3.17 • BELLICREPA
«Sei così bella, Ania» disse Yumi, sistemandomi una coroncina di alloro argentata tra i lucenti capelli mossi che lei stessa aveva sistemato in un'acconciatura semiraccolta. «Se mio fratello potesse vederti...»
Mi allontanai, infastidita. Yumi aveva insistito fino a sfinirmi con quell'idea di preparaci insieme per la Bellicrepa e, alla fine, stremata, avevo accettato. Anche perché nel mio armadio non c'era assolutamente nulla che si addicesse a un evento del genere.
Il vestito che Yumi aveva fatto confezionare appositamente per me era grigio perla; la gonna vaporosa, composta da numerosi strati di tulle e organza, mi arrivava fino ai piedi. Su tutto l'abito, il cui corpetto lasciava buona parte della schiena scoperta, erano stati ricamati dei fiori bianchi. Yumi mi aveva drappeggiato la stola coordinata fissandomela su una sola spalla.
Non ero esattamente a mio agio. Non avevo mai indossato un vestito lungo e l'impressione che su di me fosse qualcosa di eccessivo non mi aveva mai abbandonata, durante tutte le operazioni di preparazione durante le quali, a cadenza regolare, Yumi aveva pronunciato il nome di Rei, buttandolo lì con nonchalance.
Io, però, non avevo la minima intenzione di mettermi a pensare a lui.
«Scusa» sussurrò, tenendo bassa la testa. «Ma non ci posso credere che non ti manchi».
«Stammi a sentire» dissi, perentoria, «quello di Rei, per me, è un discorso chiuso».
«No, non riesco ad accettarlo» sussurrò, stringendosi tra le mani il suo vestito bianco, finemente drappeggiato intorno al suo corpo sinuoso, e mi accorsi con orrore che stava piangendo. «Non è giusto. Vi amate praticamente da tutta la vita e ora, per colpa mia...»
«Perché ti importa così tanto?» domandai, prima di riuscire a frenarmi.
«Come perché?» chiese, stupita. «È mio fratello. Alcune volte è un idiota, è vero, ma è ovvio che desideri il suo bene».
«E chi ti dice che il suo bene sia stare con me?» chiesi. «Non sarebbe più felice con Nozomi? Saresti più felice anche tu».
«Non sarebbe più felice nessuno, men che meno lui» rispose, tirando su con il naso. «Baka. Lui ama te. E io sono sicura che anche tu...»
«Yumi» la interruppi, ponendomi di fronte a lei. «Basta».
Lei si asciugò gli occhi con il dorso della mano.
«È che... era tutto più facile quando ero certa che non avrei mai perso la tua amicizia» sussurrò.
«Stai scherzando?» domandai, sgranando gli occhi. «Sono settimane che ti comporti da stronza con me. Settimane. Da quando è arrivata Nozomi, praticamente».
«Io non mi comporto da stronza» singhiozzò. «Io sono una stronza».
«Beh, sì» convenni, incrociando le braccia davanti al petto.
«Lo so» sussurrò, «per questo, se non mi sforzassi continuamente di apparire come non sono, non avrei neanche un amico».
«Non è vero. Io e Devon saremmo tuoi amici lo stesso, per esempio».
«Sì, voi sì» disse. «E, infatti, sembra che io vi ricambi trattandovi a pesci in faccia».
«Va bene, hai un momento di vittimismo» dissi.
«Guarda che sei stata tu la prima a creare una crepa tra noi, tacendomi le cose e nascondendomi il tuo stato d'animo. È da quando... sì, insomma, da quando Gilbert... mi hai sempre detto di stare bene. Credi che io sia stupida? Lo sapevo che mentivi».
«Non è che volessi mentirti» dissi, colta alla sprovvista, «è che non avevo voglia di affrontare il discorso».
Perché ammettere il mio dolore davanti a lei sarebbe significato, per prima cosa, doverlo ammettere con me stessa. E io non potevo farlo. Non potevo ancora mollare. Avevo ancora troppe cose da fare prima di potermi concedere un cedimento del genere.
«Hai avuto quel crollo durante l'amichevole e io, che avrei voluto aiutarti, sono stata malamente scacciata. Poi te ne sei andata da casa mia e anche a scuola hai iniziato a evitarmi, o mi sbaglio?»
«Ti evitavo perché, avendo acquisito un secondo numen, avevo difficoltà a gestire la tua vicinanza» farfugliai.
«Avresti potuto dirmelo, invece di perdere tempo a incolpare Nozomi! Lei è arrivata proprio in quel periodo ma, se non fossi stata troppo occupata a odiarla senza ragione, ti saresti accorta quando la sua vicinanza mi affatichi».
«Me ne sono accorta lo stesso» ammisi. «Sembri sempre impegnatissima a coinvolgerla in qualsiasi cosa».
«E, se è l'unico modo, continuerò a farlo. Ho bisogno di un'amica anch'io, Ania. Tu avevi deciso di escludermi dalla tua vita e, nel frattempo, ti stavi avvicinando sempre di più a Roze. Io mi sono sentita sola».
Rimanemmo in silenzio qualche istante. Avrei voluto ribattere ma la verità era che non mi ero mai soffermata neanche per un secondo a pensare ai sentimenti di Yumi. Feci un passo avanti con l'intenzione di abbracciarla ma lei parlò prima che potessi raggiungerla:
«Però, nonostante tutto, pensavo che finché tu e mio fratello...»
«Basta» la interruppi. «Lui non c'entra niente con noi due. Scusami. Hai ragione, anche io mi sono comportata male con te. Mi dispiace. Ma lascia lui fuori da questa storia».
«Va bene» disse, prendendomi le mani. «Quindi posso riprendere a fare la stronza come sempre?»
«Guarda che non hai mai smesso, eh. Anzi, ultimamente sei peggiorata».
«È vero» rise lei e mi buttò le braccia intorno al collo. «Perdonami anche tu, Ania. Per favore. Mi sono sentita abbandonata, sotto pressione e destabilizzata».
«Ti perdono» risposi, stringendola. «Subdola vipera».
«Dovresti essere onorata di aver conosciuto questo mio lato» ridacchiò. «Siete le uniche persone che mi conoscono davvero: tu, Devon, mio fratello e...»
Si interruppe e sciolse l'abbraccio.
«Heikki?» provai.
«Sì, Heikki» rispose con un filo di voce.
«Ah beh, lui dovrebbe essere più che abituato alle serpi, con quella sorella che si ritrova» dissi. «Sono sicura che sapeva tenerti a bada».
«Lui non è così male come sembra» bisbigliò.
«Lo so, Yumi. Ah, a proposito!» dissi, battendomi una mano sulla fronte. «Ho scoperto qualcosa che ti interesserà. Riguarda Immanuel Vanhanen e quella notte di luna calante in cui Elissa è stata uccisa».
Parlammo ininterrottamente di Joel Vanhanen per tutte le restati procedure di preparazione e anche lungo il corridoio e per le scale, fino al soggiorno.
«Mi spiace davvero molto di non potervi dedicare più tempo» dissi a Uriel, pronto, insieme a Daniel, per recarsi da Kumiko per la cena della vigilia. «Stasera c'è questa tortura. Ma domani ci metteremo seduti e parleremo con calma, va bene?»
Da quando erano arrivati, la sera precedente, non c'era stato un attimo di tempo. Erano piombati a casa mia in tarda sera e la Clement li aveva invitati ad andare tutti a dormire, vista l'ora e la stanchezza per il viaggio. Il giorno seguente, purtroppo, la Bellicrepa aveva spazzato via ogni altro pensiero o impegno.
«Non devi scusarti» rispose lui che, opportunamente snebbiato, era fortunatamente in grado di esprimersi in latino. «Parleremo domani. C'è tutto il tempo. Sei molto bella, comunque».
Anche tu saresti un figo, pensai, se non avessi la stessa faccia di mio fratello.
«Grazie mille» risposi, invece. «Ma dov'è Flacara?»
È uscita con Genevieve rispose Daniel, e anche Uriel si voltò a guardarlo, segno che riusciva a sentirlo. Aspettiamo che mamma torni e usciamo anche noi.
«Andiamo, Ania?» mi esortò Yumi. «Per stasera lasciamo da parte i pensieri e le preoccupazioni. Affrettiamoci, Devon mi starà sicuramente aspettando».
Il gigantesco cortile col porticato del Collegium era irriconoscibile. Più grosso della piazza centrale di una metropoli, era stato sistemato e addobbato come fosse stato una sala da ballo. Molti tavolini circolari erano stati disposti lungo il perimetro delle colonne del porticato, sulle quali si arrampicavano folte spirali di pungitopo e lucine argentate, e un ampio spazio centrale era stato lasciato a disposizione per ballare.
Le due fontane del cortile erano entrambe ghiacciate: il getto d'acqua che fuoriusciva dalla prima fontana, quella più prossima all'ingresso, era congelato nella forma dell'aquila simbolo del Collegium: una scultura di ghiaccio alta almeno tre metri e larga altrettanto. Dalla seconda fontana, quella più distante, schizzava invece fuori un albero di Natale di ghiaccio che mozzava il fiato. Alto almeno il doppio dell'aquila, imponente e massiccio, risplendeva di tutti i riflessi argentati di cui l'ambiente era illuminato. Tra le due fontane era stato montato un palco trasparente, forse di vetro, forse anch'esso di ghiaccio, sul quale, seduti da un solo lato di una lunga tavolata che guardava verso la pista da ballo, c'erano i professori e altri adulti che, lì per lì, non riconobbi. Subito al di sotto, l'orchestra stava finendo di prendere posto e di accordare gli strumenti.
«Corna di Bacco! È incredibile» disse Yumi, guardandosi intorno a bocca aperta. «Non sembra di stare a scuola. Non sembra neanche di stare in questo mondo».
«È vero» ammisi, pur non volendo mostrarmi troppo entusiasta.
Nonostante ci trovassimo all'aperto, la temperatura era gradevole e aveva consentito a tutte le ragazze di liberarsi della palla e, a quelle più coraggiose, anche della stola. Dal cielo nero della notte cadevano placidamente grossi fiocchi di neve che, però, svanivano prima di toccare il travertino immacolato del pavimento che, infatti, era del tutto asciutto.
«I Magi si sono dati molto da fare, non c'è che dire» disse lei.
«Forse troppo, per un semplice ballo scolastico» proposi. «Non ti sembra?»
Yumi aprì la bocca per rispondere ma la richiuse subito quando vide Devon, in alta uniforme da legionario, con il mantello rosso e il gladio alla cinta, comparire tra la folla che, incessantemente, defluiva attraverso il cancello di ingresso per riversarsi nel cortile. Non era solo. Nozomi, raggiante nel suo vestito rosa pallido dalle maniche lunghe e vaporose, camminava stretta al suo braccio.
«Sapevi che sarebbe venuto con lei?» mi chiese Yumi.
«Certo che no» risposi.
«Barba di Giove, quasi non vi riconoscevo» disse Devon non appena ci ebbero raggiunte. «Siete bellissime».
«È vero» confermò Nozomi, senza mai alzare lo sguardo su di me.
«Anche voi...» rispose Yumi. «Bellissimi e... insieme».
«Spero non ti dispiaccia, Yumi» disse Nozomi, con un filo di voce.
«Certo che no, figurati» rispose lei che, più che dispiaciuta, sembrava sconvolta.
Iulian e Nate, anche loro entrambi in uniforme, ci raggiunsero a lunghe falcate, facendo ondeggiare i mantelli rossi in mezzo a tutto quel bianco.
«Ciao Nate» disse Devon. «E dov'è Maia?»
«Eccola» rispose lui, imbronciato, indicando con la testa un punto indefinito tra la folla.
Maia stava effettivamente entrando nel cortile fluttuando al fianco di Heikki, entrambi vestiti di bianco, come se avere i capelli bianchi e pelle bianca non fosse loro sufficiente.
«Non posso crederci» disse Devon. «Sono venuti insieme».
«Perché non puoi crederci?» intervenne Yumi, acida. «Era logico che accadesse».
«Ci è andata male anche stavolta, Yumi» disse Nate, porgendo la mano alla mia amica. «Potresti ballare con me, per consolarti. Che dici?»
Pregai che Yumi riuscisse a trattenersi dalla tentazione di eviscerarlo lì, davanti a tutti. Perché, di tutte le sciagure che potessero capitarle, finire di nuovo tra le braccia di un ragazzo innamorato di Maia sembrava la peggiore.
Yumi, invece, scoppiando a ridere, rispose:
«Magari, un giorno, ci rincontreremo per la prima volta, io e te» disse, afferrando la sua mano. «Senza rettili biondi in mezzo alle scatole».
I musicisti non avevano ancora iniziato a suonare e noi avevamo già preso posto intorno a uno dei tavoli rotondi e stavamo sorseggiando i nostri drink quando vidi Roze avvicinarsi con Pierre.
«Fallo di Priamo!» esclamò Nate. «Che coppia sarebbe quella?»
Non potei trattenermi dalla tentazione di lanciare un'occhiata discreta a Ionascu, in piedi sul palco dietro la prima fontana insieme a tutti gli altri docenti. Il suo sguardo freddo e severo si era posato su di lei, bellissima nel suo vestito celeste chiaro, solo per un attimo per poi tornare a vagare tra la folla senza aver subito alcun mutamento di espressione. Mi sentivo moderatamente in colpa per aver costretto Roze ad andare al ballo con Pierre. La triste realtà, tuttavia, era che, se anche non fosse andata con lui, non avrebbe potuto andarci con il ragazzo che le interessava. Visto che il ragazzo che le interessava non era un ragazzo ma un uomo e sedeva sul palco in mezzo a tutti gli altri professori.
«Ciao» disse Roze, avvicinandosi a disagio. «Possiamo sederci con voi?»
«Certo» rispose Devon, prontamente. «Accomodatevi, ci sono ancora quattro posti».
«Non basteranno» sbuffai. «Mancano ancora Viktor e Rami, con le loro accompagnatrici».
«No, io credo che basteranno» sorrise Iulian, scavalcandomi con lo sguardo.
Mi voltai e Viktor e Rami, rispettivamente vestiti di grigio antracite e di bianco, ancora avvolti nei loro mantelli e con la neve tra i capelli, erano proprio lì, davanti a me. Insieme. Erano venuti insieme.
«Ah, ciao» esclamai, alzandomi in piedi.
Lui, prima di capodanno, non c'era. Lui è semplicemente convinto di essere Rami Vanhanen.
Mentre Viktor prendeva posto al tavolo e scambiava qualche battuta con i ragazzi, mi alzai sulle punte dei piedi e strinsi le braccia intorno al collo di Rami, così elegante nel suo completo da cerimonia ed emozionato per l'evento. Così tenero.
«È tutto a posto?» mi domandò, in apprensione.
«Ti voglio bene» gli sussurrai nell'orecchio, dal quale pendeva quel brutto orecchino che aveva in comune con i suoi fratelli.
«Anche io» rispose, stringendomi in vita.
Chiunque fosse, da dovunque fosse saltato fuori, Rami era così. Dolce, genuino, libero da tutte quelle sovrastrutture sociali che ingabbiavano tutti gli altri, spazzando via la loro spontaneità e, con essa, anche una buona parte di sentimenti.
«E stasera sei bellissimo» aggiunsi, allentando la presa.
«Grazie» sorrise, guardandosi il completo bianco, imbarazzato. «Anche tu sei molto carina».
«Un attimo di attenzione, per favore».
La voce della professoressa Di Pietro rimbombò tra i tavoli come se fosse stata amplificata.
«Tutti i ragazzi, cortesemente, prendano posto a sedere».
Quando tutti si furono seduti e il vociare si fu prima attutito e poi del tutto smorzato, la professoressa continuò.
«È con grande piacere che vi diamo il benvenuto alla prima Bellicrepa di questa nuova apertura scolastica. Poiché si tratta del primo evento ufficiale organizzato dall'Impero dalla riapertura di Villa Adriana, siamo davvero molto onorati di ospitarlo nella nostra scuola».
Tutti i professori della scuola erano in piedi sul palco, compresi Ionascu e la Clement, tutti eleganti e impettiti.
«È con immenso orgoglio e soddisfazione che, quindi, siamo pronti a dare il benvenuto ai nostri ospiti».
Ospiti? C'era qualcosa di strano, in effetti. Non li avevo notati subito, perché erano rimasti defilati sotto il portico. Ma il cortile ne era pieno. Era stracolmo di soldati armati. Uno spiegamento di forze assolutamente ingiustificabile per un ballo scolastico.
«Quattro degli ordini maggiori sono già egregiamente rappresentati in questa scuola» riprese la professoressa. «Diamo quindi subito il benvenuto al professor Ionascu, in rappresentanza dei Venatores».
Ionascu fece un passo avanti. Non era diverso dagli altri giorni, con i capelli biondi tirati indietro e legati in una coda bassa, il lungo mantello nero e la faccia sfregiata. Contrariamente a quanto avrei mai potuto immaginare, mi ritrovai a battere le mani. Ionascu, nonostante tutto, mi aveva aiutata. E, se Gilbert era arrivato a confidargli cose che non aveva detto a nessun altro e se la mia amica era innamorata di lui, ero certa che non potesse essere poi così cattivo. E, incredibilmente, non ero la sola ad applaudire, anzi. I ragazzi delle due squadre di harpastum allenate da lui, compresi tutti quelli seduti al mio tavolo, saltarono in piedi, battendo le mani e fischiando entusiasti.
«Grazie, professore. In rappresentanza dei geni, la professoressa Clement» annunciò la Di Pietro e la Clement fece mezzo passo avanti calpestandosi il vestito verde acqua.
Vista la schiacciante inferiorità numerica dei geni rispetto agli Umani (un paio per classe, neanche in tutte le classi) avrei ipotizzato per lei una reazione ancor più tiepida di quella che avrei immaginato per Ionascu. Invece, anche la Clement si prese il suo scrosciante applauso.
«Sono tutti così entusiasti perché è simpatica» mi sussurrò Yumi nell'orecchio, battendo le mani.
«Lo è?» chiesi, stupita.
«Certo. È dolce, disponibile, per nulla severa e, con le sue uscite strane fa morire dalle risate».
La Clement non aveva alzato gli occhi sulla folla neanche per un secondo. Era rimasta ferma immobile a rigirarsi una delle lunghe collane che indossava tra le dita piene di anelli.
Il professor Leon, annunciato subito dopo, ricevette una vera e propria ovazione da parte dei Magi e la professoressa Di Pietro, auto presentatasi come ex Vestale si godé l'applauso più lungo di tutti.
«Ma non è finita» aggiunse. «In rappresentanza della Sibilla che, ovviamente, non può essere qui, c'è l'oracolo che, lo scorso anno, ha protetto con la sua luce gli Equites e le Vestali nel periodo più buio: Flacara Vardianu».
Flacara salì sul palco da una scala posteriore celata alla nostra vista e la folla esplose in un boato. Aveva i lunghi capelli neri sciolti sulle spalle e indossava un vestito che, ci avrei scommesso la vita, le aveva prestato la Clement. Era troppo strano per essere altrimenti. Somigliava alla corolla di un fiore: composto da una lunga serie di sovrapposizioni di tessuti, con il corpetto giallo e una serie di strati di gonne di tulle, ognuna poco più corta di quella sottostante, che andavano dal bianco fino al fucsia, passando per tutto le sfumature di rosa.
Però, cominciavo ad avvertire un certo disagio. Perché ce n'era ancora uno, tra gli ordini maggiori, a dover essere rappresentato.
«Per l'ordine degli Equites, diamo il benvenuto a Immanuel Vanhanen, che ha ha ben tre figli nella nostra scuola» disse la Di Pietro.
Immanuel Vanhanen. Mi andava bene. Non lui. E neanche mio padre con cui comunque, prima o poi, avrei dovuto parlare. Ma, tra gli ospiti, ne mancava ancora uno. Perché una delle sedie disposte lungo il tavolo, quella più grossa e imponente da sembrare quasi un trono, era ancora vuota. E io avevo capito a chi fosse destinata. La sua partecipazione avrebbe giustificato la presenza di tutti quei soldati. E, soprattutto, di quelle decine di pretoriani fermi immobili ai piedi del palco, con l'elmo in testa e i loro mantelli blu scuro.
«E, per finire, tutti in piedi» disse la professoressa. «Diamo il benvenuto a Publio Cornelio Metello Dalmatico, Pontifex di Tibur».
Ci siamo! La Bellicrepa è iniziata col botto e_e
Questo capitolo (anche il prossimo, in realtà ç_ç) mi è uscito un po' più lungo del normale ma, visto che poi ci fermeremo per un paio di settimane per la pausa natalizia, potete anche perdonarmi, vero?
Che ne pensate di Yumi e del suo chiarimento con Ania? So che ormai la odiate tutti e sono curiosa di sapere se l'avete perdonata o se pensate di riuscire a farlo in tempi congrui ^^'
Io intanto vi do appuntamento a sabato (pubblicherò in mattinata o nel primo pomeriggio, ovviamente, visto che è la vigilia di Natale e al mio solito orario di pubblicazione starete già tutti seduti a tavola col tovagliolo legato al collo ò_ò) con l'ultimo capitolo dell'anno con cui entreremo nel vivo della Bellicrepa e ce la spasseremo con dhghfehiyfghawrhsfgliwhragfliqwryf.
Baci baci
AppleAnia
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