12. 'Sì, adesso siamo una famiglia'
L'aria non troppo fredda di inizio aprile mi picchiettò sul viso, facendomi letteralmente rabbrividire. Camminai piano tenendomi in pancione con una mano mentre con l'altra tenevo la borsa. Justin era a lavoro e mi aveva assolutamente vietato di muovermi di casa dato il mal tempo, ma non ascoltai i suoi consigli perché primo, avevo fame; secondo, mi sentivo piena di energie e volevo camminare e terzo, volevo preparare una cena speciale per Justin dato che non avrei potuto preparargliene altre nei prossimi giorni. Ero agli sgoccioli della gravidanza e a breve avrei partorito, sapevo che quelli che vivevo con Justin erano gli ultimi momenti che passavamo insieme da soli e volevo viverli al meglio. Avevo deciso di partorire col cesareo dato che mi era sembrato più sicuro, mi avrebbero ricoverata due giorni prima -quindi il lunedì successivo- e poi avrei partorito mercoledì undici aprile duemiladiciotto. Mi sentivo troppo su di giri sapendo che nel giro di una settimana sarai diventata mamma.
Mi strinsi nel cappotto quando una folata di vento mattutino mi trafisse le ossa. Era venerdì e Justin avrebbe finito di lavorare alle tre per poi andare con Ryan al negozio dove avevamo ordinato le culle per i gemellini siccome non erano ancora arrivate. Avevo tutto il giorno per cucinare e non mi sembrava abbastanza, ero così impacciata nei movimenti che anche per vestirmi ci mettevo trenta minuti. Avere dentro di sé due bambini non era così semplice come pensavo, ma non mi ero mai fatta prendere dall'ansia o dalla paura di non farcela perché Justin era sempre al mio fianco, pronto a sostenermi. Inoltre, durante gli ultimi giorni riuscivo a respirare di più perché la pancia si era notevolmente abbassata. La cosa che più mi stancava erano le piccole contrazioni che ogni tanto avevo, inizialmente erano lievi ma negli ultimi giorni stavano diventando più frequenti e dolorose. Pensavo fosse normale dato che ero alla fine della gravidanza ed ero decisa ad aspettare due giorni invece di chiamare il ginecologo che, povero, durante gli ultimi mesi mi aveva sentita molto spesso.
Dopo la cena di Natale, io e Justin avevamo deciso di trasferirci al più presto nella nostra nuova casa. Era una villetta accogliente ad un solo piano ma con la mansarda e composta da tre camere, una cucina, due bagni, il salotto che fungeva anche da sala da pranzo, uno sgabuzzino, il garage e un grande giardino. La sentii subito mia. Da quando ci eravamo trasferiti lasciando definitivamente le nostre vecchie vite, mi sentivo tutt'altra persona. Mi sentivo più matura e responsabile, mi sentivo capace e sicura. Era Justin la mia sicurezza.
Avevo deciso di vendere la casa di mia madre ma di tenere tutto ciò che era suo per poter tener vivo il suo ricordo ed ero contenta di questo, perché dopo quella scelta mi sentii subito più leggera. Anche se i miei nonni non erano stati molto d'accordo con la mia scelta, ero io la padrona dell'edificio e decidevo io cosa fare. Loro non mi erano mai stati presenti e, per quanto li volessi bene, avevano un campo d'azione limitato. Mio padre, invece, mi aveva appoggiata e aveva deciso di starmi vicino durante la scelta di ogni mia decisione. Negli ultimi quattro mesi avevamo stretto un rapporto bellissimo, un vero rapporto padre/figlia. Veniva a trovarmi spesso e ogni qual volta mi vedeva, salutava prima i suoi nipoti e poi me. Inutile dire che facevano lo stesso anche Ryan e Chaz.
"Baby?" mi girai di scatto sentendo la voce di Mitchell.
"Mitch!" gracchiai saltandogli al collo.
"Che ci fai qui?" mi chiese chinandosi per darmi un bacio sulla pancia.
"Cosa posso fare in un supermercato?" gli chiesi a mia volta ridendo leggermente. Mitchell mi guardò sbuffando e mi prese sotto braccio.
"Justin uccide prima me e poi te se scopre che sei uscita"
"Casa nostra è dall'altra parte della strada" mormorai, guardando tutto ciò che avevo scritto sulla lista della spesa. "Sono due giorni che non esco. Mi sento chiusa in trappola"
"Lo so, ma sei anche al nono mese di gravidanza e Justin è super in pensiero per te" mi strinse leggermente la mano sorridendomi.
"Non mi sono mai sentita così carica, Mitch. E' una cosa che non posso spiegare! Respiro meglio dopo mesi e mi sento in grado di muovermi per ore. Pensa che stamattina ho pulito tutta la casa e ho anche preparato la borsa che mi servirà quando mi ricovererò. È assurdo, non trovi?" presi distrattamente un pacco di farina dallo scaffale e lo inserii all'interno del cestino che avevo preso poco prima. Cercai di ignorare una contrazione che ebbi alla pancia e anche l'improvviso bisogno di andare in bagno.
"Sì, è assurdo. Penso di non aver mai visto una donna alla fine di una doppia gravidanza che ha voglia di muoversi" mormorò ridendo leggermente. Gli picchiettai il braccio e continuai a camminare sentendo il dolore alla schiena aumentare.
Non dissi nulla a Mitchell che, come Justin, pensava che fosse meglio per me restare a casa. Forse avevano ragione, ma allo stesso tempo non riuscivo ad ascoltarli. Sentivo il bisogno di camminare, non mi faceva pensare alle contrazioni e al mal di schiena, addirittura non pensavo nemmeno alle perdite gelatinose che avevo da un paio di giorni. Mi sentivo frastornata e non parlavo di questo con nessuno, lo avevo accennato solo a Pattie e mi aveva espressamente detto di stare tranquilla perché era assolutamente normale durante quegli ultimi giorni. "Vieni, ti accompagno a casa" mi disse Mitchell porgendomi il braccio che afferrai al volo. Mi prese le buste pesanti dalle mani e, lentamente, mi portò a casa.
"Posso offrirti qualcosa?" gli chiesi entrando in casa e prendendogli le borse che mi aveva gentilmente portato. Le poggiai sul tavolo in cucina e mi girai, trovando il fratello di Ryan indaffarato ad aprire un pacco di patatine. "Come se fossi a casa tua" mormorai scuotendo il capo, senza però smettere di sorridere.
"Questa è casa mia, baby" mi fece l'occhiolino, dopodiché continuò a mangiare.
Mitchell era diventato un po' come il mio fratellino minore, anche se in realtà aveva la mia stessa età. Mi trovavo bene in sua compagnia e mi piaceva tantissimo dargli consigli su come conquistare le ragazze della sua scuola, dato che lui andava ancora a scuola. Ryan, invece, era diventato parte di me, così come lo era diventato Chaz. Erano i miei migliori amici, i miei body-guard, gli zii per eccellenza. Li amavo, ma non come amavo Justin. Be', lui era il mio tutto e basta.
Dopo aver scambiato un paio di chiacchiere, Mitchell andò via siccome doveva tornare a scuola, mentre io invece mi concentrai sul mangiare qualcosa evitando di pensare troppo al dolore derivante dalle contrazioni. Mi rilassai guardando in tv 'Spiderman - Homecoming', che era diventato la mia droga, e solo verso le quattro cominciai a cucinare per la cena che io e Justin avremmo avuto. Avevo intenzione di preparare gli spaghetti alla bolognese, che erano il suo piatto preferito, e un arrosto di pollo al forno con patate, il mio piatto preferito. Poi volevo fare una torta di mele. Dato che tutto sarebbe dovuto essere pronto per le sette, mi misi subito al lavoro e cominciai a cucinare proprio come la mamma mi aveva insegnato.
Indossai il grembiule, il cappello da cuoca, accesi lo stereo e mi dilettai in cucina sulle note di One More Time di Craig David. Avevo ascoltato così tante volte le sue canzoni che pensavo che i miei bambini, una volta nati, non avrebbero pianto, ma avrebbero cantato Seven Days a squarcia gola.
Il tempo, in cucina, sembrò volare. Prima che Justin potesse arrivare, preparai la sala da pranzo in modo tale da ricreare un'atmosfera calda e romantica. Accesi più di una candela, inserii un CD di musica classica, adagiai sulla tovaglia bianca dei petali di rosa. Volevo che fosse tutto perfetto. Controllai un'ultima volta il dolce, accesi la fiamma sotto la pentola in cui avrei cotto la pasta e salii in camera a prepararmi per come meglio potevo. Indossai un abito rosa con le maniche in pizzo, stretto sul seno ma che cadeva morbido lungo la pancia aprendosi in veli di tulle. Intrecciai i capelli di lato, mi truccai leggermente e tornai in cucina pronta a chiamare Justin per sapere quando sarebbe arrivato, ma non ce ne fu bisogno.
"Afrodite" sussurrò il mio nome, sbattendo più volte le palpebre.
"Justin" mi sentii vulnerabile sotto il suo sguardo. Era così bello. "Sei in anticipo"
"Sono perfettamente in orario, a dire il vero" sentenziò, avvicinandosi. "E tu sei bellissima" constatò accarezzandomi lentamente il fianco, fino a fermare la sua mano sulla mia pancia. "Dobbiamo festeggiare qualcosa? Tipo il nostro anniversario?"
"Non ci conosciamo nemmeno da un anno" mormorai incrociando i suoi occhi. Un sorriso si dipinse sui nostri volti. "Va a lavarti, ho preparato la cena" gli dissi velocemente staccando la sua mano dal mio fianco. Mi girai e feci per andare in cucina, ma mi prese per un polso.
"Un bacio non me lo dai?" soffiò al mio orecchio.
E cos'altro potevo fare? Solo girarmi, allacciare le dita dietro al suo collo e sprofondare sulle sue morbide labbra.
Ogni volta, quando lo baciavo, sentivo le farfalle svolazzarmi nello stomaco e la testa girare. Erano mesi che ormai stavamo insieme definitivamente, ma non riuscivo a non provare tutte quelle emozioni ogni qual volta mi baciava o mi accarezzava o semplicemente mi guardava. Amavo ogni cosa di lui. Sopratutto quando dimostrava di amarmi a sua volta.
Con uno schiocco terminò il nostro bacio. Justin mi accarezzò il viso e mi diede un ultimo bacio a stampo per poi scomparire dalla mia vista per andare a lavarsi. Solo in quel momento mi resi conto dei due enormi scatoli in corridoio contenenti le culle. Contenta più che mai ed elettrizzata, corsi in cucina e calai subito della pasta per me e Justin. Quando questa si cosse, feci giusto in tempo a preparare i piatti che Justin venne in mio aiuto pulito e profumato. Indossava un paio di pantaloni eleganti color denim, una camicia azzurra e addirittura il papillon. Era stupendo. Ed era mio.
"Da a me" mi disse, prendendomi entrambi i piatti dalle mani. Senza obiettare lo lasciai fare e, mentre lui portava tutto in cucina, infornai il ruoto con l'arrosto di pollo per farlo riscaldare dato che lo avevo già cotto qualche ora prima. "Ti sei data da fare" contestò Justin prendendomi la mano da sopra al tavolo. "Hai perfettamente riprodotto una serata romantica"
"Quindi ti piace?" gli chiesi e lui annuì. "Ne sono contenta. Volevo passare più tempo possibile con te prima della nascita dei gemellini. So che mi prenderanno molto tempo ed io non voglio trascurarti quindi avevo pensat-"
"Non mi trascurerai" Justin mi interruppe violentemente guardandomi negli occhi. Sbattei un paio di volte le palpebre notando quanto serio fosse. "Ci prenderemo cura dei nostri piccoli insieme. Ci sosterremo a vicenda. Lo sai" mi rassicurò addolcendo lo sguardo, mi feci scappare un piccolo sorriso.
"Mi fido di te" gli strinsi la mano dolcemente provocando il suo sorriso. "Adesso però mangiamo che sto morendo di fame" mormorai ridendo, Justin rise a sua volta.
"Sai, penso di essere fortunato ad averti. Oltre ad essere bellissima, sei un'ottima cuoca" constatò con la bocca piena, probabilmente affamato quanto me. O più di me.
"Mi fa piacere sentire che la cena sia di suo gradimento, signor Bieber" scherzai alzando gli occhi per guardarlo. Con la bocca sporca e piena era ancora più tenero di quanto solitamente fosse.
Anche se stava per diventare papà, era un bambino in tutto e per tutto. Ma lo amavo anche per questo. Finimmo di mangiare il primo e anche il secondo, sempre ridendo e scherzando. Solo ogni tanto eravamo seri, la maggior parte delle volte ridevamo come se non avessimo altro da fare. Mi soffermai a pensare a quante cose fossero cambiate in nove mesi. Justin era diventato praticamente tutto il mio mondo, anche se all'inizio sembravo la persona che più odiava. Dall'odio eravamo passati ad amarci e non me ne pentivo, anzi. Ero la donna più felice del mondo.
Justin mi aiutò a sparecchiare e a lavare ciò che avevamo sporcato, dopodiché tornammo in salotto poggiando la torta sul tavolo ancora apparecchiato. Dopo tutto quello che avevo mangiato non avevo così tanta fame, ma la voglia di assaggiare quella torta era più forte dello stomaco pieno. Mi alzai dal divano sul quale mi ero seduta con Justin a fatica date le contrazioni che non mi avevano affatto abbandonata durante tutta la serata. Mi stavano infastidendo, erano più frequenti e non mi lasciavano in pace. Nonostante ciò arrivai al tavolo senza che Justin si accorgesse del mio piccolo problema e tagliai per entrambi un paio di fette di dolce, che mangiammo seduti sul divano.
"Tu sei sensazionale" mormorò Justin con la bocca piena ed io semplicemente sorrisi. I complimenti che mi faceva erano in assoluto quelli che più preferivo. "Dai, vieni qui" mi disse, aprendomi le braccia. Portai le gambe sul divano e poggiai la schiena al petto di Justin in modo tale che le sue braccia potessero circondarmi il corpo. Mi lasciai accarezzare il viso, le spalle, il seno, la pancia. Quando Justin passò la mano sulla pancia, trasalii.
"Senti" gli dissi, portando la mano nel punto esatto dove avevo sentito muovere.
"Stanno calciando?" mi chiese, eccitato come un bambino. Annuii sentendo della pressione dall'interno spingermi la pelle. "Oh mio Dio, stanno calciando!" esclamò Justin portando entrambe le mani sul mio ventre. "Non ti fanno male?"
"Non molto" mormorai stringendo le sue mani sul mio ventre. Chiusi gli occhi e mi beai della situazione che si era appena creata.
"Amori di papà.." sussurrò Justin al mio fianco. Sorrisi sentendo il suo tono di voce. Sembrava felice. "Sapete a cosa stavo pensando?" fece una breve pausa, mi girai verso il suo viso corrugando le sopracciglia.
"A cosa?" chiesi, incrociando il suo sguardo.
"Be' stavo pensando che sì, insomma.. non sarebbe male se noi potessimo, sì, potessimo.. sposarci, ecco, sì, sposarci" Justin balbettò, guardando per un attimo il vuoto, poi di nuovo i miei occhi. Rimasi immobile sbattendo le palpebre come avevo fatto ormai troppe volte quella serata.
"Cosa?" sussurrai, incredula.
"Vorresti diventare mia moglie?" chiese con più decisione, facendo così accelerare i battiti del mio cuore. L'uomo che amavo, con cui stavo per avere ben due figli, mi aveva appena chiesto diventare sua moglie. Mi aveva appena chiesto di sposarlo. "Io non voglio darti fretta, so che probabilmente questo è un passo grande e so che forse non ti senti ancora pronta però io pensavo-"
"Sì" sussurrai, distrattamente.
"Sì, pensavo che sposandoci avremmo garantito un futuro migliore ai nostri figli così mi sono detto.. aspetta, cosa?" sbottò, rendendosi conto di ciò che avevo detto pochi secondi prima. Con un sorriso che non riuscivo - e non volevo - far andar via, mi alzai prendendo Justin per le mani facendolo alzare con me.
"Sì, Justin. Voglio diventare tua moglie!" esclamai eccitata e, attimi dopo, mi ritrovai stretta tra le sue braccia mentre tante piccole lacrime rigarono le mie guance.
"Allora questo adesso è per te" mi disse staccandosi di poco. Prese dalla sua tasca un anello, un solitario, che fece scivolare lungo l'anulare della mia mano sinistra sotto il mio sguardo attento e impressionato.
"Ti amo, Justin Drew Bieber" sussurrai tra le lacrime finendo ad abbracciarlo di nuovo. Piansi sulla sua maglietta lacrime di gioia, una gioia che non riuscivo a contenere, una gioia che mi fece provare scariche di adrenalina lungo tutto il corpo.
"Ti amo anch'io, Afrodite" Justin mi baciò le labbra con tutto l'amore che possedeva e mi beai di quel bacio che desideravo come se fosse stato acqua in un deserto.
Dopo quel bacio, senza dire nulla Justin mi prese la mano e allacciò le sue dita alle mie. Mi trascinò in camera da letto, senza smettere di guardarmi e, solo dopo esserci spogliati rimanendo in intimo, ci stendemmo a letto, sotto le lenzuola. Lasciai che le sue braccia mi stringessero e mi cullassero, lasciai che mi coccolasse come solo lui sapeva e poteva fare. Justin era il mio uomo, l'unico uomo che avrei sempre voluto avere con me, al mio fianco. Ero completamente dipendente da lui e non sapevo se fosse un bene o un male, sapevo solo che era la mia cura e la mia ragione per continuare a sorridere.
Le contrazioni, quella notte, accentuarono, ma Justin rimase fermo a stringermi tra le sue braccia. Sentii freddo quando il mattino successivo dovette alzarsi per andare al lavoro, così lo seguii in cucina indossando una sua maglia extra large che mi andava ugualmente stretta a causa della pancia. Facemmo colazione insieme e, mentre lui andò a prepararsi, io sistemai un po' casa.
"Ci vediamo dopo, piccola. Mi raccomando, non uscire" mi disse prima di andar via.
Non uscire? Io avevo già pianificato di andare lì da lui con una ciambella allo zucchero filato non appena ne avessi avuto il tempo! Sopratutto dopo la serata appena trascorsa, sapevo di sentirmi sempre più legata a lui e non volevo lasciarlo solo nemmeno un minuto. Avevo bisogno di averlo vicino.
Così, dopo aver sistemato qualche altra cosa ed essermi andata a lavare, chiamai Ryan e gli chiesi di raggiungermi in macchina così saremmo potuti andare da Justin. Quando vidi il mio migliore amico scendere dall'auto, corsi per il viottolo che mi portava in strada e gli saltai al collo.
"Justin mi ha chiesto di sposarlo!" urlai subito, sentendomi più eccitata che mai.
"Era ora" sbottò lui staccandosi dall'abbraccio. "Erano tre mesi che diceva di volertelo chiedere" continuò, ridendo.
"Cosa?" lo seguii fino al lato del passeggero. Mi aprì la portiera e mi fece salire, dopodiché corse al lato del guidatore.
"Sì, da subito dopo il trasferimento. Ha quell'anello in tasca da mesi e mi stupisco che non l'abbia perso o tu non te ne sia accorta" rise ancora accendendo l'auto.
Mi soffermai a guardare l'anello e lo accarezzai con le dita. Sorrisi pensando che, presto, sarei diventata la moglie di Justin. Un sorriso che si spense non appena mi arrivò una contrazione, l'ennesima quella mattina.
"Tutto bene?" mi chiese Ryan, preoccupato. Mi poggiò una mano sul ginocchio ed io annuii.
"Sì, ho solo le contrazioni" mormorai toccandomi la pancia. "Penso sia normale, partorirò mercoledì"
"Non è presto avere le contrazioni se dovrai partorire mercoledì?" mi chiese ancora Ryan, guardandomi preoccupato.
"Non penso.." sussurrai, avvertendo un'altra scossa. E non erano passati nemmeno dieci minuti.
Sospirai e cercai di concentrarmi su altro, principalmente sulle vie periferiche poco affollate di Stratford. Dato che era sabato mattina, in centro c'era il mercato e non mi stupii di vedere molta più gente rispetto a quella che c'era in periferia. Ryan parcheggiò l'auto vicino al McDonald ed entrammo a prendere quattro ciambelle: una per me, una per Justin, una per Ryan ed una anche per Andrew che, da quando Justin mi aveva rinchiusa in casa, andava lui al posto mio a lavoro di sabato.
Mentre camminammo verso il negozio di musica, mi sentivo ancora più strana e nervosa. Avevo l'impressione di sentirmi bagnata, forse erano quelle perdite che avevo da ormai un paio di giorni. Quando Justin ci vide entrare, rimase spiazzato e inizialmente il suo viso assunse un'espressione piuttosto dura.
"Ciao amore" lo salutai ignorando la sua espressione. Gli diedi un bacio sulle labbra e gli sorrisi, sperando che facesse lo stesso.
"Ti avevo detto di restare a casa" mormorò alzando gli occhi al cielo, ma senza trattenere un sorriso.
"Sono venuta con Ryan" gli feci l'occhiolino e mi spostai per salutare anche Andrew. "Come ci si sente ad essere maggiorenni?" gli chiesi abbracciandolo. Aveva compiuto diciotto anni la settimana prima e aveva dato una gran festa a cui avrei tanto voluto partecipare. Ma indovinate? Justin mi aveva vietato di andarci.
"È uguale" alzò le spalle sorridendomi. "E tu come ti senti, mammina?"
"Carica e stanca allo stesso tempo" mi toccai la pancia dopo l'ennesima contrazione. Sospirai e Justin si rese conto che qualcosa non andava.
"Piccola, seriamente, penso che tu debba tornare a casa, non hai una bella cera" Justin mi prese le mani accarezzandomi dolcemente le nocche. "Mi ha fatto piacere vederti, è sempre bello vederti a dire il vero, ma ho paura che possa succedere qualcosa" disse, la preoccupazione nella sua voce.
Incrociai i suoi occhi e gli sorrisi accarezzandogli il viso. "Cosa dovrebbe succedere, Justin?" gli chiesi, dandogli poi un bacio a fior di labbra.
Un bacio che durò poco.
Troppo poco.
Perché all'improvviso mi sentii estremamente bagnata.
Strabuzzai gli occhi dalla sorpresa e mi guardai le gambe, tantissima acqua stava candendo dal mio basso ventre riversandosi sul pavimento.
"Oh mio Dio" mormorai, mi sentivo svenire . "Devo andare in ospedale. Adesso!" sbottai, alzando lo sguardo verso il viso di Justin. Se poco prima nei suoi occhi leggevo preoccupazione, in quel momento vedevo panico assoluto. Era sbiancato, tremava e sembrava che stesse vivendo in un mondo a parte. Una contrazione mi distolse dal suo sguardo e chiusi gli occhi sentendo tutto girare.
"Ryan, dammi le tue chiavi!" ordinò Justin risvegliandosi dallo stato di trance. Ryan gli lanciò le chiavi dell'auto che prese in un attimo. "Resta qui e pulisci" gli ordinò Justin correndo fuori velocemente senza smettere di tenermi la mano. "Adesso andiamo in ospedale" sussurrò cercando di inserire le chiavi nel nottolino invano. Dopo l'ennesimo sbuffo, mise in moto e partì sfrecciando verso casa nostra. "Andiamo a prendere la borsa per la permanenza in ospedale, okay?" mi disse, prendendomi la mano. Tremava, come tremavo io. Cercavo di restare tranquilla e di respirare regolarmente ma non ci riuscivo. Avevo le contrazioni minuto dopo minuto, il dolore era allucinante e mi sembrava quasi impossibile non urlare. L'unica cosa che mi spinse a soffrire in silenzio era Justin, che sembrava molto più preoccupato di me.
Dopo aver preso il borsone chiamò l'ospedale per annunciare che mi si erano rotte le acque e sfrecciò ancora più velocemente verso il St Judes ignorando palesemente ogni semaforo o limite di velocità. Stavamo per prendere in pieno un gatto e una vecchietta, ma arrivammo tutti sani e salvi in ospedale e nell'arco di soli venti minuti. Il personale medico fu subito pronto ad accogliermi e quando scorsi anche il dottor Bexlaham mi tranquillizzai quasi subito.
Il travaglio. Era il mio peggior incubo e lo stavo affrontando. Avevo dolori insopportabili e doglie, le contrazioni erano sempre più forti ed io non facevo altro che dimenarmi, con la fronte sudata e il petto che si alzava e si abbassava in maniera irregolare a causa del dolore e dello sforzo. Volevo Justin al mio fianco.
"Justin.." sussurrai, toccandomi la pancia. "Dov'è Justin?" chiesi all'infermiera che mi stava preparando per il parto.
"Justin è il ragazzo che ti ha accompagnata?"
"Dov'è?" chiesi ancora, urlando subito dopo. "Ho bisogno di lui" sussurrai quasi singhiozzando.
Non ero abituata a sopportare tutto quel dolore. Mi sentivo dannatamente stordita, ma non potevo arrendermi. Una volta avermi portata in sala parto, l'infermiera mi lasciò con il dottor Bexlaham. "Voglio Justin" urlai, nel momento in cui mi sentii perforare la pelle.
"Afrodite, Justin sta arrivando. Adesso però concentrati, i tuoi bambini hanno bisogno di te" mi disse, rassicurante.
"Sì, ma voglio Justin" continuai a ripetere, toccandomi la pancia che sarebbe rimasta gonfia ancora per poco.
Le contrazioni si fecero sempre più forti e anche la stanchezza cominciò ad impossessarsi di me. Avevo sete. Sentivo il bisogno di evacuare. Mi sentivo confusa, strana, stordita, dolorante. Ma fortunatamente un angelo venne a salvarmi, il mio angelo.
"Sono qui" mi disse, con la voce tremante.
"Justin.." sussurrai, stringendogli la mano.
"Afrodite, adesso ascolta il dottore, va bene? Stanno per nascere i nostri figli. Devi essere forte e vedrai che tra poco sarà tutto finito" mi rassicurò. Anche se si sentiva dalla voce che era spaventato e impaurito.
"Vedo una testa.. Afrodite, comincia a spingere. Respira e prova a spingere" mi chiese il dottore ed io non me lo feci ripete due volte.
Con tutta la forza che avevo in corpo cominciai a spingere, a spingere sempre più forte, provando la sensazione più dolorosa che avessi mai provato. Spinsi, spinsi con tutta me stessa e quando mi sentii più libera, vidi il dottore sorridere e passare un bambino minuscolo con tanti capelli ad un'altra infermiera. Si sentì un pianto.
"Afrodite, continua così. Ci siamo quasi" continuò ad istigarmi il dottore mentre io continuai a spingere facendomi forza attraverso la stretta decisa di Justin sulla mia mano.
"Continua così, amore mio, continua così" mi sussurrò, piangendo. "Ci siamo quasi"
"Justin sembra quasi che sia tu quello a dover partorire!" sbottai, digrignando i denti e spingendo ancora di più. Cacciai un urlo quando sentii le mie pareti allargarsi e fitte al basso ventre.
"Vedo che non perdi il tuo senso dell'umorismo, piccola" scherzò facendomi per un momento sorridere dimenticandomi del dolore.
"Dai, ancora un'ultima spinta" mi disse il dottore. "Brava, continua così"
"Non ce la faccio più!" urlai, spingendo più che potevo, con tutta la forza che avevo in corpo.
Quando vidi il dottore prendere tre le mani un altro corpo minuscolo, sentii i miei muscoli rilassarsi. Abbassai e alzai il petto ripetutamente, sentii le forze abbandonarmi quasi del tutto.
"Forza, andiamo" sussurrava il dottore, quasi come se stesse parlando con sé stesso.
"Cosa succede?" chiesi, girandomi verso Justin che fissava il dottore senza sbatter ciglio. "Perché non piange?" mi girai verso il dottore, con gli occhi colmi di lacrime. "Perché diavolo non sta piangendo?!" sbottai, infischiandomene del dolore che provavo e alzandomi col busto. In quel momento, un senso di devastazione prese il sopravvento. Allungai le braccia verso il dottore. "Lo dia a me" sussurrai con le lacrime agli occhi. Il dottore, dopo aver deglutito, prese un asciugamano e, con lo sguardo basso, mi passò il piccolo che ancora non aveva cominciato a piangere. "Amore della mamma" sussurrai, prendendo tra le mie braccia quella creatura meravigliosa anche se sporca di sangue. "Amore mio.." sussurrai ancora, accarezzandogli il viso. Justin allungò una mano, accarezzandogli piano il viso senza emettere alcun suono. Pochi secondi dopo, il dottore tornò con Sara tra le braccia e la diede a Justin. A differenza del fratello, lei non smetteva di muoversi e di piangere. Mi fece sorridere vederla per la prima volta. "Nathan, la sua sorellina ha bisogno di te" accarezzai le piccole labbra del mio bambino, avevo la voce rotta dal pianto. Justin avvicinò Sara a Nathan, che ancora non voleva saperne di piangere. "Sara, diglielo tu al tuo fratellino che hai bisogno di lui" mormorai, sentendomi mancare l'aria.
"Non può essere.." sussurò Justin, accarezzando anche lui il viso di nostro figlio. "Avevo già immaginato tutta la mia vita con te, Nathan. Respira, amore di papà.." gli sussurrò, piangeva anche lui.
Sara smise di piangere toccando con una mano chiusa a forma di pugno il viso di suo fratello. Era come se volesse scuoterlo, come se stesse comunicando con lui attraverso il semplice contatto tra i loro corpi. Erano rimasti nella placenta, insieme, per nove mesi. Sembrava quasi essersi resa conto che c'era qualcosa che non andava in suo fratello, era come se lo volesse toccare per svegliarlo.
E a quel contatto Nathan si mosse. E cominciò a piangere.
"Questo è un miracolo" sussurrò il dottor Bexlaham dal fondo della stanza, mentre si avvicinava per valutare ciò che era appena successo.
"Oh mio Dio!" urlai per l'ennesima volta, girandomi verso Justin con occhi colmi di felicità. "Non è morto" constatai continuando a piangere. Justin mi baciò la fronte, poi baciò la fronte dei nostri piccoli, che erano vivi entrambi.
"Ce l'hai fatta, Afrodite." sussurrò, baciandomi poi le labbra.
"Ce l'abbiamo fatta" mormorai ancora, guardando i miei bambini. "Adesso siamo un vera famiglia"
Justin mi strinse un braccio attorno alle spalle, con l'altra mano accarezzò i bambini che avevano ricominciato a piangere. Non avrei mai pensato di sentirmi bene sentendo piangere dei bambini, ma in quel momento ero al settimo cielo. Nove mesi duri, nove mesi di puro sacrificio, di lotte e di ostacoli. Avevo affrontato nove mesi difficili e avevo da affrontare ancora tutta la vita, ma non ero sola. Avevo Justin, avevo i miei figli, avevo i miei amici, avevo tutto ciò che poteva servirmi per stare bene. Avevo affrontato tutto a testa alta, avevo provato a non abbattermi e, anche quando le cose sembravano irrecuperabili, cercavo sempre di cambiare la situazione. Avevo affrontato la derisione di Justin, la morte di mia madre, la consapevolezza di dover vivere pensando a due bambini. Stringere tra le braccia i miei figli era la mia ricompensa.
"Sì, adesso siamo una famiglia" sussurrò Justin al mio orecchio. "La miglior famiglia che potessi mai desiderare."
The End.
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top