato una giornata snervante e piena.
Non aveva voglia di sopportare altri piagnistei.
Quindi il più piccolo si alzò tranquillamente e si girò, per andarsene, ma due braccia gli circondarono la vita, da dietro, trattenendolo.
"Non è presente perché la sua mente è altrove, e magari potrebbe accorgersi che sto parlando di lui e darmi finalmente un bel bacio..." disse Jonah dopo avervi baciato la nuca.
Ah, era quello che intendeva dire il suo amore?
Si rigirò in quel strano abbraccio e si strinse al petto di quel meraviglioso ragazzo.
"Scemo, potevi anche dirmi che volevi un bacio, senza girarci troppo intorno" disse per poi alzare lo sguardo e posare finalmente le labbra su quelle dell'altro.
Era uno spettacolo indecente, indecente e bellissimo.
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"Chistopher si è accorto della nostra relazione..."
"Cosa?! E come ha... Aspetta... Chi è?"
Ah, è vero, Jonah non conosceva i compagni di stanza dell'altro, li aveva visti da lontano, sapeva solo che erano entrambi dei ragazzi nella media, niente di particolare, forse uno dei due era più basso, ma non si ricordava se era il castano o il biondo.
"È un ragazzo molto simpatico, mio compagno di stanza, probabilmente l'hai visto qualche volta" disse Zack con una nota di entusiasmo di troppo nella voce.
"Mh... È il biondo o il castano?" chiese fingendosi interessato Jonah.
"È biondo, magari in giorno te lo presento!"
"Ma anche no" pensò Jonah.
Non gli piaceva molto fare amicizia con la gente, poi a quanto ricordava, era proprio quel ragazzino che quella volta stava per baciare Austin; se così fosse si era già guadagnato una reputazione orribile per un equivoco.
Probabilmente gli aveva fatto paura, ma non aveva niente contro di lui, probabilmente era solo nel posto sbagliato e nel momento sbagliato.
Ma ora che ci pensava...
"Sai per caso se lui e Austin stanno insieme?" chiese sciogliendo finalmente quell'abbraccio e porgendo i vestiti all'altro.
"No, però mi sembra di aver capito che Chris ha una cotta per quel tipo... Hai visto i miei pantaloni?" chiese mentre con lo sguardo cercava gli indumenti e si metteva anche la maglia.
"No, non so dove siano i tuoi pantaloni amore, ma quella è la mia felpa" disse Jonah ridendo davanti alla faccia confusa dell'altro.
Gliela lasciò, lui non ne aveva bisogno i quel momento, però iniziava ad essere tardi, sarebbe stato più opportuno muoversi.
Così si sbrigarono a vestirsi e in men che non si dica uscirono dalla palestra, per tornare al dormitorio, ormai era quasi ora di cena e molte persone erano uscite per vedersi prima con amici, altri per un aperitivo, altri ancora solo per godersi un po' di fresco, in ogni caso non era possibile che i ragazzi innamorati si potessero palesare, quindi, scese ancora una volta quel pesante silenzio e quella inutile tensione che non piaceva a nessuno dei due.
Stavano per girare verso il dormitorio, quando Zack si fermò, si girò di scatto e iniziò a correre, seguendo una voce.
Jonah non se ne era accorto, ma ora la sentiva chiaramente e quando seguì Zack poté capire da chi proveniva quella voce; certo che quel ragazzino fuori dai guai non ci stava mai.
"Michael, non può andare avanti così, per favore, lasciami in pace!"
Christopher era contro un muro e un ragazzo era davanti a lui, alto, imponente, quasi spaventoso, lo teneva bloccato, aveva un volto adirato, quasi stesse per esplodere.
"Mi sono stancato, ti prego giorno e notte, non capisci che ho bisogno di te?!" disse con tutta la rabbia e la sofferenza che aveva in corpo Michael.
"Ma non è di te che ho bisogno io, ti prego, basta, non che la faccio più!" disse Christopher sull'orlo del pianto.
"Chris!" urlò Zack cercando di avvicinarsi per aiutare il biondo.
"Che palle, stanne fuori tu!" urlò a sua volta Michael aggredendo quasi Zack.
Ma Jonah non ce la faceva più a guardare, avrebbe risolto quella situazione, con la forza se necessario.
"Non ti abbiamo fatto niente, lascia stare quel ragazzo e nessuno si farà male" disse severo Jonah, mettendosi davanti a Zack, per proteggerlo, e avvicinandosi a Chris, per aiutarlo.
"Sparite, non ho voglia di litigare!" disse per poi tonare con lo sguardo su Chris, prendendogli anche il colletto della maglia e sollevandolo quasi da terra.
"Hei basta! Mettilo subito giù! Brutto-" Jonah si interruppe.
Aveva capito poco della situazione, aveva visto solo quel ragazzo, che fino a poco fa era in piedi, disteso a terra e Austin dietro di lui, col fiatone e i pugni serrati.
"Stagli lontano!" faceva paura.
Qualcosa non andava, Jonah non aveva mai visto Austin così arrabbiato, mai; quel ragazzino doveva essere davvero importante per lui.
Mentre Michael si rimetteva in piedi Jonah aveva arretrato, per andare da Zack, che a sua volta gli si era avvicinato, si strinse tra le spalle e lasciò che il braccio dell'altro gli cingesse le spalle e lo tenesse vicino.
In quel momento non gli importava che qualcuno li potesse vedere, aveva solo paura per la persona che amava di più al mondo.
"E si può sapere chi sei tu?!" sbraitò Michael contro Austin.
"Non ti interessa, sappi solo che non ti devi più avvicinare a lui" disse il moro intercettando il pugno che l'avversario stava per tirare.
Però non contò la ginocchiata che lo colpì in pieno stomaco e lo fece piegare per qualche secondo.
"Austin!"
Però anche Michael, dopo aver assestato il colpo, ne ricevette uno e così via.
"Basta! Vi prego!" continuava a urlare Christopher mentre delle calde lacrime gli solcavano il viso.
"Vattene!" gli rispondeva Austin, forse per proteggerlo o forse per non farlo assistere a quello spettacolo orrendo.
Jonah forse non poteva fermarlo, ma di sicuro poteva almeno aiutare Chris.
Gli fece cenno con una mano di avvicinarsi di più a lui, ma questo sembrava spaventato, praticamente pietrificato, così fu Jonah a muoversi, tenendo Zack solo per mano, senza mai lasciarlo, tirando il biondo leggermente indietro per un braccio e, in quel momento la cosa che gli risultò più naturale fu quella di tenere al suo fianco quella piccola creatura.
Lo avvolse un mezzo abbraccio, costringendolo, almeno in parte a girarsi, mentre Zack ancora tremava dalla paura.
Quella situazione non poteva continuare, ma fu un altro urlo di Chris ad interrompere il tutto, aveva alzato la voce di molto e si era stretto a Jonah, urlando quella supplica che fece cessare tutto.
In quel momento di stallo Jonah corse dai due litiganti per separarli e allontanare definitivamente Michael da Austin, che ancora stava respirando a fatica.
"Vattene e non diremo niente al preside, sai che sei in torto, quindi..."
"Ho capito, ho capito, ma non finisce qui!" disse Michael interrompendo Jonah.
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Cameron era intento ad assaggiare il suo Milkshake, camminando fino all'ingresso della P.C.A.
Lì intravide Alice, bella e perfetta come sempre, come se la ricordava.
Si avvicinò gettando via il contenitore della bevanda e alzando la mano in segno di saluto.
Non si somigliavano molto, forse avevano qualcosa in comune, come la passione per la musica o la passione per gli sport, ma niente di più.
Lei aveva i capelli marroni scuri e gli occhi verdi, anche essi abbastanza scuri, mentre lui non aveva niente di quell'aspetto fisico, però in compenso era più alto e robusto della sorella, che paragonata a lui sembrava una bambina.
"Cameron!" appena lo vide Alice si mise a correre, rischiando più volte di cadere, per colpa dei tacchi, ma appena gli arrivò vicino si lanciò per abbracciare il fratello che non vedeva da tanto.
"Mi sei mancato così tanto fratellino" disse mentre il fratello aveva deciso di rispondere a quella stretta, seppur timidamente e con meno slancio.
"Almeno qualcuno, del mio passato, mi apprezza ancora..." pensò Cameron.
Poco dopo la sorella si staccò e mise le mani rigide sulle spalle del fratello, per allontanarlo, poi il suo sguardo si fece sottile ed iniziò ad ispezionarlo.
"Sei cambiato!" urlò quasi, nel vedere di nuovo il suo fratellino adorato.
"Beh, è passato quasi un anno, è normale... Invece tu sei sempre uguale" rispose Cameron sorridendo timidamente.
"Ma come?! Non noti niente di diverso?! Davvero?!"
... Avrebbe dovuto?
"Ehm... No" alla risposta di Cameron però la sorella sembrò quasi triste.
"Mi sono tagliata i capelli, ora sono molto più corti!" ah, davvero?
Proprio non riusciva a capire, Cameron era molto attento ai particolari, per esempio quando Alex gli mentiva lo capiva subito, anche quando gli teneva nascosto qualcosa, capiva subito quando era meglio che stesse da solo o se avesse bisogno di lui... Eppure, quando non era con Alex, non si accorgeva di niente e nessuno.
I due fratelli si spostarono di poco, andando su una panchina nel parco del campus.
"Questo si che è un bel posto, certo che te lo sei scelto proprio bene!"
Una cosa che di sicuro non era cambiata, in Alice, era la sua gioia, era sempre felice, era raro che fosse triste e quelle poche volte che non stava bene, faceva di tutto per risolvere la cosa al più presto, per poi tornare a sorridere come sempre.
Cameron invece non ne era capace, anche se, fin da piccoli, dicevano tutti che lui e i suoi fratelli avevano tutti lo stesso sorriso.
Non gli piaceva essere paragonato ai suoi fratelli, ma quando vedeva Alice sorridere, allora non gli dispiaceva troppo avere lo stesso sorriso della sorella.
"Ho dovuto, non potevo restare a casa" disse il ragazzo con un sorriso amaro sulle labbra.
"È vero, Daniel è stato crudele" disse la sorella sospirando e imbronciandosi.
Alcune volte sembrava proprio una bambina, eppure era la secondogenita, ed era anche molto matura, solo che spesso non lo dimostrava.
"Lo sai benissimo che non me ne sono andato solo per quello..."
"Lo so... Ma da quando te ne siete andati c'è sempre più tensione, nessuno lo ammetterebbe mai, ma lo sappiamo tutti, anche quello stupido di nostro fratello si è pentito di averti parlato così"
"Non ci credo neanche se lo vedo con i miei occhi" sospirò Cameron, sapendo benissimo che la sorella stava mentendo per farlo stare meglio.
"Dai, non incominciare anche tu!... Comunque a me e agli altri manchi molto... Puoi tornare a casa se vuoi, mamma e papà sono in pensiero e vorrebbero che-"
"Non se ne parla" la interruppe Cameron.
Non voleva e non poteva tornare a casa.
Tornare avrebbe voluto dire che si sarebbe ritrovato a convivere con una famiglia che lo guardava con occhi diversi, con un fratello ignorante e sopratutto non ci sarebbe stato nessuno ad aiutarlo.
Poi da quel giorno, di due anni fa... Non aveva più motivo di tornare in quella casa.
Poi lì alla P.C.A. aveva degli amici fidati ed aveva trovato l'amore...
Tornare a casa ed andarsene dalla P.C.A. voleva dire abbandonare Alex e questo non lo avrebbe mai fatto, neanche per tutto l'oro del mondo!
"Io sto bene qua, mi piace questo posto, sono riuscito ad andare avanti sai. Nonostante tutto l'ho dimenticata. Ora ho..." questa volta fu Cameron ad interrompersi, però da solo.
Alice lo aveva abbracciato, stringendolo forte e accarezzandogli i capelli.
"Cam, siamo fratelli, non puoi mentirmi... E soprattutto non puoi dimenticarla"
Era vero, lei era troppo importante per Cameron, ma ora ci pensava sempre meno, per fortuna, alcune volte se la ricordava, con quel suo splendido sorriso, così simile al suo, ma poi si risvegliava d quel bellissimo sogno e affrontava la realtà.
Però anche la realtà non era così male, aveva Alex, l'amore della sua vita, Austin, il suo migliore amico, Christopher, che aveva imparato a conoscere, Jonah, quel particolare ragazzo che tanto lo incuriosiva, e ora aveva di nuovo al sua amata sorella al suo fianco...
La realtà non era poi così male, anzi, era davvero bella...
"Comunque cosa stavi dicendo prima?" chiese la sorella staccandosi.
"Ah si, ecco, io mi sono fatto anche qualche amico, volevo dire solo questo" disse Cameron, anche se per un momento gli era passata per la testa l'idea di dirgli di Alex.
La sorella lo guardò perplessa, come se stesse ragionando sopra un problema di algebra più complicato del solito.
"E che mi dici dei problemi di cuore?" disse con un tono melodrammatico da soap opera.
Ecco, ci avrebbe scommesso che avrebbe tirato fuori l'argomento, ma dato che c'era poteva anche parlarne, forse...
"Non ne ho" disse soffocando una risatina il ragazzo.
"Ma come?! Voi giovani avete sempre sei problemi sentimentali, sempre! Perché tu non ne hai?!" chiese la sorella come se si ritenesse offesa dalla sua risposta.
Cameron guardò quella scena continuando a sorridere.
Alice era proprio una bambina, aveva quasi 5 anni in più di lui, ma era molto infantile negli atteggiamenti.
Magari a lei poteva dirlo, in fondo lei lo ha sempre accettato per quello che era, forse sarebbe anche stata felice per lui se avesse saputo che aveva un ragazzo.
"Non ho problemi perché il mio ragazzo è così fantastico da non darmene nessuno" disse Cameron abbassando lo sguardo e addolcendo la voce.
Ora che ci pensava, era la prima volta che presentava Alex come suo ragazzo, almeno sin dall'inizio.
Vide la sorella alzarsi di scatto, come se qualcosa l'avesse punta, riportò lo sguardo su di lei e, appena vide le lacrime sulle guance della ragazza, si allarmò subito.
Forse non avrebbe dovuto farlo, forse era troppo presto!
Perché non ne combinava una giusta?!
"Cam... Tu non hai idea di quanto io sia felice..." disse con voce bassa Alice, portandosi le mani a coprirsi il volto umido.
Cameron l'abbracciò.
Non aveva con sè una famiglia vera e propria, non più, ma aveva comunque delle persone importanti al suo fianco.
Pensava che i suoi fratelli e i suoi genitori lo avessero abbandonato del tutto, ma in quel momento, mentre stringeva tra le braccia la sua preziosa sorella, capì che forse non era stato un male ritrovare un po' della sua vecchia famiglia.
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Dopo quella rissa avvenuta tra Austin e Michael, il moro era stato portato in infermeria, aiutato, anche se controvoglia, da Jonah, dato che ancora aveva difficoltà a camminare con le proprie gambe.
Ci vollero diversi minuti e qualche urlo per far si che Jonah tornasse in camera sua, per non far preoccupare troppo Cameron.
Zack invece, dopo essersi assicurato che Chris stesse bene, aveva deciso di andare ad avvertire Kathrin e Alex.
Ed ora Austin stava riposando tranquillamente su un lettino dell'infermeria, mentre Chris stava ancora rimuginando sopra a tutta quella situazione.
"Potresti anche spiegarmi chi era quel tipo" disse Austin guardando il biondo.
Lentamente il moro provò a tirarsi su a sedere, ma con scarsi risultati, a causa dei giramenti di testa.
"Hai picchiato il mio ex senza sapere chi fosse?" chiese il biondo stupito, alzando un sopracciglio.
Pensava che almeno avesse avuto un motivo più valido, magari si erano già parlati e avevano litigato... Qualcosa del genere insomma.
"Ah... E perché ti perseguita?" chiese Austin riuscendo finalmente a sedersi, anche se con un po' di fatica.
"Non mi perseguita, vorrebbe solo un'altra occasione..." disse il più piccolo guardandosi le mani e iniziando a giocherellare con le dita.
"Strano, ha un modo decisamente particolare per chiedertelo" disse ironicamente Austin soffocando una piccola risatina sommessa.
"Già" disse timidamente Chris.
Austin scese dal letto e si accarezzò i pochi lividi che gli erano rimasti sulle braccia.
"Non vuoi guardarmi?" chiese Austin sospirando e fissando il biondo, che ancora lo ignorava, o almeno ci provava.
"Scusami..."
"Tu non c'entri, però non mi hai risposto" disse Austin avvicinandosi al biondo, che ancora era seduto sulla sua sedia, in un angolo.
Nonostante le parole di Austin, Chris sapeva che quello che era successo, era colpa sua, se avesse respinto con più decisione Michael, tutto quello non sarebbe mai successo e il moro non si sarebbe fatto male.
Austin, probabilmente, era la cosa migliore che gli fosse mai capitata e ha avuto paura di perderlo, ed ancora ne ha.
Ha paura che Austin lo lasci solo, che non lo apprezzi e che lo odi.
Delle lacrime avevano preso a solcargli il volto.
Non ce la faceva più, il ritorno di Michael, la rissa, Austin, tutto quello era troppo per lui, non ce la faceva più.
"Allora? Perché non vuoi guardarmi Christopher?" chiese Austin alzando il volto di Chris, prendendogli il mento con due dita.
Non si era ancora accorto delle lacrime di Chris, ma non ci diede troppo peso, le asciugò con delicatezza e sorrise al biondo che non la smetteva di singhiozzare.
"Chris, piccolo, va tutto bene"
Cosa doveva fare?
Sarebbe potuto essere un sogno, se solo non fosse tutto sbagliato.
Austin era una persona complicata e completamente diverso da lui, violento e arrogante, senza un briciolo di cervello e probabilmente non sarebbe mai stata possibile una relazione tra loro due.
Probabilmente anche Austin alla fine si sarebbe stancato di lui e lo avrebbe abbandonato, ma Chris non voleva restare solo, non più.
Così il biondo si alzò velocemente, scansò Austin e si mise a correre, istintivamente.
Doveva fuggire, da tutto e da tutti, anche da Austin, probabilmente quei sentimenti che provava per quel ragazzo sarebbero rimasti celati per sempre, forse era anche meglio così.
Così nessuno avrebbe sofferto e tutti avrebbero continuato con la propria vita.
La vita gli aveva insegnato che l'amore portava solo guai e sofferenza.
Però, quando sentì una mano prendergli il braccio e girarlo, qualcosa, dentro di se, gli disse che forse ne valeva la pena provare ancora una volta ad amare qualcuno.
"Chris, che ti prende? Ho fatto qualcosa di sbagliato?" chiese Austin prendendolo per le spalle.
Aveva il fiatone, probabilmente l'aveva inseguito e ora si trovavano in uno luogo che non riusciva bene a definire, alla fine riuscì a capire dove si trovasse.
Era nel parco dietro al dormitorio maschile, ecco perché non c'era nessuno.
"No, tu non hai fatto niente, è solo colpa mia" disse Chris con la voce spezzata ancora dai singhiozzi.
"Non dire così"
Quel biondo sembrava così insicuro, quasi spaventato.
Ma questa volta non era spaventato da Austin, ma dalla possibilità di soffrire e di far soffrire anche il moro, perché in quel casino ormai c'erano finiti in due.
"Austin..." provò a dire Chris, senza trovare però delle parole adatte alla situazione.
Doveva spezzare quella tensione, doveva dire qualcosa, ma cosa?
Sanders non ci sapeva fare non le parole, non ne era proprio in grado, figuriamoci se avesse dovuto rassicurare qualcuno.
"Zitto"
Austin non era il genere di ragazzo che si fermava a riflettere e a dire frasi scontate o troppo sdolcinate per essere messe anche nei baci perugina.
No, non era fatto così e se non avesse tra le braccia la persona che più amava, in lacrime, l'avrebbe già strattonato e abbracciato, per tenerlo più vicino.
Ma in quel momento serviva solo la delicatezza e si impose di usarla quando strinse delicatamente a se il biondo, che piano piano stava calmando i singhiozzi.
"Ho paura"
Se non trovava le parole allora forse è perché non ce ne era bisogno.
Non si era mai chiesto come avrebbero potuto essere le labbra di Chris.
Però in quel momento se lo chiese, si chiese come sarebbe stato baciarlo,
"Di me?" chiese un po' titubante Austin, posando una mano sulla guancia bagnata di Chris.
"No, non più" disse Chris alzando lo sguardo e provando a calmarsi, tentativo vano, perché il suo cuore, ora, dopo aver incontrato a metà strada quello di Austin, non voleva più fermarsi.
Quelle parole però servirono anche ad Austin per trovare il coraggio di agire, così, continuando ad accarezzare la guancia umida di Chris, si era avvicinato lentamente e aveva socchiuso gli occhi, per poter continuare a vedere comunque gli occhi del biondo.
Chris invece non sapeva bene cosa fare, ma, nonostante l'indecisione e la paura, aveva comunque rivolto il volto verso quello di Austin e ora andava in contro alle sue labbra.
Prima di quel momento non si era mai chiesto come avrebbero potuto essere le labbra di Chris.
Però ora sapeva come erano, aveva la sua risposta: erano semplicemente perfette.
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