Capitolo 11: "Austin Sanders"

Alex sembrava decisamente più sereno da quando era tornato, anzi, a dire il vero, da quando Cameron gli aveva detto che sarebbero andati da soli in vacanza, che aveva pagato del tutto di tasca sua.
Era quasi un sogno, l'appartamento non era grande, ma era abbastanza per tutti e due.
Era tutto così bello, neanche tutti quei messaggi, inviati da suo padre, erano riusciti a riportarlo nel baratro, perché ogni volta Cameron riusciva a strapparlo alla tristezza.
Ma il problema non era ancora stato risolto, però Alex aveva preso una decisione.
Ci avrebbe parlato, lo avrebbe ascoltato e poi sarebbe andato avanti, con la sua vita, senza che niente potesse più ritirarlo indietro.
Cameron si era un po' opposto a questa decisione, all'inizio, aveva paura per Alex, e questo era normale, ma alla fine, aveva compreso anche lui, che forse era la cosa giusta da fare.
Forse avrebbe fatto male, Alex lo sapeva, ma quella notte, tra le braccia del suo amato, in quella casa, da soli, nel loro mondo, nel loro regno, aveva finalmente compreso che, anche se avesse sofferto, la persona più importante della sua vita, gli sarebbe stato affianco e lo avrebbe curato, nel caso si fosse ferito.
Ed anche ora, nascosti da tutto e da tutti semplicemente si guardavano negli occhi, senza toccarsi mai, semplicemente studiando l'uno i movimenti dell'altro.
Cameron lo guardava semplicemente, con una mano a reggere mollemente il volto, stanco ma rilassato, con quel piccolo sorriso che gli tirava le labbra e scopriva leggermente i denti bianchi e gli occhi fissi su compagno davanti a se.
Mentre Alex stava con gli occhi chiusi, per concentrarsi sulla canzone che stavano ascoltando insieme su quella panchina lontana da tutti quegli edifici, mentre il vento gli somigliava i capelli profumati e chiari.
Cameron prestò per qualche momento attenzione alla canzone, ma poi, subito riguardò lo spettacolo davanti a se, senza allontanarsi troppo, avevano un'auricolare ciascuno, non poteva rovinare quel momento fantastico.
Erano di nuovo nel loro mondo e in del momento niente li avrebbe potuti separare.
"Alex" lo chiamò il ragazzo castano.
Il minore non rispose, solamente aprì gli occhi per guardarlo, e questo già bastò a far proseguire Cameron.
"Sai che ti amo, vero?" Alex sorrise a quella affermazione, lo sapeva benissimo, lo aveva sempre saputo e gli sorrise dolcemente, avvicinandosi.
"E sai che anche io ti amo?" rispose prima di dare a Cameron un bacio casto e dolcissimo.
Un bacio dolce, che era come un sorso d'acqua nel deserto, dopo tutti quei baci, salati dalle lacrime, che si erano dati fino a quel momento.

"Cosa succede?" chiese per l'ennesima volta Christopher.
Erano diversi giorni che non vedeva Austin, aveva come l'impressione che si fosse rinchiuso in camera da solo per tutto quel tempo; poteva essere che c'entrasse il nuovo arrivato?
Se non ricordava male si chiamava Jonah.
Gli aveva fatto una strana impressione la prima volta che lo aveva visto, non perché sembrasse strano, ma gli faceva paura il modo in cui aveva guardato Austin, come se volesse ucciderlo con un solo sguardo.
E dopo tutto quel tempo Austin si era fatto vivo, non lo aveva cercato, e come sempre si erano scontrati, solo che questa volta nessuno si era mosso.
Austin con ancora il capo chino, vicino a quello di Christopher, solleticato dai capelli del maggiore, tanto erano vicini.
E Chris con ancora gli occhi su di lui, con una mano sul petto del maggiore, la stessa mano che prima aveva dei fogli stretti, ora per terra, lasciando su quello spazio ampio qualche piccola carezza, quasi impercettibile.
Infatti Austin non se ne curò, era troppo preso dai suoi pensieri.
"Niente, sto bene" dice sospirando il moro soffiando contro la fronte del più piccolo.
"Non è vero, non mentirmi" chiese quasi supplicandolo dal basso il biondo.
Austin però scosse la testa, come ad eliminare tutto ciò che aveva per la mente, per poi tornare a guardare il più basso che ancora lo osservava preoccupato.
"Da quando ti importa di me? Non mi odiavi?" chiese con un mezzo sorriso ironico sulle labbra.
"No! L'ho detto... Ma è tutto l'opposto, io... Non ti odio"
Il sorriso di Austin questa volta non era ironico, di scherno o di circostanze, no, era vero, e Chris se ne accorse rispondendo allo stesso modo a quella bellissima espressione.
Christopher si sentì stringere al livello dei fianchi, sentendo un braccio di Austin cingerlo, per tenerlo più vicino possibile a se, per sentire quel poco di calore che gli sarebbe servito per non abbandonare quel sorriso, ma per tenerlo, ancora e ancora, perché in quel momento, quella situazione, tutto quello, era perfetto.
Austin provò a portare anche il secondo braccio intorno al corpo di Christopher, ma quest'ultimo intercettò i suoi movimenti e lo bloccò per il polso, arrivando poi con una carezza leggera sul dorso della mano, lasciandoci qualche piccolo ghirigoro, sul dorso della mano, fatto di brividi caldi e amore.
Si strinsero la mano, intrecciando le dita, sperando che non dovessero mai schioglierle.
Chiunque avrebbe potuto vederli nel corridoio, ma in quel momento, quello era l'ultimo dei loro problemi.
"Scusami, per tutto quello che ti ho fatto, scusa" disse ancora Austin distogliendo lo sguardo, seriamente pentito delle sue azioni.
Anche se qualcosa, dentro di lui, gli diceva che, ancora una volta, questa storia non avrebbe avuto un facile e felice finale.
"Non importa, solo avrei preferito mi avessi parlato prima, al posto di evitarmi e ignorarmi" disse Chris cercando di intercettare lo sguardo dell'altro.
"Io non ti ho evitato, sei tu che scappavi ogni volta" disse Austin sospirando.
"Avevo paura che mi facessi del male"
"Ah quindi sono pericoloso per te?"
Chris non capiva, fino a pochi secondo prima si stavano abbracciando e coccolando, mente ora si era leggermente allontanato, facendo pressione con la mano, sul petto di Austin, per guardarlo meglio.
Era uno scherzo, vero?
Poteva mai esserci un momento in cui non litigassero?
Trovavano sempre qualche cosa che rompeva l'atmosfera e faceva passare la voglia, ad entrambi, di stare in compagnia l'uno dell'altro.
"Non ho detto questo, ma a quanto pare non riesci a non ribattere ogni singola parola che dico" disse Christopher lasciando definitivamente la mano di Austin, che, dopo un altro lungo sospiro, aveva ripreso quella sua espressione da cattivo ragazzo.
"Allora preferisci non parlarmi affatto? Come hai fatto per tutto questo tempo?" aveva una voce così arrogante, Chris per poco non lo riconobbe.
Anche se dentro di sé, quel lato arrogante un po' gli piace, perché era sempre arte di Austin, ma alcune volte lo odiava, soprattutto quando lo usava come scudo perle sue debolezze.
Non credeva alle sue parole, era inutile ragionare con Austin in quel momento.
"Adesso che si penso magari è meglio così, se non ti parlo magari non soffrirò" disse Chris girandosi e lasciando Austin da solo, ancora una volta.

-

Kathrin non sapeva più cosa pensare, aveva anche una vita oltre alla sua amicizia con Chris e Alex, ma preferiva stare tutto il giorno coi suoi nuovi amici, piuttosto che vivere quella vita tutta da sola.
Aveva avuto una delle giornate peggiori della sua vita e per una saebbero stati loro ad aiutare lei, perché sapeva che in quel momento era esattamente in bilico tra la autodistruzione e la sua fine, come un funambolo inesperto, prima o poi cadrà.
Entrò nella stanza 210, senza neanche bussare, silenzio.
Come poteva essere che non ci fosse nessuno... Non era solita chiedere aiuto, ma quella volta ne aveva davvero bisogno, più di ogni altra cosa, eppure era sola.
Sentì qualcosa cigolare, probabilmente non era poi così sola in quella stanza.
Alzò il volto e non vide assolutamente niente, sembrava solo che la mente le avesse giocato un brutto scherzo.
"Se cerchi Alex è nel cortile, Christopher invece è scappato senza dirmi niente" disse una voce mezza assonnata.
La rossa seguì quella voce e finì col notare un ragazzo mezzo addormentato sol letto superiore di uno a castello, probabilmente lo aveva svegliato.
"Si scusa per il disturbo" disse Kathrin, cercando sicurezza nelle sue stesse parole. Senza trovarla.
Si girò e con la mano tremante afferrò la maniglia, ma non la abbassò, qualcosa dentro di lei le faceva appesantire tutto il corpo, come se dentro di sé avesse qualcosa di molto più pesante di un cuore, e la sua piccola figura esile non poteva sostenere quel peso. Non in quel momento.
Si sentiva abbandonata, aveva trovato le forze di andare da qualcuno che la potesse aiutare, ma non aveva trovato qualcuno che potesse farlo.
Le gambe le credettero e appoggiò lentamente la fronte alla porta fredda, mentre il respiro le si faceva corto e i sospiri si traformavano in singhiozzi trattenuti e singulti sommessi.
Non avrebbe mai voluto piangere, tanto meno farsi vedere in lacrime.
Ancora una volta abbandonata, non aveva mai chiesto niente, ma ora avrebbe tanto voluto che qualcuno la abbracciare e la stringesse, per farla sentire viva.
Perché ora dentro di lei non c'era più niente di vivo.
Sentì qualcosa di grande e leggero sopra di se, che la ricopriva, coprendola e impedendole di vedere altro, se non la porta davanti a se.
Poi qualcosa da dietro che la stringeva; istintivamente lasciò che un singhiozzo scoppiasse dalle sue labbra e una mano gentile andò a scavare tra gli strati del piumone per stringerle una mano, mentre l'altra la stava stringendo al corpo di quello sconosciuto.
"Scusa io..." la voce stessa di Kathrin si fermò per colpa di un singhiozzo e sentì la presa su di se farsi più salda e poi qualcosa premergli su una parte del capo che era rimasta scoperta.
Quello sconosciuto, una persona che non aveva mai visto e di cui non si ricordava il nome la stava consolando senza sapere niente, abbracciandola in quella calda coperta, baciandola fra i capelli morbidi e le stava sussurrando parole dolci, gentili, come nessuno aveva mai fatto.
"Non so quello che ti è successo e va bene soffrire per qualcosa, ora piangi, ma dopo rialzati, qualsiasi cosa succeda, ricordati che devi andare avanti" disse rimanendo immobile in quella posizione.
"Grazie" non sapeva che altro dire, a quel ragazzo di nome...
"Zack , mi chiamo Zack"

Una delle cose che Jonah proprio non sopportava era essere giudicato.
"Ti ho fatto qualcosa?" chiese al ragazzo che stava facendo i compiti sulla scrivania.
"Si" rispose il moro che era appena uscito da bagno.
"Non parlavo con te" disse con quella leggera nota di acidità che caratterizzava le poche battute che Jonah e Austin si erano scambiati fino a quel momento.
Il moro si girò stizzito, prendendo una felpa da un cassetto a caso, giusto perché così non era costretto a guardare il nuovo arrivato in volto.
"Ah, infatti mi sembrava strano" disse con una piccola risatina di scherno a concludere il tutto.
"Austin..."
"Non chiamarmi per nome!" urlò, quasi, Austin, interrompendo Jonah.
"Ascolta, io ci sono passato sopra, è ora che fu faccia lo stesso, non puoi tenertela legata al dito per sempre!" a quelle parole, finalmente, Austin si girò, per guardare negli occhi il suo nuovo coinquilino.
"Come se potessi dimenticare una cosa del genere!"
In tutta quella situazione Cameron se ne stava fermo alla scrivania, ma dentro di se aveva paura, come se stesse assistendo a uno dei più grandi scontri che l'umanità avesse mai visto.
"Ti devo ricordare chi ha ritirato fuori la questione?!" chiese ironico Jonah, cercando di non alzare troppo la voce, sperando di non svegliare nessuno, dato che era ormai sera.
Anche se Austin a quanto pare non si poneva il suo stesso problema, aumentando addirittura il volume della voce ogni parola che pronunciava.
"Ti devo ricordare chi ha combinato tutto quel casino?!" un urlo; dopo ciò, a Cameron, iniziarono a tremare le dita, poi le mani, le braccia, il busto, il corpo.
Ma stranamente, in quella lunga pausa, il poveretto, non era riuscito a pensare niente che avesse un senso compiuto.
"... Come puoi dire questo? Io non c'entravo niente!" disse col capo chino Jonah, come se fosse stato deluso, forse più da se stesso, piuttosto che da Austin.
"Posso eccome... Scusa Cam, ho bisogno di prendere una boccata d'aria fresca, qui c'è puzza di infame"
Austin non badava molto in quel periodo a Cameron, era preso dai suoi mille problemi, che lo avevano assalito solo da quando era arrivato Jonah.
E dopo l'ennesimo rumore della porta, il silenzio che si era creato divenne ancora più pesante.
"No"
Jonah si voltò di nuovo verso la scrivania, verso Cameron, che poco fa aveva pronunciato quella piccola parola, che apparentemente non significava niente.
"Prego?" chiese Jonah senza capire il vero motivo per il quale l'altro avesse parlato.
"Non ti avevo ancora risposto, tu non mi hai fatto niente"
Ah.
Quello, giusto.
Quasi si era dimenticato di aver posto quella domanda, ma questa volta la risposta lo fece sorridere.
Aveva un sorriso magnifico, forse il più bello che Cameron avesse mai visto in vita sua.
Bellissimo, ma anche molto malinconico e triste.
"Allora perché hai dei pregiudizi su di me?" chiese abbassando il volto e distogliendo lo sguardo.
Per un solo istante Cam avrebbe potuto giurare di aver visto quegli occhi lucidi, come se stessero per versare le lacrime più amare del mondo.
Ma è stato solo per un istante, forse poteva anche solo essere la sua immaginazione.
"Pregiudizi?"
"Avrai sicuramente pensato che sono venuto qua per rovinarvi la festa" disse ridacchiando  e avicinandoso alla scrivania con le mani nelle tasche.
"Forse..." disse Cameron con un velo di ironia nella voce.
"Ecco lo sapevo!" disse Jonah con una voce finta offesa, incrociando le braccia al petto e mettendo su un broncio, che di arrabbiato non aveva niente.
"Scherzavo, però non sembri una brutta persona, solo che Austin è il più caro amico che ho..."
Cameron stranamente stava sorridendo a quel nuovo ragazzo, nonostante avesse invaso i loro spazi e avesse diversi problemi con Austin, non riusciva ad odiarlo o guardarlo troppo male.
Solo non sapeva come decifrarlo, come se fosse un'enigma troppo complicato da risolvere.
Ed in effertti era proprio così: Jonah era un grande e complicatissimo problema.
"Era anche un mio amico una volta..."
Jonah riusciva a passare dalla completa ironia alla totale tristezza, ma era possibile una cosa del genere?
"Poi cosa è successo?" chiese Cameron incuriosito.
"Qualcosa che non doveva succedere" rispose sospirando l'altro.
Ci furono diversi secondo di tensione e silenzio.
Era più che evidente che quello non fosse l'argomento più felice del mondo, per Jonah.
Ma il vero motivo per cui il giovane non si era spiegato era perché sarebbe stato Austin, quando se la sarebbe sentita, a parlarne col suo amico.
Ma poi quel silenzio fu spezzato proprio da Cameron, con l'argomento più stupido del mondo.
"Beh, Jonah, sai qualcosa di algebra?" chiese ironico, senza mai staccare gli occhi dal nuovo arrivato, che ormai si trovava in piedi, davanti alla scrivania,  di fianco a lui.
"Ma certo! Io sono il genio della matematica! Chiamami Einstein!" disse molto ironicamente l'altro, sedendosi sulla scrivania.
Quella battuta scatenò la risata di Cameron, che subito contagiò anche Jonah.

Forse i nuovi arrivati non erano più così male.

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top