06. 'Portami via'.
Lavorare d'estate non era mai stato il massimo. E lavorare d'estate e con un bambino che ti sta crescendo in grembo non era per niente il massimo. Ma dato che avevo bisogno di soldi ed ero solo all'inizio della gravidanza, mi ero sforzata per dare il massimo durante le ore lavorative. Rispetto a me, che ero alla mia prima esperienza lavorativa, Justin era molto bravo a vendere, ma cercai ugualmente di fare ciò che potevo quando un cliente mi si avvicinava per chiedermi informazioni. Altrimenti o pulivo, o mi occupavo di cose che servivano alla gestione del negozio. Con l'arrivo di settembre il signor Luis era andato in pensione e aveva lasciato l'intero store a Justin e lui aveva delegato a me la gestioni dei costi fissi aziendali. Diceva che preferiva che mi scervellassi nel trovare un buon fornitore energetico, piuttosto di farmi stancare facendomi appende le chitarre al muro.
Lavorare insieme ci aveva fatto bene da un lato, avevamo molto più tempo da passare insieme e avevamo cominciato a litigare di meno rispetto a quando ero andata a stare da loro.
Più tempo passavo lontana da casa più mia madre mi mancava, ma aveva fatto la scelta di eliminarmi dalla sua vita ed io rispettavo quella sua scelta. Tanto avevo Pattie, che mi dimostrava ogni giorno che passava tutto il bene che provava per me. Quella mattina era addirittura passata a portare a me e a suo figlio una ciambella dato che era sabato e che secondo lei non era giusto lavorare fino alle tre.
"Mamma, di sabato c'è il mercato e alle persone piace venire a fare un giro qui dato che siamo in centro" Justin diede un morso alla sua ciambella allo zucchero filato, dopodiché prese un sorso dal milkshake.
"Poi non è tanto male stare qui, se stiamo a casa comunque non facciamo niente" continuai io facendo spallucce e girando sulla sedia girevole.
"Non insisto più, tanto so che ami questo posto più di casa tua" mormorò Pattie facendo sorridere suo figlio. "Adesso io vado dalla nonna. Tornerò domani sera, vi ho lasciato dei soldi per ordinare qualcosa, vedete voi cosa, o se volete uscire, uscite" sorrisi alla spontaneità di Pattie e le diedi un bacio sulla guancia. Non era la prima volta che ci lasciava da soli durante il weekend per andare dai suoi genitori e sinceramente non mi dispiaceva restare da sola con Justin a casa. Sfruttavamo molto questi momenti per parlare di noi ed era bellissimo potermi aprire con lui senza paure. "Buon lavoro ragazzi, ci vediamo domani" Pattie ci salutò con un gesto della mano, la salutai anch'io con lo stesso gesto mentre invece Justin si avvicinò ad un gruppo di ragazzi che erano appena entrati.
Ne approfittai per tornare al mio lavoro al computer, stavo rispondendo ad alcune mail di fornitori. Feci per cliccare sulla prima mail, ma il tintinnio che produssero i campanelli a contatto con la porta mi spinsero a girare la testa verso l'ingresso. Entrò una bellissima ragazza non troppo alta dai capelli neri lunghi e splendidi occhioni da cerbiatta marroni. Sbattei più volte le palpebre osservandola, dopodiché le sorrisi.
"Buongiorno" dissi, mi rivolse un sorriso. "Posso esserti utile?" le chiesi alzandomi dalla sedia e avvicinandomi.
"Sì, vedi stavo cercando.."
"Ci penso io a lei, tu fa il conto ai ragazzi" Justin si intromise bruscamente tra me e la ragazza facendomi sobbalzare.
"Scusami.." biascicai e, senza obiettare, tornai dietro al bancone e feci il conto ai ragazzi. "Volete mettere su una band?" chiesi loro notando che avevano comprato una tastiera, due chitarre elettriche, due microfoni e una batteria che ovviamente avrebbero ritirato in un altro momento.
"Già siamo una band, ma tutto il nostro materiale è andato perso in un incendio" mormorò il più bassino che aveva i capelli neri e una bandana sulla fronte.
"Oh, l'incendio di pochi giorni fa a London?"
"Sì, un ragazzo dietro le quinte aveva pensato che allestire un bancone con le bevande vicino l'impianto elettrico fosse perfetto"
"Perfetto per finire cotti a puntino" scherzai facendo ridere i ragazzi. "Farete altri concerti?"
"La settimana prossima ci esibiremo qui in centro per la serata di beneficenza, siamo i Balck eyes" uno tra i ragazzi mi porse un biglietto con su scritti i dettagli dell'evento.
"Immagino che vi riconoscerò dal trucco che avrete sugli occhi?" in risposta, i ragazzi risero. "Farò il tifo per voi allora"
"Ci contiamo" risposero in coro, per poi andar via una volta aver preso il resto e la ricevuta con la quale avrebbero poi dovuto ritirare gli strumenti una volta arrivati. Appuntai tutto sull'agenda che Justin mi aveva chiesto di compilare ogni qual volta veniva venduto uno strumento a delle band, dopodiché tornai al computer per leggere le fatidiche mail dei fornitori, anche se non ero propriamente capace di concentrarmi.
La ragazza che era entrata poco prima stava parlando con Justin di tutto, tranne che di musica. Era così bella, snella e attraente e Justin sembrava così preso da lei. La guardava come se avesse davanti a sé una tra le sette meraviglie del mondo e, forse, per lui quella ragazza era tutte e sette le meraviglie del mondo messe insieme. Frustrata, mi concentrai sulle lettere e risposi ad ognuna di esse cercando di impiegarci più tempo possibile per non dovermi ritrovare senza nulla da fare e sopportare il vederli parlare, ma purtroppo le mail non erano abbastanza e mi ritrovai comunque senza nulla da fare.
Il tempo passava, i minuti scorrevano e Justin era ancora lì a parlare con quella ragazza. Quando finalmente si avvicinarono alla cassa per pagare era la mezza, erano stati più di un'ora insieme.
"Lascia, faccio io" mi disse Justin spostandomi letteralmente dalla cassa. Già sconfitta in partenza, mi allontanai senza discutere e ne approfittai per spolverare un po' i vari strumenti. Con la coda dell'occhio, notai che,oltre alla banconota da cinquanta dollari la ragazza aveva dato a Justin anche un foglietto bianco. Justin lo guardò e sorrise alla ragazza. "Ti chiamerò" le disse, per poi salutarla. Non la conoscevo, ma già mi stava antipatica.
Il resto del tempo lo passai a spolverare e a chiacchierare con i clienti che entravano, non rivolsi parola a Justin. Mi aveva trattata male davanti quella ragazza, mi aveva fatta sentire uno zerbino e non ne aveva il diritto. Se non mi fossi sentita stanca, sarei andata a casa a piedi piuttosto che con lui sulla sua moto ma purtroppo il destino non era dalla mia parte. Quando varcai la soglia di casa, mi sentii subito meglio. Mi stesi sul divano avendo un bisogno assurdo di riposare, ma avevo anche fame così dovetti alzarmi per cucinare.
"Cosa ti va di mangiare?" chiesi a Justin dopo ore che non ci parlavamo. Cercai di assumere un tono gentile, non volevo dare a Justin un motivo per arrabbiarsi.
"Uhm?" mi rispose senza smettere di digitare qualcosa sul suo cellulare.
"Hai fame o mangio da sola?" sbottai innervosendomi, lo guardai incrociando le braccia al petto.
"Che ne so, prepara qualcosa" rispose, facendomi innervosire ancora di più.
"Allora preparo un'insalta e non voglio sentire 'non va bene', perché ti ho chiesto cosa avresti voluto mangiare ma non mi hai risposto dovutamente." continuai girandomi verso le mensole e prendendo un'insalatiera.
"Hai il ciclo?" chiese Justin dopo un po' rompendo il muro di ghiaccio che stavo formando.
"Sono incinta, posso averlo il ciclo?" risposi acida cominciando a lavare i pomodori.
"Sei piuttosto acida oggi. Fai attenzione che ti corrodi" sospirai frustrata e cercai di non dar peso alle parole di Justin invano. Aveva un potere assurdo quel ragazzo nel farmi innervosire, sicuramente si sarebbe trovato benissimo con mia madre. Con le sue regole e i suoi modi di fare da 'so tutto io' si era ritrovata letteralmente da sola. Forse Justin le avrebbe fatto compagnia, un giorno.
Preparai velocemente l'insalata mentre Justin apparecchiò la tavola per due. Mangiammo entrambi in silenzio e, una volta finito, ognuno andò per la propria strada: io sul divano a leggere, lui in camera sua a fare chissà cosa.
Mi sentivo piuttosto stressata durante quegli ultimi giorni. Avrei avuto il lunedì successivo la mia prima visita ginecologica e non mi sentivo ancora pronta ad un passo simile. Avevo paura che tutto lo stress, l'ansia e il nervosismo portassero delle complicazioni alla gravidanza, mi sentivo preoccupata e sapevo che non faceva bene al bambino che si stava formando nel mio grembo.
"Ti amo già, non posso permettere che ti succeda qualcosa a causa mia" sussurrai a me stessa toccandomi il grembo leggermente gonfio. Socchiusi gli occhi e mi immaginai, ad aprile, subito dopo il parto, con la mia splendida creatura tra le braccia, mentre le davo il benvenuto alla vita, mentre la accarezzavo per la prima volta. Immaginai il nostro rientro a casa, una casa tutta nostra. Le notti insonni, i pianti, le risate, il fatidico cambio del pannolino. Sarei diventata madre. "Non vedo l'ora di stringerti tra le mie braccia e di sussurrarti quanto ti amo" sussurrai ancora con le lacrime agli occhi. Mi sedetti e mi accarezzai, di nuovo, il ventre. "Saremo solo io e te e mi dispiace per questo, ma ti prometto che ti darò tutto ciò che potrò come se avessi entrambi i genitori. Capito, amore mio?" sospirai, socchiusi gli occhi e mi poggiai sul divano. "Andrà tutto bene" sussurrai infine. Come per rassicurare il mio bambino o, forse, per rassicurare me. Salii al piano di sopra subito dopo il mio breve dialogo e mi stesi sul letto cercando di riposare. Non appena chiusi gli occhi mi addormentai di colpo a differenza di tutte le altre volte in cui mi stendevo per riposare.
Il mondo dei sogni era il mondo più bello dell'universo. Era astratto, senza un filo logico o una trama. Poteva succedere tutto o niente. La tua vita poteva essere stravolta in bene o in male, ma alla fine tutto tornava per il verso giusto. Perché i sogni sono la rappresentazione dei tuoi desideri, delle tue fantasie più nascoste. Ed io quel pomeriggio sognai una splendida bambina dai capelli biondi e gli occhi azzurri vestita di bianco e stesa su un grande telo color rosa pastello. Al suo lato destro c'ero io, che la guardavo come se fosse la cosa più preziosa che avevo, e al suo lato sinistro c'era Justin, che rideva con lei osservando le nuvole. Sembravamo una famiglia e sembravamo felici. Ad un tratto mi sedetti sul telo ed osservai la mia bambina alzarsi e correre tra i fiori alla ricerca di un tulipano viola e di una rosa blu. Justin mi si avvicinò, poggiò il mento sulla mia spalla e mi cinse la schiena con un braccio.
"È bellissima proprio come te" mi sussurrò all'orecchio. Girai il viso in modo tale da far incrociare i nostri sguardi.
"Forse anche di più" commentai poggiando la mia fronte alla sua. "La nostra principessa.."
"E tu la mia regina" Justin prese il mio viso tra le mani, mi accarezzò le labbra dopodiché mi baciò e mi toccò il ventre. "Lui sarà il nost-"
"Oh mio Dio" aprii gli occhi di scatto e mi misi velocemente seduta. Avevo il respiro affannato, il cuore che batteva forte, la fronte sudata. Sbaglio, oppure ho realmente sognato di avere una bambina con Justin? continuavo a ripetermi. La mia mente era talmente contorta che aveva leggermente esageraro con l'immaginazione.
Diedi un'occhiata all'orario e notai che erano le sei del pomeriggio così decisi di darmi una sciaquata in camera mia e di scendere in salotto per vedere se Justin voleva fare qualcosa in particolare prima dell'arrivo di Ryan. "Justin, che ne dici se dopo andassimo-" mi bloccai di colpo, notando che Justin non era solo. "E tu che ci fai qui?" sbottai confusa notando che la stessa ragazza che era rimasta con Justin a parlare per un'ora al negozio era sulle sue gambe in quel momento. "Justin, sei serio?" gli chiesi passandomi una mano tra i capelli e guardando il biondo alzarsi e sistemarsi il pantalone.
"Non penso siano problemi tuoi, Afrodite" Justin mise le masi in tasca e mi guardò con sufficienza mentre la ragazza gli si aggrappò al braccio.
"Uhm, pronto? Vivo anch'io in questa casa e questa sera avevamo deciso di invitare Ryan per passare una serata insieme" incrociai le braccia al petto sentendo un gran peso sullo stomaco.
"Cambio di programma. Tu e Ryan uscirete, io e Selena resteremo a casa" la ragazza sorrise in modo fin troppo malizioso a Justin che ricambiò il suo sorriso aggiungendo addirittura un occhiolino.
"Non se ne parla. Se vuoi fare i tuoi sporchi comodi potresti anche andare a casa sua piuttosto che rovinare la serata a me e al tuo migliore amico" alzai le braccia al cielo esasperata e dovetti socchiudere gli occhi per rallentare i battiti del mio cuore. "Poi andiamo, con una ragazza che hai conosciuto oggi? Senza offesa tesoro, ma non mi sembra appropiato" roteai gli occhi e feci per andar via ma la voce di Justin fece arrestare i miei passi.
"Parli tu che sei incinta e non sai neanche chi sia il padre" passai una mano tra i capelli e tremaii quando sentii il fiato di Justin battermi sul collo. "Adesso sentimi bene sgualdrina. Se non vuoi uscire, ti chiudi in camera e non esci fino a domani mattina. Se proprio vuoi che Ryan stia con te, e penso proprio che tu lo voglia perché di stare da sola non se ne parla, le condizioni sono le stesse anche per lui. Ci siamo chiariti?"
"Sgualdrina sarà la ragazza che ti farai" sussurrai senza guardarlo negli occhi. Ancora una volta, era riuscito a ferirmi. Corsi di sopra senza dargli il tempo di rispondermi, presi il cellulare e scrissi un messaggio a Ryan in cui gli chiedevo di venire il prima possibile perché il suo migliore amico stava per avere un rapporto sessuale con una ragazza che aveva appena conosciuto. E poi chiamava me sgualdrina. Non ne potevo più di quella situazione, ero stanca di sentirmi chiamare in quel modo ogni giorno, ero stanca di essere presa in giro, ero stanca di tutto. Di lui e del suo odioso lato oscuro.
Quando Ryan arrivò, gli gettai le braccia al petto e lo strinsi come non lo avevo mai stretto. "Cos'è successo?" mi chiese subito notando che avevo cominciato a piangere sulla sua maglietta. "Uhm, piccolina?" mi prese il viso tra le mani e cercò un contatto visivo che però non arrivò, non volevo che mi vedesse piangere.
"Si può amare e odiare una persona allo stesso tempo?" gli chiesi cercando di trattenere le lacrime.
"Ti ha urlato ancora contro?" annuii dandogli la conferma che aveva capito cosa c'era che non andava. "Oh, tesoro mio.." Ryan mi strinse di nuovo al suo petto e ricominciò ad accarezzarmi. "Sai cosa ti dico? Non sa neanche cosa si sta perdendo. Sei una ragazza così dolce, tenera, bella, solare e simpatica. E poi ti piace l'hockey, dove la trova un'altra ragazza come te?" mi staccai leggermente dal petto di Ryan per poterlo guardare negli occhi. Tirai su col naso e gli sorrisi. "Ciò che voglio che tu capisca, è che stare male per un ragazzo che non ti apprezza non servirà a nulla. Anzi, farà solo del male al piccoletto che c'è qui dentro" portò una mano sul mio ventre accarezzandolo. "Quindi adesso voglio che tu sorrida. Dimentica ciò che ti ha detto e passa con me un'intera serata a giocare ai videogames e a mangiare schifezze. Okay?"
"Okay" mi asciugai le lacrime e tirai ancora su col naso. "Menomale che avevamo trasferito la console qui ieri sera" mormorai continuando ad asciugarmi le lacrime che non cessavano la loro scesa.
"Abbracciami un altro po', piccolina che non smette di piangere" smorzai una risata sprofondando sul petto di Ryan.
Durante l'ultimo mese Ryan mi era stato così vicino che era arrivato a diventare il mio migliore amico. Avevo legato molto anche con Mitchell e Chaz, ma Ryan rimaneva sempre Ryan. Era costantemente pronto a difendermi, a confortarmi, a farmi stare meglio. Sopratutto quando litigavo con Justin; lui per me c'era. Non potevo desiderare amico migliore. Avrei tanto voluto innamorarmi di lui, ma proprio non ci riuscivo. Il mio cuore l'aveva già rapito qualcun'altro. E non lo usava nel dovuto modo dato che la maggior parte delle volte riusciva a farmi rimpiangere il giorno in cui avevo chiamato Pattie per chiederle aiuto.
"Non so cosa farei senza di te, Ry" mormorai contro il petto del mio migliore amico. "Sei il migliore"
"Questo ed altro per te, piccola, lo sai"
"Lo so" mi staccai definitivamente dall'abbraccio, feci un respiro profondo e sorrisi quando Ryan mi poggiò le labbra sulla fronte. "Vado a rifornirmi di schifezze e torno" mormorai avvicinandomi alla porta.
"Io rassicuro Mitchell e arrivo, aveva lui il mio cellulare quando mi hai scritto"
"Addirittura tuo fratello si preoccupa per me" mormorai aprendo la porta.
"Perché ti vuole bene" Ryan mi fece l'occhiolino e, dopo avergli sorriso, mi avviai giù per le scale.
Justin non fu del tutto felice di vedermi attraversare il corridoio ed entrare in cucina. Proprio come io non fui felice di vederlo appiccicato alle labbra della ragazza che aveva conosciuto quella stessa mattina. Oltre alla busta contenete patatine, biscotti e cioccolatini vari che avevamo comprato appositamente per la serata, decisi di preparare anche dei pop corn dato che ne avevo avuto una voglia improvvisa. Non appena il microonde trillò segnando la cottura dei pop corn, presi la busta in carta ed uscii dalla cucina sperando di non assistere a scene vietate ai minori e fortunatamente fu così, però mi ritrovai Justin davanti.
"Sto per chiudermi in camera, vado via subito" mormorai scocciata alzando gli occhi al cielo.
"Lascia qui i pop corn, non penso che tu voglia diventare una botte prima del tempo"
"Farli da solo no?" gli chiesi provando ad allontanarmi. Mi fermò per un braccio.
"Non dire che ti dispiace fare piaceri ai ragazzi che te li chiedono" Justin mi sfidò con lo sguardo osservandomi attentamente negli occhi. Dovetti trattenere il respiro per non sbottare, ma i miei successivi gesti mostrarono quanto vano fu quel tentativo.
"Vuoi i pop corn? Va bene, tieni!" urlai strattonando il braccio e lanciandogli il sacchetto ancora sigillatto addosso. "Adesso mi lasci salire in santa pace, gentilmente? Grazie!" mi girai velocemente e provai a salire il più velocemente possibile, ma Justin mi superò a grandi falcate.
Ciò che successe dopo mi lasciò senza parole. Non riuscii nemmeno a rendermene conto lì per lì, mi resi conto di ciò che aveva fatto solo quando sentii la guancia bruciarmi e Ryan urlare a Justin parole di disprezzo.
Socchiusi gli occhi e mi portai le mani sulle gote. Una era più calda, l'altra ghiacciata. Sbattei più volte le palpebre e provai a concentrarmi su ciò che era appena successo invano, la mia mente non riusciva a ragionare. Mi accasciai al suolo e puntai il mio sguardo nel nulla, senza rendermene conto cominciai a tremare. Non avevo forza nelle braccia, nelle gambe. Quello schiaffo mi aveva avvilita, delusa, ferita nel profondo del cuore. Nessuno mi aveva mai messo le mani addosso e non avrei mai pensato che un ragazzo come Justin che fuori sembrava così dolce potesse essere il primo a schiaffeggiarmi. In quel momento, non provavo alcuna emozione. Sentivo solo il mio cuore tremare sul serio, proprio come tremavo io. Quando Ryan mi si avvicinò dopo un'accesa sfuriata contro il suo migliore amico, tremai ancora di più.
"Sono solo io, non voglio farti del male" Ryan si accasciò e provò ad accarezzarmi il viso ma mi scansai. "Ti rendi conto di quanto tu l'abbia sconvolta, Justin? Devi solo vergognarti" continuò a mormorare Ryan sotto lo sguardo assente di Justin. "Fidati di me, non ti farò del male" sospirai e abbassai lo sguardo sulle mani grandi di Ryan. Socchiusi gli occhi e mi lasciai prendere dalle sue braccia.
"Portami via" gli chiesi quasi supplicante.
"Ti porto in camera tua e adesso ci chiudiamo dentro, va bene?" scossi la testa.
"No, portami da mio padre" gli chiesi incrociando i suoi occhi. "Anche se mi ha fatto del male, non mi ha mai picchiata" sussurrai cercando di non piangere. Ryan sospirò e guardò Justin, che sembrava più assente che mai. "Per favore, Ryan.. Non voglio stare qui" poggiai la testa sul suo petto sentendo la testa scoppiare. Potevo da un momento all'altro crollare e non volevo farlo proprio davanti alla persona che mi stava facendo sentire in quel modo.
"Domani mattina ne riparliamo, va bene?" sospirai e annuii sentendo davvero la testa scoppiare. Ryan mi portò al piano di sopra, mi poggiò sul letto e chiuse la porta della mia camera a chiave per farmi stare più tranquilla. "Rimandiamo la serata?" annuii. "Allora vieni qui"
Senza farmelo ripete due volte mi stesi sul suo petto e chiusi gli occhi abbandonandomi alle sue carezze. Carezze date con dolcezza, con amore, forse anche con pietà e delusione. Quelle erano carezze che avrebbero dovuto confortarmi, ma non riuscivo a non pensare alle mani di Justin che mi stringevano il braccio, che mi bloccavano al muro, che mi schiaffeggiavano il viso. Non riuscii a non pensare al fatto che un uomo mi avesse messo le mani addosso, anche se solo per darmi uno schiaffo. Con un semplice gesto era riuscito a farmi sentire uno straccio, a farmi sentire una persona orribile. E non avevo fatto nulla.
Le ore passarono senza che me ne rendessi conto, Ryan era stato tutto il tempo al mio fianco senza mai smettere un secondo di accarezzarmi. Avevo apprezzato molto il suo gesto. Gli avevo rovinato la serata e nonostante questo era rimasto con me. Quando a mezzanotte dovette andar via, mi alzai per accompagnarlo alla porta di camera mia. "Sei il miglior amico migliore che ci sia" gli dissi ancora con le lacrime agli occhi. Mi rilassai ancora un po' tra le sue braccia, dopodiché lo lasciai andare e mi richiusi subito la porta alle spalle. Non volevo che Justin potesse entrare in camera e farmi ancora del male, magari durante la notte o quando meno me lo aspettavo. Mi distesi nuovamente a letto cercando di dormire, ma non fu affatto facile. Un po' per la paura, un po' perché cercai in tutti i modi di trovare le parole che avrei usato per dire a mio padre che ero incinta e che avevo intenzione di andare da lui, un po' perchè continuavo a pensare a tutto ciò che stava succedendo.
Mi girai e mi rigirai tra le coperte cercando una posizione comoda che non trovai. E le ore continuarono a passare. Alle sei del mattino mi alzai per prendere una boccata d'aria e per salutare Ryan che sarebbe andato col padre a pesca, ma dovetti correre in bagno a causa degli sforzi di vomito. Dopo essermi pulita, mi guardai allo specchio e i segni della notte passata in bianco a pensare erano ben palesi sul mio viso. Accarezzai con i polpastrelli la parte del mio viso che Justin aveva colpito con le sue mani grandi che avrei voluto sul mio corpo solo per accarezzarmi e mi sentii ancora più male di quanto già mi sentissi. Tornai in camera e mi stesi di nuovo a letto prendendo il cellulare tra le mani.
"A: Amico figo numero uno.
Buongiorno. <3 Spero tu stia passando una bella mattinata con tuo papà, mi raccomando pesca qualcosa di buono dato che domenica scorsa hai pescato solo delle sardine. Ti voglio bene, grazie di tutto best. A dopo"
Posai nuovamente il cellulare al mio fianco e, per distrarmi, cominciai a leggere lo stesso libro che avevo cominciato a leggere il giorno prima, ovvero 'La vita in due', sempre e ovviamente di Nicholas Sparks. Pagina dopo pagina, mi immedesimai nel racconto come ogni singola volta che leggevo un libro scritto da Sparks. Mi posi l'obiettivo di finire quel libro entro la fine della giornata e, troppo presa dal racconto, riuscii sul serio a finirlo in sole dieci ore. Non mangiai e ignorai completamente Justin che ogni ora continuava a bussare. Non volevo vederlo quel giorno, non volevo sentirlo, non volevo avere più niente a che fare con lui. Tutto ciò che volevo fare era leggere, immegermi nel mio mondo fantastico, essere felice anche solo per un attimo.
Quando finii il libro, lo inserii nello scaffale che avevo dedicato ai libri che avevo concluso. Li osservai per svariati secondi cercando di ricordare ogni singola storia che avevo letto ma delle voci fuori la porta attirarono la mia attenzione.
"Cosa vuol dire, Justin, che non esce da camera sua da ieri sera?" mi avvicinai alla porta, era Pattie.
"Vuol dire che non vuole uscire. Non mi risponde"
"Hai provato ad aprire?"
"Ho provato, ma è chiusa a chiave. Te l'ho detto mamma, non vuole uscire"
"Cosa le hai fatto per farla chiudere dentro per quasi ventiquattro ore?"
"Io, vedi.."
"E' possibile che non possa lasciarvi soli che torno e ritrovo una situazione del genere? Hai ventitré anni, Justin, dovresti capire che certe situazioni vanno prese con le pinzette. Afrodite è incinta e ha soli diciotto anni, è stata cacciata di casa e di certo non è venuta qui per sentirsi attaccata ogni giorno" il rumore dei tacchi di Pattie mi fece capire che era appena arrivata fuori la porta di camera mia. Infatti, pochi secondi dopo sentii bussare. "Tesoro, va tutto bene? Posso entrare?" mi chiese e dalla voce sembrava preoccupata. Mi avvicinai piano alla porta.
"Sei da sola?" le chiesi deglutendo. Poggiai la mano sulla maniglia e aspettai una sua risposta.
"Sì" rispose e, fidandomi, aprii la porta. Non appena Pattie mi vide, sospirò e mi diede un bacio sulla fronte. "Sei stata tutto il giorno qui?" mi sedetti sul letto e annuii. "Quindi non hai mangiato nulla?" scossi la testa. "Tesoro, devi mangiare qualcosa. Per crescere bene, il piccolino che c'è qui dentro ha bisogno di sostanza"
"Ho vomitato più di una volta, ho pensato che mangiando avrei peggiorato la situazione così ho preferito non mangiare nulla" incrociai le gambe a mo' di indiano e abbassai lo sguardo incapace di guardare negli occhi quella donna che sembrava tanto Justin.
"Ti prendo delle carote e dei finocchi, non ti faranno male. Ti va di scendere, oppure vuoi che salga io?" amorevolmente Pattie mi prese la mano e la strinse.
"Sinceramente non mi va di scendere" risposi sincera.
"Allora torno subito" mi diede un altro bacio sulla fronte, dopodiché uscì.
Poggiai la schiena al muro e socchiusi gli occhi sentendo le forze abbandonarmi. Non avevo fatto nulla, eppure mi sentivo stanca come non mai. Mi accarezzai il ventre sempre con gli occhi chiusi e, mentalmente, chiesi scusa al mio bambino se lo stavo facendo soffrire così tanto. Quando la porta si aprì, aprii a mia volta gli occhi pensando che fosse Pattie, ma non fu così.
"Hei" Justin entrò in camera e il cuore cominciò a battermi forte. Strabuzzai gli occhi e schiusi le labbra quando mi resi conto che si stava avvicinando, trattenni il respiro quando si sedette al mio fianco. "Non mi hai aperto stamattina" costatò ed io, piuttosto che rispondere, mi scostai fino ad arrivare al bordo del letto. Volevo mantenere le distanze. "Volevo solo sapere come stavi" sussurrò guardandosi le mani. Mi portai le ginocchia al petto e cercai di non pensare al fatto che il ragazzo che mi aveva schiaffeggiata la sera prima fosse accanto a me sul mio letto, ma fu praticamente impossibile. "E vedo che non stai bene" continuò sospirando. Il labbro inferiore cominciò a tremarmi senza che io gli dessi il permesso, dovetti morderlo affinché si fermasse. "Senti per quanto riguarda ieri sera io non so cosa mi sia preso.." portai la testa sulle ginocchia per non ascoltarlo. "Ma mi avevi lanciato la busta con i pop corn ed io ero già nervoso di mio e tu facevi di tutto per farmi innervosire così.. ho reagito." sospirai e allacciai le braccia alle gambe come per darmi conforto. "E mi sono reso conto troppo tardi di aver esagerato." anche lui si poggiò al muro e sospirò. "Quando ti ho sentita dire che volevi andare in California da tuo padre penso di aver realizzato che avevo appena commesso l'errore più grade che potessi mai fare. Mi sento un mostro perché mia madre mi ha sempre insegnato che le donne non si toccano nemmeno con un fiore, mentre io invece ti ho fatto del male e adesso tu hai paura di me" notai la sua voce incrinarsi e alzai lo sguardo verso il suo viso. "Non avevo mai visto una ragazza sedersi a terra e guardare il vuoto toccandosi una guancia. Ho sempre pensato che gli uomini che facevano sentire le donne in questo modo erano solo dei mostri che non meritavano di esistere ed io.. io ho fatto lo stesso con te." prima di continuare, Justin prese un respiro profondo. "Non so se potrai mai perdonarmi per ciò che ho fatto e se vuoi andar via perché hai paura che possa succedere di nuovo, io lo capisco.. Ho messo le mani addosso ad una ragazza incinta, è normale che adesso tu abbia paura di me ed è scontato che non mi perdonerai mai. Voglio solo che tu sappia che mi dispiace, mi dispiace davvero averti dato quello schiaffo e mi dispiace davvero averti detto tutte quelle cose brutte. Dio, sono sul serio un mostro" mormorò alzandosi e portandosi una mano tra i capelli.
Soffermò il suo sguardo su di me. Uno sguardo vuoto, triste, deluso, assente. Uno sguardo che mi fece capire che si era davvero pentito, ma che sapeva che non sarebbe tornato tutto come prima. Mi dedicò uno sguardo di scuse. Uno sguardo che parlava e che aveva detto più di quanto potessero dire le parole. Uno sguardo che non riuscii a sostenere, infatti abbassai il mio e sospirai. Quando Justin si rese conto che non avrei detto nulla a riguardo, decise di fare la scelta migliore e andar via. Pattie rimase sopresa dal veder suo figlio andar via di corsa dalla mia camera ed uscire altrettanto velocemente da casa, ma non mi chiese nulla al riguardo. Era sempre stata una donna comprensiva e sapeva quando era o meno il momento di parlare.
Dopo avermi fatto mangiare un paio di carote, mi portò con sé in salotto dato che camera mia mi aveva ospitata per molto tempo. Passammo il resto del pomeriggio a lavorare a maglia perché così avrei potuto creare da un semplice gomitolo di lana un maglione per il mio bambino quando se ne sarebbe presentata l'occasione e, dato che avevo poco tempo per imparare, dovevo cominciare subito. Fu divertente passare delle ore con lei e sentirla ripetere ogni qual volta muoveva i ferri 'un dritto e un rovescio, un dritto e un rovescio'.
"Vedrai che per la fine della serata avrai creato una splendida sciarpa" mi disse.
"Tu sei veloce, Pattie. Io penso che per la fine della serata avrò finito le prime file" mormorai continuando a muovere i ferri assieme a lei.
"Vedrai che arriverai almeno a metà. Dopo un po' ci farai la mano" sospirai e continuai a muovere i ferri cercando di non imbrogliarmi, ma a me sembrava solo un grande pasticcio.
"Sicura che si faccia così?" le chiesi osservando il suo lavoro che sembrava decisamente meglio del mio.
"È il tuo primo giorno" Pattie mi rassicurò mettendo la mano sulle mie, in quell'istante la porta d'entrata si aprì. "Hei tesoro, dove sei stato?"
"A fare un giro con lo skate" rispose Justin sedendosi sul divano accanto a me. Deglutii, ma non volevo che Pattie capisse che mi sentivo in soggezione a stare vicino a suo figlio. "Ti sta insegnando a lavorare a maglia?"
"Sì, adesso sto facendo una sciarpa" mormorai cercando di non perdere la concentrazione. Un dritto e un rovescio. Un dritto e un rovescio..
"Vado a prendere qualcosa da bere" Pattie si alzò lasciandoci soli.
"Sta venendo bene" constatò Justin toccando la parte di sciarpa che avevo già concluso.
"Tu dici?" gli chiesi continuando a muovere i ferri.
"È perfetto." mormorò leccandosi le labbra, sembrava quasi titubante, incerto. "Allora vi lascio sole" fece per alzarsi, ma lo bloccai.
"Se vuoi, puoi restare" gli dissi guardandolo negli occhi. "Non mi dai fastidio" continuai. Justin si guardò intorno spaesato, sembrava quasi in soggezione. "Non sentirti male per ciò che hai fatto. È successo, va bene così." lo rassicurai riprendendo a lavorare con i ferri. "Piuttosto, com'è andata con Selena?" gli chiesi cercando di cambiare argomento. Entrambi mi facevano male, ma forse il secondo mi faceva meno male del primo.
"È stato un disastro." Justin si grattò la nuca imbarazzato.
"Perché? A causa mia? Se è per me mi dispiace, io-"
"No, a causa mia. Ogni qual volta cominciavamo un discorso, mettevo te in mezzo. Ad esempio le ho chiesto se le piacesse l'hockey e lei mi ha risposto di no, così le ho detto che invece a te piace e che vorresti andare a vedere la prima partita dei Maple Leafs dato che sarà a Toronto. Oppure mi ha chiesto cosa mi piacesse fare nel tempo libero e le ho risposto che mi piaceva suonare con te al negozio, anche se in realtà quello non è tempo libero" il cuore accelerò non appena realizzai ciò che aveva appena detto e quasi stentai a crederci, ma guardando il suo viso capii che non stava mentendo. "Ci sei solo tu nei miei pensieri ultimamente e so che sembra quasi un controsenso perché ti tratto sempre male, ma è così"
"Quindi è andata male?"
"Quindi è andata male" sospirò quasi frustrato. "E lei è scappata via. Tu invece sei qui" Justin poggiò una mano sulle mie fermandole dallo sfregare i ferri. "Ed è bello sapere che, anche se ancora per poco, posso svegliarmi e sapere che sei qui con me, nonostante tutto."
"Justin, io.."
"Lo so. So che sei impaurita e che sei arrabbiata. So che adesso ti stai sforzando perché non vuoi stare al mio fianco, lo so. Però ti prego, ti prego, non mi allontanare da te. Devo sapere come stai. Voglio esserne cosciente. Voglio capire come ti faccio stare. Voglio provare a farti stare bene." poggiò un braccio sulle mie spalle, mentre mi strinse una mano con la sua.
"Pensi di farcela?" gli chiesi cercando di non pensare al fatto che quelle stesse mani, la sera prima, mi avevano fatta stare male.
"Devo provarci per saperlo." sospirai e feci per alzarmi, ma la mano di Justin si posizionò sul mio ventre. "Voglio starvi vicino" sussurrò.
"Allora non deludermi" cedetti infine, socchiudendo gli occhi e lasciando che mi abbracciasse.
In quel momento, tolsi un gran peso dal cuore. Stavo facendo un grande passo, mi stavo fidando di lui.
Ma la domanda era: avrebbe mantenuto la sua promessa? Ci sarebbe davvero stato vicino?
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