3.35 • IL MOMENTO DI METTERE TUTTE LE CARTE IN TAVOLA

Yumi aveva riposato qualche ora nella casa degli Equites e, prima delle prime luci dell'alba, ci stava già aspettando seduta sugli scalini del Tempio della Sibilla.

Ero sicura che non avesse chiuso occhio. Aveva la guancia poggiata sul palmo della mano aperta e il gomito conficcato sulla coscia fasciata da calze pesanti. I suoi capelli neri e lucidissimi erano tutti spettinati. Quando ci vide arrivare, insieme, saltò in piedi e venne ad abbracciarci. Yumi poteva sembrare una stronza dal cuore di pietra. E lo era, forse. Però era anche tenera, a modo suo, soprattutto quando dimostrava di avere davvero a cuore la felicità di suo fratello. E io morivo letteralmente dalla voglia di raccontarle della proposta di Rei e di vedere la sua faccia.

Però, in quel momento, mio padre fuoriuscì dal tempio di Vesta insieme a Immanuel e, con un movimento della mano, ci invitò ad avvicinarci ed entrare.

«Melania» mi salutò, sulla soglia del portone, osservando il mio viso con espressione contrita. «Rei mi ha raccontato quello che ti è successo ma non pensavo che...»

«Non fa niente» lo interruppi. «Abbiamo cose più importanti a cui pensare, adesso».

Era quello il posto in cui la rete era solita riunirsi. Il più importante dei templi, il più sacro dei luoghi. Davanti a quel braciere, Gilbert, il mio adorato magister, aveva gettato le basi di quella rivoluzione che ora lui, per colpa di Nerissa, non sarebbe riuscito a vedere.

«Clio» sussurrai alla piccola Vestale che era corsa ad abbracciarmi e aveva affondato subito il viso contro il mio petto. «Non ti preoccupare, sto bene».

«Di che Creature stiamo parlando?» domandò mio padre, con la luce delle fiamme che danzava tra i riflessi dorati dei suoi capelli.

«Di ogni tipo» risposi. «Strigi, Ciclopi, Sirene. Viverne».

«Viverne?» ripetè Immanuel, sgranando gli occhi. «Sei sicura?»

«Certo che sono sicura» risposi. «Le ho viste con i miei occhi».

«Credevo che fossero estinte» bofonchiò. «Dovrebbero essere estinte».

«Beh, non lo sono» tagliai corto. «Sono incatenate, tenute prigioniere, seviziate e uccise al solo scopo di intrattenere quelle maledette carogne di Reazionari».

Immanuel aprì la bocca ma la richiuse senza parlare.

«Quindi, le Creature non obbediscono loro per loro scelta» disse mio padre. «Mi domando come abbiano fatto a catturarle».

«Te lo dico io» dissi, rapida. «Ci sono dei geni tra loro. Infracti. Geni corrotti di seconda generazione che collaborano volontariamente con i Reazionari».

«Devono aver approfittato della fuoriuscita delle Creature all'ultimo spegnimento del Fuoco» disse Immanuel.

«Non ne hanno approfittato» lo corressi. «Lo hanno provocato».

Dopo la mia ultima osservazione nel tempio calò il silenzio. Roteai lo sguardo verso Rei, perché avevo bisogno di sostegno per riuscire a continuare a parlare. Lui mi restituì uno sguardo di assenso.

«Dafni, o meglio, la lamia che ne aveva preso il posto, ha sedotto Devon di proposito» dissi. «Lo ha fatto apposta. Lo ha fatto affinché il Fuoco si spegnesse e le Creature fossero libere di usciere in giro. Anche Gilbert lo ha sempre sospettato».

Alzai gli occhi sulla strana espressione contrita di mio padre.

«Papà?» gli domandai. «Hai qualcosa da dire, in proposito?»

«Sì» rispose, tirandosi indietro i capelli. «Sì. I geni hanno recuperato il Lapis Niger la guerra è alle porte. Siamo definitivamente alla resa dei conti. Credo sia arrivato il momento di mettere tutte le carte in tavola, finalmente».

«Tutte?» lo incalzai.

Lui si voltò a guardare prima Rei e poi verso Immanuel, che gli restituì un'occhiata stupita e, allo stesso tempo, impercettibilmente preoccupata.

«Tutte».

«Non mi stupisce che a Constantin fosse venuto questo sospetto» disse mio padre, dopo qualche secondo che, evidentemente, gli era stato necessario per raccogliere le idee. «Perché lui sapeva che una cosa del genere era già successa».

Feci un passo indietro e, sepolta sotto i vari drappeggi del suo mantello, trovai la mano di Rei. Era una possibilità a cui io e Kirk, una volta, avevamo già pensato. Una teoria che sarebbe stata in grado di rispondere a molte, moltissime domande. Se Gilbert ed Elissa, proprio come Devon e Dafni, si fossero uniti provocando lo spegnimento del Fuoco, avrebbero consentito la fuoriuscita delle Creature e il loro reclutamento nell'esercito di Alastor. Di contro però, allo stesso tempo, avrebbero anche lasciato l'acropoli senza protezione e consentito l'ingresso di Joel Vanhanen, che avrebbe posto fine alla vita di Elissa. Aveva senso. Ma era una possibilità a cui non avevo mai voluto pensare concretamente, perché accettarla significava accettare il fatto che Gilbert avesse contribuito a provocare la morte di Elissa. E questo, per me, era un pensiero troppo doloroso perché riuscissi a sopportarlo.

«Papà» dissi. «Tu credi che Gilbert ed Elissa abbiano...»

«No» rispose.

No?

«E allora... in che modo?» bofonchiai, perché non ero preparata a quella risposta.

«L'ho creduto per molto tempo, ma mi sbagliavo» disse. «Io lo credevo e Constantin me l'ha lasciato credere. Perché anche a lui conveniva così».

«Gli conveniva così?» chiesi, perplessa. «Che significa?»

Gabriel si slacciò il mantello e lo lasciò cadere a terra, poi si portò una mano al collo e si allargò nervosamente il tessuto del maglione.

«Sapevo che aveva assunto il numen dei Velatori, perché l'avevo visto fare qualcosa di realmente sconcertante».

«Che cosa?» domandò Immanuel. «Che cosa ha fatto?»

Forse era arrivato davvero il momento di mettere in chiaro le cose. Non era più tempo di menzogne e sotterfugi. Quale fosse il modo per rivelare a un uomo una simile verità riguardo i suoi figli, però, mi era del tutto sconosciuto. E, evidentemente, lo era anche per mio padre.

«Immanuel, noi...» cominciò. «Non avevamo altra scelta. Non c'era altra scelta. Enea, cioè Alastor... lui non era morto realmente perché aveva il Lapis Niger indosso quando è stato ferito. Erano i suoi orecchini».

«Cosa?» chiese lui, strabuzzando gli occhi. «Alastor non è morto?»

«No» confermò mio padre. «Non è morto. È schizzato fuori dal suo corpo martoriato e ha dovuto incarnarsi in... altro».

«No» disse Immanuel. «Non è possibile».

«È così, invece» intervenni, cauta. «Io c'ero quando è successo. L'ho visto con i miei occhi».

«C'ero anch'io» disse Rei.

«Perché non me lo avete detto?» domandò Immanuel che, evidentemente, conosceva i suoi confratelli abbastanza bene per capire quanto quella menzogna fosse preoccupante.

«Rei non poteva farlo, ha fatto uno iusirandum vitae» rispose mio padre. «Io e Constantin, invece, siamo dovuti correre ai ripari, per così dire».

«Che cosa significa?»

«C'erano due statue di ghiaccio, fuori dalla Grotta di Nettuno» disse Gabriel.

«Lo so» lo interruppe Immanuel. «Le aveva erette Joel, mio fratello, a nostra immagine. È sempre stato bravo a plasmare gli elementi con la magia».

«Infatti vi somigliavano molto» annuì mio padre. «Anche se una delle due era una femmina».

«Quello era Joel» sussurrò Immanuel, poi si voltò verso me e Yumi, come se ci dovesse delle spiegazioni aggiuntive. «Era così che Joel si sentiva. Anche nostro padre era un Eques, ed era molto all'antica. E, da bambini, noi ci andavamo a rifugiare in quella grotta quando lui...»

Non avrei mai provato pietà per Joel. Per quell'essere indegno che aveva brutalmente assassinato mia zia e che avevo visto ridere di quell'assurdo bagno di sangue al Colosseo. Però, pensai, forse, in fondo, neanche lui era nato cattivo. Forse anche lui aveva imboccato la strada sbagliata dopo aver barcollato lungo quella, troppo ripida e tortuosa per i suoi mezzi, su cui qualcun altro aveva cercato di forzarlo.

«Immanuel...» lo interruppe mio padre, poi si arrestò.

Immanuel stava facendo tutti i collegamenti. Ci impiegò qualche secondo, poi lo vidi sgranare gli occhi e alzare uno sguardo incredulo su mio padre.

«No» disse.

«Mi dispiace» disse Gabriel e sentii Yumi soffocare un singhiozzo. «Per quello che conta, tu sei stato informato e ci hai dato il tuo consenso anche se poi, ovviamente, lo hai dovuto dimenticare...»

Immanuel si avventò su mio padre, lo sollevò dal mantello e lo inchiodò contro il muro. Rei lasciò immediatamente la mia mano e si scagliò su di loro.

«Dai, dillo!» urlò Immanuel, dimenandosi come un cavallo imbizzarrito mentre Rei lo allontanava a fatica da mio padre. «Dillo, cazzo!»

«Quelle statue sono i tuoi figli» disse Gabriel, infine. «I tuoi figli sono Alastor».

Immanuel, come era anche logico che fosse, l'aveva presa malissimo e se ne era andato. Yumi sembrava affranta come se aver ascoltato per la seconda volta quella storia le avesse riaperto una ferita e Rei era stanco e pensieroso.

E anche io ero preoccupata e dispiaciuta. Certamente meno preoccupata di Rei e di mio padre e assolutamente meno dispiaciuta di Yumi. Cioè, la situazione si era fatta oggettivamente molto pesante e le rivelazioni di mio padre erano state tutt'altro che piacevoli. Eppure, al di là di quello sconforto generale, io ero rimasta con un dubbio e non avrei lasciato correre, a costo di sembrare insensibile ed egoista.

«Papà» lo chiamai, una volta fuori dal tempio. «Che cosa intendevi quando hai detto che Gilbert ha preferito lasciarti credere che avesse commesso un sacrilegio con Elissa? E perché, invece, ora credi che non sia così?»

«È un discorso che preferirei non affrontare con te, se mi è consentito» rispose, calciando via nervosamente alcuni sassolini del piazzale ghiaioso.

«Non ti è consentito» dissi, secca.

«E sia, allora» acconsentì. «La ricostruzione sembrava perfetta, non faceva una piega. Almeno finché il vostro amico non si è macchiato dello stesso odioso reato».

«Devon?» domandai, allarmata.

«Sì, Devon» asserì mio padre. «Eravate qui anche voi, dovreste ricordarvi come è andata. Non appena consumato il sacrilegio, il mandato di Dafni Zogkari, o di chiunque ci fosse al suo posto, si è concluso all'istante. Un secondo dopo il fatto, lei non era già più la Sibilla».

«Me lo ricordo bene» dissi, cauta. «E quindi?»

«E quindi perché con Elissa non è accaduta la stessa cosa?» mi chiese, di rimando. «Se Elissa avesse davvero compiuto un simile sacrilegio, il suo mandato sarebbe stato revocato all'istante, e lei avrebbe smesso di essere la Sibilla in quell'esatto momento, proprio come è accaduto con la Sibilla successiva. Ma non è andata così. Sappiamo bene che lei era ancora la Sibilla quando è stata uccisa e questo significa che non è stato commesso alcun sacrilegio».

Non capivo e non mi interessava sapere per quale motivo mio padre me lo stesse comunicando con quell'aria accorata. Per me era la notizia migliore che potesse darmi. Significava che Elissa non aveva spento il Fuoco di proposito e che Gilbert non aveva contribuito alla sua morte.

«Ania» mi chiamò Rei che, evidentemente, non stava condividendo il mio sollievo. «Resta il fatto che Gilbert possedeva il numen dei Velatori».

«Esatto» confermò mio padre. «Numen che doveva aver pur preso da qualcuno, visto che lui era nato Incendiario».

«No, un momento» interruppi, e anche Yumi mi guardò con gli occhi sbarrati. «Che cos'è che state insinuando, esattamente?»

«Se Gilbert, per anni, ha accettato di farmi credere di aver commesso un sacrilegio orrendo e di aver causato con esso la morte della donna che amava, la ragione può essere solo una» disse mio padre. «Evidentemente, intendeva celarmi una realtà ancora peggiore».

«No» ripetei, allontanando immediatamente il pensiero che stava prendendo forma nella mia mente. «Se ha accettato di fartelo credere, evidentemente, era perché non gli interessava di giustificarsi con te né di ciò che tu potessi pensare di lui».

«Ania...» provò Yumi, ma io la fulminai con lo sguardo e lei tacque.

«E allora, visto che lo conoscevi così bene, sai dirmi da chi ha preso il secondo numen, se non da Elissa?» domandò Gabriel ma, a discapito delle parole che suonavano tanto insinuanti, non c'era alcuna traccia di risentimento nella sua voce. Solo stanchezza. «Non ha assunto quel numen a caso. Gli è stato passato per uno scopo ben preciso: creare falsi ricordi dei gemelli per occultare la morte di Alastor. Di Enea. Il fratello di Elissa. E di Arianna».

«Smettila!» urlai.

«Arianna era l'unica, oltre Elissa, che potesse essere interessata a...»

«Tu non hai idea di cosa interessi o non interessi ad Arianna!» sbottai. «Tu neanche la conosci, così come non conosci nessuno di noi!»

«Cerca di mantenete la calma, per favore» mi pregò Yumi, ma io neanche la ascoltai.

L'accusa che mio padre aveva mosso a mia madre era la cosa più odiosa che le mie orecchie avessero ascoltato in tutta la mia vita. Eppure, di cose odiose, ne avevano ascoltate a bizzeffe. L'aver immaginato mia madre e Gilbert insieme, anche se solo per un istante, anche fosse stato esclusivamente per un bene superiore, mi aveva nauseata.

Mia madre era una stronza nervosa, anaffettiva e piena di difetti ma, se anche mio padre si fosse meritato di essere tradito, come stava ampiamente dimostrando, lei non l'avrebbe mai fatto con l'uomo amato da sua sorella. Ci avrei scommesso la mia vita.

«Tu devi essere impazzito» dissi a Gabriel. «È stato in seguito a questa gloriosa pensata che hai aggredito Gilbert?»

Mio padre distolse lo sguardo senza rispondere e io lo presi come un assenso.

«Non essere troppo dura con lui» mi disse Rei, poggiandomi una mano sulla testa. «Gabriel si è sacrificato più di tutti per la causa; è stato costretto a rinunciare a tantissime cose. Tra cui tua madre e voi».

«Lo so» risposi, secca. «Ma ha insinuato qualcosa di inaccettabile. Ha mancato di rispetto a mia madre e ha infangato la memoria di Gilbert».

«Nessuna delle due cose era nelle mie intenzioni» rispose Gabriel. «Ma, ammettendo che, come dici tu, io mi sia sbagliato, la domanda resta senza risposta. Da chi ha preso Constantin il numen dei Velatori?»

Feci passare vari secondi prima di rispondere.

«Da Elissa» sussurrai, ma nel silenzio tombale in cui era precipitato il tempio le mie parole rimbombarono come se le avessi urlate. «Quando un genio muore, il numen lascia il suo corpo. Anche io ho assunto quello degli Incendiari da Gilbert in questo modo».

«Ma Constantin non era qui quando Elissa è morta» disse mio padre, scuotendo la testa.

«Sì, invece» rispose Yumi, con un filo di voce. «Lo so per certo, perché c'ero anch'io».

«E perché nessuno mi avrebbe mai informato di questa possibilità?» domandò mio padre.

«Perché non sei un genio, Gabriel» rispose Rei, prima che io potessi compromettermi con la cascata di insulti che stavo trattenendo dall'inizio della conversazione. «Sai che ci sono segreti che i geni preferiscono non rivelare agli Umani, per quanto si fidino di loro».

«Certo che ne avete di coraggio!» sbuffai. «Quindi ora quelli con i segreti sono i geni, non voi. Allora usa la proverbiale trasparenza di voi Umani per raccontarmi qualcosa di Rami, papà. Il professore Ionascu mi ha detto che sei stato coinvolto nella sua... creazione... tanto quanto Gilbert».

«Ah, Rami...» sospirò mio padre, ma si zittì quando Rei fece un passo avanti.

«Ho sentito qualcosa» disse.

«Abbiamo concordato con Mario di farci mandare la tredicesima legione per la sicurezza dell'acropoli» disse Yumi, correndo ad affacciarsi. «Sono arrivati!»

«L'acropoli è inespugnabile» disse mio padre, cercando di risultare confortante.

Ma sapevamo bene che nessuno luogo lo era davvero. Non di fronte a uno spiegamento di forze di quel calibro.

«Comunque» intervenne Rei, accendendosi una sigaretta. «Sono arrivati anche gli altri».

E, infatti, purtroppo, la tredicesima legione non era il solo esercito che, faticosamente, era riuscito ad assumere qualcosa di simile a una formazione lungo i sentieri scoscesi e gli spazi angusti di Villa Gregoriana. Raggiungemmo Yumi le cui mani erano rimaste serrate intorno alla sbarra di ferro del parapetto e guardammo di sotto.

«Sono arrivati i Reazionari» annunciò mio padre, osservando quelle figurine bianche diramarsi lungo tutte le deviazioni come una macchia d'olio inarrestabile.

Un suono orribile, però, ci costrinse a distogliere lo sguardo dalla valle per alzarlo verso le prime luci dell'alba.

«È una Strige?» chiese Yumi, portandosi entrambe le mani sulle orecchie, per ripararsi dal suo orribile stridere.

«Sì» confermai, osservandola stagliarsi contro il cielo grigio, appena rischiarato dal sole non ancora sorto.

Clio e le altre vestali fecero capolino dal Tempio di Vesta e anche gli altri Equites, tra cui Immanuel, si precipitarono fuori dal Tempio della Sibilla allarmati dalle grida orrende di quella Creatura.

«Non riesce a sorvolare l'acropoli» constatò mio padre, osservandola con attenzione.

Era vero, non ci riusciva. Cercava di avvicinarsi e finiva per schiantarsi contro quella che sembrava una cupola invisibile che imprigionava e proteggeva l'intera acropoli.

«Continuasse a provarci anche per sempre» disse Immanuel, tetro. «Non riuscirà mai a entrare, finché il Fuoco sarà acceso».

Eppure, nonostante sembrasse scontato che non avesse speranza alcuna, sembrava particolarmente motivata nel riuscire a oltrepassare quella barriera invisibile, tanto che continuava a farsi indietro quel tanto che bastava per prendere la rincorsa e tornare a schiantarcisi addosso a tutta velocità, ancora e ancora.

E, proprio durante uno di questi pietosi tentativi, mi resi conto di qualcosa che, ad una prima occhiata controluce, mi era sfuggita.

Cazzo. Aveva qualcosa tra gli artigli. No, non qualcosa. Qualcuno. Qualcuno nelle cui carni aveva affondato le unghie disgustose, qualcuno che, ad ogni collisione, veniva sbatacchiato come un fantoccio, perdendo sangue a fiotti.

«Forse non vuole entrare» disse Rei che, scrutando la Creatura, era riuscito a vedere ciò che avevo visto anch'io. «Forse ci sta invitando a raggiungerla fuori».

Dopo l'ennesimo schianto, la Strige perse quota. E, a quel punto, se ne accorsero anche gli altri. Immanuel, oltrepassandoci con uno scatto fulmineo, tentò di raggiungere il cancello.

«No!» gli urlò mio padre, strattonandolo senza nessuna grazia. «Non puoi cadere nella loro trappola!»

«È mia figlia!» urlò lui, indicando l'orrida Creatura e la persona dai lunghi capelli quasi bianchi che, priva di sensi, ballonzolava ad ogni suo possente colpo d'ali.

Era Maia. Era sua figlia. Era stata sua figlia fino a quel momento e continuava ad esserlo anche dopo il racconto di mio padre. Nulla era cambiato, per Immanuel Vanhanen.

«Appunto, tuo fratello lo fa per provocarti» ribatté Gabriel.

«Come hanno fatto a prenderla?» mi urlò addosso Immanuel, fuori di sé. «Non era sotto la vostra protezione?»

«Non lo so» ammisi, agitata. «Kirk non ha costretto nessuno... evidentemente lei ha preferito... di nuovo...»

Immanuel non mi lasciò finire e tentò nuovamente di liberarsi del placcaggio di mio padre.

«Noi non cediamo alle provocazioni!» gli gridò Gabriel mentre la Strige, improvvisamente, aveva deciso di fare dietrofront esibendosi prima in una spaventosa picchiata lungo tutta la profondità della valle, e poi, una volta ripresa quota, in una lunga planata nei pressi della Grande Cascata. «E nessuno di noi può uscire dal Tempio senza permesso».

Non ascoltai lo scambio di battute che ne seguì. Perché tutta la mia attenzione, improvvisamente, era stata catturata da Yumi. Con gli occhi perfettamente definiti da una riga di eye-liner impeccabile strizzati in un'espressione serissima, stava scrutando il cielo senza curarsi minimamente della conversazione che stava avvenendo accanto a lei.

Se Maia morisse, sarebbe tutto più facile.

Se Maia fosse morta tra le fauci orrende di quello schifoso uccellaccio, sarebbe morto anche un terzo di Enea. E, con esso, anche la più disperata speranza di riuscire, in qualche modo, a riportarlo in vita. Enea avrebbe smesso di esistere. Rami ed Heikki avrebbero potuto continuare a portare avanti le loro vite. Ed Heikki, senza Maia, sarebbe stato libero. L'amore che Yumi provava ancora per lui era più ardente e più straziante di quanto avessi mai potuto temere. Non lo avevo capito. E avrei continuato a non capirlo se, in quel momento, non fossi stata travolta e annientata da quel devastante desiderio di vedere Maia morire.

«Yumi...» la chiamai, a bassa voce.

Lei si riscosse. Distolse immediatamente lo sguardo dal cielo e puntò contro di me due occhi pieni di lacrime.

«Non ti preoccupare» le sussurrai.

Ma Yumi, invece, era preoccupatissima.

«Non sono mai arrivata a desiderare... anche solo a pensare...» farfugliò, prendendosi la testa tra le mani.

«Io sì, continuamente» dissi e lei sgranò gli occhi. «Con Nerissa».

«Ma lei ha fatto una cosa orrenda... Maia, invece...»

«Non c'entra niente quello che ha fatto» dissi, cercando di rassicurarla. «Qui stiamo parlando di desideri del tutto illegittimi ma, allo stesso tempo, orribilmente umani».

Yumi si lasciò sfuggire un singhiozzo.

«Tu sei troppo inquadrata» dissi, prendendole le mani. «Non tutto può essere controllato. Men che meno il pensiero».

«Non pretendo di controllare ogni pensiero» rispose. «Ma ho paura che, alla fine, possano essere i pensieri a controllare me».

«Va bene, ma se anche accadesse... cioè... ok senti, non lo so. Credi davvero che io sia la persona giusta per dispensare consigli in merito?» chiesi, e lei accennò un sorriso. «Dai, Yumi. Accetta il fatto che il pensiero può colpire la mente senza preavviso ma tu non sei costretta per forza a farti condizionare. Quindi hai ancora il controllo della situazione, come vedi».

Yumi annuì sbrigativamente, come se non avesse neanche ascoltato quelle parole che erano uscite dalla mia bocca con tanta inaspettata saggezza.

«Oh, no!» gracchiò, tornando a guardare di sotto. «No, no!»

Tre soldati, i cui mantelli rossi mossi dal vento risaltavano sul bianco della vallata innevata come striature di sangue, avevano abbandonato la formazione e stavano percorrendo affannosamente il ripido sentiero che li avrebbe condotti dall'altra parte della Villa, sul versante della biblioteca.

«Quello è Nate!» urlò Yumi.

«Non puoi esserne sicura, da questa distanza» provai.

«Certo che sono sicura!» rispose, strattonandomi per le spalle. «Si è sicuramente messo in testa di salvare Maia!»

Cazzo. Aveva ragione. Nate era partito all'inseguimento della Strige. E Devon e Iulian gli stavano scappando dietro.

Siccome poi mi dite che sono pallosa, lo dico stavolta e non lo dirò più: da adesso in poi i pochi capitoli che ci separano dalla fine (ç_____ç), saranno tutti, mediamente, un po' più lunghi del solito. Scusate ç_ç fine comunicazione ç_ç

...vorrei anche scrivere due parole per il prossimo capitolo ma non saprei proprio come fare per prepararvi a un simile firgilrgiweggiòshòisghvsrkhglrsjhkgbfiew4rhg e quindi niente, vi lascerò affrontarlo così, a mani nude 💃🏻

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AppleAnia ç_ç

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