3.32 • IL RASTRELLATORE MANGIA BAMBINI
Avevo già visto il Colosseo, ovviamente. C'ero stata in gita alle elementari e anche alle superiori. Non mi ricordavo praticamente niente, comunque. Esattamente come in tutte le altre gite scolastiche, ero a malapena stata a sentire. Piuttosto, mi ero guardata intorno annoiata, avevo chiacchierato con le mie amiche e cercato Piras con lo sguardo in mezzo alla folla di studenti. Ci eravamo lamentate del caldo e del solleone, agognando il momento in cui, finalmente sull'autobus, avremmo potuto riprendere in mano in nostri telefoni senza suscitare occhiate sdegnate da parte di nessuno e godere dell'aria condizionata.
C'era però da dire che, avendo il terzo occhio aperto e riuscendo ad attingere a informazioni immagazzinate nel mio cervello un secolo prima, avrei potuto affermare per certo che le guide turistiche andavano predicando tutte le cose sbagliate. Non che ci fossero errori in quella cascata di informazioni che ti sputacchiavano addosso. Cioè, era vero che era stato costruito per volere di Vespasiano e concluso sotto Tito, così come era reale l'inaugurazione nell'80 d.C.; la facciata esterna, composta di quattro ordini di cui tre inferiori con ottanta arcate rette da pilastri e uno, l'attico, a parete piena, era effettivamente alta quarantotto metri e mezzo. Solo che non interessava a nessuno. Personalmente, mi annoiavo persino a ricordarlo.
Quello che nessuna guida turistica avrebbe mai potuto raccontarci, però, era il vero motivo che aveva reso quella mastodontica costruzione il simbolo non solo di una città, ma di un intero Impero, espressione di forza e di rigenerazione: erano le fiamme rosse che, sprigionandosi dalle fiaccole a parete, danzavano sulla superficie bronzea delle statue poste all'interno di ogni arcata e si riflettevano calde sul travertino immacolato. Erano le applicazioni, i bassorilievi, gli stucchi e le incisioni: decorazioni perdute nel tempo che neanche la più accurata delle ricostruzioni 3D sarebbe mai stata in grado di riprodurre in tutta la loro grandiosa potenza.
«Siete rimasti a bocca aperta?» sorrise Hans. «Prego, venite. Avremo il Palco dell'Imperatore tutto per noi».
Tutti gli spettatori stavano fluendo freneticamente attraverso le arcate, dalle quali si snodavano alcune scalinate incrociate e corridoi coperti che li immettevano nei vari settori. Sembravano persone normali: uomini, donne, famiglie con bambini, addirittura. Ma erano Reazionari. Ognuno di loro lo era.
Il Palco dell'Imperatore, fortunatamente, disponeva di un accesso diretto attraverso un criptoportico rivestito in marmo. Era una vera e propria tribuna d'onore, una terrazza privata che offriva una visuale ottimale su tutta l'arena e, nel centro della quale, svettavano due troni marmorei. Lasciai il braccio di Agenore al quale ero rimasta praticamente aggrappata per tutto il tragitto e mi diressi lentamente verso il parapetto immacolato, guardandomi intorno attentamente.
Il Colosseo era pieno da scoppiare di gente di ogni tipo, la cui ubicazione all'interno dell'anfiteatro forniva una precisa fotografia della loro collocazione sociale: i poveri sfortunati in piccionaia, nel più alto dei loggioni, e poi a scendere, gradino dopo gradino, fino ad arrivare al primo dei gironi, occupato da persone evidentemente facoltose, abbigliate riccamente e ricoperte da gioielli come nella più gloriosa tradizione degli Augustali. Dopo aver abbracciato l'intero anfiteatro con una panoramica di trecentosessanta gradi, tornai a posare lo sguardo sui miei compagni. Uriel, tutto eccitato, era venuto ad affacciarsi accanto a me e, con le mani aggrappate alla balausta, si stava guardando intorno a bocca aperta, probabilmente tanto incredulo da dimenticare, per qualche istante, dove ci trovassimo e perché. Ma Agenore era impallidito. Si era tenuto a distanza dalla balconata come se avesse temuto che avvicinandosi al parapetto le vertigini avessero potuto avere la meglio su di lui. Quando si accorse che lo stavo osservando alzò i suoi occhi scurissimi su di me.
«Ehi» sussurrai, avvicinandomi a lui. «Ti senti bene?»
«S-sì, i-io...» poi si interruppe, perché una voce alla sue spalle lo aveva fatto sobbalzare.
Kirk ci aveva appena raggiunti nella nostra tribuna d'onore.
Nei lunghi attimi in cui mantenne il suo sguardo posato su di me e sulla devastazione da lui compiuta sulla mia pelle e sulla mia psiche, il Colosseo sembrò improvvisamente svuotato. Kirk mosse un passo verso di me, poi si fermò e volse il volto affilato prima verso Uriel, poi verso Agenore.
«State bene?» domandò.
«B-bene» rispose Agenore. «T-tu?»
No, certo che non stava bene. E non solo perché le ferite che gli avevamo inflitto io e Daniel tiravano e bruciavano ancora sulla sua pelle. Ma, comunque, Kirk non fece in tempo a rispondere. Perché, in quel momento, un uomo dai lunghissimi capelli talmente biondi da sembrare quasi bianchi era entrato in tribuna insieme a Nerissa.
«A-ania» mi richiamò Agenore, preoccupato.
«Conosci già Kierkeggard e gli scherzi della natura che lo accompagnano, vero?» domandò Nerissa a quell'uomo che somigliava a Immanuel Vanhanen ma che, senza ombra di dubbio, era Joel.
«Il bastardo del disertore, certamente» salutò lui, facendo fluttuare la lunga chioma argentea in direzione di Kirk, poi si voltò a guardare Agenore. «Noi ci siamo già incontrati, vero? Mi ricordo della tua protesi. L'unico prigioniero che sia mai riuscito a scapparmi».
Kirk mi aveva accennato qualcosa in merito, in effetti. Agenore era stato loro prigioniero. Tante delle informazioni di cui era entrato in possesso sui Reazionari gliele aveva fornite lui.
«Anche il ragazzino handicappato è una nostra vecchia conoscenza» disse l'uomo a Uriel, continuando la sua rassegna, poi alzò uno sguardo schifato su di me. «Tu, invece, somigli a una vecchia Sibilla. Eppure non ricordavo che fosse così brutta».
Devi rimanere concentrata sull'obiettivo, mi aveva detto la Clement. E le sue parole continuavano a riecheggiare nella mia mente come un mantra. La verità era che, per quanto detestabili fossero suonate alle mie orecchie le parole che aveva rivolto ai miei compagni, non me ne sarebbe potuto fregare di meno di quelle considerazioni sul deterioramento del mio aspetto estetico. Dovevo rimanere concentrata sull'obiettivo. E, infatti, ero concentratissima. Solo che l'obiettivo, in quel momento, si era spostato. L'obiettivo era Nerissa. Quell'ignobile, spregevole giumenta che aveva scagliato il giavellotto che aveva trafitto il mio magister davanti ai miei occhi inermi. La sentivo ancora ridere, sentivo le sue risate mentre lui mi spirava tra le braccia.
Kirk mi si parò davanti e mi voltò subito le spalle, interrompendo il mio contatto visivo con loro e, con esso, il numen che fluiva impetuoso verso di me ardendomi la gola e la mente. Disse qualcosa a Joel, forse i nostri nomi, forse qualche altra cosa.
Dovevo riprendere il controllo. Sopratutto perché nessuno dei due sembrava avere la minima intenzione di levare le tende ma, anzi, avevano entrambi preso posto: Joel sul trono, Nerissa alla sua destra.
L'altro trono, invece, era per Kirk.
«Sedetevi» ci incitò Joel. «Lo spettacolo sta per cominciare».
E lo spettacolo cominciò. Entrarono in fila indiana, uno dietro l'altro, con lo sguardo basso e i brachialia coercitionis ai polsi. Vestiti neri, corpi magri, pelli arse dal sole e sguardi vuoti: geni. O, per lo meno, ciò che rimaneva di loro.
Tornai ad aggrapparmi al braccio di Agenore, al quale avevo ceduto ben volentieri il posto alla sinistra di Kirk. Avevo capito cosa stava per succedere. Eppure, fino all'ultimo momento possibile, sperai che potesse esserci una spiegazione alternativa. Poi, però, dal lato opposto dell'arena, abbattuti come bovini al macello, ne entrarono altri. In parte vestiti di bianco, in parte con indosso l'uniforme e l'equipaggiamento militare.
«Dimmi che non li faranno combattere gli uni contro gli altri» sussurrai ad Agenore. «Ti prego».
«È e-esattamente quello c-che f-faranno» rispose.
Al centro dell'arena aveva preso posto un tizio che, utilizzando una strana maschera che sembrava in grado di amplificare il volume della sua voce, tuonò:
«Benvenuti a tutti. Oggi abbiamo nella nostra arena un ospite d'eccezione: il genio a capo della Setta del Merro».
La folla non fiatò.
«Per questo, questa sera abbiamo pensato di omaggiare lui e i suoi accompagnatori con una rappresentazione speciale» continuò il tizio. «La battaglia della Viglia di Natale».
Mi sporsi oltre Agenore cercando di osservare l'espressione di Kirk. La battaglia della Viglia di Natale era la battaglia in cui Alastor era stato sconfitto ed ero certa che Kirk avesse piacere di vederla messa in scena tanto quanto ne avevo io, cioè per niente. Kirk, però, sedeva composto sul suo trono vicino a Joel, senza tradire alcuna espressione.
Io, invece, stavo cominciando a vederci doppio. La vicinanza di Nerissa, seduta insieme ad Hans alla destra di Joel, mi logorava dall'interno. Non avevo la minima intenzione di restare lì seduta ad assistere a quella ridicola pagliacciata e cominciavo a sentire vacillare anche Agenore al mio fianco.
«Lui era un legionario, un soldato» disse il tizio con la maschera, mentre un genio alto e prestante si dirigeva a lunghe falcate al centro dell'arena, in mezzo alle urla della folla in visibilio. «Tanto spietato e tanto fedele all'Impero da arrivare a odiare i geni suoi simili più intensamente di quanto non li odiassero gli Umani».
Quel genio con i capelli lunghi, quindi, proprio come temevo, stava interpretando Enea.
«...con inaudita ferocia rastrellava geni bambini, consegnandone una parte all'Impero e cibandosi del resto».
Stronzi maledetti.
Il tizio continuava a parlare e il genio che vestiva i panni di mio zio continuava ad alzare le braccia per incitare la folla a urlare e applaudire. Il rastrellatore mangia bambini a un certo punto aveva cambiato idea, aveva ignobilmente tradito il suo comandante schierandosi dalla parte delle creature immonde. Tutta la manfrina che avevo già sentito mille volte. Un angosciantissimo presagio, però, si stava impadronendo di me. Perché non c'era verso di raccontare quella storia senza includere anche loro.
E purtroppo, infatti, dal lato opposto dell'arena, trascinandosi dietro le pesanti catene che serravano loro le caviglie enormi, fecero il loro ingresso in scena. Alti sette o otto metri, con uno spesso collare stretto intorno ai loro colli larghi come tronchi d'albero e un solo occhio al centro della fronte. Ciclopi.
«...l'odioso disertore reclutò nel suo esercito mostruoso Creature di ogni sorta».
Creature di ogni sorta. I Ciclopi, infatti, furono solo i primi. Riconobbi subito le creature che entrarono dopo di loro, perché le avevo incontrate l'anno precedente. Camminavano goffamente sul terreno sabbioso dell'arena con le loro penose zampe di papera. Il collo da cigno strizzato in un collare di ferro e la testa e le braccia umane. Sirene.
Tutto il pubblico che affollava il Colosseo stracolmo si trovava in attesa di una cosa soltanto: sangue. Come la peggior tifoseria, mentre urlavano incitazioni oscene e insulti odiosi, li potevo sentire fomentarsi uno con l'altro, caricati a molla dalle frustrazioni accumulate nel corso delle loro intere vite, sprecate a odiare il nemico immaginario che qualcuno aveva costruito appositamente per loro. In mio secondo numen, quello che gestivo peggio, si stava dimenando furiosamente nel mio stomaco contratto.
Agenore, invece, non era più in grado di parlare. Il suo volto sottile e ricoperto di lentiggini aveva assunto un clorito cinereo, la sua fronte era imperlata di sudore e il braccio al quale ero aggrappata aveva preso a tremare, da quanto era teso.
Senza voltare la testa, lanciai uno sguardo laterale all'arena, nella quale avevano appena fatto il loro ingresso altre Creature che, sfortunatamente, avevo avuto modo di incontrare da vicino un paio d'anni prima. Mostruosi esseri demoniaci con forma di rapace e volto di donna, con un becco affilatissimo al posto della bocca. Entrarono svolazzando disorientate e disgustose, emettendo insopportabili versi acuti e stridenti. Dimenavano penosamente le grosse ali e sbattevano una contro l'altra nel vano tentativo si staccarsi dal terreno, al quale erano saldamente ancorate da una grossa catena agganciata a un pesante anello di ferro infilato alla loro zampa. Una di quelle creature che venivano chiamate Strigi proprio per il loro orribile stridere, mi aveva attaccata, una volta. Non avrei dimenticato tanto facilmente il modo in cui quegli artigli affilati erano affondati nella mia carne, né la violenza con cui ero stata sollevata e scaraventata all'interno del suo nido. Mai avrei pensato di poter provare pietà per un abominio del genere.
E invece.
Ero ancora voltata verso il volto scuro di Agenore, immobile con la mascella serrata e gli occhi ridotti a due fessure, un po' sperando di riuscire a interpretare il suo stato d'animo e un po' per non essere costretta a guardare l'atrocità che stava per compiersi proprio sotto i nostri occhi, quando la folla esplode in un boato. Mi voltai di scatto. Le persone più ricche, quelle sedute sugli spalti più bassi, erano saltate in piedi, urlando. Qualcuno stava addirittura tentando la fuga, sgomitando nel tentativo di farsi faticosamente strada in mezzo al pubblico.
Alta almeno dieci metri, fauci enormi, occhi rossi; l'intero corpo ricoperto di squame verdi con sfumature perlacee. Grosse ali di pipistrello e un gigantesco pungiglione di scorpione sull'estremità della coda. Non sapevo dare un nome a quella creatura simile a un drago ma la riconobbi immediatamente: era lo scheletro che pendeva dal soffitto dalla sala comune del Vestibolo, la sede dei Venatores.
Quando la bestia spalancò le fauci e ruggì, l'intero anfiteatro tremò. Uriel, seduto al mio fianco, saltò in piedi e fece un balzo indietro.
«E ora che ci siamo tutti» disse il tizio, e la sua voce sovrastò i confusi schiamazzi del pubblico, «diamo inizio alle danze!»
Ho una comunicazione da fareeeeeeeeeee 🤸♀️
Siccome ci stiamo avvicinando inesorabilmente alla fine (ç______ç) mi sono passata una mano sulla coscienza e ho deciso di allietare le vostre giornate a venire (che, una volta conclusa la pubblicazione di SPQT, saranno sicuramente vuote, tristi e senza amore) con un regalo di fine storia ç_ç
Questo regalo, a differenza di quello di Natale, sarà solo per chi è arrivato alla fine di questa agonia trash (VOLEVO DIRE STORIA) insieme a me, commentando e partecipando attivamente ç_ç
Per il momento quindi sono in lizza:
_Calypsowrite_
fantAsilena
lizainverse
_Alle_
(E Melissa Dragonfly e Smallady se riescono a mettersi in paro in tempo 💃🏻)
E poi, se mi bastano i soldi (BISOGNA SEMPRE ESSERE ONESTI NELLA VITA), anche:
PamelaGumball
MaddalenaMariani5
(Che sono mie amiche di Tivoli e che quindi non necessitano di regali di ringraziamento perché sono già ampiamente ripagate dalla mia assidua, persistente, molesta e invadente presenza nelle loro vite ahahahahhaah)
Vi terrò aggiornate su questa graduatoria u.u Non vi assicuro, come al solito, che il regalo arriverà puntuale ma vi assicuro che vi piacerà mooooooolto 💃
Ps: ...nel prossimo capitoloksdhfliegerhgfeòoiwrhugoweihtgaòwofgbaeorig e ho detto tutto.
Baci baci
AppleAnia
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