3.19 • DECISIONI DRAMMATICHE
Percorsi tutto il portico, schivando incantamenta volanti e zanne, finché non riuscii a trovare un pertugio in cui infilarmi, l'unico posto talmente ignobile da non aver destato il benché minimo interesse nei geni della Setta e che, infatti, non si erano premurati di sprangare: il ripostiglio delle scope.
«Io e te ci si incontra spesso negli sgabuzzini» sentii, non appena mi fui chiusa la porta alle spalle.
«Kirk» sobbalzai, poi mi avventai su di lui colpendolo sul petto con i pugni chiusi. «Che stai facendo? Sei impazzito? Fermati! Fermali!»
Kirk mi afferrò le braccia nel tentativo di immobilizzarmi e, nel farlo, le sue mani scivolarono sui miei brachialia.
«Artigli del flagello» disse. «Che è successo? Perché indossi questa merda?»
«Lascia stare» risposi e, nonostante lo stanzino fosse assai scarsamente illuminato, mi accorsi che era sporco e accaldato. «Tu stai bene? Hai combattuto? Da dove provieni?»
«Sto bene» rispose. «Vengo dal Palazzo Imperiale».
«Il Palazzo Imperiale?» domandai. «La residenza del Pontifex?»
«Sì. È caduto. Ora è in mano nostra» disse.
Mi portai una mano alla fronte.
«Questo attacco era solo un diversivo, vero?»
«Non esattamente» rispose.
«Kirk» piagnucolai, aggrappandomi a lui. «Fuori è una carneficina. Devi fermarla, ci stanno rimettendo la vita degli studenti che non hanno alcuna colpa».
«Che non abbiano alcuna colpita è tutto da verificare» provò, ma, osservando la mia espressione, invertì subito la rotta. «Mi dispiace, non era mia intenzione. Ma è impossibile sferrare un attacco senza che ci scappi qualche vittima innocente».
«Ho capito tutto» lo interruppi e lui fece un passo indietro. «So come prendere il Lapis Niger».
Mi osservò qualche secondo per soppesare le mie parole e rendersi conto che non stessi scherzando, né vaneggiando per via dell'alcol.
«Sai come prendere il Lapis Niger» ripetè. «E condivideresti questa informazione con me».
«Sì» singhiozzai. «Sì. Prenderemo la pietra, sveglieremo Jurgen e faremo in modo che ognuno abbia ciò che merita, geni in primis».
Kirk allentò la presa sui miei polsi fino a lasciarsi scivolare le mie mani tra le sue.
«Lo faremo insieme» continuai. «Ma ferma questo massacro, ti prego. Ci sono anche i miei amici là in mezzo».
«Va bene» disse, dopo qualche attimo di silenzio.
«Devono assolutamente prendere i gemelli Vanhanen, tutti e tre» dissi. «E anche Pierre Ducrai. È un Osceno della mia classe».
«Va bene» confermò Kirk, poi allargò le braccia e rimase a guardarmi. «Vieni, ti porto in salvo».
Avanzai di quel paio di passi che ci separavano guardandolo fisso negli occhi azzurri. Poi gli intrecciai le braccia intorno al collo e lasciai che mi stringesse.
«Reggiti forte» disse e, con un tonfo sordo, lasciammo il ripostiglio.
«Siamo a casa tua?» domandai, fissando il tappeto verde scuro.
Non avevo coraggio di guardarmi intorno. Temevo che, proprio coma la volta precedente, il minimo spostamento mi avrebbe indotta a vomitare.
«Sì» rispose Kirk, alzandosi a fatica. Evidentemente, portare con sé un'altra persona lo sfiancava. «Ma lasceremo preso questa topaia, ora che abbiamo preso il Palazzo Imperiale».
Mi poggiò delicatamente una mano sulla schiena.
«Prova a tirarti su. Piano piano. Se stai così piegata è peggio».
Lasciai che mi aiutasse a raddrizzarmi molto lentamente e, quando ebbi guadagnato una dignitosa posizione a sedere, socchiusi appena gli occhi.
«Così, bravissima» disse, poi si accorse della ferita sul mio braccio che io, fino a quel momento, non avevo avuto neanche il coraggio di guardare.
«Cazzo» disse, e si diresse, barcollando, verso la credenza. «Aspetta qui, ho delle bende».
Rimasi in silenzio, senza guardare, mentre lui mi disinfettava e bendava il braccio dolorante.
«Ecco fatto, almeno si è fermata l'emorragia. Appena possibile ti mando un Velatore per fartela cicatrizzare» disse. «Ora devo tornare al Collegium. Tu aspettami qui. Se devi alzarti, fallo con attenzione, perché potrebbe girarti la testa. Torno prima che posso e ti porto un cambio».
«Va bene» risposi, e lo guardai sparire davanti ai miei occhi.
Ero stordita. Dall'alcol, dal dissanguamento, dalla psicocinesi e dal trauma di ciò che avevo vissuto. Non sapevo se i miei amici fossero ancora vivi, non sapevo neanche se la Setta fosse riuscita a imprigionare qualcuno tra gli ospiti né se fosse realmente quello il suo intento. Una cosa, però, la sapevo: Kirk aveva deciso di interrompere l'attacco solo sulla base delle mie parole. Mai nessuno mi aveva investita di una tale fiducia. Nessuno. Men che meno Rei.
Dopo un tempo che non avrei mai saputo quantificare ma durante il quale non avevo trovato il coraggio di alzarmi, Kirk ricomparve davanti a me. Ma, invece di fermarsi a raccontarmi, imboccò la porta e uscì di casa, per farvi ritorno solo vari minuti dopo con alcuni vestiti.
«Maia Vanhanen è scappata» disse. «Ma abbiamo preso gli altri due. Tu stai bene?»
«Mi sembra di sì» risposi, mettendomi in piedi.
«Bene. Eccoti il cambio» disse, «va' a farti un bagno caldo».
Un bagno caldo e dei vestiti comodi e puliti erano proprio ciò di cui avevo bisogno. Avevo accolto la proposta con un entusiasmo tale da aver tralasciato un dettaglio di fondamentale importanza: il mio vestito aveva una fila di bottoni sulla schiena che, da sola e con il braccio bendato e immobilizzato all'altezza del gomito, non sarei mai riuscita a sbottonare.
Ci avevo provato in tutti i modi e in tutte le posizioni; ero arrivata persino a valutare la possibilità di strapparmelo di dosso ma, con un solo braccio, non sarei riuscita neanche in quello. Quindi, sfinita e rassegnata, accettai infine di fare la cosa più sensata. Così socchiusi la porta del bagno e lo chiamai.
«Ti senti male?» chiese, accorrendo all'istante.
Magari.
«No» risposi, mostrandogli la schiena. «No è che non riesco a... questi bottoni... puoi aiutarmi?»
Kirk non rispose. Le sue mani si posarono delicatamente sul primo di quella lunga fila di bottoni.
«Scusa, ho le mani gelate» disse.
«Non ti preoccupare» mi affrettai a rispondere.
Nonostante stesse evidentemente mettendoci la massima attenzione, mentre il terzo o il quarto bottone cedeva sotto il suo tocco leggero, mi sfiorò appena la pelle, provocandomi un brivido.
«Come avete fatto a introdurvi a Villa Adriana?» chiesi a casaccio, nonostante in quel momento non me ne importasse un fico secco.
«Ci siamo impadroniti dell'acquedotto» rispose, continuando a sbottonare lentamente. «Già da qualche mese».
Certo, l'acquedotto. Per questo erano saltati fuori dalla fontana.
Gli ultimi due o tre terribili bottoni, praticamente, mi cadevano sul sedere. Ma Kirk, impassibile come un chirurgo, continuò a sbottonarli fino all'ultimo. A quel punto, però si fermò. Il vestito era completamente sbottonato. Al minimo tocco mi sarebbe precipitato ai piedi. Le sue mani erano ancora ferme sull'ultimo bottone ma lui doveva essersi avvicinato, perché sentivo il suo fiato caldo sul collo.
«Mi dispiace per i tuoi compagni» sussurrò, vicino al mio orecchio. «Non potevo certo immaginare che i Magi ghiacciassero la fontana per ottenerne una scultura. Nessuno sarebbe rimasto ferito se l'albero di ghiaccio non fosse esploso».
Immersi più volte la testa nella vasca fumante, perché quello che era appena successo, in qualche modo, mi aveva turbata. Dovevo tornare in me. Avevo assistito a una carneficina, avevo avuto l'epifania, sperimentando la violenta apertura spontanea del terzo occhio. Non avevo idea di come avrebbe potuto mettersi la situazione. Eppure io, Melania, detta Ania in onore della temibile Anjanka, raro esemplare di Vendicatore femmina, nipote di Alastor e discepola di Gilbert, imperturbabile di fronte a ogni tipo di lutto o avversità, ero finita per farmi sopraffare dal panico che le mani di Kirk avevano scatenato sfiorandomi la schiena. Repressi il pensiero indecente, uscii dalla vasca, mi asciugai e osservai i vestiti che Kirk mi aveva preparato.
Uno era della Clement, ci avrei scommesso. A guardarlo così, infatti, non avrei saputo neanche dire quale fosse il dritto e quel il rovescio. Mentre l'altro... l'altro era il completo nero dell'uniforme della Setta. Nonostante tutto, nonostante avessi già deciso, Kirk mi stava dando una nuova opportunità di scelta che io non avrei sprecato.
Ma, prima ancora della drammatica decisone, la sfida che dovetti affrontare fu un'altra, e ben più atroce: insaccarmi nell'intimo della Clement. Immaginai che Kirk avesse arraffato a caso ciò che aveva trovato a casa di Gilbert senza stare neanche a osservarlo più di tanto. Ma, se anche l'elastico di quelle terribili culotte con le rouche si era rivelato, fortunatamente, sufficientemente lento da consentire il passaggio del mio sedere, di sicuro, provare a entrare in quel reggiseno sarebbe stato tempo perso. Quindi ci rinunciai. Rimasi così, con le mutande con le balze della Clement e nient'altro addosso oltre ai brachialia, a osservare quelle due opzioni: uno strampalato abito civile di colore e modello assolutamente indefinibili da una parte e l'uniforme militare della Setta dall'altra. Poi, senza ulteriori indugi, indossai l'uniforme della Setta.
«Ah, eccoti» mi disse Kirk, seduto davanti al camino acceso. «Vieni a riscaldarti».
Mi osservò attentamente prendere posto accanto a lui.
«Ci hai messo così tanto che temevo che l'indecisione ti stesse consumando» disse.
«Magari mi avesse consumata abbastanza da consentirmi di entrare in quel maledetto reggiseno della Clement» risposi, raccogliendo i i capelli bagnati con una mano e portandomeli davanti alla spalla, sperando che il calore del fuoco li asciugasse in fretta.
«Ah... mi dispiace» sorrise, imbarazzato, poi si sporse in avanti per ravvivare il fuoco con l'attizzatoio.
«Ma non ti preoccupare» mi affrettai a rispondere. «Sei stato fin troppo gentile a portarmi il cambio. Non potevi certo sapere che io lei non avevamo la stessa taglia».
«Beh, no, in realtà lo sapevo» disse. «Cioè, me ne ero accorto».
«Ti eri accorto di... ok» risposi, desiderando di essere ancora ubriaca.
«Flagello di Cicero!» esclamò. «Tanto non ne uscirò mai senza sembrare un rivoltante pervertito».
«Ma no, dai. Solo perché hai frugato tra i reggiseni di una ragazza».
«Stimandone a occhio la dimensione delle tette per comparazione con un'altra» precisò.
«... e scegliendo, infine e dopo un'attentissima analisi, un intimo appropriato per un spettacolo di burlesque di bassissima lega».
«Non avrò mai più il coraggio di guardare Genevieve in faccia» rise. «Ma immagino che tu sia stremata. Se vuoi andare a riposare...»
«Sì, ne avrei bisogno» ammisi, incorniciando le gambe. «Ma prima ho bisogno di raccontarti tutto quello che ho capito».
Beh, insomma... BUON ANNO!
Che dite, è valsa la pena aspettare due settimane per questo capitolo in cui non succede assolutamente niente? Cioè, niente. Momento. Una cosa è successa. Anzi due. La prima è che ad Ania pare che stia nuovamente frullando l'ormone e quindi io boh. La seconda è che abbiamo scoperto che la Clement indossa biancheria intima di gusto discutibile. Io stanotte non ho chiuso occhio e sto morendo di sonno quindi open-sourche (volevo scrivere PENSO ma devo aver digitato male e quindi mi è uscito open-sourche che mi pare davvero una cosa stupenda. Ma poi non si scrive source? Che è sourche??) che, per oggi, vi accannerò così, senza remore e senza ulteriori indugi.
Baci baci
AppleAnia
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top